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Autore: Abby_da_Edoras    06/06/2019    5 recensioni
Con questa long fic vado a infastidire anche la prima stagione della serie TV "I Medici", ma per un buon motivo: come sempre, salvare la vita ai personaggi che mi sono piaciuti e, anche in questo caso, uso la tecnica della leggerezza, della parodia, e inserisco un personaggio originale, Giovanni Uberti, il cui prestavolto è l'attore che interpreta Jeremy Gilbert in The Vampire Diaries (non c'entra niente, ma mi piaceva!). Dunque, Giovanni arriva a Firenze per motivi tutti suoi, personali e familiari, e si troverà suo malgrado proprio nel bel mezzo delle lotte intestine tra Medici e Albizzi. Nonostante all'inizio non voglia assolutamente farsi coinvolgere, poi si troverà fin troppo coinvolto! E sarà lieto fine per tutti, perché io scrivo per questo.
Voglio mettere in chiaro che in questa storia mi ispiro esclusivamente alla serie TV e che non voglio minimamente arrecare offesa a qualunque personaggio storico venga nominato. Per le parti relative agli Uberti e alla loro storia, mi ispiro al romanzo "Il Cavaliere del giglio" di Carla Maria Russo.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I
Genere: Angst, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo quarto

 

Marco a uomo tutta l'aggressività
Ma non posso privarmi del nome che porto
Conscio di una brutta popolarità
Perché a volte mi faccio giustizia da solo
Odio nascondermi e mendicare
Credo solo in quello che fa bene a me
E non chiedo alla vita niente di speciale

Cammino da solo e non mi volto mai
Continuo a correre…

(“Calma e sangue freddo” – Luca Dirisio)

 

La cosa bella di Albizzi era che non potevi mai sapere se avesse deciso di mollare o se invece ti stesse prendendo per i fondelli e avesse in animo qualcosa di nuovo da tramare! Poteva sembrare che, dopo il colloquio avuto con Giovanni, l’uomo avesse deciso di soprassedere e lasciar perdere quella povera cupola… e invece il giorno dopo eccolo di nuovo lì, bello tranquillo e soddisfatto, perché gli operai si erano convinti a lasciarsi pagare da lui e avevano iniziato a buttare giù impalcature e mattoni.

Nel frattempo Cosimo, allertato da Marco Bello, aveva deciso di tornare a Firenze per cercare di fermare quello scempio, nonostante la madre Piccarda fosse in fin di vita per aver contratto la peste (ma non erano andati in campagna per sfuggire al contagio?).

Quando giunse in città si recò subito alla Cattedrale, scortato da Marco Bello, e rimase esterrefatto di fronte alla scena della devastazione della cupola e del sorriso compiaciuto di Rinaldo che stava in beata contemplazione del casino che aveva provocato. Cosimo sarebbe voluto intervenire con veemenza per fermare gli operai e dirne quattro ad Albizzi, già che c’era, ma prima di lui arrivò Giovanni che anche questa volta era rimasto a spiare confondendosi in mezzo alla folla.

Il ragazzo si fece avanti, senza sapere che anche Cosimo era presente, e senza mezzi termini dichiarò che quello che stava succedendo era una colossale idiozia.

“Ma cosa fate? Non potete distruggere tutto il lavoro che è stato fatto! Questa è la cupola della nostra Cattedrale, diventerà il vanto di Firenze” protestò.

Diverse persone lo guardarono in cagnesco. I soldi di Albizzi, se non le sue parole, avevano sortito l’effetto desiderato…

“Questa cupola è figlia del demonio!” beh, sì, Albizzi aveva fatto scuola e qualcuno si era davvero lasciato convincere.

“Dio ha mandato la peste a Firenze per punire i peccati dei Medici!”

“Solo quando la cupola sarà distrutta saremo salvi!”

Questo tanto per dimostrare quanto la folla si lasci trascinare dal primo deficiente che straparla…

“Ma vi ascoltate quando parlate? Credete davvero che la peste sia una punizione divina per la costruzione della cupola?”

La maggior parte della gente annuì convinta; altri erano convinti semplicemente dai quattrini di Albizzi…

“Bene, sapete come la vedo io, allora? E’ vero che Firenze ha dei gravi peccati da scontare, ma non riguardano certo l’edificazione di una cupola” replicò Giovanni. “I peccati di Firenze sono legati alle infinite guerre civili che si sono succedute e ai tanti innocenti che ne sono rimasti vittime! I miei antenati, gli Uberti, sono stati trattati in maniera crudele e vergognosa dopo aver fatto tanto per il bene di questa città. Sono stati esiliati, ma non solo: i figli di Farinata degli Uberti, ancora bambini, sono stati rinchiusi in prigione e uccisi in modo atroce, solo uno di loro è riuscito a salvarsi. E ancora peggio, le spoglie mortali di Farinata e di sua moglie Adaleta sono state disseppellite e profanate!”

Gli occhi di Giovanni mandavano tuoni e fulmini e appariva lampante che Rinaldo Albizzi non era l’unico, da quelle parti, ad avere la memoria lunga per le offese…

“Volete espiare i peccati di Firenze? Allora riparate agli oltraggi che i miei antenati hanno subìto! Io vi chiedo di edificare la cupola per permettere la consacrazione della Cattedrale e a quel punto i resti di Farinata e di sua moglie potranno riposare nel posto che gli spetta, con tutti gli onori, nel Duomo di Firenze” esclamò il ragazzo. Cosimo, che lo ascoltava con molto interesse, pensò che era un’idea mica male: la cupola sarebbe servita anche per rendere omaggio agli Uberti e ripagarli per gli oltraggi che avevano dovuto sopportare…

Albizzi, che si era visto rovinare anche quella giornata che gli era parsa tanto promettente, non la vedeva allo stesso modo, anzi! Quel ragazzino sfacciato non voleva proprio capire e si permetteva una volta ancora di farsi beffe di lui e di fregarsene allegramente dei suoi tentativi per rovinare i Medici.

“Questa cupola è un’empietà e deve essere distrutta” intervenne, in un altro emozionante confronto pubblico con Giovanni. “Non c’è niente di onorevole nell’essere sepolti in un luogo edificato con i soldi ricavati dall’usura e tu non puoi volere questo per i tuoi antenati!”

“Siete così pronto a condannare i Medici per il loro lavoro di banchieri, ma non vi è venuto in mente che quello che avete fatto voi, ossia pagare gli operai perché distruggano la cupola, potrebbe essere definito corruzione?” decisamente Giovanni aveva un bel fegato, questo bisogna riconoscerlo!

Albizzi si sarebbe volentieri scagliato sul ragazzo per fargli non si sa bene cosa dopo essere stato definito corrotto (e pure ipocrita, per buona misura) davanti a tutta la gente di Firenze, ma in quel momento Cosimo pensò bene di intervenire per spostare l’attenzione di tutti su di sé. Aveva ammirato l’audacia di Giovanni e si convinceva sempre più del fatto che quel giovane fosse molto importante per i suoi piani, leale e affidabile com’era… possibilmente, preferiva che Albizzi non gli spaccasse la testa con un mattone!

“Distruggere la cupola non fermerà la peste” esclamò, facendosi largo in mezzo alla gente. “Questa cupola è un omaggio a Dio e…”

“Ma sentitelo, adesso vuole parlare in nome di Dio!” fece, sprezzante, uno degli operai. Altri annuirono energicamente e brontolarono contro Cosimo.

“E’ forse Cosimo de’ Medici che vuole parlare a nome di Dio?” intervenne Giovanni, che non riusciva proprio a stare zitto, era più forte di lui… “Ma non è proprio quello che Messer Albizzi sta facendo da due giorni?”

A dirla tutta, Giovanni aveva ragione e qualcuno tra la folla dovette rendersene conto, perché ci fu un certo scompiglio. In compenso, il Messer Albizzi in questione era veramente scocciato.

“Non ho mai affermato di parlare in nome di Dio” disse, con una straordinaria faccia di bronzo. “La verità è sotto gli occhi di tutti: la peste è arrivata a Firenze da quando è iniziata la costruzione della cupola. E non dobbiamo stupircene, perché Dio non può accettare l’omaggio di un usuraio come Cosimo che ha sottratto le decime del Papa per costruire la sua opera!”

Le cose parvero mettersi improvvisamente male per il Medici. La gente cominciò a guardarlo con odio e qualcuno iniziò perfino a insultarlo e ad armarsi di sassi per colpirlo. Marco Bello si mise in mezzo per difendere il suo padrone e, tanto per cambiare, Giovanni volle far sapere al resto del mondo come la pensava sulla questione!

“Messer Albizzi ha ragione” dichiarò, con grande sorpresa di tutti. Ma se fino a quel momento non gliene aveva lasciata passare una…? Tuttavia il ragazzo era piuttosto abile nel far girare il vento a suo favore. “Né Dio né la mia famiglia possono accettare un omaggio edificato con del denaro sottratto alla Chiesa. Infatti dovranno essere le famiglie nobili fiorentine a pagare per la costruzione della cupola: sono state loro a oltraggiare i miei antenati e a profanare le loro spoglie mortali, pertanto saranno loro a fare ammenda, finanziando la costruzione della cupola!”

Cosimo era entusiasta: a quanto pareva quella era la perfetta quadratura del cerchio. Non doveva più preoccuparsi per la cupola e così decise di allontanarsi insieme a Marco Bello prima che gli operai ci ripensassero e ricordassero per quale motivo avevano preso in mano quei sassi…

Ci mancherebbe solo questa! Io dovrei pagare per la costruzione di una cupola che nemmeno voglio? Non se ne parla neanche, pensò Albizzi, alquanto irritato per la soluzione trovata da Giovanni. Tuttavia anche lui non era da meno quando si trattava di rigirare la frittata, come avevo già fatto notare altre volte.

“Forse Messer Uberti non ha tutti i torti” replicò, con un sorrisetto sprezzante. “Tuttavia ciò che è stato costruito finora deriva dall’usura e pertanto va distrutto. Quando la parte che offende Dio sarà spazzata via insieme ai peccati dei Medici, allora e solo allora le famiglie nobili di Firenze saranno più che disposte a finanziare la costruzione della cupola.”

E come no?

La partita si era conclusa con un pareggio, uno a uno e palla al centro. Giovanni aveva strappato una risicata promessa di finanziamento per la cupola, ma Albizzi avrebbe continuato a pagare gli operai perché buttassero giù ciò che era stato costruito fino a quel momento.

Cosimo de’ Medici avrebbe dovuto trovare un’altra strada. E la trovò, infatti, come un’illuminazione improvvisa.

Quando, il giorno dopo, Rinaldo Albizzi si recò alla Cattedrale insieme al figlio Ormanno, vide con suo grande disappunto che gli operai erano tutti fuori dall’edificio e che la distruzione della cupola era bloccata.

“Cosimo ha fatto della Cattedrale un rifugio per gli appestati e gli operai non entrano per paura del contagio” spiegò Ormanno con lo stesso tono sprezzante del padre, di cui era il perfetto clone vivente.

Albizzi ne aveva veramente abbastanza di quella storia. Portò il suo cavallo di fronte al portone della Cattedrale e si mise a chiamare Cosimo.

“Che cos’è questa storia, Medici? Pretendo una spiegazione!”

Ma quando il portone si aprì non ne uscì Cosimo, bensì Marco Bello.

“Il mio padrone è dentro con i malati” disse con una gran faccia da schiaffi. “Se volete entrare siete il benvenuto.”

Rinaldo Albizzi non aveva la minima intenzione di entrare in una Cattedrale piena di appestati, col rischio concreto di contrarre la malattia. Però, evidentemente, quello che non voleva fare lui lo dovevano fare gli altri. Irritato per la risposta sfacciata del servitore di Cosimo, non lo degnò nemmeno di una risposta e si rivolse invece agli operai che erano tutti lì fuori.

“Entrate subito nella Cattedrale e continuate a distruggere la cupola!” ordinò.

Quelli, ovviamente, se ne guardarono bene e, anzi, lo fissarono con espressioni che dicevano chiaramente entrateci voi se ci tenete tanto e la cupola potete buttarla giù da solo per quel che ci riguarda.

“Vi ordino di obbedire! Entrate immediatamente!” ripeté, sempre più infuriato.

Certo, come no? Gli operai, brontolando e scuotendo il capo, iniziarono addirittura ad allontanarsi, tanto per chiarire meglio il concetto. Intanto Marco Bello, sul portone della Cattedrale, si divertiva un sacco… e questo mandò alle stelle il giramento di scatole di Albizzi.

Poi, ad un certo punto, anche a lui venne un’illuminazione. Cosimo pensava di fregarlo? Molto bene, gli avrebbe reso il favore con gli interessi!

“Hai detto che il tuo padrone è dentro con gli appestati. Dove si trova il suo protetto, Giovanni Uberti?” domandò a Marco.

“Anche lui è dentro con i malati” rispose l’uomo, preso alla sprovvista.

Perché quella era proprio la risposta che Rinaldo si aspettava e non si lasciò sfuggire l’occasione.

“Cosimo de’ Medici ha portato quel ragazzo in una Cattedrale piena di malati di peste? Ma non ha proprio un briciolo di vergogna? Giovanni è un ragazzino, è sotto la sua protezione e lui lo espone al contagio!” esclamò, ostentando un’espressione scandalizzata. “Se il tuo padrone non vuol degnarsi di uscire, abbia almeno il buon senso di mandare fuori il ragazzo. Vuole forse farlo morire? Questo non è il suo posto. Dirai a Cosimo che mi occuperò io di Giovanni, visto che lui si comporta in maniera tanto irresponsabile, e lo porterò a Palazzo Albizzi.”

Marco Bello non trovò niente da replicare. In effetti, una volta tanto, l’uomo aveva ragione. Peccato che la sua offerta non fosse così innocente e disinteressata come voleva sembrare…

“Come volete, Messere” disse, rientrando nella Cattedrale.

Mentre aspettava che Giovanni uscisse, Rinaldo si rivolse al figlio.

“Il leccapiedi di Cosimo ha gironzolato per la città anche se i Medici erano andati via. Scopri che cosa ha in mente” gli disse. Il giovane annuì e partì a cavallo e se qualcuno pensa che volesse togliersi dai piedi il figlio per avere un incontro senza testimoni con Giovanni… beh, a pensare male si fa peccato ma in genere ci si azzecca!

Albizzi sorrise. Per una volta le cose stavano andando nella giusta direzione. Cosimo credeva di averlo preso in contropiede, ma l’ultima parola sarebbe stata la sua: avrebbe portato Giovanni al suo palazzo e, finalmente, sarebbe riuscito a convincerlo a passare dalla sua parte.

E poi, già che c’era, si sarebbe tolto anche qualche soddisfazione personale, qualcosa che aveva pensato fin dalla prima volta in cui quel ragazzino presuntuoso aveva osato sfidarlo…

Il portone della Cattedrale si aprì di nuovo e questa volta fu Giovanni a uscire, con un’aria alquanto perplessa. Con ogni evidenza, Cosimo lo aveva incoraggiato ad accontentare Albizzi e lui non capiva perché. Forse si era reso conto del pericolo a cui lo aveva esposto e voleva rimediare… o forse aveva pensato che era giunto il momento di fare una concessione a Rinaldo per avere qualcosa in cambio.

“Ah, eccoti, meno male che Cosimo ha avuto almeno la lungimiranza di farti uscire” commentò l’uomo, non appena lo vide. “Avanti, vieni, ti porto al mio palazzo. Quel Medici è davvero senza scrupoli, quando ha in mente quella sua dannata cupola non riesce a pensare ad altro! E’ abominevole che abbia portato un ragazzino come te dentro una chiesa piena di appestati… Cosimo è senza scrupoli, senza morale e senza vergogna.”

“Messer Cosimo ha detto che devo venire con voi, ma io non capisco perché. Avrei potuto tornare a Palazzo Medici e…” disse Giovanni, facendo qualche passo poco convinto verso Albizzi. Si guardava intorno come a cercare una spiegazione, ma l’uomo non aveva voglia di perdere altro tempo in chiacchiere. Scese da cavallo, andò deciso verso il ragazzo e lo afferrò per un braccio, sospingendolo poi verso l’animale. Risalito in groppa, prese Giovanni, lo sollevò e lo mise davanti a sé sul dorso della bestia.

“Cosa faresti a Palazzo Medici da solo? Cosimo avrebbe dovuto occuparsi di te ma, evidentemente, ha di meglio da fare, così ci penserò io” replicò Albizzi.

“Guardate che io non ho mica bisogno di una guardia del corpo, so cavarmela da solo, non c’è nessun bisogno che venga nel vostro palazzo” cercò di protestare il ragazzo, ma senza molto successo.

Albizzi spronò la cavalcatura e se lo portò via, molto compiaciuto della sua apparente vittoria.

Non sapeva che, in realtà, Cosimo aveva avallato tranquillamente quella specie di sequestro di persona. Aveva avuto modo di conoscere bene Giovanni ed era sicurissimo che, comunque fosse andata, il ragazzo avrebbe tenuto la testa sulle spalle e non si sarebbe lasciato manipolare da Albizzi.

In compenso, Giovanni non aveva idea di che cosa stesse succedendo!

Fine capitolo quarto

 

 

 

   
 
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