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Autore: WhiteLight Girl    09/06/2019    3 recensioni
Papillon è stato sconfitto e Gabriel Agreste è in prigione; Marinette non ricorda come sia successo, né riesce a smettere di preoccuparsi per la sparizione improvvisa di Adrien. Con Chat Noir che le si rivolta contro e cerca di ucciderla, Maestro Fu irreperibile e la scatola dei Miraculous dispersa, Ladybug si ritrova da sola a cercare di capire cosa sia successo dopo che, durante la battaglia finale contro il suo peggior nemico, ha perso i sensi.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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L’OSCURO

Per la prima volta da quando l’aveva conosciuta, Adrien si ritrovò a fissare Marinette ed a realizzare quanto fosse realmente bella. Si concentrò sui riflessi dei suoi capelli sotto la luce del primo mattino, si rammaricò di essere troppo lontano per distinguere le lentiggini che le ricoprivano il naso e le guance e si domandò se la smorfia imbronciata in cui erano contratte le sue labbra fosse colpa sua.
Aveva ancora stampati in mente gli occhi strabuzzati di lei quando l’aveva aggredita, il modo in cui era fuggita spaventata mentre come Chat Noir aveva cercato di ucciderla. Se si concentrava poteva sentire ancora il calore della sua pelle sotto le dita così come era stato quando le aveva stretto le mani attorno al collo, il rimbombo del suo cuore impazzito dalla paura. Strinse i pugni, desideroso di dimenticare quel momento e di mettere da parte il pensiero di aver fatto del male ad una delle persone più importanti della sua vita, ma gli era impossibile, specialmente grazie a quella sensazione che si muoveva serpeggiando nel suo stomaco, quella sensazione che gli sussurrava di raggiungere Marinette e torcerle il collo prima che potesse rendersene conto.
Adrien scosse il capo e deglutì, ma nulla pareva riuscire a sopprimere quel pensiero che si faceva ogni minuto più spazio nella sua testa.
Vide Alya uscire da scuola e sollevò una mano per tirare il cappuccio della felpa giù sulla fronte, così che non potesse riconoscerlo. Marinette aveva il capo chino ed era distratta, ma Alya si guardò immediatamente attorno in cerca di volti conosciuti; salutò alcuni compagni di scuola che le passarono accanto e poi raggiunse l’amica e la strinse in un abbraccio.
Per un momento Adrien ebbe il dubbio che Marinette le avesse raccontato cosa era successo, si sporse verso la gradinata, tendendosi per ascoltare cosa si stessero dicendo, sentì una fitta al petto al pensiero che potesse aver scelto lei come confidente, che le avesse detto tutto quando si era rifiutata di farlo con Chat Noir, ma lei scosse il capo e sorrise, affermando:
«Ho solo dormito poco, tutto qui.»
Il chiacchiericcio degli altri studenti che lasciavano l’edificio coprì il resto della spiegazione, ma ora Adrien non poteva fare a meno di immaginarsi Marinette che si girava nel letto preoccupata dall’idea che lui potesse tornare ad aggredirla mentre dormiva.
Quando anche Nino uscì dalla scuola, Alya lo raggiunse e Marinette ne approfittò per scivolare via indisturbata. Adrien sentì Plagg muoversi nella sua tasca e sospirò.
«Ok,» disse il kwami. «Ora che l’hai vista possiamo andare, l’hai promesso.»
Ma qualcosa impedì ad Adrien di farlo, sentiva il bisogno fisico di andare più vicino che poteva a Marinette, i suoi piedi si mossero da soli su per le scale ed oltre l’ingresso, esitò mentre Marinette saliva per raggiungere la loro classe, dandole il tempo di distanziarlo abbastanza da non essere notato, poi le corse dietro passando in mezzo a decine di ragazzi distratti che parvero non degnarlo di un solo sguardo.
Quando raggiunse Marinette lei era già nell’aula e gli dava le spalle. Era china sulla scrivania, cercava qualcosa sotto di essa. Adrien entrò a sua volta, richiuse la porta dietro di sé e lasciò cadere il cappuccio sulle spalle, all’improvviso furono solo loro due ed i loro kwami e, inaspettatamente, quando Marinette sollevò lo sguardo su di lui, parve illuminarsi.
Adrien deglutì, la vista delle gote di lei che arrossivano gli provocò un fremito che corse dal petto alle braccia e poi raggiunse la punta delle dita, si morse il labbro e pensò a cosa dire, ma fu lei a parlare per prima.
«Adrien!» esclamò. «Dov’eri finito? Ti ho cercato... Ti abbiamo cercato dovunque!»
Gli corse incontro, ma mise un piede in fallo ed incespicò quasi rischiando di ruzzolargli addosso. Qualcosa nel vederla così preoccupata per lui fece scaldare il cuore ad Adrien, il pensiero di qualcuno che lo stesse aspettando e che volesse sapere di lui era come un bicchiere di acqua fresca bevuto dopo giorni di sete e deserto, ma non bastava a offuscare quella necessità perversa che vibrava dentro di lui.
Marinette lo raggiunse e si fermò ad un passo da lui, abbastanza vicina perché lui potesse piegare il gomito ed afferrarle un polso per trattenerla contro di sé.
«Adrien?» chiamò allora lei, gli occhi strabuzzati e lucidi, le ciglia scure e lunghe a cui Adrien fino ad allora non aveva mai fatto caso. Ora che era abbastanza vicino da poter vedere ogni singola lentiggine di lei, poteva sentire sul petto il suo respiro pesante ed il suo profumo che lo stordiva.
«Stai bene?» domandò ancora Marinette.
Fece scivolare una mano oltre il suo polso, desideroso di sentire appieno il suo calore. Sapeva che avrebbe dovuto risponderle, ma non riusciva a distogliere lo sguardo dalle sue labbra rosee ed il pensiero che solo chinandosi avrebbe potuto baciarla gli fece dimenticare ogni parola che conosceva. Premette le dita contro il suo palmo bollente, trovando ciò che probabilmente lei era tornata a prendere. Riconobbe il taglierino al tatto, glielo sfilò di mano e fece scorrere la punta del pollice sul bordo seghettato dell’involucro in plastica della lama. Le dita di Marinette gli sfiorarono il dorso della mano, le pupille nere si dilatarono al punto da permettergli di vedervi dentro il riflesso dei propri occhi. E poi c’era il suo respiro, un miscuglio di menta e zucchero che gli fece tremare le gambe e bruciare le orecchie più di quanto avesse fatto qualunque altra cosa nella sua vita. Le labbra rosse erano dischiuse, se si fosse piegato verso di lei avrebbe potuto facilmente poggiarvi sopra le proprie, allora avrebbe scoperto che sapore avessero i baci di Marinette. I baci di Ladybug.
Strinse la presa sul taglierino, premette il pollice sulla leva per guidare la lama all’esterno, fu allora che sentì Plagg spingerlo indietro con forza e quasi perse l’equilibrio. Urtò il fianco contro la cattedra e Marinette, stordita, fissò ad occhi spalancati sia lui che il kwami.
«Vai!» le disse Plagg. «Corri!»
E lei obbedì, girandogli attorno e correndo verso la porta, la maglia chiazzata di sangue.
Adrien guardò il taglierino sporco che stringeva in mano, rendendosi contro solo in quel momento di ciò che aveva fatto.

Ladybug si arrampicò su per il cornicione, trattiene il fiato nell’issarsi su per il davanzale e sbuffò nel prendere lo slancio con la gamba per scavalcarlo.
Una volta che ebbe messo il piede dall'altra parte usò la caviglia per trascinarsi all'interno e, con un ultimo movimento di braccia, si lasciò cadere nella stanza. Una volta dentro, ancora stesa a pancia in su, chiuse gli occhi e inspirò profondamente per riprendere fiato. Sentiva la tenda sopra di lei si agitarsi violentemente a causa del vento che soffiava dall’esterno, ma non ebbe la forza di alzarsi e fermarla, impegnata com’era a premere la mano contro la ferita aperta.
Tese un braccio, sfiorò il lembo inferiore della stoffa leggera e sospirò, nel sentirla che le sfiorava le dita sfuggendo alla sua presa.
Qualcuno rise di lei, Ladybug sussultò e si spostò su un fianco ad occhi spalancati, trovò subito la figura nella penombra. Apparentemente, Chat Noir non aveva neanche provato a nascondersi e lei era stata sciocca, distratta ed ingenua a pensare che non l’avrebbe ritrovata così facilmente.
Sì alzò con tanta fretta da non riuscire ad evitare lo spigolo della finestra, quello le premette sul braccio, ma non scalfì la tuta magica.
«Cosa ci fai qui?» chiese.
Lui sorrideva, perfino nel buio riusciva a scorgere il velo di malizia all'interno dei suoi occhi. Stringeva ancora la lama tra le dita, inclinò il capo come per studiarla; solo dopo alcuni secondi Ladybug lo vide andarle incontro.
«Ascoltami,» disse «qualunque cosa ci sia che non va la possiamo sistemare. Non devi farlo per forza.»
Ma lui sorrideva ancora e in quel sorriso lei vide tutto ciò che non avrebbe mai voluto vedere in lui.
Chat Noir non le rispose, invece si avvicinò sempre di più e Ladybug si sforzò di non muoversi anche se sentiva le gambe tremare. Era stanca di correre via da lui, stanca di non potergli parlare e, ancora di più, non riusciva ad accettare che lui volesse farle del male. Tenne gli occhi fissi sul coltello, pronta a reagire al primo cenno che volesse colpirla ancora.
«Chat Noir, non lo fare. So che tu non sei questo, qualunque cosa sia successa possiamo risolverlo insieme.» disse ancora.
Ma lui ancora non le rispose, ancora le si avvicinava, ancora stringeva le dita attorno all’elsa della sua arma improvvisata. Era un semplice coltello da cucina, pensò Ladybug, forse l'aveva trovato addirittura nella sua, di cucina.
Pensò per un momento ai suoi genitori, alla possibilità che lui avesse potuto aver fatto loro del male.
«Chat Noir,» gli disse un’altra volta. «lascia che ti aiuti.»
Fece un passo in avanti, le mani tese pronte ad afferrare il polso di lui per impedirgli di colpirla col coltello, ma lui non mosse subito quel braccio, invece la afferrò con l'altra mano e la costrinse a ruotare su sé stessa e, solo dopo infilò la lama nel suo fianco, proprio accanto al punto dove l’aveva colpita l’ultima volta.


   
 
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