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Autore: Parmandil    10/06/2019    0 recensioni
Sembrava una giornata come tante, finché Jaylah non si è scambiata di corpo con Zafreen, la più svampita e insopportabile delle sue colleghe. Cose che capitano, quando si lavora sulla USS Keter. Mettiti a riposo, le dicono, e il problema si risolverà da sé. Sperando che intanto Zafreen non combini altri pasticci.
Ma i pasticci arrivano sotto forma del Sindacato di Orione, la peggior organizzazione criminale dell’Unione. Come erede del suo Clan, Zafreen deve partecipare agli “affari di famiglia”; e pazienza se sotto la pelle verde batte il cuore di una poliziotta. Mentre i suoi colleghi cercano di rintracciarla, Jaylah deve sopravvivere, celando la sua vera identità: l’unica garanzia che i rapitori la risparmino.
Nel frattempo anche Norrin, l’Ufficiale Tattico, deve affrontare un problema familiare: i suoi parenti Hirogeni gli chiedono di partecipare alle loro cacce, sperando di convincerlo a restare con loro. Ma ciò che è lecito per i Cacciatori Hirogeni non sempre lo è per un ufficiale della Flotta.
Con la partecipazione straordinaria dello Spettro, e un finale pieno d’inseguimenti e colpi di scena, ecco a voi l’unico racconto comico nella saga dell’Enterprise-J e della Keter.
Genere: Azione, Comico, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Benjamin Sisko, Nuovo Personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Triangolo
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-Capitolo 1: Nuove prospettive

Data Stellare 2587.53

Luogo: Camus II

 

   «Diario del Capitano, data stellare 2587.53. Siamo giunti a Camus II, sede d’importanti resti archeologici, indagati fin dal XXIII secolo. La nostra missione è studiare i reperti del Sito Alfa, valutandone i rischi e gli eventuali legami con la tecnologia dei Proto-Umanoidi.

   Il principale oggetto d’interesse è ovviamente il trasferitore neurale che tre secoli fa provocò un temporaneo scambio di corpo fra James Kirk e Janice Lester. Questa tecnologia non è ancora compresa, ma se riuscissimo a padroneggiarla le conseguenze sarebbero eclatanti per tutta l’Unione. C’è già chi vorrebbe usarla per conseguire l’immortalità, trasferendo i propri schemi mentali in un corpo clonato. Personalmente sono dubbiosa, e non solo perché il trasferimento neurale si è rivelato temporaneo. Un dispositivo come questo, se si diffondesse, creerebbe nuovi problemi etici. Per questo chiederò di trasferirlo in un luogo più sicuro, in attesa che la Flotta decida come gestirlo.

   Mentre la squadra archeologica è al lavoro, ho dato a parte dell’equipaggio licenza di sbarco, sebbene non ci sia molto da vedere. Camus II è un pianeta desertico, senza grosse attrattive. Ma questa è la Keter, la nave delle missioni speciali. In due anni di servizio, l’equipaggio è stato sottoposto a prove durissime, quindi capisco che voglia approfittare della pausa. Forse anch’io scenderò sul pianeta, dopotutto. Fine registrazione».

   Il Capitano Hod lasciò la scrivania e si accostò alla finestra – in realtà una proiezione olografica – del suo ufficio, che mostrava il pianeta sottostante. Camus II era una palla giallastra, dagli oceani quasi completamente essiccati. Pochi arbusti resistevano al clima desertico e ancor meno animaletti zampettavano tra le rocce. L’unica attrattiva naturale del pianeta erano gli anelli, nati dalla frantumazione di un’antica luna. I resti urbani in superficie erano pochi e deludenti, ma nel sottosuolo si potevano ancora fare scoperte eccezionali, come il trasferitore neurale. L’Elaysiana si ripromise di visitarlo, al prossimo cambio di squadra.

 

   «La traccia quantica è confermata» disse Juri Smirnov, capo del reparto archeologico. «Questo dispositivo ha almeno 30.000 anni» riferì, leggendo i dati del tricorder. Lo storico era inginocchiato davanti a una parete coperta di strani simboli, raccolti in due colonne principali: la scrittura della perduta civiltà di Camus. Il trasferitore neurale vero e proprio era incassato all’interno della parete. Se attivato, tramite i comandi, agiva su due persone che vi si posizionassero davanti.

   «E dopo tutto questo tempo funziona ancora?» si stupì Jaylah Chase. Mezza Umana e mezza Andoriana, era la più giovane Agente Temporale in forza all’equipaggio. Magra e scattante, un po’ tetra nell’uniforme nera dalle spalle squadrate, disponeva di forza e velocità superiori, grazie ai potenziamenti genetici ereditati dalla madre. Il suo carattere glaciale e l’estrema efficienza nel lavoro le avevano dato una certa fama, ma pochi sapevano cosa le passava nella mente, e pochissimi cosa le si agitava nel cuore.

   «Funzionava trecento anni fa, all’epoca dell’incidente Kirk-Lester» puntualizzò Juri. Lo storico si rialzò e si spazzolò la polvere dalle ginocchia. «Da allora non si sono registrati altri casi. Certo, sarebbe una bella beffa se si fosse guastato in quest’ultimo lasso di tempo».

   «Tra i nostri doveri c’è proprio quello di appurarlo» ricordò Dib, l’Ingegnere Capo. Nativo del pianeta Penumbra, era costituito da un fluido superfreddo, tenuto in forma umanoide dalla tuta integrale che indossava. Solo la visiera del casco ne mostrava il fluido blu, spesso vorticante.

   «Non sapevo che la Flotta Stellare avesse autorizzato esperimenti con le persone» si accigliò Juri, allontanandosi prudentemente dalla parete fitta di simboli.

   «Non l’ha fatto» assicurò Ladya Mol, il Medico Capo, entrando nella sala sotterranea. La Vidiiana aveva con sé due gabbiette, contenenti dei cani di Alpha 177. Avevano entrambi la criniera leonina, il corno frontale e gli aculei dorsali tipici della loro specie, ma le somiglianze finivano qui. Mentre uno dei cani era docile e remissivo, l’altro abbaiava furiosamente e si accaniva sul reticolato nel tentativo di liberarsi. Le targhette riportavano i loro nomi, Abele e Caino.

   «Li useremo come cavie» spiegò la dottoressa, posando a terra le gabbiette. «La loro differenza caratteriale ci permetterà di capire se lo scambio neurale ha avuto successo. Aspetteremo di vedere se è un fenomeno temporaneo, come quello di Kirk e Lester. In caso contrario, proveremo a usare nuovamente il congegno per invertire l’effetto».

   «Ma poveri animali!» protestò Zafreen, l’addetta a sensori e comunicazioni. La vivace Orioniana lasciò perdere la traduzione dei simboli e si accostò alle gabbiette. Si accoccolò accanto al cane docile, aprendo in parte la gabbia, e lo carezzò sulla collottola. «Dobbiamo proprio usarli come cavie? Non c’è un altro modo?» chiese.

   «O usiamo gli animali, o le persone» le ricordò la dottoressa. «Farlo con le persone è illegale, quindi...».

   «Ma farlo a questi tesorucci è immorale!» tubò Zafreen, carezzando ancora Abele, che uggiolò e la scrutò con grandi occhi commoventi. Incoraggiata, Zafreen fece per carezzare anche Caino, ma dovette ritirare in fretta la mano, per non farsela morsicare. Il cagnaccio abbaiò con rabbia, sbavando, e la fissò con occhi iniettati di sangue.

   «Hai il cuore troppo tenero» la canzonò Jaylah, accostandosi alle gabbie. «Non si accorgeranno neanche dell’esperimento».

   «Tu che ne sai? I cani di Alpha sono molto sensibili... non hanno un pezzo di ghiaccio al posto del cuore, come te!» sbuffò l’Orioniana, tenendosi prudentemente alla larga dal cane cattivo. «Scommetto che non hai mai avuto un animale» aggiunse, rialzandosi.

   «Ti sbagli, da piccola avevo un gatto».

   «Che fine ha fatto?».

   «Quando avevo sette anni, gli alterai il DNA nel tentativo di farlo volare» rivelò Jaylah.

   «E ci sei riuscita?» si stupì Zafreen.

   «No, ma prese a gorgheggiare e il suo pelo divenne più vaporoso. Non visse a lungo... forse fu colpa mia» ammise la mezza Andoriana.

   «Complimenti, proprio la storia che mi aspettavo da te!» s’indignò l’Orioniana. Tornò al tavolo di lavoro e riprese svogliatamente a occuparsi delle traduzioni.

   «Allora, si batte la fiacca?» li richiamò il Comandante Radek, entrando in quel momento nella sala sotterranea. «Che avete scoperto finora?» volle sapere il Rigeliano.

   «Mah, per adesso nulla di nuovo» ammise Juri. «Il trasferitore ha almeno 30.000 anni, ma alcune di queste sale sotterranee furono scavate molto prima. La tecnologia è fantastica, ovviamente, ma per adesso non ci sono indizi di una contaminazione temporale».

   «Potremmo accertarcene, però» propose Jaylah. «La Keter è la prima nave temporale della Flotta, eppure non abbiamo ancora svolto quel tipo di missioni. Potremmo fare un viaggetto nel passato e studiare la civiltà di Camus dal vivo».

   «Ci servirebbe il nulla osta dalla Commissione per l’Integrità Temporale» le ricordò Radek. «Sa quanto siano restii a concederlo, se non ci sono chiare tracce di anacronismo».

   «Ma...».

   «So che per un Agente Temporale come lei è frustrante restare sempre nel presente, ma finché non ci sarà un valido motivo per andare nel passato, la risposta è no» tagliò corto il Comandante. «Altro da riferire?» chiese poi, rivolgendosi agli altri ufficiali.

   «La tecnologia del trasferitore neurale è affascinante» rispose Dib. «In parte somiglia ai dispositivi di mind uploading dei Proto-Umanoidi, ma è prematuro affermare che sia opera loro».

   «La scrittura non è Proto-Umanoide» disse Zafreen con decisione. «L’ho confrontata con altri alfabeti antichi e ogni tanto ho trovato delle somiglianze, ma credo siano casuali. Per ora non posso indicare delle parentele linguistiche. Per fortuna, grazie ai ritrovamenti degli altri siti, il traduttore sta cominciando a elaborare la sintassi». Così dicendo, l’Orioniana indicò lo schermo olografico, su cui scorrevano i caratteri e le possibili traduzioni.

   «Quindi sa leggerli?» chiese Radek, accennando ai geroglifici che coprivano la parete del trasferitore. «Sarebbe un bel passo avanti!».

   «Dice qualcosa come: “Per scambiare le menti, alzate le levette e usate il telecomando”» riferì Zafreen. «Le levette sono queste» precisò, indicandone due a fianco della parete.

   «E il telecomando?» chiese il Comandante.

   «Eccolo qui» disse Juri, estraendolo da una valigetta per campioni. «Pittoresco, vero? Ricorda quelli degli antichi televisori terrestri. Con la differenza che, invece di cambiare il canale, cambia chi lo usa» ridacchiò.

   «Interessante. Quei geroglifici dicono anche quali tasti premere?» domandò Radek.

   «La traduzione non è ancora così precisa» si scusò Zafreen. «Quella che ho detto ora è solo una delle versioni possibili. Un’altra dice: “Per perdere peso, alzate le chiappe e usate il tapis-roulant”. Un’altra ancora fa: “Per cambiare alito, alzate il naso e usate il filo interdentale”».

   «Propendo per la prima» disse il Rigeliano. «Quindi abbiamo il telecomando, ma non sappiamo usarlo».

   «Analizzando i processori interni, credo di aver individuato il tasto di avvio» corresse Dib.

   «E le cavie sono pronte» aggiunse la dottoressa. Le gabbiette dei cani erano piene di strumenti per rilevare le loro condizioni psico-fisiche.

   «Allora direi di procedere» stabilì il Comandante.

   «Bene, signore» disse Ladya, impaziente. La dottoressa posizionò le gabbie davanti alla parete, ciascuna sotto una colonna di geroglifici. Dopo essersi accertata che tutti i sensori fossero attivi, indietreggiò prudentemente. Anche gli altri ufficiali si tirarono indietro, schiacciandosi contro la parete di fondo della sala.

   «L’esperimento numero 1 comincia ora» dichiarò Dib, premendo un tasto. Il trasferitore cominciò a ronzare e luci puntiformi si accesero negli incavi dei geroglifici. I due cani s’immobilizzarono all’istante. Stavano in piedi sulle quattro zampe, con gli occhi chiusi, rigidi come se li avessero impagliati.

   «Stanno soffrendo?» si preoccupò Zafreen.

   «No... somiglia più al coma» rispose Ladya, consultando sul d-pad i dati inviati dai sensori.

   «Ora attivo il trasferimento» fece Dib. Il Penumbrano si accostò alla parete, stando prudentemente di lato. Alzò prima una, poi l’altra levetta.

   Il ronzio del congegno s’intensificò e si fece più acuto, fino a divenire ultrasonico. D’un tratto Abele e Caino crollarono sul pavimento delle gabbie. Le luci si spensero e il trasferitore parve disattivarsi.

   «E adesso?!» si disperò Zafreen, osservando le bestiole inerti.

   «Sono sempre in coma» riferì Ladya, osando accostarsi. «Il loro sistema nervoso ha subito un forte shock. Devo portarli in infermeria per rianimarli. A quel punto sapremo se lo scambio ha funzionato». Prese le gabbie, una per mano, e fece per andarsene. «Finché non avremo i risultati, è meglio non toccare niente» raccomandò agli altri. Dopo di che lasciò l’ipogeo, per tornare in superficie, dove il teletrasporto l’avrebbe riportata sulla Keter.

   «Nel frattempo vorrei proseguire l’analisi delle altre camere» disse Juri, rivolto al Comandante.

   «Verrò con lei» si offrì Dib, riponendo il telecomando sul tavolo. «Ci sono altre tecnologie che meritano attenzione».

   «D’accordo, continuate pure» li autorizzò Radek. «Io torno sulla Keter per fare rapporto al Capitano. Lei invece resti qui, Agente Chase» ordinò a Jaylah. «Sorvegli il congegno e avverta se lo vede tornare in attività. Anche lei può restare, Zafreen. Prosegua con le traduzioni».

 

   Quando gli altri ufficiali se ne furono andati, le due donne restarono sole. Fedele alla consegna, Jaylah intendeva fare la guardia; ma Zafreen sembrava interessata a chiacchierare piuttosto che a lavorare sui geroglifici. «Hai sentito le ultime novità? L’Enterprise è stata varata di nuovo. Certo che ce n’è voluto, per riparare i danni del Melange».

   «La sezione a disco era stata trapassata. Sapevamo che ci avrebbero lavorato a lungo» commentò Jaylah.

   «E c’è un nuovo Capitano... come si chiama, Tiamat?».

   «Talmath» corresse Jaylah. «È un Romulano... non so molto di lui, ma ha prestato servizio con T’Vala per anni, quindi dovrebbe essere a posto. Comunque è il primo Capitano che non fa parte dell’equipaggio originale» aggiunse malinconica.

   «Su col morale! L’importante è essere positivi» disse Zafreen. «Guarda me... sono nello spazio da due anni e vado alla grande. Sai che tra pochi giorni io e Vrel festeggeremo il nostro primo anniversario?».

   «Congratulazioni. Scommetto che non eri mai stata così a lungo con qualcuno» commentò Jaylah, mordace.

   «Come hai indovinato?» fece l’Orioniana, non cogliendo il sarcasmo. «Pensavamo di prenderci una licenza e andarcene da qualche parte... forse Benecia. Il ponte ologrammi è una gran cosa, ma a un certo punto senti nostalgia dei posti veri, mi spiego? Vrel dice che penserà lui a tutto... è un tesoro! E tu dimmi, come vai in amore?» chiese con apparente casualità, ma era una domanda che le faceva spesso.

   «Nulla da segnalare» rispose Jaylah, con voce incolore.

   «Nulla da segnalare!» la scimmiottò Zafreen. «Non sono Radek, non ti sto chiedendo il rapporto missione. È solo una domanda da amica».

   «Una domanda da impicciona» disse fra sé Jaylah. «Non credo che al momento ci sia il tipo adatto a me, sulla Keter» rispose.

   «E fuori dalla Keter?» insisté l’Orioniana.

   «Non credo negli amori a distanza» tagliò corto la mezza Andoriana, infastidita.

   «Uhm... sai, il Federal News parlava del tuo amico Spettro, qualche giorno fa» proseguì Zafreen, decisa a non mollare l’argomento. «Ha assalito un mercantile Breen vicino a Dozaria, razziando tutto il carico. Se fa come le altre volte, ne distribuirà la maggior parte ai poveri. Ha lasciato la sua S incisa sullo scafo del mercantile... non è romantico?» disse con voce sognante.

   «Per niente» rispose Jaylah, glaciale. «Lo Spettro... ma il suo nome è Jack... è un pirata e uno di questi giorni finirà male. E tutti i suoi sforzi non cambieranno di una virgola le politiche dei Breen».

   «Come sei fredda! Non c’era qualcosa tra voi?» insinuò Zafreen, carezzandosi una ciocca corvina.

   «Non so quali malelingue abbiano insinuato questa sciocchezza. Io sono un Agente Temporale, lui un predone!» ringhiò Jaylah, stringendo i pugni così forte da far scricchiolare i guanti. «Se dovessi incontrarlo di nuovo, non esiterò un istante ad arrestarlo».

   «Ma...».

   «Niente ma! Torna al tuo lavoro e smettila d’impicciarti negli affari miei!» sibilò l’Agente Temporale. Che fosse il suo tono minaccioso, o la sua telepatia latente, Zafreen si sentì accapponare la pelle.

   «Come vuoi» disse l’Orioniana, urtata. «Ma credo che ti farebbe bene un po’ d’amore» aggiunse, riattivando l’oloschermo con le traduzioni.

   «Non a costo di mendicarlo da chi non m’interessa» pensò Jaylah. Per distrarsi dai cattivi pensieri, si accostò alla parete del trasferitore e prese a osservarne i geroglifici. Li sfiorò con la mano, chiedendosi chi li aveva tracciati, tanti millenni prima. Avrebbe voluto far valere il suo ruolo di Agente Temporale. Così sarebbe tornata indietro nel tempo, per vederli in faccia e magari fargli qualche domanda, invece di lasciar fare tutto a storici, medici e ingegneri.

   Nel frattempo Zafreen aveva ripreso ad arrovellarsi sulle traduzioni. Lasciando perdere per il momento i geroglifici sulla parete, decise di concentrarsi sui simboli del telecomando. Aggiunto un protocollo linguistico alla matrice di traduzione del computer, si allungò sul tavolo per prendere il reperto. Così facendo, si sbilanciò in avanti. Le sue scarpe scivolarono sullo strato di polvere che copriva il pavimento e l’Orioniana cadde. Per non appiattirsi il naso sul tavolo, buttò istintivamente le mani avanti. Riuscì a proteggersi, ma schiacciò un tasto del telecomando.

   «Oops!» fece Zafreen, rimettendosi in piedi. In quella sentì un preoccupante ronzio, proveniente dal trasferitore. «Oh, no» mormorò, alzando lo sguardo. Il congegno era acceso, le luci puntiformi brillavano entro i geroglifici. Jaylah era lì davanti, rigida come un palo e con gli occhi chiusi.

   «Jaylah?» chiese Zafreen con voce strozzata. La mezza Andoriana non diede segno d’averla udita.

«Eddai, Jaylah... questo non è il momento di tenermi il broncio» disse l’Orioniana, avvicinandosi. «Dico sul serio... rispondimi!» insisté, a voce più alta. Ancora nessuna reazione.

   «Alé, m’è caduta in catalessi» sospirò Zafreen. «Ehi, acidona, dico a te! C’è nessuno in casa?!» esclamò, agitandole il palmo davanti alla faccia. Provò a tirarla per una manica, senza riuscire nemmeno a smuoverla. Le diede dei pizzicotti e le schiaffeggiò piano le guance, senza alcun risultato.

   L’Orioniana sentì crescere il panico, al pensiero d’aver fatto qualcosa d’irreparabile. «Zafreen a infer...» cominciò a dire, premendosi il comunicatore, ma si bloccò prima di terminare le istruzioni. La dottoressa Mol aveva ordinato di non toccare nulla, in sua assenza. E lo stato di servizio di Zafreen non era impeccabile: era già stata richiamata più volte per i suoi eccessi, o per errori dovuti alle distrazioni. Se si fosse saputo di questo nuovo pasticcio, ci sarebbero state gravi conseguenze. «Mi sospenderanno dal servizio! O mi manderanno a spurgare i condotti del plasma! Che ne sarà dell’anniversario con Vrel?!» si chiese, sempre più terrorizzata.

   Il suo sguardo cadde sul telecomando, ancora posato sul tavolo. Certo, quello era la chiave di tutto! Un tasto aveva attivato il congegno e un tasto lo avrebbe spento. Ma quale? Lo stesso di prima o un altro? L’Orioniana prese il telecomando e il d-pad con i suoi appunti. Con quelli tornò davanti a Jaylah, cercando di capirci qualcosa.

   «Allora... se non alzo le levette ai lati, il trasferimento non avrà luogo» si disse, dimenticando che erano ancora sollevate dopo l’esperimento di prima. «Si tratta solo di sospendere il coma indotto... magari basta schiacciare di nuovo lo stesso tasto...». Zafreen lo premette, ma non ci furono cambiamenti visibili. Disperata, lo schiacciò ancora più volte, finché non riuscì più a capire se era in modalità accesa o spenta. In quella il comunicatore si attivò, facendola sobbalzare.

   «Capitano Hod a Squadra 1, il Comandante mi ha informato del vostro esperimento di scambio neurale. Ottimo lavoro, sarò da voi tra pochi minuti».

   «Ricevuto, Capitano» rispose Zafreen con un filo di voce. Davanti a lei, Jaylah era ancora inerte. Immagini di corte marziale passarono nella mente dell’Orioniana. Con il cuore che batteva all’impazzata, la poveretta non trovò di meglio che premere tutti i tasti, sperando di azzeccare quello giusto. Allo stesso tempo, incapace di stare ferma, fece qualche passo, finché si trovò di fianco a Jaylah, proprio davanti all’altra postazione del trasferitore. Provando tutti i tasti, il suo dito premette fatalmente quello d’attivazione.

   Il congegno ronzò più intensamente e Zafreen s’irrigidì come la sua collega. Telecomando e d-pad caddero a terra. L’Orioniana si girò verso l’esterno, nella stessa posizione di Jaylah, e chiuse gli occhi. Intorno a loro l’energia salì al massimo. Sebbene non fossero propriamente coscienti, le due donne ebbero l’impressione di galleggiare al di sopra dei loro corpi. L’attimo dopo crollarono a terra, prive di sensi.

   Un minuto dopo il Capitano Hod entrò nella sala ipogea. Trovò sia Jaylah che Zafreen stramazzate al suolo, davanti al congegno inerte.

   «Beh?».

 

   Con un certo sforzo, Jaylah si trasse fuori dalle nebbie dell’incoscienza. Aprì gli occhi e li sbatté più volte, mentre il soffitto dell’infermeria si precisava davanti a lei. Si sentiva intontita e aveva difficoltà a ricordare gli ultimi eventi. Una figura entrò nel suo campo visivo, mettendosi gradualmente a fuoco. Era Vrel, timoniere della Keter e suo amico d’infanzia.

   «Ehi... bentornata fra noi» le disse il mezzo Xindi. Aveva uno strano atteggiamento, come se fosse sollevato e preoccupato al tempo stesso.

   «Vrel...» mormorò Jaylah, sentendosi tutta intorpidita. «Che mi è successo? Per quanto tempo ho perso i sensi?».

   «Un’ora, più o meno» rispose il timoniere, stranamente cupo. «Senti, devo farti alcune domande. Per prima cosa, dimmi il tuo nome».

   «Mi credi rincretinita?» si accigliò la giovane. «Sono Jaylah. Ricordo che ero in quel sotterraneo, con Zafreen...».

   «Già, Zafreen» fece Vrel, scuro in volto.

   «Che hai? Le è successo qualcosa?».

   «Direi proprio di sì. A lei, e anche a te».

   «Adesso dov’è? Voglio vederla» disse l’Agente Temporale, cercando d’alzarsi dal lettino.

   «Aspetta, non è una buona idea» avvertì Vrel, cercando di farla riadagiare. «Prima devi prepararti».

   «Perché, che le è successo?» si agitò Jaylah. «E cos’è successo alla mia voce? È più stridula del... solito...». La sua voce morì mentre si osservava le mani. Erano verdi, con le unghie tinte di nero. Si tirò i capelli in avanti, constatando che erano più lunghi del solito e di un nero brillante anziché biondo platino. «Oh, no. Oh, no, no, no» disse, sentendosi soffocare. «Presto, dammi uno specchio!».

   «Aspetta, la dottoressa dice che potresti riceverne uno shock...» si preoccupò Vrel.

   «Ce l’ho già, lo shock!» strepitò Jaylah, isterica. «Ora dammi uno specchio, oppure...».

   In quella Jaylah – o per meglio dire il suo corpo – entrò nella sala di degenza. Sconvolta, l’Agente Temporale si guardò da fuori, ricordando l’esperienza extracorporea di prima. Quello davanti a lei era sì il suo corpo... ma era abitato da un’altra coscienza.

   «Jaylah, eccoti qui!» esclamò Zafreen, mentre le sue antenne craniali si contorcevano in strani modi. «Ladya non voleva che c’incontrassimo... oh, povera me...» gemette, accostandosi al bio-letto. «Ero preparata al peggio, ma... questo è troppo...». I suoi occhi erano invasi dall’orrore.

   «Amore, non disperare» disse Vrel. «I dottori stanno cercando di capire l’accaduto e potrebbero invertire il processo».

   «S-sì, manteniamo tutti la calma» disse Jaylah, cercando di controllarsi. «Sappiamo che l’effetto è reversibile...».

   «Io non parlavo di questo» spiegò Zafreen. Le sedette accanto e le sfiorò una ciocca. «I miei capelli sono un disastro! Per fortuna il viso è sempre di una bellezza devastante. Ti spiegherò tutto sul mio fondotinta, mentre i cervelloni trovano come sistemare le cose».

   Jaylah la fissò per qualche attimo, incredula. Poi esplose. «Stupida oca! Che m’importa dei tuoi capelli e del tuo fondotinta?! Sono ingabbiata in questo corpo da pornostar, mentre tu te ne vai in giro con la mia faccia! Perché hai toccato quei tasti... perché devi sempre toccare tutto?! Che rabbia! Ti farei un occhio nero... se non fosse il mio!».

   «Zaf... cioè Jaylah, ti prego, calmati!» disse Vrel, trattenendola a stento contro il lettino. «Zafreen, è meglio se vai, ora. Ti chiamerò quando le cose saranno sotto controllo».

   «Vado, ma dì alla tua amica di calmarsi. È il mio corpo, che state strapazzando» ricordò Zafreen, prima di lasciare la saletta.

   Rimasti soli, Vrel cercò di calmare l’amica. Jaylah voleva ancora lasciare il lettino e nel frattempo inveiva contro Zafreen. «È colpa sua... tutta colpa sua!» strillò.

   «Non stento a crederlo, ma è inutile recriminare» sospirò il timoniere. «Zafreen si è svegliata mezz’ora prima di te. È stato allora che abbiamo accertato lo scambio».

   «Certo, perché diceva fesserie. Come al solito!» ringhiò Jaylah.

   «Il tuo corpo, che ora è il suo, è molto più resistente agli shock, quindi si è svegliata per prima. Ma ero in pensiero per te» spiegò Vrel. «Ora che ti vedo così vispa, mi sento un po’ sollevato... ma il problema resta».

   «Già, bel problema!» fece Jaylah, imbronciata. «Degno di questa nave».

 

   Poco dopo, calmati i bollenti spiriti, Jaylah e Zafreen erano una accanto all’altra nella sala principale dell’infermeria. Le due donne si guardavano di sbieco, come per sorvegliarsi a vicenda. Vrel stava poco più indietro, con la schiena poggiata a una parete e l’aria afflitta. Era pronto a intervenire se gli animi si fossero scaldati di nuovo.

   «Uff, come fai a stare ingabbiata in quest’affare?» chiese Zafreen, insofferente all’uniforme da Agente Temporale. «Non respiro!» ansimò. Si sfilò i guanti, posandoli su un lettino, e si allargò lo scollo.

   «Ma lascia stare... andava bene com’era...» sbuffò Jaylah, per nulla contenta che il suo decolté fosse sotto gli occhi di tutti.

   Vrel temeva già di dover intervenire, quando la dottoressa Mol uscì da uno dei laboratori, dove aveva fatto delle analisi.

   «Allora, ragazze... la buona notizia è che i vostri tracciati neurali sono stabili, quindi non avete danni cerebrali. La notizia cattiva è che i vostri tracciati neurali sono stabili, nei nuovi cervelli» spiegò la Vidiiana, squadrando le pazienti.

   «Torniamo in quel sotterraneo e invertiamo il processo» disse subito Jaylah.

   «Vi ho appena detto perché non possiamo» obiettò Ladya. «Avete subito uno spaventoso stress psico-fisico, frutto di un processo che ancora non comprendiamo. Per adesso i vostri schemi mentali sono stabili, anche se scambiati di cervello. Non rischierò di scombinarli, sottoponendovi di nuovo a quel congegno».

   «Non subito, d’accordo» convenne Jaylah. «Ma prima o poi dovremo farlo. Non possiamo restare scambiate».

   «Non siamo le prime a trovarci in questa situazione. Capitò anche a Kirk e Lester, giusto?» aggiunse Zafreen. «Loro risolsero il problema».

   «In realtà il problema si risolse da solo» spiegò la dottoressa. «Lo scambio durò pochi giorni, dopo di che le coscienze rientrarono spontaneamente nei propri corpi, senza bisogno di usare il congegno. Quindi vi consiglio di aspettare. Restate vicine quanto più possibile e sperate che anche stavolta l’effetto sia temporaneo».

   «Sperate?! Ma... non ci sono alternative?» esalò Jaylah.

   La Vidiiana ci pensò un po’ su. «Beh, potrei eseguire un doppio trapianto di cervello» propose. «Ma sarebbe imbarazzante, se dopo averlo fatto l’effetto del trasferitore si esaurisse e vi scambiaste di nuovo».

   «Quindi dobbiamo aspettare... e basta» fece Jaylah, sconcertata.

   «Come sapremo se l’effetto sta per invertirsi?» chiese Zafreen.

   «Qui in infermeria terremo sotto osservazione i vostri – ehm – compagni d’esperienza» spiegò Ladya, precedendole nel laboratorio. Abele e Caino, i cani di Alpha 177, si erano del tutto ripresi. Erano ancora chiusi nelle gabbiette con i loro nomi. Adesso però Abele ringhiava come un indemoniato, mentre Caino uggiolava mansueto. «Sono stati scambiati poco prima di voi. Supponendo che l’effetto abbia la stessa durata, il loro ritorno alla normalità ci darà qualche minuto d’anticipo per avvertirvi» chiarì la dottoressa.

   «Ma l’effetto potrebbe non durare altrettanto» disse Jaylah. «Sia perché quelli sono cani e noi persone, sia perché quella lì» disse accennando a Zafreen «ha pasticciato coi comandi».

   «È vero» convenne Ladya. «Perciò voglio che indossiate sempre questo» raccomandò, schiaffandole in fronte un sottile congegno circolare, che aderì alla pelle. «È un sensore corticale, per controllare che succede nelle vostre scatole craniche» precisò, appioppandone un altro a Zafreen.

   «E dovremmo portarlo sempre in fronte?!» protestò l’addetta ai sensori.

   «Potete appiccicarlo dove volete, basta che non sia più giù del collo» raccomandò la Vidiiana.

   «La prima buona notizia della giornata» commentò Jaylah, attaccandoselo alla nuca, dov’era nascosto dai capelli. Zafreen fece altrettanto.

   «È tutto, per adesso» concluse Ladya, allargando le braccia. «Vi consiglierei di passare la notte in infermeria, ma con quei sensori potete anche tornare ai vostri alloggi, se volete stare più comode».

   «E nei prossimi giorni come dovremmo regolarci?» chiese Jaylah.

   «Verrete quotidianamente in infermeria, per i controlli» rispose la dottoressa. «Concorderemo col Capitano ciò che potete e che non potete fare. Per quanto riguarda la vostra vita privata... accordatevi su come tirare avanti» aggiunse, un po’ apprensiva. «Naturalmente alcune delle vostre abitudini dovranno cambiare. Ad esempio tu, Jaylah, devi assumere il soppressore di feromoni. E tu, Zafreen, dovresti adottare la dieta più energetica di Jaylah. Se avete altre raccomandazioni da farvi, questo è il momento. Io tolgo il disturbo».

   La dottoressa si ritirò discretamente. Jaylah e Zafreen si scrutarono come avversarie sul ring. I loro sguardi transitarono poi su Vrel, che era ancora nel laboratorio con loro. «Ti spiace?» chiese Jaylah.

   «No, per niente» fece lui, restandosene immobile.

   «Intendevo: ti spiace uscire?» precisò l’Agente.

   «Oh, certo» fece il timoniere, avviandosi alla porta. «Io sono qui fuori. Cercate di non venire alle mani, eh?». Quando fu uscito, le due donne tornarono a squadrarsi.

   «Allora, che altro devo sapere?» chiese Jaylah.

   «Limati spesso le unghie, sennò diventano artigli» raccomandò Zafreen. «E c’è un’altra cosa...».

   «Avanti, spara» fece Jaylah, ormai pronta al peggio.

   «In questi giorni stavo posando nuda per un dipinto di Vrel. Ti spiacerebbe continuare a farlo? Vorrei vederlo finito».

   «Sì, mi spiace» rispose Jaylah con decisione. «Il nostro artista dovrà aspettare che le cose si sistemino».

 

   Quella sera stessa, Jaylah e Zafreen erano fianco a fianco nell’ufficio del Capitano. Si erano scambiate le uniformi, anche se poi avevano dovuto sostituirle con altre, adatte alle nuove taglie. Tenevano lo sguardo basso, aspettandosi la ramanzina.

   «Ne ho avuti di ufficiali combinaguai, ma parola mia, niente che si avvicinasse a voi due!» esordì Hod. «Specialmente a lei, Zafreen: con la sua goffaggine è riuscita a sopraffare un Agente Temporale e a rubarle il corpo. Non proprio una bella pubblicità per l’organizzazione, non trova?».

   «No, Capitano» mormorò l’interessata, con l’aria di voler sprofondare nel pavimento.

   «Avrà una nota di biasimo nella sua scheda personale» l’informò il Capitano. «La manderei a spurgare i condotti del plasma, se non fosse che punirei il corpo di Jaylah. Facciamo così: sarà confinata per tre giorni nel suo alloggio. Ovviamente si può scordare la licenza romantica su Benecia: finché non risolveremo questa situazione, lei non lascerà la Keter. Sarei anche più severa, ma ho bisogno che continui a lavorare su quelle traduzioni, per comprendere meglio lo scambio neurale. E l’avverto: alla prossima che combina, tornerà vice-addetta alla sala ausiliaria dei sensori. Mi sono spiegata?!».

   «Sì, Capitano» mormorò Zafreen, avvilita.

   «Ora si levi di torno» ordinò seccamente l’Elaysiana.

   L’addetta ai sensori fece dietrofront e lasciò l’ufficio.

   Rimaste sole, il Capitano fissò l’Agente, irriconoscibile nel corpo dell’Orioniana, e sospirò. «Jaylah... posso darti del tu? Tu non hai colpa, all’infuori di una certa sbadataggine. Non dovresti mai dare le spalle a Zafreen mentre maneggia tecnologie sconosciute e pericolose. Comunque, a questo punto, non posso farti mantenere l’incarico».

   «Perché no?!» protestò l’Agente. «Ha ammesso che è colpa di Zafreen... e lei non è stata degradata! Perché io sì?».

   «Zafreen si occupa di sensori e comunicazioni. Che lo faccia nel proprio corpo, o nel tuo, non fa differenza» spiegò Hod. «Tu invece lavori nella Sicurezza. Ora ti trovi in un corpo molto più fragile di quello a cui eri abituata. Non hai la forza, la velocità e il fattore rigenerativo di prima. Hai perso anche la telepatia».

   «Ci sono molti altri Agenti che non hanno potenziamenti» obiettò Jaylah.

   «Ma nessuno di loro rischia di scambiarsi di corpo con un’altra persona» sospirò il Capitano. «Pensa: che accadrebbe, se vi scambiaste mentre tu sei in missione? Magari mentre stai pilotando un caccia, o durante uno scontro a fuoco?».

   «Mi ritroverei al sicuro sulla Keter. Ecco che accadrebbe» rispose l’Agente.

   «E Zafreen si troverebbe di colpo in una situazione di pericolo che non è qualificata a gestire» aggiunse Hod.

   «Problema suo» fece Jaylah, implacabile.

   «Anche mio, se ti autorizzassi ad andare in missione in queste condizioni, e come risultato Zafreen ci restasse secca» chiarì il Capitano. «Mi spiace, ma finché durerà lo scambio sono costretta a sospenderti dall’incarico».

   «E se durasse per sempre?!» protestò l’Agente.

   «Spero per voi che non sarà così... ma in quel caso ci saranno conseguenze drastiche per le vostre carriere» ammise Hod. «Però non siamo ancora a quel punto. Aspettiamo, per adesso. Forse il problema si risolverà da solo, come fu per Kirk e Lester».

   «M-ma...».

   «Capisco che ti senti punita per un errore altrui, ma non considerarla una punizione... prendila come una licenza» suggerì il Capitano. «Riposati. Vai sul ponte ologrammi, o sulla superficie del pianeta. Se questa situazione dovesse prolungarsi, ti troveremo un’occupazione qui a bordo».

   «Sì, vice-addetta alla sala ausiliaria dei sensori» mugugnò Jaylah. «Permesso di ritirarmi, Capitano?».

   «Accordato» disse l’Elaysiana, scrutandola preoccupata. Quell’Agente Temporale le sembrava un po’ instabile già in condizioni normali. Ora che si era scambiata di corpo con l’Orioniana, non sapeva come avrebbe reagito; ma le avvisaglie non erano buone.

 

   Il giorno dopo, Jaylah mangiava con Vrel in sala mensa, lamentandosi delle sue disgrazie. Attorno a loro, molti membri dell’equipaggio la occhieggiavano. La notizia dell’incidente si era sparsa alla velocità della luce.

   «Ho perso il lavoro, ti rendi conto?!» si disperò Jaylah. «Il Capitano dice che non può mandarmi in missione, finché c’è il rischio che la mia coscienza se ne vada e qui torni Zafreen» spiegò, picchettandosi la tempia.

   «Beh, direi che ha ragione» commentò il timoniere. «Se Zafreen rientrasse nel suo corpo in un momento pericoloso, sarebbe un disastro. Potrebbe anche morire».

   «Lei però non ha problemi a lavorare col mio corpo. Tanto fa solo la centralinista! Non corre alcun pericolo, in plancia».

   «Ehi, non sminuire l’importanza del suo lavoro» si accigliò Vrel. «Mandare avanti il Reparto Sensori e Comunicazioni non è uno scherzo».

   «Dici così solo perché state insieme» lo rimproverò Jaylah.

   «Lo dico perché è vero... e comunque non so se possiamo considerarci ancora fidanzati» confessò il giovane, afflitto. «Lei ha il tuo corpo, ora, e tu... tu...». Il timoniere tacque e Jaylah pensò che stesse cercando le parole giuste. Ma con suo stupore, Vrel prese ad annusarla. A un certo punto le afferrò persino il polso, accostandoselo al naso.

   «Ehi, che fai?!» protestò Jaylah, sorpresa e infastidita. «Stacca le tue narici dal mio braccio! Cioè, dal braccio di Zafreen».

   «Senti un po’... hai assunto il soppressore di feromoni?» chiese Vrel, lasciandola andare.

   «No, me n’ero completamente scordata!» ammise Jaylah, dandosi una manata sulla fronte.

   «È meglio se lo chiedi a Zafreen. O presto avrai un codazzo di maschi allupati» consigliò Vrel, alludendo ai colleghi che la scrutavano dagli altri tavoli, più o meno imbambolati.

   «Vado subito» disse Jaylah, alzandosi di scatto. «Le metterò in conto anche questa!» si ripromise, attraversando la mensa tra gli sguardi da pesce lesso.

 

   «Avanti».

   Era inquietante sentire la propria voce che l’autorizzava a entrare nell’alloggio di Zafreen, ma Jaylah si fece coraggio e varcò la soglia. Non era mai stata lì prima d’allora. L’alloggio era arredato in stile orioniano... cioè, ai suoi occhi, barbaro e decadente. C’erano pellicce in terra e trofei appesi alle pareti. Un horga’hn risiano, simbolo di disponibilità sessuale, era collocato su un ripiano tra due candele, come un idolo sacrilego. Profumi esotici appesantivano l’aria.

   «Zafreen?» chiese Jaylah, dato che la padrona di casa non era in vista.

   «Eccomi, sono qui» disse Zafreen, uscendo dal bagno. L’Orioniana, sempre nel corpo di Jaylah, si era tinta i capelli di nero. Indossava uno dei suoi abitini provocanti, con colori al neon, e si era truccata pesantemente. «Che te ne pare? Riesco sempre a essere bellissima, anche quando ho poco materiale su cui lavorare» si vantò.

   «Proprio di questo volevo parlarti» mugugnò Jaylah. «Preferirei che non mi stravolgessi il look».

   «Anche tu hai stravolto il mio» obiettò Zafreen. «Guarda i miei poveri capelli... con che li lavi, olio dei motori?» chiese, esaminando una ciocca.

   «E poi mi serve il tuo soppressore di feromoni» aggiunse Jaylah, ignorando il commento.

   «Oh, già». Zafreen prese l’ipospray da un cassetto del comodino. «Ecco, cara... ma forse preferisci l’ebbrezza di girare per la nave, sapendo d’essere irresistibile».

   «Girare per la nave è l’unica cosa che mi resta, dato che il lavoro mi è stato revocato» l’informò Jaylah.

   «Oh, povera cara! È stato a causa mia? Sì, temo proprio di sì. Che posso fare per aiutarti?» chiese Zafreen.

   «Puoi restituirmi il corpo» rispose l’Agente a muso duro.

   «Sai che non dipende da me» le ricordò l’addetta ai sensori. «Però c’è una cosa che potremmo fare, per renderci la vita più tollerabile!» s’illuminò.

   «Ah, sì? E sarebbe?» chiese Jaylah, vagamente speranzosa.

   «Potremmo condividere l’alloggio! Così ci scambieremo i pareri e ci aiuteremo a sistemarci».

   «Vorresti che venissi qui?!».

   «Perché no? Sarà come tornare in Accademia, con la compagna di stanza» suggerì Zafreen.

   «Io non voglio una compagna di stanza!» protestò Jaylah. «Rivoglio solo il mio corpo, brutta ladra! Lo voglio senza feromoni, senza tintura e con abiti decenti! E questi, che cosa sono?!» chiese, notando gli oggettini tintinnanti appesi alle orecchie.

   «Oh, questi?» fece Zafreen, sfiorandoli imbarazzata. «Sono i miei orecchini. Li ho sempre portati...».

   «Non ti sarai mica forata le orecchie per metterteli? Le mie orecchie?!» inorridì Jaylah.

   «I lobi, sì. È questione di un attimo. Quando riavrai il tuo corpo, te li puoi togliere...» minimizzò Zafreen.

   «Ma i buchi restano! Tu... tu...». Fuori di sé dalla stizza, Jaylah la schiaffeggiò. «Non ti azzardare a bucarmi ancora, o te la faccio pagare. Ti odio... ti odio!» strillò, inviperita.

   «Ehi, datti una calmata!» fece Zafreen, intimorita da quello scoppio d’ira. «Forse sei influenzata dal mio organismo... sai, i livelli ormonali sono molto più alti dei tuoi. Potresti essere un po’ fuori di testa».

   «Sono decisamente fuori dalla mia testa» convenne Jaylah. «E anche se non mi guardo allo specchio, ho un sensore corticale appiccicato alla base del cranio che me lo ricorda in ogni momento».

   «Ne stai facendo un dramma!» si lagnò Zafreen. «Fai come me... prendi quest’esperienza col sorriso. Vedrai che tutto si sistemerà».

   «Lo spero proprio» disse Jaylah, dominandosi a stento. «Ma anche se si sistemasse, resta il fatto che sei una principessa viziata, che non merita di stare sulla Keter!» accusò.

   «Tu non sai chi sono e da dove vengo» ribatté Zafreen, improvvisamente ombrosa. «Credi che la mia vita sia sempre stata facile? Mi sono lasciata alle spalle un pessimo contesto... non voglio nemmeno ricordarlo. L’importante è che ora sono qui. E ho tutta l’intenzione di godermi la vita. Ti consiglio di fare altrettanto. Buona giornata».

   Jaylah spalancò gli occhi. Era una Zafreen completamente diversa dal solito, dura e amara, quella che l’aveva appena congedata. Avrebbe voluto saperne di più sul suo passato, ma intuì che le domande sarebbero rimaste inascoltate. Così lasciò l’alloggio, portandosi via il soppressore di feromoni.

 

   Tre giorni dopo, il confinamento di Zafreen terminò e l’addetta ai sensori poté incontrare Vrel in sala mensa. I fidanzati si baciarono, ma il mezzo Xindi era stranamente distante.

   «Ehi, cucciolone... che ti succede?» chiese Zafreen, mentre si accomodavano a un tavolo.

   «Niente, è solo che sono preoccupato» rispose lui.

   «Per me o per Jaylah?».

   «Per tutte e due, ovviamente! Questo scambio di corpo è la cosa più folle che abbia mai visto. Non so se può farvi del male, né se tornerete mai in voi» confessò il timoniere.

   «Hai sentito la dottoressa... tutto si aggiusterà col tempo» cercò di tranquillizzarlo Zafreen. «Intanto devo dire che il corpo di Jaylah non è male... anche se non ha la mia bellezza sconvolgente, è ovvio. Ma spero che ti basti».

   «Bastare... a me?! Che stai dicendo?» s’inquietò Vrel.

   «Come, non ricordi? Stasera è il nostro anniversario» tubò Zafreen. «Non l’avrai scordato!».

   «No, certo che no!» fece Vrel, correndo ai ripari. «È stato un anno favoloso... e ho già prenotato il ponte ologrammi. Ceneremo in un locale pittoresco su Betazed, con la vista sull’Oceano Thaxan».

   «Splendido! E dopo potremmo andare nel mio alloggio...» suggerì Zafreen, maliziosa.

   «Il tuo alloggio, eh? Ehm... meglio di no» fece Vrel, imbarazzato nel vedere quello sguardo negli occhi di Jaylah.

   «Perché, cos’ha che non va?» si stupì Zafreen. «Va beh, non importa... possiamo andare nel tuo».

   «E se non andassimo neanche nel mio?» chiese il timoniere.

   «Beh, c’è il plesso gravitazionale della giunzione 12. Farlo in assenza di gravità è fantastico, anche se per arrivarci dovremo strisciare nei tubi di Jefferies».

   «Non mi sono spiegato... non credo che dovremmo farlo affatto».

   «Perché no?» s’indignò Zafreen. «Che c’è, non mi ami più?».

   «No, cioè sì, certo che ti amo» annaspò Vrel. «Ma vedi, io amo Zafreen nel corpo di Zafreen».

   «Lo sapevo, è tutta colpa di Jaylah. Quella ragazza è piatta come un’asse» commentò l’addetta ai sensori, guardandosi.

   «Non è questo il punto» chiarì Vrel, sempre più rosso. «Senti, in questo momento ti trovi nel corpo di un’altra persona... una mia cara amica, fra l’altro. Non credo che dovresti abusarne».

   «Abusarne?!» fece Zafreen, esterrefatta. «Ma che dici? Siamo adulti e consenzienti!».

   «Sì, e tu sei nel corpo di Jaylah» rimarcò il mezzo Xindi. «Non apprezzerebbe di sapere come lo usi».

   «Quel che non sa, non la farà soffrire».

   «Lo so io, e tanto basta perché non mi senta a posto con la coscienza» sospirò Vrel. «Senti, mi spiace... ma finché questa situazione assurda non si risolve, credo che dovremmo contenerci».

   «Cioè io dovrei contenermi» puntualizzò Zafreen. «Tu puoi stare con chi ti pare... io invece devo andare in crisi d’astinenza per non turbare la tua frigida amica!».

   «Non intendo tradirti, se è questo che temi» promise Vrel. «Ma la situazione è quella che è. Tu finora l’hai presa sottogamba... ora forse ti accorgerai che è una cosa seria».

   «Seria, sì! Non sai che la castità è l’unico peccato capitale nella cultura orioniana? E per quanto tempo dovremmo tirare avanti così?» chiese Zafreen.

   «Sei stata tu a dire che si aggiusterà tutto. Spero proprio che tu abbia ragione... per il bene di tutti e tre. Ma fino ad allora, nisba» disse il mezzo Xindi. Lasciò il tavolo e andò verso l’uscita.

   «Ehi, dove vai? Aspetta!» lo rincorse Zafreen.

   «Scusa, ma proprio non me la sento. Ripensandoci, forse dovremmo annullare l’appuntamento di stasera» disse Vrel, respingendola con una mano, mentre con l’altra si massaggiava la tempia. Dopo aver passato tanto tempo a corteggiare Zafreen, era pazzesco che ora dovesse rifiutarla, rischiando di perderla per sempre.

   «Ma sì, gettati tu nell’Oceano Thaxan!» strillò Zafreen, furiosa. Tornò cocciutamente al tavolo, aspettando che Vrel tornasse strisciando a chiederle scusa. Ma i minuti passavano e Vrel non si vedeva. L’addetta ai sensori era sempre più in ansia. «Computer, localizza il Guardiamarina Shil» ordinò.

   «Il Guardiamarina Shil è in plancia» riferì il computer, affossando le sue speranze. Se Vrel aveva preso servizio, non l’avrebbe rivisto per parecchie ore. Quanto a lei, aveva designato un sostituto per la plancia, visto che il Capitano le aveva ordinato di concentrarsi sui geroglifici. Ma in quello stato d’animo, Zafreen sapeva che non avrebbe combinato un bel niente.

   Umiliata e sconvolta, l’addetta ai sensori si precipitò in infermeria. «Dottoressa, ho un’emergenza medica!» esclamò, irrompendo nella sala principale.

   «Che c’è, il corpo sta rigettando la tua coscienza?» si allarmò Ladya. «Chiamo subito Jaylah».

   «Non è per quello» fece Zafreen, agitatissima. «Il fatto è che Vrel non ci sta, finché sono nel corpo della sua amica d’infanzia. Potrebbe lasciarmi! E io non posso rimpiazzarlo con nessuno, senza sentirmi in colpa nei confronti di Miss “ho dimenticato l’abbronzante”».

   «Sarebbe questo, il problema?» chiese la Vidiiana, incredula.

   «Che fa, non mi prende sul serio? È una questione di vita o di morte!» insisté Zafreen.

   «Sì... per un’Orioniana» fece Ladya, arricciando il naso. «Beh, carina, ho una notizia: sei nel corpo di un’altra persona, quindi devi trattarlo con rispetto. Nel frattempo posso darti un cerotto antistress o una gomma da masticare».

   «E quanto ci vorrà per tornare nel mio stupendo, insostituibile corpo?» frignò Zafreen, sul punto di scoppiare in lacrime.

   «Il tempo che ci vorrà» fu la temuta risposta.

   «Ma sono passati giorni! A Kirk e Lester servì di meno».

   «Lo scambio neurale è un fenomeno che sfida ancora la nostra comprensione» spiegò la dottoressa. «Anche le cavie sono ancora scambiate» aggiunse, indicando i cani di Alpha, chiusi in due grosse gabbie.

   «Potremmo usare di nuovo il trasferitore» suggerì Zafreen.

   «Su di loro, forse» disse Ladya, nutrendo gli animali. «Ma non voglio usarlo su te e Jaylah, se non ne capiremo appieno il funzionamento. Il rischio di menomarvi è troppo grande. Per adesso spero ancora che tutto si risolva da sé. Ma devo dirtelo... se passano le settimane e non cambia nulla, è possibile che la vostra condizione sia definitiva».

   «Che cosa?!» si disperò Zafreen, tastandosi dappertutto. «Resterò per sempre qui dentro? Con una sociopatica – nel mio corpo – che mi tiene il fiato sul collo?!».

   «In quel caso, tu e Jaylah dovrete parlare seriamente di come condurre le vostre vite» disse la Vidiiana, prendendola da parte. «Sarebbe ingiusto che vi sorvegliaste a vicenda in continuazione... forse dovrete accettare che ognuna viva come le pare. Ma non disperarti! Non siete ancora a quel punto».

   «Okay, aspetterò per qualche settimana» sbuffò Zafreen. «Intanto lei ripassi le tecniche di trapianto del cervello!» raccomandò, prima di lasciare l’infermeria.

 

   
 
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