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Autore: Bellis    25/07/2009    0 recensioni
Da buon veterano di molte battaglie, il dottor John Watson conosce bene il significato della parola lealtà. Tuttavia, deve riconoscere che non in tutti i contesti si può applicare la stessa definizione.
Genere: Dark, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Lealtà


Capitolo Primo

La strada era buia.
Non era proprio notte, ma i lampioni erano distanti, e le ombre della sera sembravano strisciare ed insinuarsi dappertutto.
Londra non era uniformemente illuminata.
Forse le vie dei signori e dei benestanti avevano la luce del giorno anche con le stelle in cielo.
Quella stradella non era una via di ricconi.

Normalmente, avrei fatto una bella corsa, rifugiandomi nella luce abbagliante della vicina Queen Anne Street, ma in quel momento, non potevo.
Ero paralizzato, ed un gelo che non dipendeva dalla stagione fredda mi attanagliava il cuore senza possibilità di scampo.

Non avevo occhi che per il corpo immobile, lungo, enorme, disteso sul lastricato, proprio di fronte a me.
Ero in ginocchio, sussurravo qualche parola senza senso nel mio povero dialetto di strada, come nella speranza di poter svegliare il dormiente.
La mia immaginazione di bambino, foraggiata sin dall'infanzia con scene di povertà e desolazione, aveva già tratto le sue (povere e scarse) conclusioni.

E ciò nonostante blateravo, imploravo perchè l'uomo si destasse e si rialzasse.
Ricordo che arrivai anche a scrollare quel corpo rigido, prima di notare che le mie dita si erano macchiate di rosso non appena avevo sfiorato la spalla sinistra.

Balzai indietro con uno scricchiolìo, surrogato bambinesco di un grido orripilato.
Mi guardai intorno, sussultando ad ogni movimento, ad ogni suono, anche al mio respiro mozzato e tremante.

Poi, finalmente, il mio sguardo si posò quasi per caso sulla via trafficata poco distante.
E ritornai, come per magìa, in me.

Avevo scorto una figura familiare, a dire il vero più che familiare.
Ben nota e senza dubbio benvenuta.
Un gentiluomo dai baffi folti e neri e dall'espressione grave, con un bastone da passeggio nella sinistra ed una borsa da medico nella destra, zoppicava sul marciapiede opposto all'apertura sulla stradella malfamata.

La mia esperienza da monello di strada mi disse che potevo raggiungerlo in quattro salti, e così feci.
Mi lanciai in avanti, sbarrando il passo ad una vettura e provocando un'esclamazione di disappunto da parte del conducente, facendo sbuffare i due cavalli da tiro e piombando letteralmente sull'uomo che avevo individuato.

"Ehi, ehi, ragazzo, ma che -" esclamò questo, quasi senza fiato. Lo avevo spaventato e quasi gettato a terra, con la mia presa furiosa.
Mi aggrappai alla sua giacca e lo strattonai verso il ciottolato.

"Dottore, dottore!" gridai, con la mia vocetta infantile rotta e sconvolta, "Presto, presto, mi segua!"

Il dottor Watson evidentemente pensava a me come ad un ladro o ad un malvivente, perchè aveva sollevato il bastone e tentava di liberarsi dalla mia stretta.
"Lontano, tu, piccolo brigante!..." il fanale del carro ci passò a fianco, illuminando chiaramente il mio volto sporco e pallidissimo. Un lampo di consapevolezza attraversò lo sguardo dell'uomo.
"Wiggins?" sussurrò, smettendo di divincolarsi, sbalordito.

Ci era voluto un po', perchè mi riconoscesse.
I miei vestiti erano impastati di polvere, ed anche le mie guance, avrei potuto giurarlo.
E poi era passato un secolo da quando ci eravamo visti l'ultima volta, nell'appartamento al 221B di Baker Street.
Sicuramente ero cresciuto, da allora.
Certamente me l'avrebbe fatto notare, se il terrore nei miei occhi non gli avesse gelato il sentimento amichevole e paterno nel cuore.

Il paragone tra quella mattinata di sole a Baker Street e quella serata uggiosa e tremenda generò un nuovo fiotto d'ansia, che si manifestò in un ulteriore strattone al povero pastrano scuro.

"Oh, mi segua, la prego, mi segua!" pregai, inarrestabile, agguantando il braccio destro e trascinandolo quasi nella direzione del vicolo.
L'uomo, di buon cuore, vedendo il mio stato d'animo, non volle spiegazioni, e obbedì, perplesso e preoccupato.

Ci inoltrammo verso Chandos Street, e prendemmo il vicolo subito prima. Non so nemmeno se avesse un nome. Era un postaccio, una fogna, ed anche noi ragazzi non ci andavamo a meno che non fosse assolutamente necessario.
Immersi i piedi nuovamente nel fango umido di nebbia e incrostato di smog, guidando il medico verso la forma inerte che già vedevamo accasciata a terra. Lui sdrucciolava, e faceva del suo meglio per stare al passo. Probabilmente, teneva lo sguardo basso, perchè solo quando arrivammo a meno di un metro dal ferito ebbe un sussulto, e potei vedere i suoi occhi sbarrati, che riflettevano la poca luce lunare.

"Santo Cielo! Ma è..."

Non terminò la frase, perchè si era già inginocchiato a fianco del corpo, e, con una delicatezza istintiva, aveva poggiato i polpastrelli sulla gola dell'infermo.
Lo vidi deglutire ripetutamente, riuscii a malapena a udire il suo sussurro.
"Trova una carrozza, Wiggins." non sollevò gli occhi, "Subito."

Lanciai un'ultima occhiata al dottore ed annuii, col cuore che mi batteva in gola.
Osservai per un attimo la magra fisionomia di Sherlock Holmes, disteso a terra.
Il suo volto non aveva mai molto colore, ma in quel momento, anche se la luce era fioca, risaltava, bianco come la neve.
Non si muoveva.

Assecondai il mio istinto e fuggii da quel luogo, dicendo a me stesso che stavo solo eseguendo gli ordini del medico.
Deve essere una capacità particolare di noi giovani, la benedizione dell'incoscienza, perchè certamente ero spaventato a morte, ma non persi la testa.
Nella confusione di quei minuti frenetici non rammentavo altro che il mio compito, e gridai con tutto il fiato che avevo in corpo sino a che il cabbie di una carrozza in ingresso a Welbeck Street non mi udì.

Con una risposta brusca e qualche imprecazione non proprio cortese, girò il veicolo e mi seguì, facendo notare che, se non avessi avuto il denaro per pagare il viaggio, mi avrebbe depositato direttamente in braccio al poliziotto più vicino.

Non lo ascoltai nemmeno.
E quando mi fermai, appoggiandomi ai mattoni della casa, presso l'imboccatura tetra del vicolo, mi sentii stranamente svuotato, e non potei fare un passo in più.
Perciò dissi solamente al vetturino che c'era bisogno di lui, là dentro.
Quel vecchio mi guardò in faccia e poi acconsentì, proprio come aveva fatto il dottore.
Dovevo essere proprio uno straccio.

*****************************************

Almeno, il corridoio del Harley Street Hospital era asciutto, anche se lo spazio era angusto.
Il soffitto alto faceva sembrare le pareti ancora più strette e vicine l'una all'altra.
E non era affatto caldo, lì dentro.
Rabbrividii e mi raggomitolai su una sedia.
Dura e scomoda.

La mia gola pizzicava, le lacrime pungevano e solleticavano i miei occhi.
Non volevo dare spettacolo, sapevo bene che era indegno di un uomo.
Mi ricomposi, mi raddrizzai sulla seggiola, intrecciai le dita delle mani e cercai di comandare alle mie labbra che smettessero di tremare come mammolette al vento.

Non ero certo una femminuccia, io, e se qualcuno degli Irregolari avesse visto me, il loro capo, in quello stato, mi avrebbe detto, Ehi Wig, non sei te stesso oggi.

Poi ricordai qualcosa di molto importante.
Una volta, il signor Holmes mi aveva confidato un segreto.
Lui non era tipo da fare confidenze così, con leggerezza, e così quel fatto mi era rimasto impresso.
Tanto più che quella conversazione aveva avuto luogo alcuni anni addietro, quando lui era molto giovane, ed io ero un bambino, e il dottor Watson era probabilmente ancora soldato.

Con quell'aria da professore, il signor Holmes mi aveva detto che il modo migliore per affrontare una situazione con distacco è osservarne ogni particolare, con occhio da scienziato, contando ogni cosa, anche i dettagli che sembrano stupidi o insignificanti.

Me lo aveva detto il giorno in cui Mà era andata in Cielo, dopo quella tosse violenta che l'aveva resa magra e smunta e pallida.
Ero corso via dalla casa gelida, mi ero gettato in strada, e quel carro di un contadino miope mi avrebbe travolto, se il signor Holmes non avesse assistito alla scena e non fosse intervenuto, spingendomi di lato, via dagli zoccoli dei quattro cavalli.

Non era mai stato un tipo sentimentale, il signor Holmes, anzi, piuttosto cinico e schietto.
Però i suoi consigli avevano funzionato, forse anche grazie alla tazza di cioccolata calda che mi aveva offerto e che avevo ingoiato a piccoli sorsi, bruciandomi la lingua e mescolando troppe lacrime alla mistura bollente.

Perciò decisi di seguire quelle direttive ancora una volta, cercando di considerare con calma e fermezza il momento attuale.
Ero certo che, nonostante il fatto che non potesse ordinarmelo lui stesso, avrebbe voluto che seguissi i suoi precetti.
Iniziai a contare.
Contai i secondi, i minuti che passavano, sull'orologio dalle lancette lunghe, appeso al muro di fronte a me. Dovevo sollevare il mento un po' troppo, per osservarlo bene, il che mi metteva in una posizione scomoda.
Contai quante persone passavano attraverso il corridoio.
Contai quante gocce d'acqua cadevano da un lavabo sporco nell'angolo.
Contai il numero di bende arrotolate intorno al braccio di quel nonnino col bastone.
Contai le grida che provenivano da un salone vicino; nonostante la mia curiosità, non osai sbirciare all'interno.

Poi un'infermiera passò, con un'occhiataccia tale alla mia persona sudicia, che tutti quei numeri stipati nella mia memoria si aggrovigliarono e si accartocciarono su se stessi come un castello di carte che crolla. Se mi avessero chiesto quanti anni avevo, non avrei saputo rispondere, tanta era la confusione presente nel mio povero cervello.

E mi ritrovai, tremante più di prima, a trattenere i singhiozzi, rannicchiato sulla sedia, con le braccia intorno alle ginocchia ed il mento sulle giunture ossute.

Una porta si aprì e si richiuse pianamente.
Non avevo ancora lo sguardo appannato, perchè quando il dottor Watson si avvicinò a me, lo riconobbi subito, e deglutii, cercando di non apparire completamente sconsolato.
Tanto più che anche lui aveva un'aria distrutta.

Sedette di fianco a me ed accennò un sorriso rassicurante.
Capii come mai i malati si fidavano di lui, mentre mi squadrava con occhio clinico e mi posava la destra sulla spalla, con tranquillità.

"Ora, mio caro ragazzo," disse, a voce bassa, "Vorresti raccontarmi cosa è accaduto questa sera?"

Il tono della sua voce ebbe in qualche modo un effetto calmante su di me, ma, in tutta risposta, scossi il capo violentemente.
Non volevo rivivere quegli eventi.
Non ancora, almeno.

Il medico abbassò per un attimo lo sguardo.
"Non te lo chiederei se non ti ritenessi un uomo coraggioso, Wiggins." continuò, "E se non fosse necessario. Ma ho bisogno di capire come è andata."

Ripercorsi con la mente gli avvenimenti delle ultime ore, e repressi un grido.
Era vero, il dottore doveva sapere.
Doveva assolutamente trovare una soluzione.
Doveva fermarli...

"'gnor dottore, lei deve fermarli! Stanno andando là, al porto e partiranno all'alba, sì, alle prime luci!" urlai, improvvisamente, e sentii la stretta sulla spalla farsi più forte e più ferma. Mi voltai verso Watson, con aria d'urgenza, ed una gran agitazione in corpo.

Aveva alzato la mancina.
"Con calma, Wiggins, dall'inizio, va bene?"

Deglutii ed annuii, freneticamente.

"Bravo ragazzo."

Socchiusi gli occhi, nello sforzo di ricordare ogni dettaglio di quel pomeriggio e della serata, proprio come avrei fatto se mi fossi trovato di fronte al signor Holmes, sul punto di esporre il risultato di un pedinamento o di una ricerca...


"Wiggins, ho bisogno di te."

Il ragazzo sorride ed annuisce, "Così diceva il biglietto, 'gnor 'Olmes." replica, sventolando un pezzo di carta strapazzato e scritto nella calligrafia nitida dell'investigatore, "In tre secondi le porto Frank, Tod e Casey."

Wiggins fa per scendere i diciassette gradini del 221B di Baker Street, a balzelloni, naturalmente (suscitando la fiera indignazione della padrona di casa, la signora Hudson), ma l'uomo lo blocca con un cenno.
"No, no. Basti tu. Ma è una faccenda spinosa - capisci, vero?"

Il monello si stringe nelle spalle, "Son tutte faccende brutte, 'gnore, ma lei lo sa che può contare sul vecchio Wig." commenta, con un'enfasi tale da strappare un piccolo sorriso a Sherlock Holmes.

"Molto bene, Wiggins, allora ti assegno un incarico. Dovrai seguire un tale da Bulstrode Street sino in Queen Anne."

Il monello assottiglia lo sguardo, ricordando prontamente la disposizione delle strade in quel quartiere di Londra. Bulstrode si immette brevemente in Welbeck Street prima di arrivare alla più grande e spaziosa Queen Anne.

"E' essenziale che tu non sia visto." dichiara l'investigatore, serio in volto, con la fronte corrugata, e Wiggins comprende l'importanza della cosa in un istante.
"In una laterale di Queen Anne, il tuo obiettivo dovrà incontrarmi. Discuteremo, e se tutto andrà bene, potrò portarlo dritto nelle mani della polizia." la voce dell'uomo è quasi un mormorìo, il ragazzo si china in avanti, ascoltando attentamente.
"Ma se quel tale dovesse comprendere chi sono, se dovesse riconoscermi - dovrai correre alla casa in costruzione su Harley Street, immediatamente. Troverai l'ispettore Lestrade e gli racconterai cosa è successo."

Wiggins annuisce, da bravo soldatino.
"Ho capito, stia tranquillo, 'gnor 'Olmes. Ma chi è questo bandito?"

Holmes raccoglie pensierosamente un quotidiano da un mucchio di carte sul divano. Lancia un'occhiata ai titoli, quindi getta il giornale sul tavolino, sprimacciandolo e cercando di eliminare rughe e pieghe dai fogli bistrattati.
"Avrai sentito parlare del grosso furto avvenuto pochi giorni fa al museo delle antichità."

Il monello osserva i titoli indicati dall'uomo, salta qualche parola che non riesce a leggere, infine ricostruisce un po' il senso d'insieme della faccenda.
"Oh, sì, Nonna Thea, la vecchia di Casey, lo raccontava proprio ieri!" esclama, con fervore, poi, con gli occhi che brillano ammirati, aggiunge, "E' il ladro, vero, capo? Lo sta per prendere!"

L'investigatore annuisce lentamente, con un sorrisetto all'evidente entusiasmo.
Ma si rabbuia subito, inspiegabilmente.
"Wig." esordisce, e il luogotenente degli Irregolari di Baker Street presta ancor più attenzione, perchè di rado il signor Holmes usa il suo soprannome.
"Ora prometti - giura solennemente che presterai la massima attenzione." ordina, con accento di irremovibile serietà.

Il ragazzo deglutisce e poggia la mano destra sporca di fango sulla stoffa lacera che gli copre il busto.
"Oi, certo, 'gnor 'Olmes, mica sono uno stupido io!"

L'uomo solleva le sopracciglia, con uno sguardo ammonitore.

"Oh, beh, prometto, come vuole lei... sul mio onore." infine Wiggins conferma, in una posa molto simile a quella di un soldato sull'attenti di fronte al generale.

"Qualunque cosa possa succedere, ti limiterai a correre alla casa in costruzione di Harley." aggiunge, con grave lentezza, l'investigatore.

Un po' impaurito, il ragazzo sgrana gli occhi.
Il tono del signor Holmes non ammette repliche.
"Il dottore viene con lei, eh, capo?"

"E' un'operazione sotto copertura, Wiggins, il dottor Watson non potrebbe essere di alcun aiuto." la risposta giunge bruscamente, l'uomo siede al tavolo, meditabondo.

Ora è il monello ad ergersi in tutti i suoi centoquarantacinque centimetri, con un pizzico di severità nel contegno infantile.
"Credo che a lui non gli andrebbe a genio, no affatto, che lei vada a trattare con dei ladri rabbiosi da solo!" strilla, con veemenza.

Holmes agita una mano, immerso nei propri pensieri, come a scacciare i toni fastidiosi del fanciullo. Dopo qualche momento, riempito soltanto dal clangore di ruote in strada e dalle occhiate omicide di Wiggins, solleva lo sguardo, divertito.
"Credo di no, in effetti." ammette, "Ma non abbiamo scelta. L'affare deve essere concluso nella massima segretezza, è già abbastanza rischioso per me, se fossimo in due, l'imboscata non avrebbe effetto."

Imbronciato, Wig non si muove nè da segni di vita, a parte alcuni sguardi diffidenti.

"Sei con me?"

Domanda a risposta unica, perchè il ragazzo non ne può pensare altre rispetto a quella che dà, con una sicurezza istintiva.
"Certo."
Sorride, come a scusarsi per la tirata di prima.

L'investigatore annuisce e con un cenno lo invita a prendere posto di fronte a lui.
"Ti dò i dettagli. Ascolta attentamente."


Qui mi fermai, perchè l'espressione sul viso del medico era indecifrabile.
Durante il mio racconto, i lineamenti avevano preso svariate forme, luce ed ombra si erano susseguite con una rapidità incredibile.
Preoccupazione, delusione, perfino sconcerto.
Ora, nessuno di questi era presente. Il dottor Watson appariva semplicemente stanco, con una strana aria di rassegnazione.
Era pallido, quasi come il signor Holmes, disteso sulla strada fangosa.
Questo pensiero mi sconcertò, e tirai sù col naso, tremando più forte.

[Continua...]


*****************************************

Note dell'Autrice
Eccomi qui di nuovo, in questo periodo sono particolarmente attratta dalla Londra Vittoriana.
Questa brevissima (?) vicenda si protrarrà probabilmente ancora per un capitolo o due.
Se Ti fossi imbattuto in quelli che paiono orrori grammatical-sintattici abnormi (come certamente è accaduto), sappi che il caldo non ne è il responsabile :)
Ho solo cercato di rendere un po' più realistica la vocetta infantile del buon Wiggins.
Vorrei inoltre specificare che senza Jo March - la scrittrice, beta-reader, consigliera e Sherlockiana - questa storia probabilmente non sarebbe nemmeno mai nata.
Grazie, Jo :)
Lettore, spero che la trama sia di Tuo gradimento.
A presto!


   
 
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