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Autore: Urban BlackWolf    12/06/2019    4 recensioni
Come la vite, ogni essere umano ha un lato esposto al sole ed uno all’ombra. Un lato più caldo ed uno più freddo, che non sempre riescono a convivere, anzi, che spesso e volentieri cozzano l’uno contro l’altro creando dissonanza, una profonda lacerazione interiore che rende tutto confuso e complicato.
Come la vite, ogni essere umano porta frutto e lo dona agli altri, ma a seconda delle stagioni e delle cure ricevute, lo fa generosamente o meno.
Come la vite, ogni essere umano ha bisogno di sentirsi amato, spronato e protetto per dare il meglio di se, senza soffocamenti o costrizioni.
E come la vite che allunga i tralci verso la pianta accanto, anche gli esseri umani sono alla costante ricerca dell’anima affine alla quale potersi tendere ed intrecciare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Yuri | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Starlights, Usagi/Bunny | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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Tralci di vite

 

I personaggi di Haruka Tenou, Michiru Kaiou, Mamoru Kiba, Usagi Tzuchino (Usagi Tenou), Minako Aino (Minako Tenou), Seiya Kuo e Yaten Kuo, appartengono alla fantasia della scrittrice Naoko Takeuchi

Sviluppo della storia ed altri personaggi sono idea di Urban Blackwolf

 

 

First delight

 

Spegnendo la radio si accostò al posto di blocco sporgendosi dal finestrino. Un uomo in divisa la salutò portandosi la mano alla visiera del berretto d’ordinanza invitandola a stare attenta.

“Da qui in avanti la strada è ad un unico senso, signora.”

“Com’è la situazione verso il torrente?”

“Non buona. E’ esondato in tre punti. Le tenute a valle sono parzialmente isolate.”

“Anche quella dei Tenou?” Chiese guardando oltre il parabrezza.

“Si signora. Proceda con prudenza.” Consigliò alzando la paletta lato verde per lasciarla passare.

Sorridendo forzatamente la donna lo ringraziò ingranando la prima. Sapeva che con molta probabilità il suo ritorno non sarebbe stato proprio del tutto festoso, ma non si sarebbe mai immaginata di farlo dopo una devastazione come quella. Percorrendo lentamente la carreggiata si guardò intorno riconoscendo strutture, alberi e campi che l’avevano vista crescere al sole della Provincia. La cappella protettrice, le querce secolari, il rudere del vecchio mulino abbandonato, filari e filari di pali bianchi uniti fra loro da corde dove adagiate crescevano le viti. Poi, in lontananza, il bivio per la masseria Tenou, la strada che andava restringendosi sempre più fino al cancellone in ferro battuto divenuto elettrico solo da pochi anni. I cipressi guardiani, le aiuole gentili, il brecciolino scuro arroventato dal sole ed infine, come una maestosa torre d’altri tempi, il silos dal tetto cilindrico incastonato nel fronte chiaro di casa sua.

Frenando proprio prima dell’ingresso, concesse al suo cuore qualche istante. Stava correndo all’impazzata e sapeva che una volta varcato quel confine non avrebbe fatto altro che accelerare sempre più. Si sentiva eccitata. Viva. Negli ultimi anni aveva viaggiato molto e visto tanto. Posti, luoghi così diversi da quello. Culture, lingue, suoni, colori, sapori. Aveva fatto fatica per cercare di portare a termine quella folle idea nata da ragazzina e cresciuta in lei durante gli anni passati tra i grappoli delle viti di famiglia. Aveva lottato contro se stessa per non abbandonare tutto e tornare, ma più dell’essere una straniera in cerca di un sogno, quello che le era pesato più di tutto era stata la mancanza dello sguardo chiaro di coloro che amava, i sorrisi, i bronci e le risate intorno ad una tavola, le discussioni e le riconciliazioni, l’affinità elettiva e la complicità che solo in quel posto aveva trovato.

Respirando forte affondò piano la suola sull’acceleratore oltrepassando i pilastri in pietra che segnavano l’inizio della masseria. Non è cambiato nulla, pensò stirando le labbra mentre ombra e luce si alternavano dalle chiome al suo viso. Passando la rimessa delle macchine agricole arrivò allo spiazzo parcheggiando accanto ad una moto da cross che conosceva bene. Un’energica tirata di freno a mano e rimase qualche secondo con le mani arpionate al volante improvvisamente incapace di muoversi.

Poi le vide; la piccola di casa Tenou, mentre camminava goffamente con un collo di cartone tra le braccia e la più grande, Minako, a spronarla da dietro nel darsi una mossa.

“Usa cammina! Se rallenti finirò per pestarti un tallone!”

“E allora passa avanti! Questa roba pesa!”

Usagi non se la cambierà mai quell’assurda acconciatura, rise tra se la donna nell’abitacolo sentendosi finalmente pronta ad aprire la portiera. E così fece, uscendo e compiendo qualche passo al sole si godette lo spettacolo per poi parlare attirando la loro attenzione

“Serve una mano, ragazze?”

La prima ad inquadrarla fu la più giovane che frenando di colpo, costrinse la sorella a franarle addosso. “Usa, ma che cavolo fai?!”

Poi solcando la fronte con una profonda ruga, anche Minako guardò in direzione dell’auto dimenticando le due damigiane che stava tenendo nelle mani.

“Mina guarda, c’è gente…”

In un primissimo momento le due sembrarono non riconoscere la nuova arrivata sulla trentina che stava sorridendo loro, poi, togliendosi gli occhiali da sole e riponendoli con cura nel taschino della camicia, l’altra si portò le mani ai fianchi smorfiando il viso.

“Oddio! Che fate, ora non mi riconoscete più?” Disse contando mentalmente il tempo necessario perché la minore lasciasse tutto in terra e corresse ad abbracciarla.

“Sei tornata!” Riecheggiò nello spiazzo mentre anche Minako posava le damigiane. Lentamente, come a non voler credere a quello che stava vedendo.

Con Usagi premuta al petto, la donna ricambiò la stretta iniziando ad accarezzarle la testa. “Ora va meglio. D’accordo che non ci vediamo da un po’, ma non sono cambiata poi molto. - Alzandole il mento se la guardò per bene. - Tu invece sei cresciuta piccoletta! Come stai?”

Un mugolio indecifrabile per poi sentirsi spingere dalla veemenza delle braccia di Minako. “Piano, piano Mina. Non ti ricordavo tanto forte!”

“Sei tu ad essere moscia! - Controbatté ridendo e piangendo insieme.- Resti… vero?!”

“Bè questa sarebbe l’idea, ma… - Accorgendosi di Haruka ferma sul bordo della scala che portava alle vigne, la nuova arrivata la fissò socchiudendo gli occhi. - … non dipende solo da me, lo sai.”

Serrando i pugni la bionda iniziò a camminare a passo svelto verso le tre lasciando Michiru e Yaten a guardare la scena.

“Non mi piace…” Soffiò lui facendo un passo in avanti.

“Ma chi è?” Chiese Kaiou non capendo.

“E’ Giovanna… Giovanna Tenou.- Rispose non sapendo bene cosa fare. - Porca puttana Haru…, dove vai?!” Chiamò lasciando trasparire apprensione nel tono della voce.

Ma non fece in tempo a scattare verso la bionda che lei aveva già scaraventato Minako da un lato sferrando un pugno micidiale sul viso della sorella maggiore.

 

 

Azienda vinicola Tenou – Dodici anni prima

 

Gettando lo spazzolino nel bicchiere Haruka mostrò la dentatura allo specchio. Le piaceva quello che la superficie le stava dando di rimando; una diciottenne dagli occhi brillanti pieni di sogni.

“Secondo te esiste davvero?" Chiese alla sorella seduta sul bordo della vasca intenta ad allacciarsi i bottoni della parte superiore del pigiama.

“Io penso di si. Quell’uomo era così convinto mentre parlava con nostro padre.”

“Stz.. potrebbe essere solo un visionario fuori di testa.” Sentenziò stiracchiando la colonna.

“Se ti sei già fatta un’idea, allora perché me lo domandi?”

“Perché un giorno sarai tu a prendere le redini dell’azienda… - Spiegò guardandola furbescamente dalla frangia bionda mentre apriva la porta del bagno. - … e voglio essere certa che non combinerai qualche casino indebitandoti fino al collo per cercare un’utopia.”

“Ma quanta premura, Haru.” La seguì affiancandola nel corridoio.

“Non e' premura, ma pragmatismo. E’ un fatto che tu sia matta come un cavallo.”

“A si?! - Piazzandole una spallata, Giovanna la spinse iniziando a correre. - Ma senti chi parla?! La futura vincitrice di un titolo di Formula Tre!”

“Chiaro!” Confermò la bionda scoppiando a ridere seguendola con lunghe falcate.

“Mai senza il tuo secondo!”

Iniziando a lottare come due erinni in un campo di grano, fecero tanto di quel baccano da costringere la madre a far capolino dalla stanza di Minako e Usagi. “Ragazze fate piano! Le vostre sorelle si sono appena addormentate.”

Alba aveva fatto più fatica del solito a far prendere sonno alla più piccola ed ora era esausta. Sospirando si richiuse la porta alle spalle fissandole con finta severità.

“Si, scusaci mà.” Le sorrise Haruka che tra le sorelle Tenou era quella che fisicamente e caratterialmente le assomigliava di più.

Spirito ribelle dal temperamento fuori dalla portata per gran parte degli uomini, Alba stravedeva per ognuna delle sue quattro figlie; per Usagi, l’ultima perla nata in una famiglia quasi tutta al femminile, per Minako e la sua dolcissima voglia di protagonismo e per la maggiore, la riflessiva Giovanna, identica in tutto e per tutto al padre Sante. Ma con Haruka sentiva di avere un feeling particolare. Spesso si rivedeva nel suo giovane puledro tutto gambe e voglia di strafare, riconoscendo nella ragazza l’audacia e la spavalderia propria del genio.

Voglio correre mà, le aveva rivelato un giorno, quando poco più che undicenne non arrivava ancora neanche ai pedali di un’auto. E lei invece di cercare di smorzarne la veemenza, mettendosela sulle gambe l’aveva assecondata insegnandole addirittura a guidare.

Tu sei nata sulle piste, mia bellissima dea del vento. Corri se vuoi e punta anche al cielo se credi, perché sono sicura che un giorno lo raggiungerai.”

Così aveva fatto. In pochi anni Haruka aveva, non soltanto imparato, ma iniziato a gareggiare sulle piste da go kart di mezzo paese sognando il salto verso il mondo del rally che avrebbe compiuto al raggiungimento della maggiore età. La giusta conseguenza delle cose insomma. Ma ne Alba, ne Sante si sarebbero mai aspettati che anche in Giovanna regnasse la voglia di velocità e se pur meno audace della sorella, finisse con l’affiancarla diventandone il co pilota. L’affinità dimostrata in pista da quelle due ragazze, diventate un tutt’uno con la macchina che anni prima tante soddisfazioni aveva dato ai genitori, le aveva fatte delle vincenti, tanto che qualche casa automobilistica di Formula Tre ultimamente aveva iniziato ad interessarsi alla carriera della più giovane.

“Avete dato la buona notte a vostro padre?” Chiese la donna accarezzando il viso della maggiore che muovendo affermativamente la testa le regalò un bacio per sgattaiolare nella stanza che divideva con l’altra.

“Quel signore non è ancora andato via?”

“No Haru. Anzi, è meglio che vada giù da basso.” Baciata sulla guancia anche dalla sua secondogenita si sentì chiedere se, come stava facendo il padre, anche lei lasciasse aperta la possibilità che il viticoltore straniero dicesse la verità.

Tirando su le spalle la donna si diresse verso le scale stirando un sorriso affine. “Proprio non saprei. Faremo delle indagini e poi si vedrà. Ora corri a dormire. Domani avete scuola.”

“Va bene. Notte mà.”

 

 

“Ma sei impazzita?! Mi hai fatto male idiota!” Tenendosi la guancia con la destra, Giovanna guardò la bionda con sfida mentre Minako si piazzava tra le due cercando una mediazione.

“Haruka no!”

“Togliti dalle palle Mina e tu… vienimi sotto che ti do il resto!”

“Quando vuoi!” Raddrizzando la postura quella che per tutti era Giò, la maggiore della quattro sorelle Tenou, serrò i pugni come un boxer dopo un uppercut mal digerito.

“Finitela voi due!” Intervenne Yaten trascinando letteralmente la bionda all’indietro mentre Usagi tentava di fare altrettanto con l’altra.

“E lasciami! Ho da dirle un paio di cose!”

“Ti ascolto Haruka. Avanti!” Incoraggiò beffarda facendo dondolare i polsi avanti e indietro.

“Basta! - Pregò Mina con le braccia aperte come un Santo in croce. - Haru guardami! Guarda me!” Ordinò con uno stranissimo timbro nella voce.

Posandole le mani sul petto la costrinse a spostare l’attenzione su di lei e come un animale rabbioso, una volta tolta dalla vista la causa di quella condizione, la bionda sembrò improvvisamente calmarsi ed ammorbidendo le spalle incatenò lo sguardo a quello della più giovane.

“E’ nostra sorella! Non puoi reagire come se fosse un nemico.”

Scrollandosi di dosso Yaten, Haruka tornò a fissare Giovanna ancora arpionata dalle braccia di Usagi.

“Perché cazzo sei tornata!?”

“Perché fino a prova contraria questa è anche casa mia!”

“Te ne ricordi solo ora!? Dopo tre anni!?” Ringhiò gonfiando nuovamente i muscoli.

“Sempre pronta a giudicare vero?! Ad etichettare tutto e tutti. Con te o è bianco o tutto l’opposto!”

Haruka scattò in avanti trovando il corpo di Minako come sbarramento. “Anche la paternale?! - Urlò boriosa. - Ma stiamo scherzando?!”

“Lo sai perché sono partita…”

“Perché sei una lurida vigliacca!”

“Ho detto BASTA!” Esasperata Minako sovrastò le voci delle altre due con la propria prima che altre parole potessero diventare coltelli affilati.

“Massacratevi di pugni se volete, ma state attente a ciò che osa uscirvi da quella fogna dentata che avete sotto al naso!” L’indice destro alzato prima contro una, poi al petto dell’altra, ed il silenzio scese tra il gruppo neanche fosse stata sancita la fine di una guerra.

Solo i singulti disperati di una Usagi in lacrime smorzarono la rabbia spingendo Giovanna a voltarsi per abbracciarsela forte al seno.

“Va bene Mina… Ma non finisce qui!” Minacciò la bionda spingendo Yaten pronta per rientrare in casa, quando la maggiore riuscì a bloccarle il passo affermando seria di averla trovata.

Vedendo la schiena della sorella irrigidirsi di colpo, Giovanna capì d'aver fatto centro.

“Scusami?!” Voltando il busto lentamente Haruka socchiuse gli occhi rendendoli due fessure verdi.

“Hai capito benissimo. L’ho trovata… Ho trovato la First delight!”

 

 

Era li, davanti a loro, in una cassetta di legno dai sigilli stranieri marchiati a fuoco. Le radici avvolte in un panno umido di canapa, lo stelo arcuato ed ancora incerto, le foglie tenere dai colori brillanti, inequivocabile segno di un ottimo stato di salute. Era davanti a loro in tutta la sua magnificenza, sul tavolino del giardino d’inverno ricavato accanto alla stanza ora occupata da Michiru. Seduti su due divani posti l’uno fronte l’altro c’erano Haruka, Minako e Yaten, semi abbarbicato sul bracciolo, Giovanna, Usagi e poco oltre, ferma in piedi accanto allo stipite della porta, la forestiera.

“Haruka... forse è meglio che io vada.” Disse Kaiou che come il ragazzo sentiva di essere dannatamente fuori posto.

“Si è meglio. E’ una questione di famiglia.” Le rispose acida Minako attirandosi contro l’occhiata distorta dell’altra bionda.

“Lei resta qui, se desidera! Neanche Yaten è una Tenou!”

“Ma…”

“Ho detto che lei resta!”

“No Haru, Minako ha ragione. Preferisco così. A quel che ho capito avete bisogno di parlare di cose importanti. Ho ancora parecchie faccende da sbrigare. Con permesso.” E sparendo discretamente Michiru lasciò sola una Haruka che in quel momento avrebbe tanto voluto appoggiarsi a lei.

Dopo aver calmato i nervi l’aveva cercata con lo sguardo quella donna aggraziata dalle mani serrate al grembo e l’espressione di chi non sta capendo assolutamente nulla, non volendo ammettere a se stessa di stare iniziando a provare qualcosa per lei. Attrazione o puro bisogno di stabilità, questo Haruka ancora non riusciva a capirlo.

Anche Yaten fece altrettanto e dopo aver lasciato un bacio sulla testa della sua ragazza si congedò seguendo la forestiera.

“E così alla fine ti sei messa con il nipote di Max? Gran bella scelta. Approvo Mina. - Se la rise sotto i baffi Giovanna vedendola arrossire leggermente. - E quella Michiru? Cos’è… , la tua nuova fiamma, Haru?” Continuò non avendo la stessa reazione.

Un fulmine glaciale la schivò costringendola a serrare la mascella. La sorella sapeva come usare il suo sguardo.

“Ma che fiamma! Ci mancherebbe! E’ solo una randagia che lei e Usa hanno raccattato per strada meno di un mese fa.” Disse Minako.

“Be, una randagia di razza. E’ molto bella.”

“State zitte!” Abbaiò Haruka come se avesse avuto tra le zampe un osso da difendere.

Eppure Giovanna aveva come l’impressione di averla già vista. Quel viso gentile, ma soprattutto il colore e il taglio di quegli occhi blu, non erano per lei una novità. Non appena la forestiera le si era presentata con una stretta di mano, si era stupita di quanto fini fossero i suoi modi e quanto discreta fosse la sua presenza e più passavano i minuti e meno capiva che cosa ci facesse una donna come quella in un ambiente come il loro.

Minako alzò le braccia in segno di resa. Il cuore è il tuo. Fanne quel che vuoi, pensò deformando il viso in una smorfia.

“Cerchiamo di parlare di cose serie... Credi davvero di aver trovato la First delight ?” Chiese la bionda osservando la scatola.

“La sola e unica. In realtà una discendente, ma ti assicuro che ha le stesse caratteristiche e prestazioni dell’originale.” Più che sicura spinse la cassetta in avanti lasciando che Haruka ne prendesse il contenuto.

Rigirandosi con delicatezza la piantina tra le mani, la bionda ebbe un fremito ricordando quanto il padre avesse cercato quel piccolo miracolo genetico. Anche se frutto di un immenso lavoro di drenaggio e fertilizzazione, i terreni in possesso della famiglia Tenou erano, a differenza di altri, molto acidi e questo aveva condizionato sin dall'inizio la quantità di vino stagionale. Raggirati perché non del settore, una volta acquistati gli ettari, Alba e Sante si erano ritrovati a dovere investire il triplo di fatica e denaro per sperare di restare quantomeno ai margini del settore. Quella sera di dodici anni prima, un esperto viticoltore sudamericano presentato da Max, il proprietario del pub di zona, zio acquisito di Yaten, nonché vecchio amico di scuderia dei Tenou, aveva garantito alla coppia di avere la soluzione del problema. Secondo lui era oltremodo sbagliato intervenire sul suolo.

“Ragazze, cosa diceva sempre nostro padre?” Chiese Giovanna poggiando il mento sulle nocche.

Haruka passò la piantina a Minako che rispose per tutte. “Se non puoi cambiare il terreno, cambia la vite.”

“Esattamente!”

“E dove saresti andata a sbatterti per trovarla?” Chiese ironica la bionda sprofondando tra i cuscini per appoggiare entrambi gli avambracci allo schienale.

“Nella Terra del Fuoco, meridione cileno e ti assicuro… non è stato facile.”

“Lo abbiamo visto tutte! Hai impiegato tre anni per andare a fare l’Indiana Jones dei poveri.”

Esasperata dalla chiusura mentale di Haruka, Giovanna cominciò a difendersi. “Fai poco la spiritosa. Ho impiegato più del previsto perché dieci anni fa la vigna madre della delight è stata sdradicata per far posto al più fiorente campo della ricerca aurifera. E’ stata una vera botta di fortuna trovarne la discendenza, credimi.”

“Quante ne avresti acquistate?”

“Una cinquantina. Se alla dogana sono rapidi dovrebbero arrivare al massimo tra una decina di giorni.”

Schioccando la lingua l’altra continuò a scavare nella piaga. “Botta di fortuna o meno, credo proprio che tu abbia speso soldi inutili mia cara Giovanna. Questa piantina non potrà risolvere i problemi che abbiamo, almeno non nell’immediato. Va fatta crescere e innestata. Un processo talmente lungo che non so proprio come diavolo ti sia saltato in mente.”

“Problemi?” Una rapida occhiata a Minako che riponendo la piantina nella cassetta sospirò confermando con un sibilo mozzato.

“Quando chiamavo non mi hai mai accennato a nulla.”

“Chiamavo?!” Intervenne Haruka corrugando la fronte.

“Si Haru, anche se sporadicamente Giovanna ha sempre cercato di tenersi in contatto. Non te l’ho mai detto perché non si poteva parlare di lei.”

“E brava la nostra dea del vento… Hai addirittura segato il mio ramo dall’albero genealogico!”

“Non fare la vittima e comunque ne avrei tutto il diritto!”

“Non gettarmi merda addosso Haruka! Il fatto che non ti sia andata giù la mia scelta non deve darti il diritto di…”

“Ne avevamo parlato! Ne avevamo parlato e si era deciso di rimanere unite per cercare di portare avanti il lavoro dei nostri genitori! E invece dopo pochi mesi dalla loro morte hai fatto armi e bagagli e sei sparita!” Si sporse in avanti stringendo alle ginocchia mani ancora vogliose di lotta.

“Rivitalizzare le viti con la delight era il nostro sogno…”

“No! Era il tuo, tuo e di nostro padre. - Alzandosi cedette puntandole l’indice contro. - Il mio era un altro e tu lo sai benissimo!”

Imitandola anche la maggiore si alzò. “Aspetta Tenou. Rallenta. Mi stai forse incolpando del tuo mancato ingresso in Formula Tre?! No, perché se così fosse staresti prendendo la più grossa cantonata della tua sfolgorante carriera.”

“Mi sto sbagliando forse?!”

“Credo proprio di si! Non è perché i nostri genitori sono morti e non è neanche per il mio viaggio. Eri semplicemente troppo vecchia per iniziare una carriera in una categoria tanto competitiva!”

“Che bastarda!”

“Insulta pure, ma sai che è la verità, sai che è stata solo colpa tua se arrivato il momento di provare il grande salto ti sei tirata indietro!”

“Sarebbe a dire?” Chiese piatta scavalcando il tavolino per arrivarle a pochi centimetri.

“Haru…” Cercò d’intromettersi Minako immediatamente zittita da un gesto.

Un boccone d’aria più copioso e Giovanna fece partire una fulminea stilettata. “Sarebbe a dire che hai avuto paura. - Sentenziò sostenendone lo sguardo, anzi, avvicinandosi talmente al viso dell’altra da percepirne il calore del fiato. - Paura di non essere all’altezza, di non riuscire a gareggiare da sola in un ambiente duro come quello della velocità su pista, perché un conto è farlo nel rally, con il tuo secondo affianco e un altro è domare una macchina da trecentottanta cavalli, da sola, in un mondo pronto a giudicarti al più piccolo errore. Paura di deludere i nostri genitori, ma soprattutto la mamma e sotto sotto, anche te stessa. Hai accampato centomila scuse per non accettare le proposte che ti venivano offerte nonostante tu fossi una donna. Prima la scuola, poi l’Università e una volta uscita da Agraria era passato troppo tempo!”

Haruka ascoltò continuando a fissarla. Le dita torturate nei pugni stretti. I denti cozzati gli uni sugli altri. La salivazione completamente azzerata.

“A diciotto anni eri una promessa, un vero e proprio talento, polvere di stelle, come titolavano i giornali locali, ma poi ti sei adagiata sugli allori e ne hai pagato lo scotto. Ora non puoi venirmi a dire che è stata colpa mia! Non te lo permetto!”

Altro che coltelli. Minako abbassò la testa mettendosi le mani tra i capelli preparandosi al peggio. Sapeva che sarebbe andata a finita così, che Haruka avrebbe vomitato fuori tutto l’astio covato per anni e Giovanna le avrebbe risposto per le rime, ma sperava che il ritrovarsi di nuovo tutte e quattro sotto lo stesso tetto avrebbe ricordato a quelle due cosa volesse dire per le sorelle Tenou la parola famiglia.

Dopo quell’ultimo ferale scambio però, inaspettatamente per l’ambiente vetrato non volò più una mosca fino a quando non fu Usagi, estraniatasi come forma di difesa da quella discussione, a parlare con voce sommessa una volta messasi la cassettina sulle gambe.

“Tu e le tue sorelline avrete bisogno di terra, sole e acqua buona, ma sono certa che attecchirete. Haru dove possiamo piantarle?”

Fissata dalle altre continuò come in trance. “Potremmo trovar loro un posticino in un angolo della Prima. Che ne dici?”

Strofinandosi il collo Haruka scosse la testa. Non era certo quella la stagione adatta. “Dobbiamo aspettare l’autunno Usa. Sai meglio di me che adesso non si può far nulla.”

“Io pensavo che avremmo potuto costruire una serra per poi piantarle a tempo debito.” Optò Giovanna con tenera condiscendenza.

All’idea Usagi scattò la testa fissandola euforica. “Davvero?! Sarebbe fantastico! Che ne dici Haru?”

Alla maggiore non sfuggì quella specie di richiesta di permesso. Haruka aveva preso in tutto e per tutto il suo posto alla guida della casa e dell’azienda. Sorridendo un po’ amareggiata continuò proponendo il terreno che secondo lei era il più adatto.

“Se non ricordo male abbiamo mezz’ettaro proprio dietro la cantina. La lavorazione dei laterizi ha reso il terreno ancora più acido e le viti messe a dimora li, non danno che uva da tavola. In primavera potremmo provare ad innestare quelle. Se prendono li, prenderanno ovunque."

Deformando le labbra in una smorfia, la bionda si diresse verso la porta e con un ampio gesto del braccio sentenziò. “La terra è anche la tua e quelle viti le hai comprate con i tuoi soldi, perciò fai come credi Giovanna, ma una cosa la vorrei mettere subito in chiaro… - Voltandosi un’ultima volta le fissò alternativamente tutte e tre. - Non voglio saperne niente. Ora abbiamo dei conti da far tornare ed un bilancio da ripianare, perciò scusate tanto se Haruka Tenou, la dea del vento, non si presterà a questo gioco al massacro.” E con una zampata di puro sarcasmo sparì.

“Mina…”

“Si Giò…”

“Adesso devi spiegarmi per filo e per segno com’è messa l’azienda. Domani mattina voglio vedere conti e movimenti bancari.”

“Ok.”

 

 

Dopo una cena al limite del paradossale, dove alla giovialità frizzantina di Usagi e Minako, eccitate per il ritorno della maggiore, era andato contrapponendosi il mutismo di una Haruka svelta nel desinare ed ancor più nello sparire, Michiru aveva deciso di fare altrettanto defilandisi in camera sua. Com’era già accaduto al suo arrivo, il trovarsi in una situazione famigliare dove lei era incolpevolmente un’intrusa, l’aveva spinta alla condizione più gestibile della solitudine.

Scegliendo a caso tra i testi della piccola libreria accanto all’armadio, decise che per quella sera i suoi amici sarebbero stati; Heathcliff e Catherine di cime tempestose, pensò guardando la copertina in pelle scura del celebre romanzo di Emily Brontё.

“Oddio, non è certo una commedia, ma è sempre un classico.” Sorridendo alle lettere dorate si sedette sul bordo del letto sfilandosi i sandali.

Sfogliando distratta le prime pagine si rese però immediatamente conto di non essere concentrata a sufficienza, anzi, più la carta ingiallita le scorreva tra le dita e più il pensiero di quell’inattesa giornata le soffocava la mente non lasciando spazio ad altro.

L’apparizione di Giovanna, la reazione violenta di Haruka e quella molto più normale delle altre due sorelle Tenou, l’avevano portata a riconsiderare tutto il contesto nel quale stava ormai vivendo. Non aveva assistito alla loro conversazione, ma subito dopo la sua uscita dal giardino d’inverno si era ritrovata all’aperto con Yaten il quale le aveva accennato del malessere che aveva colpito quella casa. Michiru aveva così capito perché nelle stanze principali della masseria non ci fossero foto o tracce di una quarta sorella. Il viaggio intrapreso da Giovanna per andare a cercare un sogno chiamato First delight aveva finito per distruggere una famiglia di per se già duramente provata dalla sorte. E vista da fuori la cosa aveva dell’assurdo, sia per lei, ma soprattutto per uno Yaten che conosceva da sempre l’amore che legava la maggiore alle altre, soprattutto ad Haruka.

”Quella testa bacata del nostro capo è convinta di essere stata abbandonata, ma per Mina non è affatto così e a dirla tutta, ne sono convinto anch’io.”

Forse la verità sta nel mezzo. - Pensò Michiru sapendo di non potersi ancora fare un’idea più precisa dell’accaduto. - Forse Haruka ha frainteso le reali intenzioni della sorella o forse Giovanna ha scelto di allontanarsi per metabolizzare la perdita dei loro genitori ed il fatto di aver preso il loro posto. So cosa si prova ad avere addosso le aspettative degli altri.

Richiudendo il libro Michiru decise di gustarsi un po’ di fresco serale e a piedi nudi saltellò sulle lastre di cotto arrivando alla portafinestra. Aveva scoperto di amare da impazzire il sentire sotto le piante dei piedi le foglioline del manto erboso di Dichondra che ricopriva tutto il giardino sul retro. Uscita e serratasi le mani dietro la schiena, iniziò a passeggiare avanti e indietro come ormai le capitava sempre più spesso. Da quando aveva iniziato a vedere Seiya, il sonno notturno dei primi giorni era scomparso e così non mancava mai di attenderlo scrutando l’orizzonte al chiarore della luna. Poteva riflettere e calmarsi, razionalizzando sul fatto che fosse impossibile che l’uomo l'avesse trovata e che non essendo una pazza visionaria, dovesse esserci per forza di cose un’altra spiegazione.

Inarcando la schiena al cielo stellato sorrise della sua paranoia. Ti devi dare una calmata Kaiou o finirai con l’ammalarti, si disse sfiorandosi lo sterno. Aveva avuto l’ennesima palpitazione proprio durante la cena, quando ad uno sguardo più insistente della nuova arrivata, si era fatto strada in lei il pensiero che potesse essere stata riconosciuta.

E se Giovanna mi avesse visto su qualche rivista? Dandosi dell’idiota si avvicinò al parapetto poggiandovi gli avambracci. Se così fosse non potrei che negare la cosa, rifletté poco convinta. In un certo senso le pesava quella situazione, non tanto la scelta di non avere un cognome, quanto il doverlo tacere ad Haruka. Lei era Michiru Kaiou, attualmente una delle dieci violiniste più quotate sul mercato internazionale, ed il tenerlo nascosto alla bionda le sembrava una mancanza di rispetto. Una specie di tradimento.

E mentre stava rimuginando sulla cosa perdendo lo sguardo al il chiaro scuro della Prima, la vide seduta su uno dei gradini della scala. Fu un attimo e il desiderio di sentire quel timbro profondo che era mancato quasi del tutto a cena, s’impadronì di lei portandola a raggiungerla.

Guardandole le spalle ricurve in una posa pensierosa parlò pianissimo. “Questa volta non voglio spaventarti.”

Rimanendo voltata Haruka sogghignò alzando una mano per invitarla a sedersi. In verità la stava aspettando. “Da qualche tempo sei solita passeggiare un po’ prima di andare a dormire. E’ forse per Mina?”

Sistemandosi la gonna Michiru si mise comoda sul gradino ancora leggermente tiepido dall’arsura giornaliera. “Non ti sfugge proprio niente. - Ne convenne leggermente stupita. - Ma no, tua sorella non c’entra. Non ho sonno, tutto qui.”

“Sicura? Mi sembra strano che tu non ne abbia visto l’impegno che metti nel lavoro quotidiano.”

Il velato complimento portò l’altra a scuotere la testa. “Mi sono semplicemente abituata ai vostri ritmi. Tranquilla Haruka, va tutto bene.” E odiò il mentirle ancora.

Alzando le spalle la bionda accettò la scusa offrendole la bottiglia di birra che si stava gustando. “Ne vuoi un pò? E’ artigianale.”

“Grazie, ma lo sai che non mi piace.”

“Ma questa è quella di Max. Fatta con le sue manine sante. Un peccato mortale non assaggiarla.” Insistette e alla smorfia di mal celato disgusto che ne seguì il sorso, scoppiò a ridere.

“Va bene, dai qua. Mamma mia che palato delicato.”

“Colpa dell’azienda vinicola Tenou e del suo eccellente vino.”

“Già… L’azienda vinicola Tenou… - Ripeté tornando seria. - A proposito, mi rincresce che tu abbia dovuto assistere alla scenata di questa mattina.”

“Non è un problema. Mi dispiace solo che essendo figlia unica non possa riuscire a capirti fino in fondo.”

“Un’altra piccola informazione sulla donna misteriosa che tutti dicono viva sotto il tetto di questa tremenda bionda. Attenta Michiru…, ti stai esponendo.”

Kaiou non se la prese, ma non sapendo come affrontare un discorso tanto delicato, non fece domande e Haruka rimase in silenzio a sorseggiare la sua birra tra il canto dei grilli, il richiamo dei rapaci notturni appollaiati sui rami del castagneto poco oltre e le macchine agricole che stavano lavorando al fresco della notte.

“Sai, fa male il sentirsi traditi da una persona che ritenevi incapace di farlo, una persona che amavi e dalla quale ti sentivi amata.”

Serrando le labbra Michiru respirò appena. Haruka si stava aprendo.

 

 

Circuito Comunale – Undici anni prima

 

Primo classificato il team Tenou, con il tempo di 12°13’ e 34”!”

Haruka serrò il pugno indirizzandolo al cielo. L’annuncio stentoreo appena dato dall’altoparlante non faceva altro che confermarle quanto forti fossero diventate.

“E vai!” Urlò sentendo improvvisamente la schiena caricata dal peso della sorella.

“Haru! Siamo grandi!” Giovanna si strinse forte alle sue spalle ridendole nel collo.

“Non ci ferma più nessuno! Il terzo posto in classifica generale è ad un passo!”

Scendendo l’altra le strattonò le braccia arpionandole euforica la tuta. “Poi arriverà il secondo…”

“Ed infine il primo!” Concluse la bionda abbracciandola.

“Hei, piano piano, andateci piano! - Sante riemerse dall’ombra del box tenendo stretta nella mano la cartellina con gli appunti di gara. - Avete fatto degli errori e per recuperare, all’ottava e decima curva siete andate fuori giri, perciò prima di sparar alto con proclami di vittoria io…” Guardandole negli occhi non riuscì più a fingere.

“E va bene… Siete state grandi ragazze!” Confessò spalancando loro le braccia e con un sorriso enorme le accolse orgoglioso come non mai.

“Per festeggiare questa sera andremo tutti a cena fuori, ma prima… Haru, ci sono due signori che vorrebbero parlarti. Datti una ripulita e vieni. Ci stanno aspettando al bar.”

La bionda corrugò la fronte liberando il busto dalla tuta. “Chi sarebbero?”

“Agenti. E non fare come al tuo solito. Questa volta stalli a sentire per favore.”

Sbuffando improvvisamente insofferente precisò al genitore di avere prima una coppa da ritirare.

“C’è tempo per la premiazione! Avanti andiamo.”

Ma la figlia non si mosse. “Lo sai come la penso pà; voglio finire la stagione!”

Sempre la solita storia e Sante era sinceramente stanco di quella sorta di blocco mentale che le aspettative di quella ragazzina sembravano aver preso. Una mano dietro al collo per attirarla a se e le parlò cercando di essere il più chiaro possibile.

“Stammi bene a sentire, queste occasioni capitano raramente nella vita. Sei brava, sei dotata, ma sai quanti ragazzi e ragazze sono pronti a prendere il tuo posto?! Hai diciannove anni… E’ l’età giusta per provarci. Da retta a tuo padre e per una volta cerca di pensare alle conseguenze delle tue azioni.”

“Ha ragione Haru… Qui si sta parlando della Formula Tre…” Lo appoggiò Giovanna.

“Dovrei ritirarmi a metà campionato e privare anche te della possibilità di vincere?”

“I punti che ci dividono dal team primo in classifica sono tanti…”

“Ma possiamo ancora farcela Giò!”

“Haru…”

“Vuoi davvero che molli tutto? Abbiamo lavorato tanto per arrivare dove siamo!”

L’altra scosse la testa. “Io voglio solo la tua felicità. Nient’altro.”

Soddisfatta la bionda tirò su il mento. Quella era la sua felicità. Che si fottesse tutto il mondo delle corse. “Allora il discorso è chiuso! Pà, lasciami fare. Se quei signori sono svegli aspetteranno, altrimenti ne verranno altri com’è già successo.”

“Non condivido Haruka, ma la vita è la tua e non posso certo costringerti a fare ciò che non vuoi. Spero solo che questo tuo stupido atto di superbia non ti costi la carriera.”

 

 

“Ed invece mi costò, proprio come mio padre Sante aveva predetto.” La bionda poggiò gli avambracci alle ginocchia iniziando a far dondolare lentamente la bottiglia di birra che ancora aveva fra le dita.

“Quella stagione riuscimmo ad afferrare la scuderia che si trovava al primo posto, ma in virtù di un miglior minutaggio la vittoria finale andò a loro. Ci rimase comunque la soddisfazione di aver spaccato di brutto azzittendo a suon di punti le voci che ci volevano solamente due ragazzine fortunate.”

Michiru la guardò chinare la testa. “E dopo?”

“Dopo finì tutto. Sai, una cosa è vincere ed un’altra è confermarsi. Per via dell’azienda i nostri genitori non potevano dedicare troppo tempo alla scuderia e correre costa, così non appena l’anno successivo i risultati iniziarono a scarseggiare, fummo costrette a ritirarci. Giovanna ed io scegliemmo di iscriverci all’Università e come aveva detto mio padre nessun agente venne più a bussare alla mia porta.”

Alzando nuovamente il viso al cielo stirò le labbra ammettendo la sua insulsa stupidità. “Mio padre ha sempre creduto che il mio temporeggiare fosse dettato dalla presunzione, dal credersi chi sa chi, ma mia madre no, lei aveva capito tutto ed una sera come questa, proprio su questi gradini, mi disse una frase che non scorderò mai; so cosa vuol dire rinunciare ai propri sogni, ma l’amore che si sceglie di seguire rimarrà sempre il trionfo più grande.”

“I tuoi si ritirarono dalle corse per la vostra famiglia.” Ricordò.

“Esattamente. Lei sapeva come lo so io che il rinunciare alla scalata in Formula Tre non dipese dalla superbia, come credeva mio padre, o dalla paura, come pensa Giovanna, ma da ben altro. In quel momento il mio mondo era quello; gareggiare con mia sorella per la scuderia di famiglia con una macchina tramandataci che aveva morso le strade di mezzo mondo e che portava sulla fiancata la scritta TENOU. Non volevo altro. Non puntavo ad altro. Amavo farlo e non ci avrei mai rinunciato. E lei non l’ha capito e mi da della vigliacca per questo." Terminò incrinando la voce rabbiosa.

“Ma tu… glielo hai mai detto?” Chiese vedendola alzarsi.

“Non sono cose che si dicono Michiru, si sanno e basta.”

“Haruka…”

“Ci dividono solo dieci mesi. Siamo cresciute facendo praticamente le stesse cose, frequentando le stesse classi scolastiche, gli stessi amici. Eravamo una cosa sola. Lei era la sorella migliore che avrei mai potuto desiderare. La mia migliore amica. Quella che mi è restata a fianco quando ho capito di essere omosessuale, che si è battuta per me difendendomi dall’ignoranza della gente. Avrebbe dovuto sapere. Avrebbe dovuto capire. Come avrebbe dovuto restare. No! Non le dirò mai nulla e pensasse ciò che vuole, perché arrivate a questo punto… non me ne frega più niente di niente!”

E la conversazione fini li, la bionda si richiuse a riccio e a Michiru non rimase altro che guardarla risalire le scale. “Buona notte. Non fare troppo tardi ok?!”

“Notte Haruka.” Disse piano sentendosi triste.

Certo che sapeva cosa si provava nel dover essere costretta ad infinite riconferme, all’obbligo di rimanere sempre sulla cresta dell’onda, ma ancor più sapeva cosa si sentisse nell'anima a subire un tradimento. Indubbiamente le scappatelle di Seiya non erano certo paragonabili a quello che era successo tra quelle due sorelle, ma per lungo tempo oltre ai suoi genitori, quell’uomo era stato un punto di riferimento, il suo migliore amico, colui che si era battuto per lei contro le critiche e le gelosie del loro mondo, proprio come aveva fatto Giovanna con Haruka. Il sospetto e poi la certezza che oltre ad umiliarla come donna, Kou l’avesse sfruttata come professionista bivaccando all’ombra del suo successo perché troppo banale per potercela fare da solo, l’aveva devastata.

“A Michi…”

“Si…”

Voltando il busto Haruka la guardò quasi sardonicamente. “Vedrai, riuscirò a tirare fuori la mia azienda da questa brutta situazione.”

“Cosa intendi fare?”

“Stai a guardare Michiru. Ho imparato a mie spese come si faccia a correre da sola.”

E tornando a salire sparì presto tra il chiaroscuro della sera lasciando su Kaiou un vago senso d’ansia ed una voglia matta di sentire i suoi genitori.

 

 

Sorridendo di rimando ad Usagi, Giovanna prese l’ultimo piatto dalle mani di Minako asciugandolo con cura. Nei mesi passati tra villaggi sud americani e biblioteche, la sua casa, la sua vita, le erano mancate come l’aria, ma più di tutto le erano mancate le sue sorelle e la quotidianità di quel rapporto. Ora anche il semplice fatto di rassettare la cucina dopo aver cenato tutte insieme, le infondeva allegria e un profondissimo senso di pace.

“Ci racconterai le tue avventure, vero Giò?” Le chiese la biondina stringendole la vita da dietro.

“Certo tesoro, anche se non credere che il mio viaggio sia stato poi tanto avventuroso.”

“Come sono le vigne andine?” Le chiese Minako gettando l’acqua del catino.

“Fantastiche. Paragonabili alle nostre, ma non avendo molta disponibilità di acqua ii viticoltori hanno un modo di gestire il territorio totalmente diverso. Ma lasciando perdere il lavoro… - Guardando l’azzurro delle iridi della più piccola le accarezzò la guancia con un dito. - Mi è giunta voce che ultimamente tu e Haru non andiate molto d’accordo.”

Fulminando Minako, l'altra alzò leggermente le spalle minimizzando. “Non è colpa mia. Da quando sei partita è diventata intrattabile. E’ testarda, dittatoriale e vuole sempre aver ragione!”

“Mi sembra la normalità.” Ci scherzò su la maggiore.

“Usa, adesso sei ingiusta. E’ vero che Haruka ha il carattere che ha, ma anche tu non sei da meno. Chi si è fermata a dormire dal suo ragazzo quando nel pieno del temporale dell'altro giorno avrebbe dovuto tornare a casa?”

“Tu hai fatto lo stesso restando da Yaten per una settimana!”

“E’ diverso! Io ho avvertito e comunque ho quasi dieci anni più di te!”

“E allora?!”

“Ragazze… - La maggiore le azzittì sovrastandone la voce. - Credo che per oggi si sia discusso anche troppo!”

Un grugnito da parte della minore che si trasformò per incanto in un urletto gioioso al primo squillo telefonico.

“E’ per me!” Sentenziò uscendo come un colibrì dalla cucina tanto che Giovanna ebbe il dubbio di essersi persa un passaggio.

“E ora che le prende?”

“Tranquilla è Mamoru. Puntuale come un orologio. Parlano per ore. Che avranno poi da raccontarsi…”

Mamoru. A Giovanna continuava a far strano pensare alla sorellina far coppia con quell’uomo. Da quando Minako l’aveva messa al corrente della loro relazione non era ancora riuscita a capire se fosse una cosa seria o un pericoloso gioco.

“Ora che siamo sole, dimmi cosa ne pensi Mina. Ok che ad Haru sia partito l’embolo, ma tu? Come li vedi?”

L’altra aprì il freezer prendendovi del ghiaccio, poi una volta strettolo in uno straccio glielo porse andando a sedersi al tavolo. “Mettilo sulla guancia. E’ un po’ gonfia. Quella pazza poteva anche evitare di prenderti a pugni.”

“C’è andata leggera fidati. Sa fare di meglio. Allora? Per telefono non ti sei mai sbottonata più di tanto, ma immagino che ti sia fatta un’opinione ben precisa su di loro.”

La sorella ammise che all’inizio anche a lei era venuto un colpo, ma che poi, guardandoli insieme, si era convinta della bontà della loro relazione. “Usa è persa, ma la cosa che mi rassicura è che lo sia anche lui.”

Mamoru Kiba perso. A Giovanna sembrava una cosa impossibile. Sedendosi anche lei, ricordò il liceo e quel compagno mietitore dei cuori femminili di mezzo istituto. E pensare che durante l’arco di una gita scolastica anche lei era crollata sotto il peso del fascino di quel giovane scavezzacollo. Poi Haruka lo aveva preso a pugni ed era finita li.

“Per quanto li riguarda, solo il tempo potrà dirci se la loro storia avrà un futuro. Ora quello che però mi da pensiero è la testardaggine di Haru. Usagi ha ragione… è diventata intollerante a qualsiasi forma di dialogo tanto che non appena sente il nome dei Kiba non ragiona. E ormai lo fa anche sul lavoro.”

“Con il vecchio Kiba?”

“Già. Pensa che in primavera, quando stavamo cercando un trattore in più per potenziare la preparazione dei terreni, ci aveva proposto di affittarci uno dei suoi. Un prezzo simbolico, praticamente regalato e lei ha detto no grazie. Abbiamo dovuto forzare il Landini facendo i doppi turni. Yaten era esausto. Lo eravamo tutti.”

Strofinandosi il ghiaccio sul viso Giovanna sospirò dispiaciuta. Così non andava. Un conto era la sfera privata ed un conto erano gli affari.

“Giò... dobbiamo fare qualcosa. Il suo atteggiamento sclerotizzato inizia a preoccuparmi. Non voglio certo giudicarla, perché da quando sei partita Dio solo sa quanto si sia data da fare per l’azienda, ma ammetto che un paio di scelte sulla gestione del programma di rivitalizzazione dei terreni non le abbia portate avanti come avrebbero fatto i nostri genitori e questo ci ha portato in perdita.”

“Nessuno nasce imparato Mina. Non sbaglia mai chi non si mette in gioco. Ci sta qualche errore nel portare avanti un'azienda come questa.”

“Sono d’accordo, ma non quando si tratta di scartare piani di lavoro che avevate concordato prima della tua partenza e ai quali lei ha voluto rinunciare solo perché fondamentalmente ancora non te la perdona Giovanna.”

“So che non sarà facile riconquistare la sua fiducia, ma non avrei mai pensato che la mia scelta avrebbe minato anche il suo giudizio negli affari.”

“E’ sempre stata molto intuitiva, ma ha bisogno di stabilità ed io non riesco a dargliela.”

“Non esagerare, Haruka è impulsiva, ma anche molto matura. Si è ritrovata alle redini di un’azienda dall’oggi al domani e credo abbia solo bisogno di un tempo.”

“Per stabilità non intendo solo la sfera lavorativa. - Sporgendosi in avanti abbassò di colpo la voce. - Nel giro di tre anni si è portata a letto mezza Provincia. Non la riconosco più. Certo non è mai stata un tipo romantico e sono la prima a dire che ogni tanto un po’ di sano divertimento ci vuole, ma alle volte sembra uno di quegli uomo che se ne fregano dei sentimenti altrui. Guarda con Bravery com’è finita…”

“Bravery era una palla al piede! Ha perso anche troppo tempo con lei!”

“Sarà, ma e' stata Haru a farle del male. E di Michiru che mi dici? Guidata dagli ormoni, se l’è presa in casa senza neanche sapere chi fosse e da dove venisse, accettando questo giochino per me molto pericoloso della donna misteriosa.”

“Ok, quella forestiera l’attrae e allora? E’ una gran bella donna…, La nostra testa dura è grande abbastanza per potersi sbattere chi vuole. Io non mi preoccuperei per così poco e soprattutto, non mi impiccerei.” Tentò di stemperare sorridendole sorniona.

“Altro che sbattersela… Haruka è innamorata persa e quella è l’ultima donna che oserebbe toccare anche solo con la punta di un dito, dai retta a me.”

“Mina deciditi! Se salta di letto in letto non va bene. Se s'innamora non va bene… “

“Io voglio solo che Haru sia coerente e soprattutto trovi un equilibrio!”

A quelle parole la maggiore spense la piega divertita che aveva disegnata sulle labbra mentre l’altra continuava piatta. “Ho paura che questa volta sarà lei a farsi male! Quella figlia di papà non è tipo da mettersi con una come lei, anzi, sono convinta che si stia solo nascondendo da qualcosa e quando la vita bucolica l’avrà stancata, troverà un nuovo passatempo per saziare i suoi appetiti e nostra sorella soffrirà come un cane!”

“Dio del cielo Minako, stai descrivendo Haruka come una schizzata!”

“Guarda che sono io che da tre anni cerco di capirla e starle dietro! - Se ne uscì pentendosene subito dopo. - Scusami…”

“No Mina… , almeno tu non farmi sentire un verme. Lo so che avresti voluto farti vita e carriera in una grande città, viaggiare e poter godere di tutte le bellezze che si trovano oltre le nostre vigne, ma ti prego, almeno tu credimi se ti dico che quando decisi di partire mi sembrava la cosa più giusta da fare.”

Resasi conto di aver parlato troppo, l’altra stava per alzarsi ed abbracciarla quando il portone d’ingresso si aprì e richiuse piano. Qualche istante ed Haruka comparve sulla soglia della cucina fissandole per poi andare a gettare la bottiglia di vetro della birra nel contenitore dedicato.

“Andrò a dormire nello studio. Vedete di non far troppo casino per favore.” Tagliò corto avvicinandosi a Giovanna.

Scansandole lo strofinaccio gelato ne scrutò la pelle arrossata facendo una smorfia indolente per poi riuscire e all’altra non rimase che sbuffare adagiandosi sullo schienale della sedia.

“Non vuole neanche dividere la camera con me! Ha del miracoloso che si sia degnata di cenare respirando la mia stessa aria.” Si lagnò mentre Minako aggrottava la fronte presa da tutt’altro pensiero.

“Giò…”

“Mmmm…”

“Usa è nello studio…”

“E dunque?” Domandò mentre voci di lotta prendevano ad alzarsi.

“… Al telefono con Mamoru.” E scattò verso l’uscita pronta a sedare l’ennesima baruffa.

Ma porca loca…, pensò la più grande scuotendo la testa. Tutto il caos trovato al suo ritorno non poteva certo dipendere solo dalla sua scelta, ma in quelle ultime ore Giovanna si stava rendendo conto che con la sua partenza aveva contribuito involontariamente a dividere i membri della sua famiglia.

 

 

 

 

Note dell’autrice: E pur ritornano! In verità all’inizio la figura di Giovanna non c’era e non avrei voluto neanche inserirla; troppo ridondante la sua presenza in ogni singola storia prodotta fino ad oggi. Poi però, man mano che strutturavo la trama, mi mancava una figura che chiudesse il cerchio e grazie anche al desiderio di molte che la volevano nuovamente come co-protagonista, mi sono convinta a buttarla nella mischia. Ma questa volta con un carattere più ombroso.

Ammetto che in questo capitolo le figure di Yaten, Mamoru e soprattutto Michiru, non siano state trattate a dovere proprio per far spazio ad alcune regressioni esplicative sulla famiglia Tenou, ma si rifaranno alla grandissima.

Spero di avervi fatto nascere una certa simpatia anche per Alba e Sante.

Alla prossima!

 

 

 

 

 

 

   
 
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