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Autore: Lost In Donbass    14/06/2019    0 recensioni
Questa è la storia di Oliver. Oliver, che è depresso, che si taglia, che non sa come fare a salvarsi da sè stesso, che piange ma che prova a non arrendersi.
E' la storia di Denis, troppo bello per il suo stesso bene, che ama con tutta la forza del suo passionale cuore ucraino.
E' la storia di due ragazzi che si incontrano nella triste Liverpool, due anime perse che hanno smesso di credere e di sperare. E' la storia del loro amore tormentato, forse patetico, forse ridicolo, forse volgare.
Ma è anche la storia di Jenna, di Kellin, di James e di tutti i loro strani amici.
E' la storia di come Denis tenterà di salvare Oliver da sè stesso e di come Oliver darà del filo da torcere a tutti.
E' la storia dell'estate prima del college.
E' la storia di un gruppo di ragazzi disperati che non credono nel lieto fine.
E' una storia banale, è una storia d'amore.
E' la storia di Denis e Oliver, che si amano come solo due adolescenti possono amarsi.
E' la storia di questo amore che sarà la loro fine.
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash, FemSlash
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Scolastico, Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO SETTE: I’LL FIGHT FOR YOU, UNTIL THE DAY I DIE

Have you ever took a blade to your wrists?
Have you been skipping meals?
We’re gonna try something new today
How does it make you feel?
[Bring Me The Horizon – Hospital For Souls]
 
Accolto calorosamente da tutto il clan Shostakovich, formato rigorosamente da sole donne, a Oliver girava quasi la testa. Avevano tentato di nutrirlo (cibo che lui aveva elegantemente rifiutato, troppo terrorizzato da quelle strane marmellate ucraine), lo avevano spupazzato senza pietà e adesso era finalmente stravaccato sul letto di Denis, un po’ spettinato ma quasi sorridente. Denis stava divorando un panino farcito e blaterava qualcosa, ma Oliver non lo stava ascoltando troppo impegnato a guardare quella cameretta gialla con i poster dei Bring Me The Horizon e dei Children Of Bodom alle pareti, con due chitarre posate in un angolo, con una pial di libri in russo sulla scrivania. Era riuscito ad entrare in camera dell’amico senza problemi. Forse ce la poteva fare. Forse poteva vincere l’ansia.
Sorrise tra sé e sé, pensando a quanto fosse bello Denis, a quanto fosse contento di averlo conosciuto, a quanto stava bene con sé stesso ogni volta che il ragazzo ucraino lo guardava e gli sorrideva. Pensava e basta, a quanto potesse essere stato fortunato, lui, il povero, solitario, Oliver Griffiths. Anche sentire Denis sproloquiare di dischi metal, di cantanti russi, di marmellate e delle sue vecchie prozie aveva un che di magico per le orecchie di Oliver, abituate a lunghi silenzi, al ronzare delle macchine dove era attaccata Jenna, ai rimproveri di sua madre e agli sbuffi stanchi di James.
Denis gli sorrise, finendo il grosso panino, e andò a sedersi accanto a lui, facendolo arrossire selvaggiamente. Erano così vicini in quel momento … un minimo movimento della testa, e avrebbero potuto baciarsi. Non che Oliver avesse il fegato di farlo, sia ben chiaro, ma il solo sentire il calore dell’altro accanto a sé gli scaldava il cuore freddo.
-Oli. Dovrei chiederti una cosa.- Denis gli prese delicatamente la mano e per la prima volta in vita sua ad Oliver non venne la tachicardia. O meglio, gli venne, ma era una tachicardia positiva, dolce, eccitata all’idea di star tenendo ancora la mano callosa dell’altro giovane. – C’è qualcosa che non quadra.
Con lo sguardo, Oliver lo incitò a continuare.
Denis si morse forte il labbro, prima di intrecciare le loro dita e posargli l’altra mano sull’avambraccio.
-Oli, non so come dirtelo ma … non credo che sia stato il gatto.
Crack.
Oliver sbiancò del tutto, sentendo un fastidioso groppo pesargli immediatamente in gola. Il gatto, sì, come no. Denis non poteva cascare in una bugia simile. Eppure non era nemmeno pronto a dire “sì, mi taglio”, di affrontare la cosa di petto. Sino adesso era stato un segreto di Pulcinella con i suoi amici. Lo sapevano tutti ma erano tutti talmente presi dai loro problemi da non essere mai davvero riusciti a convincerlo a non farlo. Ci avevano provato, avevano tentato di buttargli via le lamette, ma non ci avevano messo abbastanza convinzione e uno come Oliver aveva bisogno di qualcuno che gli strappasse le forbici di mano, che gli baciasse i tagli, piuttosto che gli urlasse in faccia qualcosa. Ma non aveva voglia di colpevolizzare nessuno dei tre. Era tutta colpa sua, che aveva trovato nell’autolesionismo la fuga dal suo dolore interiore, un dolore così forte che aveva bisogno di essere esternato a tutti i costi. Ma di nuovo, non aveva ancora la maturità di venire a patti con la sua malattia.
-Io … Denis … no … - balbettò ma il ragazzo lo zittì con un cenno del capo.
-Non dire niente. Senti, va bene.- Denis si morse il labbro e gli strinse più forte la mano – Penso di aver capito e … non lo so, non voglio dirti di sapere cosa provi perché sarebbe una menzogna, ma ti posso dire che va bene. Non c’è niente di cui vergognarsi. Se stai soffrendo così tanto da essere portato a farti qualcosa di simile, vuol dire che hai bisogno di essere aiutato. Io voglio aiutarti, per esempio. Non posso pensare che mentre io e mia mamma prepariamo i blinij con la marmellata tu sei in camera tua a … tagliarti.
Oliver sentì le lacrime cominciare a premere contro gli occhi. Nessuno gliel’aveva mai messa giù con così tanta franchezza. Ti tagli. Punto. Senza se e senza ma.
Fece per liberare la mano ma Denis aumentò la stretta, e lo costrinse a fissarlo negli occhi. Aveva dentro una tale serietà da sembrare molto più adulto dei suoi diciotto anni.
-Lo so che sono schietto, e non vorrei ferirti ma se le cose stanno come credo che stiano, bisogna combattere. Oli, non puoi farlo, okay? Non so cosa ti possa aver portato a concepire anche solo il pensiero di autofarti del male ma non ci sto. Non esiste che un mio amico soffra una cosa simile. Quindi, per favore, cerca di fidarti di me. Chiamami, quando stai per farlo, e io correrò da te, dovunque io sia. Correrò più veloce del vento e verrò ad abbracciarti, a consolarti. Ti porterò a fare una passeggiata, e questo finché non avrai più voglia di fare quelle brutte cose. Sono veramente pronto ad aiutarti, nel mio piccolo. Per favore, guardami. Non è tagliandoti che la situazione migliorerà. È combattendo che cambieranno le cose. Ti prego, Oli. Ti voglio bene.
Lo abbracciò di slancio e lo strinse a sé con tutta la forza possibile, mentre Oliver scoppiò in lacrime. Tutto quello che gli aveva detto Denis era troppo da sopportare. Le parole, quelle benedette parole che aspettava da così tanto tempo ma che né James, né Jenna, né Kellin erano mai stati capaci di dirgli. Nemmeno sua madre, che gli aveva urlato addosso e basta, facendolo disperare ancora di più.
Stretto tra quelle braccia, Oliver non sapeva più cosa fare. Ci voleva veramente un ragazzo appena sbarcato dall’Ucraina per aprirgli finalmente la mente? Ci era voluto veramente solo Denis per sbattergli in faccia la dura realtà?
Combatterò per te.
Quante volte Oliver aveva sognato di trovare il ragazzo che gliele dicesse in faccia, invece di sentirsele dire solo dai vari cantanti, così vicini eppure così dannatamente lontani? Troppe, ma adesso che l’aveva trovato non poteva fare altro che piangere. Aveva sempre voluto che qualcuno facesse come i vari Oli Sykes, come i vari Kellin Quinn, i Danny Worsnop, i Vic Fuentes che popolavano le sue casse, qualcuno che gli dicesse chiaro e tondo che quello che stava facendo era sbagliato e che bisognava combattere per salvarsi dall’autolesionismo. E adesso, finalmente, quel qualcuno era arrivato. Naso schiacciato, accento russo, occhi da ragazza e giacca di pelle, Denis Alexandrovich Shostakovich era caduto come una meteora nella sua vita, col suo sorriso salvifico e la sua forza d’animo. Il ragazzo di cui Oli aveva sempre avuto bisogno era arrivato, direttamente dalla periferia dell’impero, con una chitarra imbracciata e un grembiule della sala da the.
-Non piangere, Oli, va tutto bene … stai tranquillo … - mormorò Denis, accarezzandogli dolcemente la schiena – Ne uscirai, te lo prometto … magari ci metteremo del tempo ma ce la faremo …
-Perché usi il “noi”?.- piagnucolò Oliver, alzando appena la testa e scostandosi il ciuffone dagli occhi – E’ la mia battaglia, Den, non ti posso costringere a …
-E’ la nostra battaglia, tovarish.- Denis gli sorrise, il sorriso più bello di sempre – Combatterò per te fino alla fine. Quando tu cadrai, io ti recupererò. Te lo giuro sul mio onore. Sono ucraino, Oli: combattenti per definizione.
Si guardarono un po’ negli occhi e fu lì che, delicatamente, Denis posò le sue labbra su quelle di Oliver. Così, senza impegno, senza passione, un bacino casto e appena accennato, quasi infantile, eppure così carico di significato. Carico di lotterò per te. Non sei solo in questa guerra. Non ti abbandonerò. Combatteremo fianco a fianco. Siamo compagni d’armi, ragazzo inglese.
Oliver arrossì selvaggiamente e boccheggiò appena.
No.
Un bacio.
No.
Cosa.
-Aehm … io … no … ah …
Denis si ritrasse da lui di colpo, spalancando gli occhi.
-Oddio, ho frainteso?! Non eri interessato? Oli, scusami, oh blin, bozhe moy, non volevo …
-No!- strillò Oliver.
Era in panico. Cosa doveva fare? Denis lo aveva baciato. Non era quello che desiderava? Certo, dannazione. Ma era in crisi lo stesso. Cosa doveva fare? Oddio. Oli, ragiona. Cazzo, Griffiths, fai qualcosa!
Lo baciò di nuovo, afferrandolo malamente per la collottola e trascinandolo in un bacio appiccicoso, facendo scontrare i nasi e le fronti, un bacio da quattordicenni impacciati eppure così tenero, così vero, così reale da fare male.
-Okay, questo è davvero imbarazzante.- commentò ridendo Denis quando si furono staccati, coi menti sbavati e i capelli arruffati .
-Scusami. Sono un disastro.- balbettò Oliver, affondando il viso tra le mani – Non sono nemmeno capace di … oh, al diavolo …
-Oli, non è così. Va benissimo.- Denis gli accarezzò la schiena e gli poggiò la testa su una spalla – E’ stato tutto così tenero. Come nei film.
-Nei film non ci sono ragazzi autolesionisti imbranati come me.
-Nei film non ci sono ragazzi speciali come te.
Si guardarono, e Denis rise di nuovo, forte, gettando indietro la testa e stringendo ancora Oliver a sé. Oliver, dal canto suo, non sapeva come sentirsi. Troppe emozioni concentrate in troppo poco tempo, troppe scoperte, troppo Denis, troppo tutto. Però si sentiva vivo, vivo come non si era mai sentito in vita sua. Vivo da morire perché aveva baciato il ragazzo più bello che avesse mai visto, vivo perché non aveva ancora preso lo Xanax, vivo perché stava parlando senza balbettare, vivo perché qualcuno gli aveva promesso che non sarebbe collassato da solo nella lotta contro le lamette che lo aspettavano a casa. Vivo e basta, e dio solo sapeva quanto era che non si sentiva così bene con sé stesso.
-Ci riproviamo?
-Va bene.
Si sorrisero, e si baciarono per la terza volta. Con calma, delicatezza, dolcezza, finalmente senza sbavare, posarono di nuovo le labbra le une sulle altre. Fu un bacio lungo, tenero, affettuoso e Oliver sentì di nuovo le lacrime premere per uscire. Ma questa volta le soffocò, stringendo la maglietta di Denis tra le mani. Doveva solamente aggrapparsi disperatamente a quel ragazzo e forse, forse ne sarebbe uscito vivo.
Doveva imparare a lottare.
Doveva imparare a vivere.
E finché avrebbe avuto Denis al suo fianco, sapeva di essere pronto a farlo.
 
  
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