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Autore: Kim WinterNight    15/06/2019    11 recensioni
Il campanello suonò e io corsi ad aprire. Mio padre se ne stava in piedi sul pianerottolo, una bottiglia di vino in mano e il viso stanco e sciupato illuminato appena da un sorriso.
Si infilò nel mio appartamento e io richiusi l’uscio, per poi battergli sulla spalla. «Ciao. Ti vedo provato. Molto lavoro?» esordii.
«Già, al cantiere ci stanno uccidendo» ammise, avviandosi in salotto. «Mi hai detto che c’è anche Joe, giusto?»
«Sono qui, Harry!» esclamò il mio ragazzo, ancora seduto sulla poltrona in velluto rosso.

- QUARTA CLASSIFICATA al contest "OUT & PROUD" indetto da Nuel2 sul forum di EFP.
Genere: Fluff, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
- Questa storia fa parte della serie 'Martin&Joe'
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I’m proud of you
 

 
 
 
 
 
 
«Martin?»
La voce di Joe provenne dal salotto, sovrastata dal volume del televisore che era leggermente più alto del solito.
Comparvi in fretta sulla soglia e lo osservai: era seduto sulla sua poltrona preferita, ricoperta di velluto rosso, e teneva il viso leggermente inclinato di lato, gli occhi bassi e le orecchie tese. I suoi capelli ricci e ribelli circondavano quel delizioso viso dai lineamenti delicati, attraversato da una smorfia concentrata.
Era una posizione che assumeva sempre quando ascoltava qualcosa di particolarmente interessante.
Lo raggiunsi e mi inginocchiai accanto a lui, poggiando gli avambracci sulle sue ginocchia. «Che succede?» lo interrogai con curiosità.
«Stanno trasmettendo una parata in tv.» Abbassò il viso, come se stesse cercando il mio sguardo, anche se sapeva che non sarebbe successo. «E non fare quella faccia. È per quelli come noi.»
Sapeva sempre leggermi dentro, anche se era cieco. Mi ritrovai a sorridere appena. «Quelli come noi? Cosa significa?»
Si strinse nelle spalle e fece scorrere distrattamente le dita sul mio braccio, provocandomi un profondo brivido. «Be’…» farfugliò.
Sollevai le mani e afferrai il suo viso, in modo da poterlo osservare meglio. Le sue iridi chiare e vuote non mi spaventavano, non avevo mai avuto timore di guardarle. La sua pelle liscia e delicata era leggermente arrossata per l’imbarazzo, e io trovavo che il mio Joe in quel momento fosse ancora più bello.
«Io e te siamo innamorati, e sì, siamo omosessuali. È questo che ti vergogni tanto di dire?» chiesi con schiettezza.
Mi resi conto che stava cercando di ritrarsi, era chiaro che sentisse il mio sguardo pungente addosso, ma io non volevo permetterglielo.
«Martin, io… non mi vergogno di te. Altrimenti non sarei qui» spiegò, la voce incrinata a causa di miliardi di emozioni.
Lanciai un’occhiata all’orologio da parete. «Mio padre sarà qui tra un quarto d’ora. È meglio che vada a finire di preparare l’insalata» gli dissi e feci per alzarmi.
Joe mi trattenne per le braccia, era forte e decisa la sua presa. «Martin, io… non volevo dire che… cazzo, non mi vergogno di te!» ripeté con disperazione, trascinandomi su di sé.
Caddi scompostamente sulla poltrona e temetti di schiacciarlo con il mio peso, ma Joe non mi diede il tempo di cambiare posizione e divorò le mie labbra con un bacio passionale e vorace.
Quando mi scostai da lui, avevo il fiato corto e tenevo il suo corpo magro stretto tra le braccia. «Ho capito» mormorai, carezzando piano la sua guancia liscia.
«Altrimenti non avrei accettato di dire tutto a tuo padreۘ» aggiunse il mio ragazzo, le mani a tracciare il profilo dei miei muscoli nascosti sotto la t-shirt.
«Non voglio più sentirti dire quelli come noi. Abbiamo un nome, una definizione. Io sono gay, Joe, e ti amo» ammisi, accostandomi nuovamente per baciarlo a fior di labbra.
Avevo quasi dimenticato che dal televisore provenivano i suoni della manifestazione. Mi misi nuovamente in piedi e feci scorrere le dita tra i ricci del mio uomo. «Il prossimo anno ti porterò alla parata» dissi.
Joe sollevò il capo e mi rivolse un sorriso. «Sarebbe bello.»
«Allora lo faremo» decisi, per poi avviarmi verso la cucina e lasciarlo sulla poltrona.
 
Il campanello suonò e io corsi ad aprire. Mio padre se ne stava in piedi sul pianerottolo, una bottiglia di vino in mano e il viso stanco e sciupato illuminato appena da un sorriso.
Si infilò nel mio appartamento e io richiusi l’uscio, per poi battergli sulla spalla. «Ciao. Ti vedo provato. Molto lavoro?» esordii.
«Già, al cantiere ci stanno uccidendo» ammise, avviandosi in salotto. «Mi hai detto che c’è anche Joe, giusto?»
«Sono qui, Harry!» esclamò il mio ragazzo, ancora seduto sulla poltrona in velluto rosso.
Quando entrammo nella stanza, si alzò e si voltò nella direzione in cui sapeva trovarsi la porta.
«Ciao, ragazzo» lo salutò mio padre, accostandosi a lui e stringendogli la mano.
Sospirai e decisi che dovevo dirgli la verità, subito. Il mio vecchio sapeva che io e Joe eravamo amici, era contento che io mi prendessi a cuore quel “povero ragazzo cieco”, come ogni tanto lo definiva. Ma c’era di più e io ero stanco di nascondermi.
Mi affiancai a Joe e lo trassi a me, cingendogli la vita con un braccio. «Papà.» La mia voce era stranamente ferma. «Devo confessarti una cosa importante.»
Mio padre ci fissava in silenzio, spaesato. Forse non si aspettava un contatto fisico di una tale entità tra noi, ma se ne sarebbe dovuto fare una ragione.
«Joe e io stiamo insieme. Come una coppia.» Non appena finii di parlare, avvertii il corpo del mio ragazzo irrigidirsi contro il mio e d’istinto lo tenni più stretto.
In sottofondo soltanto i rumori della parata trasmessa alla tv.
«Che cosa?» si lasciò sfuggire il mio genitore. Improvvisamente i suoi capelli parvero più grigi, i suoi occhi più stanchi e le sue occhiaie più profonde.
«So che non è facile da accettare, ma ero stanco di nascondere i miei sentimenti» chiarii.
Mio padre annuì e andò a sedersi sul divano, lasciandosi cadere come un sacco vuoto. Non parlò, tenne gli occhi bassi e le mani strette alla bottiglia di vino che ancora non aveva posato.
«Non dici niente?» insistetti.
Joe tremava visibilmente tra le mie braccia, il viso affondato tra le mani.
Mio padre si schiarì la gola e parlò senza guardarci: «Pensavo che fosse solo un mio problema, speravo che per te la vita sarebbe stata più facile».
Non capivo, ma non osai interromperlo.
D’improvviso sollevò il capo e mi fissò. «Anche io sono gay. Ma non ho mai tradito tua madre.»
Lasciai andare Joe e barcollai verso il divano, per poi gettarmi letteralmente su mio padre e abbracciarlo forte.
«Ma tu sei forte, figliolo. E Joe è una brava persona» proseguì, battendomi imbarazzato sulla schiena.
Sentivo il cuore pieno di emozioni contrastanti, ma la felicità vinceva su tutte. Mi sentivo compreso, amato.
«Sono fiero di te» sussurrò mio padre.
Joe ci raggiunse e tutti e tre ci stringemmo in un abbraccio infinito.
 
 
 
 
 
 
 
 
[1000 parole]
 
 
 
 
 
 
Ciao a tutti ^^
Oggi vi propongo una piccola shot con protagonisti i miei OC Martin e Joe; stavolta ho deciso di dare la parola a Martin e di far raccontare a lui questa piccola scena! Finora avevamo sempre visto tutto tramite le sensazioni di Joe, ma oggi volevo dar spazio al suo amato Martin.
Questo perché ci tenevo a dire qualcosa in più su di lui, spero abbiate apprezzato!
La storia è nata grazie al contest OUT & PROUD e devo dire che sono felicissima di aver scritto queste poche parole, lasciandomi ancora una volta trasportare da questi due dolcissimi ragazzi :3
Che ve ne pare? Vi aspettavate la confessione del padre di Martin? Per una volta volevo che un genitore fosse fiero di suo figlio, volevo che lo comprendesse fino in fondo, visto che i coming out di solito scatenano o reazioni super negative, o un’accettazione con però poca comprensione da parte dei genitori!
Ringrazio ancora Nuel2 per avermi ispirato con questo contest, e chiunque si fermerà a leggere e/o recensire questo piccolo racconto!
Alla prossima ♥
  
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