Storie originali > Generale
Segui la storia  |       
Autore: jakefan    16/06/2019    2 recensioni
Cos’hanno in comune Heath e Buck, il suo cane? Molte cose: entrambi sono giovani, pieni di energia e vivono sul confine tra due mondi. Buck è per metà lupo, Heath appartiene alla riserva Lakota e anche al mondo «di fuori», bianco e tecnologico. Ma c’è di più, anche se i due non lo sanno: un’eredità sconvolgente sepolta dentro a ricordi lontani.
Quando il richiamo della vita adulta diventa perentorio, per entrambi si prospettano scelte difficili, rivelazioni e incontri che cambieranno loro la vita.
E la scoperta di un terzo mondo nascosto, governato dalla magia che permea tutte le cose.
Ho ucciso sua madre. E' mio.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
5.
 


– Questa vale come i fiori, Riv. Come cinque mazzi di fiori.
– Si chiama bouquet, animale. Cioè che cosa, esattamente, varrebbe come il bouquet?
– Che non sono ancora scappato.
Due passi oltre la soglia della palestra, dove era stata allestita la festa, Heath aveva già una gran voglia di darsela a gambe. Un’occhiataccia di Rivkah lo inchiodò sul posto: dopo la faccenda del bouquet era già abbastanza incavolata. Avrebbe dovuto portarle dei fiori, così sembrava, ma Neena non gliel’aveva ricordato, come faceva di solito con questo genere di cose. Così la scena da film, quella in cui lei scende dalla scala con l’abito da sera e lui l’aspetta con gli occhi a stella, era finita malissimo. Con un “Muoviti, cretino” e una porta quasi sbattuta sul naso.
– Howakhan è molto più dinamico di te, Heath. Sei preoccupante.
– Io? Io non sono dinamico? Sono salito tre volte alla Cresta dell’Orso, la settimana scorsa!
Rivkah era già scomparsa, fagocitata dalla folla. Il suo vestito rosso non si vedeva più e poi comunque, sotto le luci strobo, chissà di che colore sarebbe diventato. Heath si appoggiò al muro esterno, proprio accanto all’ingresso, e allentò la cravatta. Qualcuno aveva ricoperto di alluminio la doppia porta della palestra. Completamente ricoperta. Di alluminio. Quanti rotoli ce n’erano voluti? Ma soprattutto: chi si era messo a fare quel lavoro? Qualcuno che non aveva un cazzo da fare, ovvio.
Dentro, la musica non era male ma era troppo alta. C’era proprio tutto: al posto del campo da basket, delle pertiche e dell’altra roba da ginnastica era sorta una discoteca all’ultimo grido, con tanto di palle girevoli, casse gigantesche, cubi e un palco. Che apparivano di tanto in tanto dietro al groviglio di corpi neri e argento, che si contorcevano ad ogni botta dei bassi.
Non ti sai divertire.
Rivkah gliel’aveva ripetuto un giorno sì e l’altro anche, negli ultimi tre mesi. Non era vero. Lui si divertiva un sacco e la sua vita gli stava molto bene così com’era. Che poi era la ragione per cui, fosse dipeso da lui, non avrebbe mai mandato tutti quei moduli e quelle lettere ai college; l’aveva fatto solo perché sua madre non gli dava pace e perché gli dispiaceva per lei e papà. Perché, per qualche ragione, doveva farlo e basta. Perché oltre a lui non c’erano molti altri, da quelle parti, che avrebbero potuto permettersi l’università.
Era nei guai. Le creature sulla pista gli ricordavano un groviglio di serpenti, come quelli che aveva fatto fuori un giorno assieme a suo padre. Heath si guardò attorno preoccupato: ci mancava solo che qualcuno intuisse i suoi pensieri.
Rivkha. Rivkha, accidenti. Lei lo leggeva come avesse avuto un display sulla fronte.
Una mano fresca lo toccò proprio dove scorrevano i pensieri fastidiosi e Rivkah si materializzò accanto a lui, il vestito più rosso che mai, la bocca in tinta. Era stato perdonato?
– Che faccia disgustata. Non stai bene?
– Sto benissimo. Solo mi sento…
Difficile spiegarsi senza sembrare antipatico. Anti-sociale. Anti…
– Ehi, Riley!
Ecco, appunto. Adesso la serata era perfetta.
– Ti diverti, Donovan?
Heath Riley e Mick Donovan avrebbero potuto detestarsi, perché – a parte la pelle rossa – non avevano praticamente niente in comune. Oppure avrebbero potuto essere grandi amici esattamente per lo stesso motivo, perché non si sarebbero mai pestati i piedi a vicenda. Da quando Heath era in grado di ricordarlo, a quel grosso cretino piacevano tutte le cose di cui a lui non fregava niente.Tranne una. Che poi era la ragione per cui avevano finito per odiarsi senza mezze misure: Rivkah.
Donovan era rosso in viso, gli occhi lucidi, le pupille larghe come piattini da caffè. Si fece sotto e una zaffata di alito alcolico investì l’olfatto di Heath. Dietro di lui, due tizi mai visti prima si godevano la scena. Non avrebbero dovuto essere lì, ma il capitano della squadra di football si portava dietro chi voleva e nessuno gli diceva niente.
– Mi diverto, Riley. Mi divertirei di più se… Senti, non mi fai fare un giro con la tua ragazza? Tanto lo sanno tutti che voi due non siete davvero…
Non finì nemmeno la frase e non cadde a terra, perché i due coglioni che gli guardavano le spalle lo tennero su. Cominciò solo a sanguinare vistosamente dal labbro superiore. Rivkah gli si parò davanti e Heath realizzò che un paio di tizi lo tenevano fermo; qualcuno ridacchiava e alcune ragazze, intorno, si coprivano la bocca con le mani. Poi la musica coprì tutto. Quando Rivkah lo trascinò fuori, Heath non fece resistenza.
I primi ubriachi vomitavano sul prato dietro alla palestra, appena fuori dalla bolla di luci stroboscopiche e hunz hunz hunz. Qualche coppia era già avvinghiata negli angoli bui. Heath immaginò le lingue, le gonne che si alzavano, le mani dappertutto e gli venne voglia di scappare. Dio, ma che gli stava succedendo?
La mano gli faceva male. Qualcuno diceva che faceva paura, a volte, così alto, con i capelli lunghi e la faccia incazzosa, ma Heath non aveva mai fatto a botte con nessuno. Era anche vero che nessuno aveva mai detto quelle cose di lui e Rivkah.
Non così chiaramente.
– Non ci sarai rimasta male per quell’idiota, vero?
– Donovan cerca di uscire con me da… Non so, da quando eravamo all’asilo? Piuttosto che dargliela me la cucio.
– Riv! Ma come cavolo parli?
– Cosa ci posso fare, è la verità.
La mano peggiorava. Una nocca era spellata e sanguinante; doveva aver centrato uno degli incisivi dello scimmione. Rivkah gli tamponava il sangue con un Kleenex, ed era così vicina che, chinandosi su di lei, Heath vedeva bene tutto. Non si toccavano, in quel momento, ma era anche peggio. Il calore di lei bruciava più della ferita. La sua ragazza aveva scelto un abito corto, con un intreccio di bretelle sulla schiena, casto a sufficienza per il ballo di fine anno ma non abbastanza perché lui riuscisse a starsene buono. A quella distanza, l’odore di lei gli entrava nei pori e non si trattava del profumo, dello shampoo al cocco o della crema sulla pelle morbida delle mani. Era lei. Era Rivkah.
Nessuno badava a loro, sul prato della palestra. Heath spinse Rivkah verso un angolo d’ombra, la chiuse tra il muro e il proprio corpo e le infilò una mano sotto la spallina, che fece scorrere veloce giù, fino al braccio. Un seno si scoprì e lui vi accostò la bocca; voleva il capezzolo ma non ci arrivava e allora si accontentò di mordere piano, e di prendere con le labbra tutto quel che poteva. Rivkah gemette.
Basta con le stronzate. Fine della festa.
Si staccò da lei, le raddrizzò la spallina, poi la prese per mano e si avviarono al parcheggio. Si infilarono in macchina ma, separati per un attimo, si ritrovarono subito e Heath guidò con una mano sola. Avevano qualcosa di meglio dei sedili posteriori, per quel che stava per accadere.
Non c’era niente che non avessero provato. Giocavano, come cuccioli che si mordono e rotolano nella polvere o nell’erba, in una pozza d’acqua o nel sole, dimentichi dell’universo intero esclusi la pelle e la bocca dell’altro. Mordevano, succhiavano, assaggiavano come fossero soli sul pianeta, dopo la fine del mondo; non c’era ieri né domani, e niente sarebbe più venuto dopo di loro.
Nella rimessa, con le luci spente, ora guardavano il tetto di travi che si stendeva come un cielo nero sopra di loro. Le pelli sudate si raffreddavano; Heath allungò il braccio, pesante come nel sonno profondo, raccolse la coperta e coprì entrambi. Poi, le spalle distese, si preparò per accogliervi l’amica.
Rivkah non si mosse.
Il ragazzo pensò che fosse inerzia, il corpo che rimaneva sprofondato in sé, completamente sazio. L’attirò con le braccia ma la sentì resistere all’invito, come una porta chiusa o una finestra che, inesorabile, si oppone al vento.
– Non sei comoda?
– Sto bene qui. Grazie.
Heath si ritrasse. Avere lei addosso, sentire dove gli aderiva, dopo, con la pelle liscia delle gambe o quella umida del sesso, era parte di quello che loro due erano. Della lotta di poco prima restava solo cenere, e il sudore sapeva di una lunga stanchezza.
– Ti ho fatto qualcosa? Forse sono stato troppo…
– Sei stato perfetto. Anche meglio del solito.
Heath si mise a sedere. La coperta scivolò e lo lasciònudo.
– Che cavolo c’è? Dillo e basta.
Avevano cominciato un giorno per caso, con una risata. Avevano dodici anni, forse tredici ma non più di così. “Devo baciare Michael Donovan domani dopo la scuola e non so come si fa, sai, quella cosa della lingua”. “Puoi provare con me.” “Perché, tu lo sai?” Sì che lo sapeva. Gliel’aveva spiegato un’amica di Neena, così “non avrebbe fatto brutta figura con la sua prima ragazza”. Solo teoria, niente pratica. Perché lui era scappato via, e l’idea gli aveva fatto anche un po’ schifo. Ma con Rivkah era un’altra cosa: era sua amica e la sorella di Jaime e non è che fossero proprio cresciuti insieme ma ci mancava poco, e non poteva lasciarla nei guai. Per dirla tutta si sentiva un po’ strano quando la guardava, soprattutto da quando le erano cresciute le tette, ma Riv faceva parte della vita di Heath come la madre e il padre, la casa, la sua stanza e altre cose belle. E allora per tutte quelle ragioni insieme l’avrebbe aiutata volentieri.
Doveva essere stato bravo, perché poi il giorno dopo lei aveva baciato Donovan ma non le era piaciuto per niente, anzi gli aveva detto che faceva schifo. Era molto più bello con lui, gli aveva detto. Poteva baciarlo ancora? Heath non aveva avuto niente in contrario. Solo non voleva saperne di avere una ragazza: gli sembrava troppo presto, troppo strano, troppo tutto. Ma questo non c’entrava e l’avrebbe baciata ogni volta che voleva, se lei voleva. Così le aveva detto.
Un giorno — non ricordava bene quanto tempo dopo —lei glielo aveva preso in mano. Lui si era sentito tipo morire di vergogna ma mica poteva tirarsi indietro e l’aveva lasciata fare. Poi era esploso e si vergognava come un pazzo, lì con il pisello di fuori e i pantaloni sporchi, che se si fosse aperta la terra e fosse sprofondato avrebbe gridato per la gioia e invece era rimasto lì come un cretino, la faccia rossa e non sapeva più dove guardare. Ma lei non l’aveva lasciato solo in quel modo: l’aveva baciato come gli piaceva, come ormai sapeva, e un attimo dopo gli aveva preso la mano e se l’era messa in mezzo alle gambe ed era successa un’altra cosa spaventosa e dopo Rivkah stava esattamente come lui: in quell’angolo buio, con tutto quanto esposto all’aria e i pantaloni bagnati di non si sapeva bene cosa. E così erano pari.
Insomma, avevano fatto sesso. Si chiamava così. Era molto meglio di come lo spiegavano a scuola, anche se era imbarazzante. Imbarazzante da morire. Meno male che era Rivkah, e che ormai erano pari.
Da quel giorno era stato sempre meglio.
Tutto il resto l’avevano imparato insieme. Non l’avevano detto a nessuno, per un po’. Non si erano nemmeno messi d’accordo, era stato istinto. La sensazione di qualcosa che non andava ma che volevano lo stesso, e col cavolo che avrebbero rinunciato, e quindi stavano zitti e lo facevano di nascosto perché Neena e Deanna Hamilton, la madre di Rivkah, sarebbero state troppo da affrontare tutt’e due insieme. E poi era passato il tempo e non c’era stato più bisogno di dire niente, erano diventati grandi, e lo sapevano tutti quello che facevano. Alcuni dicevano anche che erano una bella coppia. Heath si sentiva fortunato perché se ne poteva fregare di tutte quelle stronzate tipo cosafaidomani vuoiuscireconme primobacio ribaltaisedili, perché lui aveva Rivkah, per quelle cose.
Tutto era perfetto, così perfetto da non crederci. Per questo, aveva concluso, sarebbe durato in eterno. Perché era perfetto.
– Riv. Tra un’ora sarà l’alba. Dovremmo…
Forse non l’aveva sentito; temeva si fosse riaddormentata, perché non aveva risposto alla sua domanda, né aveva più parlato. Il respiro era costante, solo lievemente più rapido di quando si dorme un sonno tranquillo. Le sfiorò la punta di un seno scuro; nella notte lui lo vedeva, lo sentiva, attratto dal calore come certi insetti dalle ali lucide, che entrano in casa alla fine dell’estate, per non morire. Un fremito percorse entrambi; allora Heath le girò il viso verso di sé, per baciarla. La agganciò con le gambe e si sollevò su di lei, per ricominciare.
Ma le sue dita sfiorarono le guance, ed erano bagnate.
– Heath. Heath.
– Perché piangi? Ehi, stai male?
– Sei davvero un idiota.
– Sono…
Rivkah si sollevò su un gomito.
– Questa era l’ultima volta.
– Cosa, era l’ultima volta?
Rivkah non rispose.
– Ma che diavolo… Possiamo farlo ogni volta che vogliamo. Quando tornerai qui per le vacanze, da Auckland. Ci rifaremo, vedrai.
La risata di Rivkah era amara e non copriva il suono desolato, sfacciato, delle lacrime che ancora scorrevano; lui le sentiva come esplodessero, un fragore nel buio. Anche se lei, ora di spalle, si rivestiva, infilava le scarpe, cercava qualcosa in terra e, abile come in pieno giorno, chiudeva da sola la lampo del vestito rosso. I capelli scuri e rigogliosi scendevano fino al sedere rotondo, e ondeggiavano sulle gambe snelle e forti di ragazza sana cresciuta in montagna.
La sua amica, la sua dea. La prima donna della sua vita. Ogni uomo ha la sua dea, diceva il vecchio Howakhan. Aveva ragione. Rivkah era la sua.
– Non cercarmi più.
– Eh? Che cavolo stai dicendo?
Erano venuti con l’auto della madre di lei, così Heath non osò fare niente. La lasciò andare. Ma si infilò di corsa i pantaloni e uscì davanti alla rimessa. Buck alzò la testa, prima verso la ragazza e poi verso di lui, e i suoi occhi fedeli lanciarono una domanda. Entrambi guardarono l’amica andare via, quieti e disperati e, dopo, Heath rimase a fissare il punto della strada dove si erano dileguate le luci posteriori.
La notte diventava alba e il giovane uomo spiò il sorgere del sole in piedi, in attesa, incerto sul da farsi.
   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: jakefan