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Autore: irYsblackeyes    17/06/2019    0 recensioni
Quando credi di essere un individuo potente, perfetto, che riesce a controllare tutto e tutti, ti senti un Dio.
Pensi di poter manipolare le menti delle persone, di poter giocare con coloro che per natura possiedono un carattere fragile e buono.
Con il passare del tempo però ti accorgi che ciò che hai e ciò che fai non ti bastano più. Cerchi di più, ma più in là di così non puoi andare e di conseguenza, riversi tutta la tua cattiveria e la tua incapacità di accontentarti, sulle persone più deboli di te.
Ma se anche questo, ad un certo punto, non ti bastasse più?
Ti affidi alla droga più potente che riesca annebbiare i tuoi sensi pur di non doverti fermare a pensare a ciò che sei diventato.
Ma cosa succede ancora, se il tuo modo di vivere di colpo ti scaraventa nel mondo "reale" e ti porta quindi a confrontarti con i comuni esseri umani?
Cosa succede se da "Dio" quale eri, per motivi non decisi da te, ti ritrovi a diventare un comune mortale?
E cosa succede se l' unica persona che in qualche modo può aiutarti a galleggiare è la stessa persona che ha subito abusi e
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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Vengo destato di soprassalto da un assordante strombettio.

Mi siedo sul letto afferrandomi la testa. Ho un conato di vomito. Come al solito, anche ieri sera ho bevuto troppo.

Il reflusso di alcool e succhi gastrici risale nel mio esofago corrodendone le pareti e riempiendo la mia bocca di un sapore acido. Tiro un forte respiro per cercare di ossigenare quel poco che rimane delle mie cellule cerebrali, scalcio via la coperta e distendo gambe e braccia. Lo strombettio che mi ha svegliato mi comunica che è mattino, che è l'ora dell'appello e che sono di nuovo in ritardo. Sto talmente male che quasi mi viene voglia di darmi per malato ma questa volta non posso. Sarebbe già la quarta in due settimane e stranamente nessuna epidemia ha ancora intaccato questo blocco del campo. Nemmeno i pidocchi sono arrivati. Credo.

E' una giornata bellissima e nonostante sia da poco iniziata la primavera, fa davvero caldo. Come se fosse estate. Il sole e l'aria frizzante del mattino mi aiuteranno a smaltire la sbornia.

Mi guardo allo specchio deluso e schifato di me stesso. Sono spettinato, i miei capelli non hanno ne arte ne parte, ho la barba ispida e sfatta, le sopracciglia folte e più spettinate della mia chioma, rughe profonde mi solcano il volto quadrato. Ho quarantaquattro anni ma ne dimostro dieci di più. Sono quindici anni che bevo.

Il sole del mattino mi brucia le retine. La visiera del cappello non mi protegge da questa strana luce. Con una mano davanti agli occhi mi dirigo verso il luogo dell'appello. La nausea ancora non mi è passata del tutto.

-Sei in ritardo Meier, non posso vivere coprendoti!-

-Perdonami Koch- sussurro guardando dritto innanzi a me.

-Devi smetterla di ubriacarti da fare schifo, tutte le sere. Stai mettendo in gioco non solo il tuo lavoro ma anche la tua salute-

Con le braccia dietro la schiena, io e Herrman Koch iniziamo a marciare percorrendo da nord a sud la fila di prigioniere immobili come statue al nostro cospetto. Sono tutte uguali. Uomini e donne potrebbero mischiarsi che sarebbe difficile distinguerli. Sono tutti denutriti, alcuni rasati ed alcuni con ancora i capelli seppure molto corti. Le donne non hanno più il seno talmente sono magre. Sono tutti alieni androgini e grigi.

Mi fanno pena, e rabbia per il fatto che mi fanno pena. All'inizio provavano molta paura nei miei confronti; mi bastava uno sguardo e si scioglievano come neve al sole. Ora più che paura sembra abbiano solo rispetto per me. Mi sono "addolcito" in questi anni, complici l'alcool, la vecchiaia e dei sensi di colpa che non so da dove arrivino che non riesco a scacciare. Forse il passare del tempo mi sta piano piano avvicinando alla resa dei conti con Dio. Forse è questa consapevolezza che crea codesta mia terribile battaglia interiore. Ma perché mi preoccupo così tanto? Dio sa che non voglio diventare un angelo.

Ho bisogno di sfogarmi, di arrabbiarmi con qualcuno, di esorcizzare questa briciola buona nascosta in un angolino del mio cuore; esso deve tornare nero e spaventoso come i miei occhi.

Arthur Sneider mi ha comunicato che da oggi dovrò scortare una prigioniera alle cucine. A lui è stata affidata un'altra mansione. Lo invidio parecchio perché mi ricorda quello che ero un tempo: forte ed ambizioso credevo fermamente in un mondo migliore con al comando il Fuhrer. Sacrilegio dirlo ma da un po' di tempo a questa parte, credo fermamente di essere fra le mani di un pazzo. Questi pensieri però preferisco tenerli per me. Sono terribilmente incoerente. Ritengo la mia guida un individuo instabile ma lavoro fermamente per lui uccidendo esseri umani come me.

Però purtroppo devo guardare in faccia alla realtà che mi sbatte in faccia ogni giorno tutto ciò che sono: un uomo solo che non ha altro che il suo lavoro, nient'altro che questo.

Qualcosa mi urta il braccio e mi desta bruscamente dai pensieri. Volgo lo sguardo, rabbioso, verso la fonte di disturbo notando la figura smunta e spaventata di una ragazzina poco più che vent'enne. Intuisco che si deve trattare della persona che devo scortare alle cucine.

-E' lei?- chiedo alla Kapo pulendomi la divisa contaminata dalla polvere che la ragazza stessa si porta addosso.

-Sì, è lei- mi risponde secca.

Mi affascina la figura delle "Kapò". Nei loro occhi leggo una malsana soddisfazione nel torturare le loro stesse compagne. Generalmente sono triangoli neri, donne ribelli e problematiche già di loro: asociali. Riescono egregiamente a mantenere la disciplina fra le prigioniere e noi soldati ci affidiamo quasi ciecamente a loro. Mangiano, bevono dormono e si lavano quasi come delle persone normali. Sono disposte a qualsiasi cosa pur di avere in mano del pane, dell' alcool o delle sigarette, sono facilmente corruttibili e fanno volentieri la spia per apparire dinnanzi a noi ed ottenere quindi da parte nostra, favori di ogni tipo.

Non si direbbe ma anche a noi soldati piace "divertirci". La regola fondamentale qui dentro è: MAI MISCHIARSI CON UNA STELLA GIALLA.

Osservo con attenzione la piccola prigioniera dinnanzi a me e la prima cosa che noto è il suo triangolo giallo. Di rimando, le volto immediatamente le spalle e inizio a falcare il terreno a grandi passi dirigendomi verso le cucine. Con la coda dell'occhio vedo che fatica a starmi dietro; inciampa goffa cercando di mantenere il mio passo. Inizio quindi a camminare ancora più velocemente.

Finalmente arriviamo, ma lei sembra non accorgersi. E' persa in un mondo tutto suo. Ferma davanti alla porta mi guarda stranita soffermandosi sul mio profilo per qualche secondo.

Le sue iridi sono nere quanto le mie e rimango per un attimo impressionato di come quegli occhi risultino persi, grigi, vuoti, vuoti come lo è il suo volto, scavato ormai dalla fame e dalla sofferenza. Ha i capelli corti, scuri, spettinati e sporchi di sabbia. Due labbra sottili e aride mi fanno capire che è da più di ventiquattro ore che non beve acqua. Sembra un fantasma. Non appena metti piede nel campo, esso ti trasforma in un mostro. Trasforma tutti. Sia noi che loro.

Con un cenno della testa la invito ad entrare. Il suo sguardo perso e la sua andatura molle mi indispongono parecchio anche se mi fanno però capire che questa creatura, mai, oserebbe disobbedire a qualsiasi ordine le venga dato.

Il mio compito infatti sarebbe quello di controllarla secondo per secondo: dovrei appurare che, nello svuotare i piatti, non nasconda nella divisa avanzi di cibo per lei e per le sue compagne.

-Sai cosa devi fare, e meglio ancora sai cosa non devi fare-

Annuisce con un cenno del capo ed io quindi, mi sento libero di potermi distrarre un pò.

Generalmente dopo pranzo mi fermo a bivaccare con i colleghi, dopodiché torno a riprenderla per portarla al suo blocco. Quando entro in cucina con in mano la sua porzione giornaliera di brodo, lei ha già finito le sue faccende. Mi aspetta seduta a capotavola con le mani sulle ginocchia e lo sguardo fisso dinnanzi a sè. Mi chiedo come un uccellino spennato e spaventato come lei, stia riuscendo a sopravvivere in questo covo di predatori rapaci e portatori di malattie. 

   
 
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