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Autore: PrincessintheNorth    17/06/2019    1 recensioni
Nuova edizione della mia precedente fanfic "Family", migliorata ed ampliata!
Sono passati tre anni dalla caduta di Galbatorix.
Murtagh é andato via, a Nord, dove ha messo su famiglia.
Ma una chiamata da Eragon, suo fratello, lo farà tornare indietro ...
"- Cosa c’è?
Deglutì nervosamente. – Ho … ho bisogno di un favore. Cioè, in realtà non proprio, ma …
-O sai cosa dire o me ne vado.
- Devi tornare a Ilirea."
Se vi ho incuriositi passate a leggere!
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Morzan, Murtagh, Nuovo Personaggio, Selena | Coppie: Selena/Morzan
Note: OOC | Avvertimenti: nessuno
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MURTAGH
 
Quella non era stata una giornata molto facile, tra il processo, ormai concluso, gli insulti a Katie, quella tremenda frecciatina su George, la sua disperazione e il successivo ed inspiegabile sclero di mia madre, che su Kate ovviamente aveva detto cose ben più cattive e spregevoli di quelle che si sentivano nelle locande.
Non lo ha mai perso, quel bambino.
Quella, tra tutte le frasi e gli insulti che aveva detto, mi era rimasta in mente più delle altre. Forse si sentiva in diritto di dire certe cose perché non aveva visto me ed Eragon per vent’anni, ma non lo era. Lei aveva scelto di abbandonarci; Katie era stata minacciata con la vita di nostra nipote ed ingannata per assumere quella droga. Katie era quella che si svegliava praticamente ogni notte con gli incubi, quella che pur di non rivivere quei momenti cercava di non addormentarsi, non lei. Per me era stato forse più facile, non avendo vissuto direttamente quel momento, ma combattere con il senso di colpa per non averli saputi proteggere abbastanza era una battaglia che dovevo ancora vincere. L’unico sollievo era sapere che George era felice, ovunque fosse.
Lei non aveva alcun diritto di parlare. Non sapeva cosa volesse dire davvero perdere un figlio, essere consapevoli che non ritornerà mai più. Era una cosa completamente diversa vivere con la speranza di rivederlo invece che con la certezza di averlo perso una volta per tutte, con la certezza di non poterlo mai crescere e abbracciare, di non sentirti mai chiamare “papà” o “mamma”.
Belle aveva iniziato a piangere quando aveva sentito mia madre (di chiamarla “nonna”, in quel momento, non me la sentivo) parlare in quel modo della sua mamma: non avendo mai sentito un adulto urlare o usare certi toni si era spaventata, tanto più che ad urlare era una voce familiare.
Si era calmata solo quando Morzan era entrato in camera, piuttosto provato e sconvolto da quel torrente di pazzia che Selena era diventata. Inizialmente non era stato di molte parole, probabilmente era venuto lì per confortarmi, ma l’imbarazzo e il freddo tra di noi erano ancora piuttosto forti. “Non fare stupidaggini” aveva detto. “Questa cosa la gestisco io. E non te la prendere troppo, non è in sé adesso. Purtroppo non è posseduta”, aveva poi sospirato. “Non dire niente a Katie, nelle condizioni in cui è venire a conoscenza di questo contribuirebbe solo a farla incazzare di più e potrebbe fare qualcosa di poco assennato. Del genere, bruciare tutto.”
Successivamente aveva preso la bambina, così che potessi avere un po’ di tempo per calmarmi e ragionare.
Stranamente non avevo avuto alcun sentore di pericolo nel lasciargli Belle, nonostante i miei ricordi di lui nelle vesti di padre non fossero esattamente lusinghieri. Ad ogni modo, li avevo tenuti sott’occhio: erano andati nei giardini, restando a portata di vista, e Belle si era divertita un mondo. La sentivo ridere spensierata da iarde di distanza, e quella risata mi aveva, almeno per un po’, distratto da ogni rabbia.
Certo, il comportamento che poi Selena aveva tenuto a cena non aveva contribuito a rendermi più bendisposto nei suoi confronti.
Almeno la giornata sta finendo e domani andrà meglio, sospirai tra me e me.
Ovviamente le mie speranze vennero stroncate da BabyBelle, che si svegliò urlando e piangendo.
- Ti pareva … il risveglio delle nove e mezza, come sempre. – sospirai andando a prenderla. – Scommetto che hai fame.
- Mamma alla riscossa! – fece Katie, saltando fuori dalla porta del bagno, coperta (non molto) solo da un telo, come pronta a picchiare qualcuno. – Sconfiggiamo la fame!
- Allora c’è solo una persona che può sconfiggere la terribile ed enorme fame di BabyBelle.
La piccola, nel vedere la sua mamma, fece un enorme sorrisone e iniziò a sbracciarsi per andare da lei, venendo subito accontentata.
Con la nanetta in braccio, Katie si accoccolò sulla poltrona, dandole la cena.
- Andresti a prendermi qualcosa? – mormorò.
- Non hai mangiato, prima?
- È difficile farlo con una bambina che ti parla tutto il tempo, una che ti tira i capelli e ti mette le dita nel naso e una suocera che ti guarda male tutto il tempo. – osservò.
- Non stava guardando te. – mentii. Morzan aveva ragione, non era il caso che lei venisse a sapere anche di quello.
Un piccolo sorriso le spuntò in volto. – Sì, invece … e lo sai anche tu. Tranquillo, non so perché ce l’abbia con me e non ho intenzione di farne una questione importante. Sarà solo gelosa.
- Probabilmente. – meglio che si desse quella spiegazione invece della verità. – Allora vado a prenderti qualcosa. Qualche richiesta particolare?
- Se ci fosse del bacon sarebbe fantastico. – ammise divertita.
- E bacon sia …
Uscii e riuscii a trovare della pancetta nelle cucine, ma come sempre, non appena tornai in camera, quelle due si erano addormentate.
In tutto ciò, mi trovavo estremamente annoiato e con un piatto colmo di caldo bacon fragrante in mano.
- Non cederò. – mi ripromisi. – Non sono Katie. Tu non vincerai. – dissi al cibo. – Non cederò e non ingrasserò.
Morale della favola? Quel bacon era troppo, troppo invitante.
 
 
- Oh ma che bello … - mormorò Katie, svegliandosi il mattino dopo. – Questo profumo è veramente ciò che serviva.
Il bacon della sera prima mi aveva conquistato, sì, ma non mi aveva reso un idiota: una delle poche certezze che avevo nella vita, insieme agli orari di risveglio notturni di Belle, era che non bisognava rubare il cibo a Katie, ragion per cui avevo dato disposizioni di farci preparare, al mattino seguente, la colazione a letto.
Insieme al profumo della colazione una nota positiva fu l’assenza dei pianti disperati di Belle. Evidentemente quella mattina aveva deciso di dormire ancora un po’.
- Perché hai fatto preparare la colazione a letto? – chiese Kate dopo un po’, sgranocchiando una fetta di pancetta.
- Ieri sera ti sei addormentata e mi hai abbandonato con il tuo bacon, quindi l’ho mangiato. – ammisi. – Questa è l’ammenda.
- Ma non devi fare ammenda. – commentò. – Sarebbe stato un peccato lasciar lì tutta quella pancetta.
- Lo so, era fantastica.
- Ma sai qual è il problema? – fece.
- No.
- Questo è tutto cibo grasso. Con il caldo che fa qua mi verrà la pelle grassa. Quindi devo fare una maschera. – ridacchiò malevola.
- Devi proprio? – sbuffai.
- Certo. Non vorrai mica baciarmi con tutta la faccia che mi si unge e si squaglia.
- Fai tutte le maschere che vuoi. – le lasciai mano libera, dato che l’immagine che mi aveva proposto non era delle più gradevoli.
Sorrise, mandando giù l’ultima cucchiaiata di fagioli in salsa, e si alzò per andare verso la toeletta (l’avevo fatta portare lì la settimana prima, per le sue esigenze) così da farsi quella sua benedetta maschera.
A metà strada, si fermò verso la culla, probabilmente per fare una coccola alla bimba, che proprio in quel momento aveva iniziato a fare qualche versetto.
Fu in quel momento che accadde qualcosa di diverso. Il sorriso dolce che le stava spuntando in volto le si congelò sulle labbra e rimase immobile, impietrita davanti alla culla, stringendone il bordo con tanta forza che le si sbiancarono le nocche.
- Katie, che hai?
Nessuna risposta.
A quel punto mi alzai e mi avvicinai alla culla, ma nel vederla il cuore mi si fermò per un attimo.
Belle era lì, allegra e tranquilla, intenta a giocare con un suo piedino, ma accanto a lei il suo pupazzetto preferito era stato decapitato e trafitto con una freccia, a cui era attaccata una pergamena.
Non credete di essere al sicuro.
Con uno scatto, Kate prese la bimba in braccio, stringendola a sé e accarezzandole la schiena per calmarla, dato che per il gesto brusco si era messa a piangere.
- Sono loro che non saranno al sicuro. – decisi, strappando quella minaccia dalla freccia e bruciandola con una rapida magia.
- Certo, non appena brucerò tutta questa maledetta città non avremo più nulla di cui preoccuparci. – sibilò lei.
Non potei far altro che darle ragione.
Il tempo della ragionevolezza era finito molto tempo fa.
 



 
   
 
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