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Autore: heliodor    17/06/2019    1 recensioni
Joyce è nata senza poteri in un mondo dove la stregoneria regna sovrana. Figlia di potenti stregoni, è cresciuta al riparo dai pericoli del mondo esterno, sognando l'avventura della sua vita tra principi valorosi e duelli magici.
Quando scoppia la guerra contro l'arcistregone Malag, Joyce prende una decisione: imparerà la magia proibita per seguire il suo destino, anche se questo potrebbe costarle la vita...
Tra guerre, tradimenti, amori cortesi e duelli magici Joyce forgerà il suo destino e quello di un intero mondo.
Fate un bel respiro, rilassatevi e gettatevi a capofitto nell'avventura più fitta. Joyce vi terrà compagnia a lungo su queste pagine.
Buona lettura!
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Cronache di Anaterra'
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Uomini spezzati
 
Joyce la seguì nell'edificio.
Cercarono una sala con dei tavoli illuminata da lampade a olio.
"Usiamo questo posto come mensa, ma come vedi ora è piuttosto tranquillo."
C'erano dieci tavoli, ognuno dei quali poteva accomodare quindici o venti persone, ma Joyce ne contò solo una mezza dozzina. Mangiavano in silenzio, senza guardarsi negli occhi.
Un inserviente portò dei piatti pieni di carne bollita e verdure che galleggiavano in una brodaglia scura.
Joyce mangiò senza alzare la testa dal piatto. Quando lo fece, vide che Kallia l'osservava in silenzio.
"Scusa" disse posando il cucchiaio. "È che sono molto arrabbiata."
"Con Bardhian o con te stessa?"
"Perché dovrei essere arrabbiata con me stessa? Ho fatto quello che potevo."
"Hai fatto anche troppo" disse la donna. "Bardhian è inutile e hai portato qui quella dannata donna."
"Ti riferisci a Joane?"
Kallia annuì. "Da quando è arrivata lei le cose hanno iniziato ad andare veramente male."
"Io non avevo idea" disse Joyce. "Pensavo davvero di fare la cosa giusta."
"Ti avevo detto di evitare quella donna."
"Dovevo trovarla. L'avevo promesso a una persona."
Kallia sospirò. "Perdonami, non volevo incolparti di quello che sta accadendo qui. Tu non hai alcuna responsabilità. Piuttosto la colpa è mia. Sono io che ho portato Bardhian da Doriton."
"Joane mi ha ingannata" disse Joyce. "Credevo di averla convinta ad aiutarmi, ma lei vuole uccidere Bardhian."
Kallia si accigliò. "Perché?"
Joyce scosse la testa. "Secondo lei, è una specie di arma o qualcosa del genere."
"Un'arma?"
"So che sembra folle da dire ma..."
"Non sembra folle" disse Kallia.
Joyce buttò giù altri due bocconi. "Secondo te che cosa è successo a Bardhian?"
Kallia rimase in silenzio per alcuni secondi, poi disse: "L'ho visto accadere altre volte, ma sempre in modi diversi."
Joyce attese che proseguisse.
"Io non sono nata qui, ma in un piccolo villaggio dell'altopiano. Quando scoprii di avere i poteri, venni a Nazdur per completare il mio addestramento e consacrarmi con questo circolo. Prima ancora però ci fu una guerra, una delle tante che i popoli dell'altopiano combattono da secoli. Rispetto alla guerra che stiamo combattendo adesso erano più delle scaramucce tra vicini, ma avevano il loro costo in vite umane. In una di queste mio padre, suo fratello e altri del villaggio partirono per unirsi ai combattimenti. Stettero via per quasi un anno. Solo la metà di quelli che erano partiti fece ritorno. Tra questi c'era mio padre."
"È stato fortunato."
"Non lo diresti se lo avessi visto" rispose Kallia. "Devi sapere che mio padre era un uomo vigoroso, pieno di forze. Sapeva fare ogni tipo di lavoro al villaggio. Tutti lo rispettavano e ascoltavano la sua parola quando parlava nel consiglio degli anziani. Io lo ammiravo." Scosse la testa affranta. "Quello che fece ritorno dalla guerra non era più mio padre. Parlava pochissimo, si aggirava per la casa come un fantasma. Passava ore a fissare i campi da dietro una finestra. Una volta lo sorpresi a piangere nascosto in un angolo buio della soffitta, la testa nascosta tra le gambe come un bambino. Dormiva pochissimo e spesso si svegliava nel pieno della notte urlando e dimenandosi. Mia madre per la disperazione fu costretta a dormire nella stanza con me e i miei fratelli. L'ultima volta che lo vidi, il giorno in cui partii per Nazdur, lo ricordo bene. Pioveva a dirotto e lui si era rifugiato in casa. A ogni tuono tremava come un cane spaventato da qualcosa che non riusciva a comprendere. Due anni dopo sparì. Lo cercarono per tre giorni e alla fine lo trovarono in fondo a un crepaccio. Non saprò mai se vi cadde per caso o se si lanciò." Trasse un profondo respiro. "Mi sono chiesta spesso che cosa abbia visto in quell'anno e mezzo di guerra. Non sono state le privazioni o le ferite a fargli questo. Stava bene, non era stato ferito gravemente. Credo piuttosto che sia stato vedere i suoi amici morire a uno a uno, passare le notti all'addiaccio nel timore di essere attaccato e ucciso dai nemici, a trasformarlo in quello che era alla fine della sua vita. Mio padre era un uomo forte, sano, vigoroso e pieno di speranza per la vita. Qualcosa deve essersi rotto dentro di lui, nella sua anima. Non è stato piegato da una ferita, dalla fame o dalle marce estenuanti. È stata la guerra. L'ha spezzato."
Joyce fissò in silenzio il piatto vuoto. "Anche Bardhian si è spezzato?" chiese dopo alcuni minuti.
"Forse" disse Kallia. "Forse è già stato spezzato e ormai è troppo tardi. Oppure è sul punto di spezzarsi. Forse questo è il suo modo di proteggersi, di tenere fuori dalla sua vita tutto l'orrore a cui ha dovuto assistere. Non dimenticare che ha perso la sua famiglia, il suo regno. Tutto."
"Ha ancora i suoi amici."
"Mio padre aveva ancora noi" rispose Kallia.
Un uomo col mantello viola entrò nella sala, si guardò attorno e poi marciò verso di loro.
"Kallia" disse. "Ti stavo cercando ovunque."
Kallia alzò la testa verso l'uomo. "Caldar" disse la donna. "Da quanto sei tornato?"
"Vengo ora dalla zona settentrionale" rispose l'uomo. “Ho dato un’occhiata a quello che sta accadendo fuori dalle mura.”
"Hai visto qualcosa che mi devi riferire?"
Caldar guardò Joyce.
"Puoi parlare davanti alla strega rossa" disse Kallia. "Non sono certa che non andrà a dirlo in giro, ma per ora non ho intenzione di alzarmi e cercare un posto più sicuro."
Joyce fece per dire qualcosa ma ci ripensò.
Caldar annuì. "Sono arrivati dei guerrieri."
"I rinforzi di Ames?" chiese Kallia.
Caldar scosse la testa. "Non ho visto i suoi mantelli. Sono guerrieri con armi rozze e poche armature. Sembrano dei selvaggi."
"Gli Urgar" esclamò Joyce. "Jakris deve aver convinto le tribù a marciare verso Nazdur."
Kallia si alzò di scatto. "Che cosa vogliono?"
"Lilie" disse Joyce.
"La ragazza che non si stacca mai da Bardhian?"
Joyce annuì. "È la figlia di Sirak, uno dei capi tribù più rispettati. Jakris è il suo promesso sposo. Credo che lui la voglia liberare."
"E ora sono qui" disse Kallia pensosa. "Potrebbero attaccarci per liberarla."
"Ma non è prigioniera" disse Caldar. "Quei selvaggi non oseranno."
"Gli Urgar prendono quello che vogliono" rispose Kallia. "Ma possiamo volgere la situazione a nostro vantaggio."
"Come?" chiese l'uomo.
Kallia guardò Joyce. "Sembri conoscere quella gente."
"In un certo senso, uno dei guerrieri di Sirak mi avrebbe adottata" rispose Joyce.
Kallia la prese per un braccio. "Vieni con me. Anche tu, Caldar."
 
Si mossero in silenzio tra le strade deserte, Kallia in testa con al fianco Caldar. Joyce li seguì chiedendosi che cosa volesse da lei la donna.
Si sentiva in colpa per aver portato lì Joane ed era pronta a fare quello che poteva per aiutare Nazdur. Al tempo stesso voleva andarsene da lì, con o senza Bardhian. La guerra, quella vera, era a nord, dove l'armata di suo padre stava per scontrarsi con l'orda di Malag.
Sempre che non sia già successo, si disse. Ormai l'inverno è finito e la stagione bella sta per iniziare.
Nei romanzi questo era il momento migliore in cui i buoni attaccavano i cattivi e li costringevano alla resa. Non prima che l'eroe avesse affrontato il comandante o il mago malvagio che aveva oppresso il popolo per decenni.
Kallia indicò una torre che sorgeva a ridosso delle mura.
Joyce guardò in alto e vide soldati che si muovevano sui camminamenti e mantelli che svolazzavano nel buio.
"Perché non accendono un fuoco?" si chiese ad alta voce.
"Per non farsi individuare" spiegò Kallia. "Quei dannati hanno appostato dei tiratori molto abili poco lontano dalle mura." Entrò nella torre attraverso una porticina larga appena per lasciar passare una persona.
Joyce la seguì all'interno. Una sola lampada a olio illuminava una scala a chiocciola che si arrampicava lungo le mura circolari.
Sul pavimento erano allineati dei giacigli dove i soldati dormivano russando e agitandosi nel sonno.
Joyce si chiese chi di loro fosse già spezzato o sul punto di spezzarsi.
Forse anche io prima o poi mi spezzerò, si disse.
Kallia e Caldar salirono la scala a chiocciola e lei li seguì fino alla cima, dove c'era una piattaforma di legno sorvegliata da due soldati.
Kallia fece loro un cenno e indicò la scala di legno appoggiata al muro. "Cosa mi raccontate di bello?" domandò con tono gioviale.
"Stanotte sembrano tranquilli" disse uno dei soldati. "Ma non mi fiderei troppo. Dywen ha perso un orecchio per essersi sporto troppo."
"Staremo attenti" rispose Kallia.
Si arrampicò sulla scala raggiungendo una botola sul soffitto. Fece scattare la serratura e l'aprì, issandosi oltre.
Caldar e Joyce attesero in basso.
Kallia si affacciò attraverso la botola. "Che aspettate? Da qui si gode di un'ottima vista."
Caldar e poi Joyce salirono sulla scala.
Da quell'altezza le stelle sembravano più vicine, ma sapeva che era solo la sua impressione. Lodorril, uno dei suoi tutori, le aveva spiegato che le stelle erano gigantesche lampade appese sulla sfera celeste.
Joyce gli aveva chiesto di che cosa fosse fatta la sfera celeste e chi avesse acceso quelle stelle.
"Gli Dei" aveva risposto il tutore. "O i demoni, chi lo sa? Dovresti chiedere a un monaco del Culto."
Stelton, un altro dei suoi tutori, le aveva detto una volta che per alcuni popoli le stelle erano giganteschi roghi accesi per tenere lontane le creature che abitavano nel buio tra le stelle.
"Creature?" aveva chiesto.
Stelton aveva annuito. "Lo spazio tra le stelle è un luogo ostile, pieno di pericoli. Si dice che i primi uomini, volendo raggiungere uno di quei roghi, si imbatterono in quei terribili mostri."
"Che cosa accadde?"
"Vennero ridotti in schiavitù per mille secoli" aveva risposto Stelton. "Ma un giorno alcuni spezzarono le loro catene e usarono una di quelle creature per tornare alle case dei loro antenati."
"Come?" aveva chiesto Joyce con l'ingenuità di una bambina di dieci anni.
Stelton era apparso perplesso. "La storia qui diventa ancora più strana. Si dice che quei primi uomini vennero mangiati dalla creatura, che li trasportò nel suo ventre per poi partorire un uovo che precipitò sul mondo."
"E cosa accadde dopo?"
"L'uovo si schiuse e da esso uscirono quelli che erano riusciti a scappare dalla creature malvagie."
Quella notte Joyce aveva faticato ad addormentarsi, tremando come una foglia nel suo letto al pensiero che le misteriose creature che vivevano tra i roghi potessero rapirla e divorarla, per poi trasportarla in chissà quale posto.
La voce di Kallia la riportò alla realtà. La donna stava indicando con la mano tesa una porzione della città racchiusa tra le mura.
"Quella è la zona occidentale. La città è tagliata in due dalla strada principale." Guardò Joyce. "Mi stai ascoltando?"
Annuì.
"Li vedi quei fuochi? Sono una trappola" proseguì la donna. "Joane li ha fatti accendere per farci credere che lì fosse accampato il grosso dei suoi soldati. Quando ho mandato gli esploratori a controllare, la metà non è più tornata indietro." Scosse la testa. "Dannata donna. Vorrei che non fosse così abile. O che si fosse schierata con noi."
"C'è di buono che occupando metà della città" proseguì Kallia. "Ha dovuto spostare le sue forze dall'esterno. Le maglie dell'assedio sono meno strette, adesso."
"È vero" disse Caldar.
"E Joane lo sa bene" disse Kallia. "Vuol dire che attaccherà domani o il giorno dopo al massimo. E lo farà con tutte le forze a disposizione. Abbiamo poco tempo per agire."
"Che cosa devo fare?" chiese l'uomo.
"Portala fuori dalle mura." Kallia guardò Joyce. "Convinci gli Urgar a schierarsi dalla nostra parte."
"Non so come fare."
"Digli che abbiamo Lilie in mano nostra. Se tengono alla ragazza sapranno che cosa fare."
"Vuoi che li minacci?" chiese Joyce stupita.
"Sì, ma con parole velate" disse la donna.
"Tu non conosci quelle persone. Probabilmente mi uccideranno."
"È probabile, ma è un rischio che dobbiamo correre. Che tu devi correre. Se vuoi tirarti indietro puoi farlo, non ti sto obbligando."
"Se non lo faccio che accadrà?"
"Niente di buono. Gli Urgar non ci conoscono e non si fidano di noi. Io non posso andare se devo restare qui a sostenere un attacco dell'orda. Domani o il giorno seguente saremo tutti morti, compresi Lilie e Bardhian." Si strinse nelle spalle. "A te la scelta, strega rossa."

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