Videogiochi > Kingdom Hearts
Segui la storia  |       
Autore: BeaterNightFury    17/06/2019    0 recensioni
Ho letto da qualche parte che anche la persona più piccola può cambiare il corso del tempo.
Nessuno ha MAI detto se in meglio… o in peggio.

Ventus ha 16 anni, una meravigliosa famiglia adottiva, e un sacco da imparare sui mondi.
Terra e Aqua hanno responsabilità e sogni, e forse un po' il bisogno di comportarsi da giovani.
Lea ha una sorellina per cui è tutto il mondo, Isa ha un cane, Zack ha una ragazza e un amico da aiutare.
Sora ha troppa felicità per il suo bene, Riku ha la testa dura, e Kairi qualcosa che dovrebbe ricordare.
Insieme ad altri, condividono una sola storia.
(La trama è vagamente ispirata alla vecchia fanfiction "Til Kingdom Come" che ho scritto con i miei amici, ma questa considera canon la trama e gli eventi di Kingdom Hearts 3, quindi potrebbero esserci degli spoiler più avanti)
Genere: Avventura, Fantasy, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Legacy – Capitolo 5
Destino in Movimento
 
«Avete sentito? C’è una bambina a casa del sindaco! Dicono che è caduta dal cielo
«Ma dai, Wakka, ti verranno le gambe corte!»
«Dico sul serio, Lulu, io l’ho vista
«… cadere dal cielo
Sora e Riku fissarono i due compagni di classe del bambino più grandicello. Wakka era noto in tutta la prima elementare e oltre per credere a qualsiasi frottola gli venisse detta – e ripeterla a tutta l’isola. Non era la prima volta che iniziava a raccontare qualcosa di improbabile.
Era “solo” la prima volta che Riku stava ad ascoltare.
«Se quello che dici è vero,» Riku intervenne nella conversazione. «Perché non è a scuola? I bambini devono andare a scuola.»
«Beh, forse è malata.» Wakka trascinò un piede per terra. «O forse quando è caduta si è rotta un braccio come è successo a Chappu e adesso è in ospedale.»
Sora rimase dov’era, lo sguardo fisso sui ragazzi grandi. Lui avrebbe cominciato la prima elementare l’anno successivo, e gli sembrava ancora terribilmente lontano.
La primina non era male – era in classe con il fratellino di Wakka, che era molto più silenzioso e tranquillo, e Riku aveva spergiurato e giurato che in prima elementare non facevano più fare il sonnellino dopo il pranzo, ma Sora avrebbe voluto passare più tempo con il suo migliore amico.
«Io non gli credo, dice sempre un sacco di bugie,» Lulu ribadì il suo argomento.
Riku strinse un pugno, come se si stesse trattenendo dal dire qualcosa. A Sora tornò per un momento in mente l’episodio degli sconosciuti dell’anno prima, della persona che stava soffrendo. Esistevano altri mondi, per quanto la gente reputasse quella storia poco più che una vecchia storia di comari.
Forse quella bambina veniva da uno di quei mondi.
«Senti, Wakka, se è vero quello che dici,» Riku disse finalmente. «Devi fare come fa Basil di Baker Street, che quando risolve un caso tira fuori le prove. Quindi se c’è una bambina a casa del sindaco, come si chiama? Come sono i suoi capelli? Le piace giocare ai pirati o ai ninja? Ci sa andare sulla bici?»
Wakka fissò Riku con aria a metà tra l’offeso e il turbato, spostando istintivamente un piede all’indietro.
«Beh… ho sentito i grandi parlare,» disse. «La bambina non si ricorda niente, ma il dottore dice che ha cinque anni, non di più. Dice che le ha visto i denti e non ha ancora iniziato a perderli.» Wakka si appoggiò nervosamente al muro e iniziò a stuzzicare con un dito l’incisivo che gli ballava.
«Smettila di fare così, se no poi lo ingoi.» Lulu gli allontanò la mano dalla bocca.
«E quindi come si chiama?» Sora si avvicinò al gruppetto di bambini della prima e ruppe il ghiaccio. La bambina aveva cinque anni. Cinque. Come lui! Sarebbe andata in primina e sarebbero diventati amici!
«Riku, non dirmi che il tuo amico crede a una storia del genere…» Lulu a stento considerò Sora. «Anzi no, aspetta, ha cinque anni. Può essere.»
«Non dire quelle cose a Sora o ti scompagno!» Riku scattò quasi immediatamente.
Lulu guardò Riku come se si fosse ristretto. Per tutta risposta, Riku affiancò Sora e gli prese la mano, come quando la maestra diceva a scuola di non lasciar andare il proprio compagno, poi si allontanò di qualche passo da Wakka e Lulu portando Sora via.
«Sora, credi che la maestra mi fa tornare all’indietro?» Riku chiese a bassa voce.
«Non ti preoccupare, tanto l’anno prossimo ci vengo io in prima.» Sora tolse la mano da quella di Riku e si incrociò le braccia dietro la testa.
«Sì ma poi io vado in seconda…» Riku si strinse nelle spalle.
«Sì però ti ricordi che quando tu eri in primina e io all’asilo ci facevano andare alla mensa tutti quanti insieme?» Sora si dondolò sui piedi. «L’anno prossimo facciamo di nuovo la mensa insieme. E la ricreazione anche. Non stiamo più a due piani diversi.»
Sora avrebbe voluto dire altro, ma dal tetto della scuola la campana prese a suonare, e le maestre iniziavano a condurre le classi nelle aule.
L’asilo e la primina – la scuola materna – sarebbero andati al piano terra. La scuola elementare al primo piano.
Riku venne chiamato dalla sua maestra e si allontanò assieme a Lulu e Wakka, con le mani nelle tasche e lo sguardo basso.
«Hey, Sora, aspetta!» Wakka si fermò mentre la sua classe si allontanava.
Guardando dall’altra parte, Sora vide che la sua maestra stava iniziando a chiamare la sua classe, ma rimase ad ascoltare cosa aveva da dire il bambino più grande.
«Kairi.» Wakka fece un sorrisetto. «La bambina si chiama Kairi!»
 
Posso darti uno scopo.
Non era la prima volta che perdeva qualcosa, o qualcuno.
Ricordava ancora quando, in terza media, era tornato a scuola dopo il funerale dei suoi genitori, e aveva sopportato gli occhi di tutta la sua classe addosso, ricordava ancora l’opprimente cappa del silenzio di quella mattina.
Il mantello nero gli pesava sulle spalle, e l’opprimente bianco di quella che doveva essere la sua nuova stanza quasi lo accecava.
Una volta, il professor Braska aveva detto alla classe che chi perdeva un arto, che logicamente non avrebbe più dovuto sentire, continuava a sentire il dolore come se il braccio o la gamba mancante fossero ancora là, in una posizione inconveniente e altamente scomoda.
Com’era possibile sentire e non sentire il dolore allo stesso tempo?
Non aveva più una casa, una nonna, una sorella. Come quando aveva perso mamma e papà si era aspettato di vederli tornare la sera, un sacco di volte aveva urlato “Papà!” in una casa silenziosa, chiedendo aiuto per dei problemi di matematica che nessuno gli avrebbe risolto.
Tre anni prima, Isa gli aveva detto che piangeva troppo.
 
In quel momento, Axel avrebbe voluto poter piangere.
 
I bambini della primina erano tutti in riga su un palco improvvisato, composto da banchi incollati e inchiodati tra loro dalla notte dei tempi.
Riku conosceva bene quel palco. Soltanto l’anno prima, con addosso un grembiulino celeste e un tocco di cartone che aveva speso i giorni precedenti a decorare e dipingere, su quel palco c’era stato lui. Avevano cantato tutti assieme una canzone che diceva che non importava avere tutto, che di notte il cielo era illuminato, e che potevano scegliere quale era la loro stella nel cielo.
Sora quel giorno era stato nel pubblico, e quando la canzone diceva “siamo tu e io nella notte”, Riku lo aveva fissato e segnato a dito quando tutti gli altri compagni avevano puntato dritto davanti a loro.
Adesso c’era Sora su quel palco, con i suoi soliti calzoncini rossi che spuntavano da sotto al grembiule, in prima fila in piedi tra Kairi e Chappu, con il cartoncino del suo tocco che quasi spariva sotto macchie di colore, porporina e carta velina. Aveva fatto il solito pasticcio, ma ne sembrava altamente soddisfatto. Vicino a lui, Kairi aveva coperto il suo tocco con disegni di fiori e stelle.
Mamma e papà avevano detto a Riku che il sindaco aveva adottato Kairi – che aveva scritto e firmato dei documenti in cui lui si impegnava ad essere il papà della bambina.
Voci tra i ragazzi più grandi dicevano che la bambina aveva pianto, forte, quando il signor sindaco le aveva detto che doveva chiamarlo papà. Riku ancora non capiva quale fosse la differenza – tra un figlio portato dalla cicogna e uno caduto dal cielo. In ogni caso, non succedeva comunque che i genitori decidevano di diventare genitori? Perché adottare era tutta quella storia lunga? Perché Kairi era già una bambina grande magari, e sapeva già disegnare e parlare e scrivere il suo nome?
Il suo interrogativo se fosse una bambina vera si era risolto quando, qualche giorno dopo la discussione tra Wakka e Lulu, Kairi era andata a scuola.
Era finita nella stessa classe di Sora, nel banco vicino al suo, e spesso Sora l’aveva portata con sé nei loro pomeriggi di avventura.
Sora le aveva insegnato a giocare ai pirati, ed era diventato anche il suo gioco preferito. A volte dava loro filo da torcere nelle corse.
Ma soprattutto, di quello che era cambiato, era sempre più raro che Sora si allontanasse dal gruppo della primina per passare tempo con i bambini più grandi: Kairi non era solita farlo, e Sora non si allontanava molto da lei.
«Prima della consegna dei diplomi, i bambini vogliono cantare per tutti voi.» La maestra annunciò al microfono.
Riku sorrise. Aspettava quel momento: come lui aveva fatto l’anno scorso, probabilmente Sora avrebbe…
La canzone non era la stessa.
«Quando saremo grandi e capiremo un po’ di più…» le voci stridule dei bambini riempirono il salone dopo qualche accordo di pianoforte.
Riku rimase a guardare ed ascoltare. Le cose erano cambiate… la canzone stessa parlava di cambiamento. Nessuno dei gesti prevedeva un dito puntato verso il pubblico, semmai le mani dei piccoli cantori erano spesso puntate su loro stessi.
«… tutti sapremo vincere o perdere, ma con umiltà…»
Riku non sapeva dire se la canzone fosse felice o triste, ma Sora sorrideva e cantava a squarciagola, dondolandosi da sinistra a destra e quasi esagerando i gesti. Come suo solito, sembrava stare divertendosi un mondo.
Faceva quasi male fisico vedere Sora lì su quel palco, nonostante Riku avesse aspettato quel giorno per un intero anno. Aveva pensato che anche lui si sarebbe sentito parte della festa, ma così non era. Nonostante fosse seduto sul pavimento, davanti alle prime file, se possibile si sentiva lontano un mondo.
Sora adesso aveva Kairi. Aveva un’altra canzone da cantare.
La canzone e gli accordi di piano svanirono, ma prima che accadesse la mano di Kairi si era stretta attorno a quella di Sora. La maestra salì sul palco e si avvicinò al microfono ad asta su uno degli angoli.
«Quando chiamo il vostro nome, verrete qui a prendere il vostro diploma, uno per uno, in ordine come abbiamo provato.» Annunciò. «Fate un bel sorriso per il fotografo, e poi scendete dal palco per ricongiungervi con le vostre famiglie. Mi raccomando, dimostrate di essere cresciuti
Iniziò a fare alcuni nomi, e uno alla volta i bambini che aveva chiamato si allontanavano dalla riga, presero il piccolo rotolo di carta colorata che la maestra porgeva loro, posavano per una foto, e scendevano dai gradini per ritrovare le loro famiglie nel pubblico.
Quando fu il turno di Sora, il bambino si tolse il tocco e lo lanciò in aria prima di fare la foto, come aveva senza dubbio visto fare nei film ai grandi del liceo. La maestra gli fece recuperare il cappello e gli fece un po’ il solletico, poi lo tenne letteralmente fermo per la foto e gli diede una spinta gentile verso la scala che portava alla platea.
Sora scese le scale, ma rimase per un momento fermo davanti all’ultimo gradino, il diploma stretto in una mano e il tocco infilato di traverso con la nappa che gli penzolava davanti ad un occhio.
Aveva lo sguardo fisso ancora sul palco, dove Kairi era stata appena chiamata dalla maestra.
La bambina era visibilmente più timida. Non imitò il gesto temerario dell’amichetto, mettendosi quietamente in posa per il fotografo e scendendo gli scalini.
Fu allora che Sora la prese per mano…
… ed entrambi corsero da lui.
«Hai visto? Siamo fuori dall’asilo, amico. Ora siamo grandi come te!» Sora saltellò sul posto con aria trionfale.
Per come era entusiasta, sembrava aver atteso quel momento tutta la mattinata – e Riku conosceva troppo bene Sora per poter pensare che stesse fingendo.
Quasi si rassegnò che le cose fossero cambiate quando Sora distolse lo sguardo da lui per lanciare un’occhiata a Kairi, ma improvvisamente i due si scambiarono un sorrisetto complice e, lasciati cadere i cappelli e i diplomi, lo placcarono urlando insieme: “ADDOSSO!”
E fu in quel momento, stretto nella morsa di ferro del suo amico di sempre, che Riku decise che forse era giusto così. Che forse non erano più il duo delle meraviglie.
Ma forse era anche meglio, ora che erano in tre.
 
La Città di Mezzo era principalmente un posto di penombra e silenzio, ma dopo settimane di viaggio e un anno passato a cercare di sistemarsi, alcuni degli esuli di Radiant Garden avevano cominciato a chiamarla casa.
Non era facile. Aerith aveva seri dubbi persino sul fatto che lo sarebbe diventato.
Una dei bambini che era riuscita a salvare, Yuffie, bagnava ancora il letto. Squall, l’unico ragazzo della sua classe che Aerith aveva più visto, si rifiutava di punto in bianco di rispondere al suo nome. Non c’era una famiglia che fosse rimasta unita, anzi, quasi tutti i sopravvissuti erano letteralmente persone sole.
Tutti avevano visto qualcuno sparire nelle tenebre. Il giudice Ilyas aveva perso sua moglie, così come il capitano Cid, l’uomo che li aveva portati fin là. Squall, Aerith e Yuffie erano senza genitori. Di alcuni, come Isa, il figlio del giudice, e il suo migliore amico Lea, sparito assieme a tutta la sua famiglia, si erano letteralmente perse le tracce da prima che la catastrofe avesse luogo.
Non voleva neanche immaginare cosa fosse successo a Kairi, la sorellina di Lea, o agli orfani che Lord Ansem aveva accolto nel castello come famiglia: Ienzo, di tredici anni, e Shiro che a stento diceva frasi di senso compiuto.
Tutta quella gente che si era trovata nel castello quando il peggio era successo… senza che nessuno potesse essere lì e salvarli dopo che le guardie cittadine erano scomparse, uno dopo l’altro.
Aerith si era voluta convincere per mesi che le guardie di Lord Ansem avrebbero fatto qualcosa. Che prima o poi, Lea e Isa sarebbero comparsi assieme agli uomini del re e avrebbero riportato le persone che erano riusciti a salvare a casa. O che sarebbero riusciti a farsi una nuova casa.
Ma con il passare del tempo, questa speranza sembrava sempre più vana.
«Vorrei avere qui la mia mazza da baseball.» Tifa le confessò in un pomeriggio solitario che avevano passato a girare per i vicoli. «Mi prudono le mani. Voglio spaccare qualcosa.»
Aveva perso sua madre alcuni anni prima per una malattia, e adesso l’oscurità che aveva divorato il loro mondo le aveva preso il padre. Cid l’aveva portata via priva di sensi dalla piazza principale, ma non avevano potuto fare nulla per il corpo spezzato di suo padre, preso in pieno dal crollo di un edificio.
«Non credo che un pezzo di legno potrebbe aiutare.» Aerith tirò un sospiro. «Non ha aiutato Cloud quando lui e Zack hanno cercato di…»
Si interruppe, ricordandosi che Tifa non poteva sapere. Zack si era fatto promettere il loro silenzio.
«Sai cosa gli è successo?»
Tifa non era nata certo il giorno prima.
Aerith esitò un momento. Non voleva infrangere la promessa fatta al suo ragazzo scomparso. Ma quello che Zack aveva predetto, una possibile catastrofe che si sarebbe abbattuta sull’intero loro mondo, alla fine era accaduto, e la ragione principali del ragazzo per non voler diffondere parola era la possibilità di qualcuno che li puntasse.
Cos’altro potevano fargli? Cosa? Dopo che avevano letteralmente perso tutto?
Aerith non aveva più un ragazzo, un migliore amico, una famiglia, e la sua intera classe si era ridotta a soli tre ragazzini.
«La bambina che Lea teneva d’occhio. Zack continuava a dire che era stata tolta ai suoi veri genitori, e che Braig, la guardia, aveva qualcosa da nascondere.» Aerith confessò, mentre un nodo le saliva in gola. «Zack diceva che è tutto collegato… da quando hanno trovato la piazza scassata un anno fa…»
Non ce la faceva più ad andare avanti – finalmente era riuscita a parlare con qualcuno, e tutto quello che si era tenuta dentro negli ultimi mesi stava uscendo di prepotenza assieme a singhiozzi e lacrime.
«Stava cercando di fermarli… stavano cercando di fermarli… Zack e Cloud, Lea e Isa… volevano andare a cercare aiuto…»
Tifa non la lasciò andare avanti – le mise le mani sulle spalle, poi la abbracciò forte.
«Vuol dire che tocca a noi allora.» Le disse. «I ragazzi sono ancora in giro da qualche parte. Lo so. Me lo sento
La lasciò andare e fece un passo indietro.
«Nessuno li ha visti venire presi… nessuno li ha visti morire. Cosa ti dice il tuo cuore
Aerith non rispose, ma le venne quasi un altro attacco di singhiozzi quando si rese conto che Tifa non aveva tutti i torti. Nessuno aveva visto Zack e Cloud dopo la loro scomparsa, come pure nessuno aveva visto Lea e Isa dopo che erano andati al praticantato, nel castello, alcuni giorni prima che scoppiasse il cataclisma. Non era stato neanche anomalo come evento – era stato quasi normale che gli allievi di Ansem non lasciassero il castello per giorni.
Non erano nemmeno sicuri che il pericolo fosse venuto dal castello – c’erano dei superstiti che asserivano l’intervento di una strega.
«Saranno ancora in giro, da qualche parte.» Tifa strinse un pugno con fare determinato. «E se siamo riusciti ad arrivare fino a qui, allora possiamo anche andare dove sono loro. Li riporteremo a casa.»
Aerith fece per dire qualcos’altro, ma il suono di passi di corsa sul pavimento di pietra fece alzare la testa ad entrambe le ragazze.
«Hey, Leon.» Tifa si rivolse al nuovo arrivato.
Il ragazzino che fino a mesi prima era stato conosciuto come Squall girò l’angolo, rallentò il passo, e camminò verso di loro.
«Zack non parlava di gente strana che combatteva con chiavi enormi?» disse loro, con sul volto quella che sembrava la traccia di una speranza. «E Lea e Isa lo avevano confermato…?»
«Qualcosa del genere…» Tifa mormorò. «Ma non erano solo loro tre. Anche il signor De’ Paperoni della gelateria li aveva menzionati… e il vecchio Merlino, anche.»
Leon tornò alla sua solita facciata impassibile.
«Credo che uno di loro abbia trovato noi
Aerith rimase ferma sul posto. E se fosse stato uno dei parenti di Shiro? Come avrebbe potuto spiegare che la bambina era scomparsa, probabilmente per sempre?
Che non erano stati in grado di salvarla?
Ma il guerriero che stava seguendo Leon non era neanche umano.
La sua statura era paragonabile a quella di Yuffie, era coperto da capo a piedi di una folta pelliccia nera, e la sua testa era sovrastata da due enormi orecchie tondeggianti.
«Signor Maestro, queste sono Aerith e Tifa. Ragazze…»
Leon sorrise di nuovo.
«… vi presento il Maestro Topolino.»
 
«Buongiorno, Axel! Oggi hai visite!»
Saix aprì la porta e lasciò entrare Shiro nella stanza dell'amico.
La piccolina ormai aveva fatto sicuramente i tre anni, anche se la data che avevano scelto per segnarli era abbastanza arbitraria. Portava ancora alcuni vecchi vestiti di Kairi, che forse era la ragione per cui per Axel era difficile guardarla. Gli risultava un po’ più facile quando Shiro portava addosso il cappotto nero, ma la bambina sembrava mal sopportarlo.
Axel, seduto sul letto a fissarsi i piedi, alzò appena lo sguardo quando Shiro cercò di arrampicarsi sul materasso, poi riprese ad interessarsi alle sue scarpe.
Vedendo evidente mancanza di reazione da parte dell'amico, Saix si sedette sul letto accanto a lui e aiutò Shiro a issarsi su. Considerando che la piccola aveva un pastello in mano, sembrava anche una buona idea impedirle di arrampicarsi da sola, prima che riempisse le coperte di Axel di righe rosse.
«Abbiamo un numero nove. Xigbar ha portato qui una specie di lumaca con una chitarra.»
Si sarebbe aspettato che Axel facesse delle battute sulla lumaca in questione, ma il suo compagno rimase zitto.
«Demyx.» Shiro completò la frase per lui.
«Suona talmente male che potrebbe far piovere…» Saix cercò di continuare la conversazione, anche se sembrava che i suoi sforzi fossero abbastanza vani. Era da quando erano lì, al Castello che Non Esiste, che il suo vecchio amico, un tempo il petardo della situazione, si trascinava come un automa tra tutti i loro incarichi, per poi chiudersi in camera e finire la giornata seduto sul letto a fissare il vuoto.
«A…xel?» Shiro, seduta in mezzo ai due, lasciò il pastello nella mano di Axel e fece una smorfia. «Sorridi fratellone! Non ti voglio triste!»
Axel fece un sorriso visibilmente forzato.
«Ciao Shiro… lo hai memorizzato, eh?»
«Beh, direi, dopo un anno…» Saix forzò un sorriso a sua volta. Aveva sperato che in quell’arco di tempo, le cose si sarebbero risolte, e invece c’era un Nessuno in più, qualsiasi fossero le mire di Xemnas, non ci erano arrivati neanche lontanamente, i piani dell’Organizzazione erano buio totale, e dopo la perdita di sua nonna e sua sorella, Axel era diventato responsivo quanto un cetriolo.
Considerando che non aveva idea di cosa fosse accaduto ai suoi genitori e a Bolt, Saix avrebbe giurato che, se avesse avuto un cuore, sarebbe crollato anche lui, ma non si spiegava come mai Axel stesse reagendo in quel modo. O perlomeno, non se lo era spiegato fino a quando non gli era tornato in mente che, a sua differenza, il suo amico di sempre aveva memoria di cosa fosse il lutto.
«Axel, ho fatto una cosa.» Shiro infilò le mani nella tasca del cappotto che portava sopra i vestiti e tirò fuori un foglio piegato con disegnate varie figure di stecchi. «Questo sei tu. Questa sono io. Poi ci sono Kai e papà e Saix e gli altri.»
«Ma no…» Axel scosse la testa. Sembrava avesse gli occhi lucidi. «Funghetto, la tua famiglia non siamo noi. Ci stiamo solo prendendo cura di te finché non troviamo la tua mamma. Ricordi che diceva Zack sulla tua mamma?»
L’espressione di Shiro si incupì.
«Mamma…?» Fissò Axel negli occhi. «Ma… papà non vuole stare con me. Axel non puoi tu? Fratellone? Non devi andare in missione vero…?»
Saix avrebbe voluto dire qualcosa, ma rimase in silenzio. Shiro si stava abituando troppo a loro. Non aveva minimamente reagito alla menzione di Zack, che pure era stato uno dei suoi compagni di giochi preferiti, e aveva sbagliato a menzionare il nome di Kairi.
Come potevano fare?
Shiro avrebbe dimenticato tutti i Qualcuno nella sua vita se fosse passato troppo tempo. E un Qualcuno non poteva crescere in mezzo ai Nessuno, non lasciata a sé stessa come un campo di erbacce.
Fu allora che Axel ruppe il silenzio.
«Shiro… dove hai lasciato Mister Kupò
Per Saix fu come sentire la voce del vecchio Lea un’altra volta. Dovette reprimere l’istinto di ficcarsi un dito nell’orecchio per controllare di aver sentito bene.
«Su, corri a prenderlo, prima che si senta troppo solo!» Axel aiutò Shiro a scendere dal letto e le indicò la porta con un sorriso.
La bimba spalancò gli occhi e corse via per quanto veloce le consentissero le gambe corte e l’orlo della cappa.
Fu solo dopo che fu fuori dalla stanza che Axel fissò Saix.
«Ora sei tu quello di poche parole. Sta dimenticando
«Te ne saresti anche accorto prima, se non restassi qua a fissare la parete.» Saix ribatté immediatamente. «I miei complimenti, Lea, vecchio mio
Axel si abbandonò all’indietro e strisciò con la schiena giù per il letto.
«La ricorda ancora.» Sbuffò. «Non dovrebbe. Sarebbe la sua famiglia che deve ricordare.»
Strinse nella mano il pastello che Shiro aveva lasciato sul letto – uno dei tanti pezzi di cera che erano appartenuti a Kairi prima di lei.
«Avevamo promesso a Zack che avremmo fatto il possibile per portarla via.»
Lanciò il pastello attraverso la stanza, mandandolo a lasciare una brutta riga rossa sul muro davanti a lui.
«E guarda come ci siamo ridotti adesso.»
Saix si sdraiò accanto ad Axel – forse la cosa migliore era abbassarsi al suo livello e avvicinarglisi quando aveva certi grilli per la testa – e rimase vicino a lui per un momento.
«Come nel libro che mi leggeva mio padre. Noi non dovremmo essere qui – ma ci siamo,» gli disse. «Tanto vale andare fino in fondo. Perché siamo finiti in questa merda, Lea?»
«Perché… volevamo salvare delle vite?» Axel mugugnò tra i denti.
«Bene. E allora facciamolo.» Saix si tirò su e issò l'amico. «Shiro tornerà a momenti, ma questa chiacchierata non è finita. Domani, dopo la missione, ci vediamo alla Torre dell'Orologio in quel mondo qui vicino dove è sempre tramonto.»
«Uh, certo, e cosa ti fa pensare che ci sarò?» Axel fissò la strisciata di cera rossa che aveva lasciato sul muro.
«Non avremo più un cuore ma tu hai sicuramente ancora il tuo stomaco senza fondo.» Saix sogghignò. «E in quel mondo in particolare hanno il gelato salmastro.»
 
«Sora, ti sta simpatico Riku?»
«Certo, è il mio migliore amico!»
«Bene. Se dovesse succedere qualcosa, e Riku si perdesse… oppure se si incamminasse da solo su un sentiero oscuro… tu dovrai stare con lui e proteggerlo. È una tua responsabilità, Sora, conto su di te.»
 
Era in piedi su un pavimento di vetro, e il vetro andava in pezzi, facendolo precipitare nel vuoto.
 
«Ti sto facendo un grosso favore, sai?»
«Vuoi che ti aiuti a trovare i tuoi pezzi?»
 
Era seduto su una spiaggia che non riconosceva, con la schiena contro una scogliera. Vicino a lui, uno da un lato e uno dall’altro, erano seduti un uomo adulto con i capelli biondi e mossi che riflettevano quasi il sole del tramonto, e un bambino con i capelli blu talmente scuri da sembrare quasi neri.
 
«Sora, il destino non è scritto nella pietra…»
Era la voce di un ragazzo, stavolta. Il suo tono era quasi disperato.
«… puoi ancora dimostrargli che si sbagliava!»
 
A Sora sembrava ancora di stare precipitando nel vuoto quando aprì gli occhi.
Non riconobbe la stanza attorno a lui come camera sua, e stava quasi per andare in panico quando si rese conto di essere in un sacco a pelo nel soggiorno di casa, che Riku e Kairi erano vicino a lui, e su una delle pareti era ancora appeso lo striscione che mamma e papà avevano inchiodato là per la festa dei suoi dodici anni il giorno prima.
Si sentiva quasi un idiota ad essersi spaventato così per un incubo da quattro soldi.
Non gli sarebbe potuto accadere nulla… Mamma e Papà erano di sopra, il pavimento non avrebbe ceduto sotto di lui, e con Riku e Kairi accanto si sentiva il bambino più forte del mondo.
Ragazzo. Errata corrige.
Ma dettagli, eh.
D’istinto, andò a cercare il braccio di Riku con una mano. Lo aveva appena toccato quando il ragazzo più grande ebbe un sussulto e aprì gli occhi a sua volta.
«Che succede?» La voce di Riku era sia impastata dal sonno che in piena rottura.
Sora scosse la testa, restando zitto.
«Sooooraaaa?» Riku, sdraiato su un fianco, fissò l’amico e fece un sogghigno. «Se non mi dici cosa c’è che non va, io adesso sveglio Kairi.»
Sora rimase zitto e accompagnò al gesto con la testa anche un segno di preghiera con le mani. Per tutta risposta, Riku alzò un piede e…
«Che succede…?» Kairi mormorò da dietro Sora. «Chi tira calci?»
«Sora ha gli incubi.» Riku disse immediatamente.
«Non è vero!» Sora si tirò su a sedere.
Riku sembrò ignorare la bugia di Sora, o perlomeno parve riconoscerla per quello che era.
«E cos’altro avrebbe potuto svegliare un pigro come te?» Si puntellò con le braccia e gli mise una mano sulla schiena. «Sora, siamo i tuoi amici. Puoi dircele queste cose.»
Anche Kairi si tirò su. «Quello, oppure con tutta la glassa che ti sei sbafato oggi sei ancora in sbronza da zucchero.»
«Grazie tante, Kairi.» Sora sbuffò. «Ti informo che i marshmallow non li abbiamo neanche tirati fuori.»
Non avrebbe voluto svegliarli.
Non avrebbero dovuto svegliarsi.
Era stato soltanto un brutto sogno, e Sora aveva soltanto voluto assicurarsi che, nel soggiorno buio, loro fossero ancora al suo fianco.
«… anzi. Potrei fare un po’ di cioccolata calda e ce li buttiamo dentro.»
La sua proposta sembrò essere buona, perché Riku alzò il pollice e Kairi esclamò la sua approvazione.
«… però ci conviene accendere la luce prima che qualcuno si faccia male.» Riku si mise in piedi e andò a premere l’interruttore.
«Sora, ti do una mano.» Kairi prese ad andare verso la cucina. Sora andò con lei e iniziò a cercare il pentolino, mentre Riku iniziava a sistemare i cuscini sparsi sul pavimento.
«Non c’è di cui vergognarsi ad avere gli incubi, Sora.» Kairi gli disse a bassa voce mentre Sora metteva il latte sul fuoco e iniziava a cercare la latta del cacao. «Mio padre dice che è normale cercare le persone di cui ti fidi.»
«Lo so, Kairi, ma…»
Sora non si sentiva più un bambino.
Non voleva mostrarsi debole e spaventato, non per una sciocchezza del genere.
«A volte anche io ho degli incubi.» Kairi confessò. «A volte sono in una specie di sala computer, a volte in una biblioteca. C’è qualcuno che mi insegue. A volte sento voci che gridano il mio nome.»
Sora rimase fermo sul posto, il barattolo che aveva trovato stretto in una mano.
«Kairi, perché non ce lo hai mai detto?»
«So come siete voi due. Vi preoccupate.» Kairi gli tolse la latta dalle mani e prese un cucchiaio da un cassetto. «La cosa è che siete due scemi. Riku parla nel sonno, per la cronaca. L'anno scorso mugugnava di un'orda di mostri che ti attaccava.»
Mentre Kairi versava il cacao nel pentolino, Sora rimase in silenzio. Aveva immaginato che gli incubi fossero la normalità, ma qualcosa del genere… e i suoi amici che lo nascondevano come lui…
Si sentiva sempre più idiota.
Rimase in silenzio mentre la cioccolata bolliva, mentre la versavano in tre tazze e apriva la busta dei marshmallow per ricoprire la superficie della bevanda, e non disse nulla neanche quando tornarono nel soggiorno con le tre tazze in un vassoio.
Fu Riku, spaparanzato sul divano, a parlare.
«Allora era un incubo, dico bene?»
«Tu inizia a raccontargli dei tuoi, e vedrai che anche Sora parlerà dei suoi.» Kairi gli lanciò un’occhiataccia.
 
«Li ho trovati.»
Saix si sedette sulla balconata della torre e passò un gelato ad Axel.
Sopra le loro schiene, l’orologio della stazione di Crepuscopoli rintoccava le sette di sera.
«Vexen… li ha usati in tutti questi anni.» Saix continuò a spiegare. Axel aveva preso il suo gelato, ma lo stava fissando senza mangiarlo. «Esperimenti. Un programma chiamato Progetto Replica, non so a cosa vuole arrivare, ma alla fine sono stati scartati, entrambi, dopo quattro anni, e messi per altri due a dormire in delle specie di boccioli di vetro.»
Axel alzò lo sguardo.
«Sono vivi? E sono ancora Qualcuno
Saix sbuffò.
«A quanto pare per Vexen era necessario fossero entrambe le cose.»
La sua bocca si contorse in una smorfia.
«Sono stati portati sotto al castello. Nella Grotta della Memoria. Non sono stati nemmeno toccati dagli Heartless per quanto sono stati nascosti bene.»
Per quanto si fosse sentito dire e ripetere che da Nessuno non potevano sentire nulla, Axel si trovò a provare qualcosa di orrendamente simile a sollievo e speranza, miste a rabbia.
Shiro era rimasta per troppo tempo al Castello che Non Esiste. Parlava da sola, sosteneva di sognare sua madre, spesso si svegliava urlando o in lacrime, e a volte al termine di questi incubi, o addirittura durante, fasci di luce partivano dalla sua mano destra stretta a pugno, per poi lampeggiare come una lampadina malfunzionante e svanire.
Non era una vita che una bambina di otto anni poteva meritare. Axel ricordava i suoi otto anni, gli otto anni di Lea, come il remoto periodo in cui era stato la mascotte della caserma dei pompieri, supplicava i suoi genitori per un fratellino, e cercava in tutti i modi di far finire i fagiolini della mensa scolastica nel bidone della spazzatura.
«Cosa facciamo ora?» Axel fissò il gelato che iniziava a sciogliersi nella sua mano, poi aggrottò le sopracciglia e iniziò a mangiarlo.
«Quello che Zack e Cloud avrebbero dovuto fare. Sono ancora vivi e sé stessi, Axel.» Saix finì il suo gelato e puntò il bastoncino contro Axel. Sul legnetto era stampata la scritta “hai vinto”. «Spacchiamo il vetro di quei boccioli in cui li hanno messi in stasi, facciamo in modo che sappiano che Shiro è ancora viva, ed è qui, e la aiutiamo a scappare. Da lì, Zack sa dove andare. Ricordi? Aveva parlato di un mondo dove erano stati i suoi genitori.»
«Sì, sì, lo avevo memorizzato. Loro e Ventus.»
Axel rimase a fissare il perenne tramonto di Crepuscopoli con il gelato che gli si scioglieva in mano. Non poteva evitare di pensare che Zack e Cloud, se pur imprigionati in chissà quali condizioni, forse erano stati quelli fortunati in quella storia.
Avrebbe voluto poter fuggire con loro. Ma non aveva alcun posto dove andare. Casa era solo un lontano ricordo, come pure Nonna e Kairi, e se finanche altri suoi amici, oltre Zack e Cloud, fossero sopravvissuti alla distruzione del Giardino, non aveva realmente voglia di rivederli.
«Saix, tu non credi davvero che il Superiore stia cercando di agire nei nostri interessi.» Axel scosse la testa. «Mettiamo il caso che è come suppongono. E che Shiro probabilmente porterà la chiave, come sua madre, ed è per questo che la stiamo tenendo con noi. Ma questa storia della chiave che potrebbe recuperare i nostri cuori, e di Kingdom Hearts, io sento puzza di bruciato.»
«Tu senti puzza di bruciato.» Saix aggrottò un sopracciglio.
Axel si strinse l’osso nasale con pollice e indice e sbuffò.
«Va bene, non il paragone migliore, ma… non so più cosa è vero, oppure no. Potremmo stare buttando all’aria la nostra occasione di tornare a delle vite normali, o potremmo stare salvando la vita a qualcuno. Cioè, sicuramente stiamo salvando la vita a qualcuno. Ma importa qualcosa?»
Saix fissò Axel con gli occhi sbarrati, e per un momento nella testa del numero otto balenarono pensieri come “sto per morire”, “ora mi ammazza”, o “ecco, se avessi sobbalzato appena di più sarei caduto di sotto”.
«Hai già perso Kairi, Axel!» Saix scattò in piedi, gli occhi sbarrati in quello che poteva sembrare uno scatto d’ira e che invece avrebbe potuto persino essere qualcosa di peggio – Berserk. «Se non facciamo qualcosa, potresti perdere anche Shiro!»
Era soltanto una frase, ma avrebbe potuto essere benissimo una freccia.
Il Superiore aveva detto e ripetuto che non potevano sentire dolore, e allora cos’era quello?
«Va bene.» Axel si fissò gli stivali. «Dimmi cosa devo fare.»
Saix sembrò calmarsi.
«Cercherò io di liberare Zack e Cloud. Mi assicurerò che stiano bene e dirò loro di venire qui.» Si sedette di nuovo. «Tu…»
Guardò Axel, e un’ombra del suo raro sorriso di ragazzino, quello che aveva riservato soltanto a Bolt, comparve sulla sua faccia.
«… offri a Shiro un gelato.»
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Videogiochi > Kingdom Hearts / Vai alla pagina dell'autore: BeaterNightFury