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Autore: Unpinguinoperamico    17/06/2019    1 recensioni
Non sapeva esattamente come chiamare ciò che c'era tra loro due. Thatch lo chiamava "amore". Marco lo chiamava "chimica". Luffy, pragmatico com'era, lo chiamava "aria". Lui, invece, li chiamava schiaffi coi fiocchi e impeccabili calci assestati proprio in quel posto.
Sì, Ace le aveva dichiarato guerra ma ne stava uscendo decisamente sconfitto.
***
Dal primo capitolo:
Già che s'era alzato da letto prima di mezzogiorno, e questo solo avrebbe potuto fornire materiale abbondante per un articolo di cronaca nera. Poi Thatch gli aveva sottratto il cibo da sotto gli occhi, e si finiva direttamente sul podio della "top 10 tragedie più toccanti" dell'anno che correva. Adesso, invece, che era stato costretto ad andare in ricognizione, si era ritrovato atterrato da una ragazza esile come uno spillo ed alta come uno sgabello che adesso gli teneva una pistola carica puntata alla fronte. L'assalto di un branco di cincillà l'avrebbe lasciato meno di stucco.
Genere: Azione, Comico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Pirati di Barbanera, Portuguese D. Ace
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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"Tutti se la prendono con la fine,
quando invece è sempre colpa dell'inizio"





- Ce lo vai a dire tu, Ace? -

- Esatto! Diglielo tu, capitano! -

- Taci, panzone. -

- Non essere meschino con Teach! -

- Non era mica offensivo! -

- Qualcuno però glielo deve andare a dire prima che cada di sotto. -

- Marco, ci vai tu? -

- Negativo. -

- Perché non ci va Ace per davvero? -

- Mi pare di aver già detto di no! E più di una volta!! -

- Solo velatamente. -

- Macché velatamente! -

- Vacci, Ace! -

- Coraggio! -

- Vai e sfrutta il tuo fascino focoso, sciupafemmine che non sei altro! -

Mormorii di consenso. Pur impuntandosi, Ace non poteva fare altrimenti. Era la sua volontà contro quella degli altri comandanti e di Teach, il quale nei confronti di Marco, per esempio, non valeva un centesimo, ma se si prendevano in considerazione anche l'odorino di alcol e la trippa che trasbordava dai suoi calzoni economici valeva per tre o per quattro voti: il caso accolto era perso a prescindere, in sostanza, non importa quali argomentazioni fossero messe in tavola per sostenere la difesa. Considerando che per giunta Ace non era bravo ad argomentare la sua tesi senza infiammarsi, ciò che gli rimaneva da fare era sottostare alla decisione comune: alzarsi, camminare fino a prua e compiere come si deve il proprio dovere di Comandante di Flotta.

- E va bene! - esclamò. - Ci andrò io, contenti? -

Altro che contento, Thatch sembrava essere gongolante mentre si faceva beffe del suo muso lungo. Ace gli fece la linguaccia, dopodiché diresse il suo sguardo da supplice verso la Fenice sperando in un salvataggio all'ultimo minuto. Dal canto suo, Marco dimostrò il suo scarsissimo interesse riportando gli occhi sulle pagine del libro. 

- Vi odio. - chiarì, indicando i comandanti uno alla volta. - Tutti. Indistintamente. Izou, Haruta, è inutile che sogghignate, voi vi odio più di tutti! -

- Ci odi, eh? - replicò Haruta con uno sbadiglio.

Izou lo scacciò nello stesso modo in cui si scacciano le mosche. - Sì, sì... va', fa' il tuo dovere, e del tuo odio ne riparliamo quando torni. -

Così Ace fu smontato, e non gli rimase altra scelta se non andare sul serio. Lanciò un'ultima occhiataccia fiammeggiante a Thatch, però, prima di avviarsi pestando i piedi verso chi aveva attirato l'attenzione dell'intera Moby Dick fin dal momento in cui essa aveva abbandonato il gran porto di Nemòt. Bisogna prima spiegare che cos'era successo a Nemòt, e il motivo per cui al rientro erano un po' tutti troppo, come dire, indisposti. Era successo che a Nemòt si stava sposando il principe. C'era stato il matrimonio più pomposo e stucchevole in cui Ace si era mai infiltrato, anche perché di matrimoni in cui infiltrarsi in genere non ce ne sono poi molti. Ma tutto sommato era stato divertente. Alcol, cibo e belle donne. Erano arrivati all'alba e ritornati sulla Moby Dick a notte fonda, uno più ubriaco dell'altro. Ace, ovviamente, di quel momento non si ricordava nulla, se non un breve flash in cui aveva la faccia immersa in una latrina fetida. Aveva vomitato l'anima, probabilmente, ma non si ricordava nemmeno di questo, e poi si era addormentato sul pavimento della sua cabina. Il boccone amaro era però giunto solo il mattino seguente, quando, annichilito dai postumi della sbronza, era salito sul ponte e si era imbattuto in una folla mostruosa di facce ottuse: era saltato fuori che c'era un intruso ostinato che di farsi acchiappare non ne aveva voglia.

Doveva essere una ragazzina davvero curiosa - o solo molto stupida - se aveva scelto di salire proprio sull'imbarcazione del Babbo, e doveva essere anche parecchio brava a nascondersi perché nessuno si era accorto della sua presenza se non quando erano ormai troppo al largo per tornare indietro. Era pure inavvicinabile, perché ogni volta che qualcuno tentava un approccio lei sgusciava fuori dalla sua portata inficcandosi nei luoghi più improbabili: adesso era abbracciata al pennone dell'albero maestro.

Le voci sul conto di quella marmocchia cominciavano già a circolare. Spia della Marina? Aspirante sorella? Semplice scroccatrice di passaggi?
"Vogliamo assicurarci che non sia un problema, tutto qui!" aveva spiegato Marco durante una riunione lampo sottocoperta (cui Marshall chissà perché e chissà come si era infiltrato). "Niente stress psicologico. Niente domande invadenti. Vogliamo solo sapere se per noi è una minaccia."

Era una minaccia, ovvio: per lo spuntino di metà mattinata di Ace! Thatch gli aveva tolto da sotto il naso prosciutto, pane, anguria, cosciotto di agnello, birra, brasato e pizza, cioè tutto ciò che riempiva per metà il suo cuore straziato. Non metà dello stomaco, per carità: lo stomaco di Ace era per così dire senza fondo, infinito, ed è impossibile dividere a metà l'infinito. Per questo col cibo preferiva riempircisi il cuore.

Fu quando Ace fece di nuovo capolino dalla porta che dava sul ponte che la situazione cominciò a precipitare.

In parte, letteralmente.

All'inizio si trattò di un'ombra rapida come Izou all'annuncio dei saldi che gli si gettò addosso dall'alto, lo colpì, lo atterrò e lo fece ruzzolare per il pavimento di legno finché la sua schiena non aderì del tutto contro l'altro capo del corridoio con un thud sordo. Il fondoschiena irradiava un dolore acuto e sinistro che non accennava a diminuire, ma prima di accorgersene dovette scacciare la fitta foschia che gli annebbiava il cervello. Qualcosa l'aveva colpito, e qui c'eravamo arrivati tutti, ma chi mai sarebbe stato in grado di spingerlo in quel modo, buttarlo giù come un birillo? Non nascose che quel volo non programmato gli aveva fatto salire un certo moto di stizza. Superato lo sbigottimento iniziale, che era tanto, cercò di individuare con lo sguardo annebbiato chi o che cosa lo aveva colpito, con l'intenzione di rialzarsi ed andare a urlargliene quattro. Tuttavia, rimase allibito. Qualsiasi altra cosa si sarebbe aspettato - corse di gnu, il Babbo in perizoma su un attrezzo di aerobica, le infermiere che stavano giocando a fare Tarzan assicurando i lenzuoli dell'infermeria al pennone dell'albero maestro - tutto gli sarebbe parso meno bizzarro di quello che vedeva.

Gambe sottili come stuzzicadenti, all'inizio, poi un logoro vestito verde oliva che la copriva fino a metà coscia e una chioma folta di capelli ispidi, tanto lunghi che sfioravano il pavimento: tutto posseduto da una piccoletta non più alta di un metro e sessanta, con grossi occhi castani che lo squadravano astiosi.

- Giuro che se parli t'ammazzo, Kai. - pigolò mentre estraeva da uno zaino giallo grosso quasi quanto lei una pepperbox dorata, e gliela puntava alla fronte. Nella voce sottile gli era parso di cogliere un certo accento pacato, da straniera.

Ace era troppo sbigottito per dire o fare qualcosa. Al di là del fatto che non riusciva a mascherare la sorpresa ed aveva occhi grossi come biglie, doveva avere stampata in faccia un'espressione tutt'altro che intelligente.

- Che mattina del cazzo! – brontolò, facendo cadere la testa che sbatté dolorosamente contro il pavimento. Sì che lui era di solito allegro, cordiale e di buon umore, ma a tutti capitano le giornate storte no? E quella era decisamente una giornata storta.

Già che s'era alzato da letto prima di mezzogiorno, e questo solo avrebbe potuto fornire materiale abbondante per un articolo di cronaca nera. Poi Thatch gli aveva sottratto il cibo da sotto gli occhi, e si finiva direttamente sul podio della "top 10 tragedie più toccanti" dell'anno che correva. Adesso, invece, che era stato costretto ad andare in ricognizione, si era ritrovato atterrato da una ragazza esile come uno spillo ed alta come uno sgabello che adesso gli teneva una pistola carica puntata alla fronte. L'assalto di un branco di cincillà l'avrebbe lasciato meno di stucco.

- Beh? Che si fa? - domandò col broncio.
Seduto così per terra aveva la visuale del doppiomento dell'intrusa e di due grossissimi occhi castani. Nonostante la domanda impertinente, quello sguardo stoico non vacillò.

- Questo dimmelo tu, Kai. -

Ace stava per dirle che aveva preso un enorme buco nell'acqua se lo stava scambiando per quel certo "Kai", chiunque egli fosse, e glielo avrebbe rinfacciato anche poco delicatamente se in quel momento, dalla porta che dava sul ponte lasciata socchiusa, non fosse entrato ansante un affare ancora più strano dell'intrusa. Un goffo pennuto di stoffa che correva portando in mano un paio di occhiali esageratamente grandi e dalla montatura circolare.

- Sage! Sage rimettiteli! -

L'intrusa, che da quanto aveva capito si chiamava Sage, sgranò gli occhi con meraviglia: - Oh, che sbadata! Grazie, Pyo! - e senza tante storie se li poggiò sul nasino a punta. Gli occhiali le si inclinarono a sinistra, ma apparentemente non le davano fastidio. Ace notò con un certo stupore che con gli occhiali sembrava avere degli occhi addirittura più grandi di prima. La ragazza si girò di nuovo verso Ace, lo guardò meglio, sorpresa, e poi gli sorrise.

- Tu non sei Kai! -

Ace si rialzò da terra e si sistemò meglio i calzoni, guardandola stizzito, con la paura che se non avesse cominciato a parlare adesso, l'intrusa avrebbe colto l'occasione per tornare ad appollaiarsi sull'albero maestro. Dove la porta avevano cominciato ad affollarsi i suoi fratelli. Thatch era in prima fila e lo guardava con i pollici alzati. Brutto stron...

Beh, che senso aveva continuare a tenere il broncio? Prima Ace sospirò amaramente, poi si risollevò in un sorriso apertamente tirato. Adesso non pensava più alla sottrazione del suo amato cibo, bensì al momento in cui Thatch glielo avrebbe restituito: il mondo tornò a brillare. Fece un inchino.

- No, signorina. Sono Portgas D. Ace, capo della Seconda Divisione di Barbabianca. - si presentò con un sospiro, - e tu chi sei? Perché sei sulla nostra nave? -

- Sage Barret, la cugina del re di Nemot. Ti ho visto al matrimonio, ieri. - rispose. Poi si guardò attorno, un po' confusa: - E comincio ad avere l'impressione che questa non sia la mia nave. Ah boh, sembrano tutte uguali di notte. -

- Tutte uguali di notte. - ripeté Ace, con un sorriso sarcastico che gli increspava le labbra. Era sollevato. Insomma, aveva capito che quello scricciolo non era nulla di dannoso (e in realtà non aveva capito un accidente). – Davvero, signorina, comincio a pensare che tu debba essere stata parecchio lucida ieri sera! -
Sage lo guardò infastidita: - Quanto sarcasmo può contenere un energumeno di un metro e novanta. -

- Sage sii cortese! - cinguettò Pyo, l'uccellino di stoffa.

- Poi non fare tanto il furbo, che ti ho visto ieri sera! Eri ubriaco come un babà! Non mi sarei sorpresa se invece di salire sulla barca fossi caduto in mare. -

- Sage! - protestò Pyo.

Ace scrollò maliziosamente le spalle: - Io almeno sono salito su quella giusta. -

- E ne hai cosparso il ponte coi tuoi succhi gastrici. - commentò secca.

In seguito, Ace avrebbe giurato che il fatto di essere rimasto a corto di risposte fosse dovuto allo stomaco vuoto, alle misere dodici ore di sonno e alla pressione che gli metteva addosso il tifo di Thatch, che urlava dal pubblico alti "ACE SEI FORTE!" con i pollici alzati e un coro mica male di "CO-MAN-DAN-TE, CO-MAN-DAN-TE!". In realtà, ma questo non si poteva ammettere, Sage Barret era una vera campionessa quando si trattava di scontri dialettici e scambi rapidi di battute e persino contatti fisici, e quello anche se piuttosto di breve durata era stato il loro primo turno.

Ace, con quell'occhiataccia fumosa a fine partita, le aveva dichiarato guerra.
   
 
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