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Autore: irYsblackeyes    19/06/2019    0 recensioni
Quando credi di essere un individuo potente, perfetto, che riesce a controllare tutto e tutti, ti senti un Dio.
Pensi di poter manipolare le menti delle persone, di poter giocare con coloro che per natura possiedono un carattere fragile e buono.
Con il passare del tempo però ti accorgi che ciò che hai e ciò che fai non ti bastano più. Cerchi di più, ma più in là di così non puoi andare e di conseguenza, riversi tutta la tua cattiveria e la tua incapacità di accontentarti, sulle persone più deboli di te.
Ma se anche questo, ad un certo punto, non ti bastasse più?
Ti affidi alla droga più potente che riesca annebbiare i tuoi sensi pur di non doverti fermare a pensare a ciò che sei diventato.
Ma cosa succede ancora, se il tuo modo di vivere di colpo ti scaraventa nel mondo "reale" e ti porta quindi a confrontarti con i comuni esseri umani?
Cosa succede se da "Dio" quale eri, per motivi non decisi da te, ti ritrovi a diventare un comune mortale?
E cosa succede se l' unica persona che in qualche modo può aiutarti a galleggiare è la stessa persona che ha subito abusi e
Genere: Drammatico, Generale, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti
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L'orco ci prova davvero gusto nell' annientarmi lentamente.

Le porzioni di cibo che mi da sono sempre più scarse e molte volte le "corregge " con un po' dell'alcool che beve facendomi rifiutare completamente il cibo.

Non riesco più ad ingurgitare quella roba, il mio debole fisico si ribella all'istante.

A volte mi convinco che il suo unico scopo sia rendermi tale e quale a lui per poi riuscire a portarmi con sé all'inferno.

Sono due settimane che faccio un solo pasto al giorno e non riesco a stare in piedi. Ho bisogno di mangiare. Sarei disposta a tutto pur di mangiare un po' di carne.

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E' il 12 aprile e sotto la divisa si suda come se fosse agosto. Stasera ho bevuto davvero poco quindi, sono convinto che non sia l'alcool a farmi questo effetto.

Guardo Koch chiedendogli se anche lui stesse soffrendo quanto me e la sua risposta risulta affermativa.

Stare di guardia durante la notte è snervante e preghiamo sempre che ci capiti qualche prigioniero ribelle con il quale divertirci un po'.

Ho bisogno di farmi un bagno fresco. Sento di puzzare peggio delle anime perse che fluttuano qui dentro. Ripenso alla sera di qualche mese fa in cui ho scovato il topo di fogna permettersi il lusso di lavarsi con le sue "amiche". Sembravano così felici e spensierate, sembravano essersi per un attimo dimenticate dell'inferno nel quale si trovavano.

Perse. Perse a ridere, scherzare, piangere e a giocare con l'acqua.

Acqua. Un bene di consumo a cui io posso attingere quando e come voglio; per loro invece, diventa un bene raro e prezioso.

Penso a come possa essere poter godere delle piccole semplici cose. Ho sempre avuto tutto dalla vita eppure molte volte mi sento triste, insoddisfatto. Vorrei di più ma non capisco cosa esattamente desidero e dove esattamente voglio arrivare.

Mesi orsono, arrivò un carico molto sostanzioso da non ricordo dove. Di certo avranno viaggiato per giorni interi senza mangiare, bere, lavarsi.

Scesero dal vagone completamente persi, spaventati. Sembravano pecore spaesate.

Appena ci avvicinammo a loro con i nostri cani, l'isterismo prese il sopravvento. Gente che iniziò ad urlare, a spingere, donne che piangendo stringevano al petto i loro piccoli, uomini e ragazzi incoscienti che ci gridavano qualsiasi tipo di insulto.

Iniziammo a sparare: in aria, alle persone, dove capitava.

Alcuni di loro caddero a terra colpiti; il caos aumentò, le madri si strinsero ancora di più ai loro pargoli e le ragazze, ai loro compagni o padri.

Ognuno cingeva l'altro talmente forte da non riuscire a dividerli così, uno di noi prese una canna dell'acqua e ne sganciò il getto gelido contro la massa.

Ebbene, invece che tranquillizzarsi, essi vi si buttarono contro come se quel liquido fosse elisir di lunga vita. Col freddo che faceva, io stesso faticavo a sciacquarmi le mani sotto il primo getto d'acqua del mio rubinetto mentre loro, vestiti di deboli stracci, quasi si uccidevano per riceverlo.

Patetici. Sembravano dei maiali alla mangiatoia.

Fortunatamente non sono nato come un porco ebreo! Sogghigno sotto la visiera, vittima del mio stesso sottile senso dell'umorismo.

Passo la mano sinistra dietro al collo asciugandomi del sudore ripensando al bagno fresco che mi attende e per un attimo, la mia mente, ritorna a quella notte.

Tutto nacque per caso. Avevo finito il turno ed ero terribilmente nervoso.

Dovevo trovare qualcuno con cui sfogarmi, così mi misi a girare per il campo sperando di scovare qualche prigioniero disobbediente.

D'un tratto vidi un gruppo donne dirigersi verso la baracca delle docce.

Incuriosito le seguii e fra di loro notai Anita. Allora non conoscevo il suo nome ma poco mi importava: avevo trovato il mio bersaglio.

Sapevo che rubava avanzi di cibo per poi distribuirli alle sue compagne ma sinceramente la cosa mi toccava poco. Preferivo sedermi a bere con i miei colleghi piuttosto che stare due ore accanto a lei che puzzava peggio di una latrina.

Vedere quei mucchi di ossa nudi, mi fece ribrezzo a tal punto da pensare di andarmene e lasciare a qualcun altro, lo sporco lavoro di finirle. Prima di avviarmi però osservai di nuovo Anita. Sorrideva. Per la prima volta vidi un' espressione ilare sul suo volto.

Loro non devono sorridere.

Non ne hanno il diritto.

Non sono in villeggiatura, non si stanno facendo una doccia rinfrescante dopo un bagno al mare. Loro devono soffrire.

Devono piangere e disperarsi.

Devono morire.

Complice il mio nervosismo, mi venne una gran voglia di trasformare quello stupido ed innocente sorriso beffardo, in una autentica smorfia di paura e dolore.

Avrei solo dovuto picchiarla per poi lasciarla agonizzante a pentirsi della sua bravata, nulla di più. Mai avrei immaginato di poter arrivare al punto in cui sono giunto. Mi pento ogni singolo giorno del grave torto che ho fatto a me stesso.

Koch mi desta dai pensieri dicendomi di aver notato dei movimenti sospetti.

Ci avviciniamo puntando le torce verso la fonte di quel sottile rumore.

Dinnanzi a noi, una scena raccapricciante che quasi mi fa risalire la cena mezza digerita.

Ci metto un po' a capire cosa sta realmente succedendo.

Alcune ragazze in cerchio, ne conto cinque o sei inginocchiate a terra, avventate su qualcosa che non distinguo ancora nitidamente.

Koch illumina i volti delle donne che con un gioco di luci ed ombre, sembrano appartenere a demoni risaliti da qualche antro dell'inferno. Riconosco Anita. O meglio, non la riconosco.

A terra, sventrato, al centro del loro cerchio, un animale che ricordo essere il gatto domestico del collega Faust.

Sangue, peli, budella. Residui ancora caldi e pulsanti del felino sparsi per terra, sulle loro mani, sui loro volti.

Anita, quella ragazzina sottomessa che ho di fronte tutti i giorni, mangia da quella carcassa, come un leone sulla zebra. Dalla mia postazione posso vedere i suoi occhi fiammanti, animaleschi, posseduti da un demonio che annienta quell'innocenza che vi ho letto dentro in tutti questi giorni.

Per un momento rimango interdetto. Una sensazione strana mi pervade.

E' un lampo.

Koch spara dei colpi di fucile, intimando a quelle donne di tornare nelle loro baracche. Rimango stordito ancora per qualche secondo prima di rivolgergli la parola.

-Non le hai uccise...- sussurro incredulo.

Koch sorride diabolico sotto la visiera.

Aspetta solo che Faust scopra cosa hanno fatto al suo povero gatto.

   
 
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