Anime & Manga > Lady Oscar
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Autore: Ardesis    20/06/2019    8 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Non credeva che l’avrebbe visto lì, accanto ai cancelli d’ingresso della caserma, avvolto nella morbida luce rosata dell’imbrunire, immobile e dritto come un soldato di guardia.

André aspettava lei. Oscar non lo sapeva, ma ne era certa. 

Gli andò incontro a passo lento, misurato, soppesando attentamente le proprie emozioni mentre conduceva Cesar per le briglie. Si sorprese della propria calma. Il ritmo del cuore non era aumentato, le guance avevano conservato il loro freddo pallore e nessun nodo le aveva chiuso la gola. Scoprì di percepire soltanto una gradevole serenità, simile a quella che per molti anni aveva provato dopo le interminabili giornate a Corte, quando trovava André ad attenderla pazientemente nel cortile di Versailles per tornare a casa insieme.

-André.-

Lo salutò pronunciando il suo nome con una dolcezza spontanea e lui fece lo stesso.

Si incamminarono in silenzio, fianco a fianco, accompagnati dalla stessa naturale confidenza che avevano sempre avuto e che sembrava non avere motivo di mancare. Si guardarono intorno con aria distratta, sospirarono spesso e solo quando raggiunsero la riva della Senna, Oscar ruppe il silenzio.

-Ti sei sistemato bene qui in città?-

-Sì. L’alloggio è decente e il quartiere tranquillo. Domani inizierò a lavorare per un avvocato di Parigi.-

Con la coda dell’occhio, André vide che Oscar annuiva mentre fissava con occhi stanchi la strada davanti a sé. Indovinò senza sforzo che lei gli avesse posto quella domanda solo per semplice cortesia.

-Ti ricordi cosa mi hai detto appena prima che io partissi per la Normandia?- chiese lei ad un tratto, senza guardarlo -Mi hai detto che fuggire è inutile.-

André sospirò. Ricordava bene quel giorno e quelle parole che gli erano uscite senza controllo dal cuore. Non si sarebbe sorpreso di ricevere ora da lei lo stesso rimprovero.

-Anche tu sei fuggito.-

André accettò la presagita accusa con un altro sospiro.

-Ho sbagliato a non parlartene.-

Ammise voltandosi verso di lei per cercare il suo sguardo, ma Oscar sembrava molto più interessata a seguire la trama del selciato che scorreva sotto i loro piedi. Si permise allora di osservarla, come aveva fatto spesso in passato nei momenti in cui lei era distratta. La trovò bella, bella da far male, in quell’uniforme nuova e lustra, molto più bella che nel succinto abito bianco da contessa che le aveva visto indossare la sera in cui tutto aveva cominciato a cambiare. Il blu e l’oro le donavano.

-Non eri tenuto a farlo.-

Asserì lei ad un tratto e si fermò in mezzo al ponte che stavano attraversando per voltare la faccia e offrirgli uno sguardo fermo ma non severo.

-Oscar, abbiamo entrambi bisogno di tempo e di spazio. Non posso fingere che non sia accaduto nulla tra noi e non voglio fingere di essere ancora tuo... amico.-

-Mi stai proponendo di fingere di essere due estranei?-

-Mettiamola pure così. Penso che se ci intestardissimo ad imitare le persone che eravamo e che non siamo più, rischieremmo soltanto di farci del male a vicenda. Ancora.-

Oscar annuì e allungò una mano per accarezzare il muso di Cesar.

-Se avrai bisogno di me, non devi far altro che cercarmi, Oscar.- aggiunse lui, gentile -La nonna conosce il mio indirizzo, chiedilo a lei se hai necessità.-

-Va bene, ti ringrazio. Vale lo stesso per te. Puoi tornare a Palazzo quando desideri, ma ti prego di non cercarmi in caserma, almeno finché non te lo dirò io.-

Ripresero a camminare nell’aria d’oro dell’imbrunire finché non raggiunsero l’ombra gettata dagli edifici sulla riva opposta del fiume, dove le botteghe degli artigiani stavano ormai chiudendo i battenti per la notte. A quel punto, un grosso topo nerastro passò a pochi passi dai loro piedi per correre verso un canale di scolo, innervosendo Cesar, che inchiodò con un nitrito cupo. Seguendo l’eco delle vecchie abitudini, Andrè tese una mano verso il muso del cavallo per regalargli una carezza di conforto, ma Oscar gli afferrò di slancio il braccio come se volesse impedirglielo. L’atmosfera tranquilla che li aveva accompagnati si frantumò e André si sentì congelare fin dentro l’anima. Mentre tentava in fretta di capire cosa ci fosse di inopportuno nel proprio gesto, si preparò istintivamente a scusarsi.

-Oscar...-

La guardò negli occhi e intravide un cielo nero di tempesta oltre il bordo delle sue iridi cristalline. Capì che quelle dita forti e sottili che ancora gli stringevano il polso non volevano respingerlo, ma aggrapparsi a lui.

Rimasero entrambi immobili per qualche istante, occhi negli occhi e con i respiri trattenuti, ignorando gli sguardi dei passanti incuriositi da quella loro innaturale posizione. Poi Oscar di colpo parlò con voce ferma, priva di qualsiasi sfumatura. 

-Girodelle ha chiesto la mia mano.-

In quel momento una carrozza passò rapida e rumorosa nella via e gli schizzi di fango delle ruote insozzarono qualche passante, scatenando un coro di proteste.

-Girodelle... Girodelle ha chiesto la tua mano?-

Ripeté André.

-Sì, è così.-

Lui si sentì trafitto da parte a parte.

-Ascoltami, Oscar, mi fa male dirlo, ma preferirei vederti sposata con chiunque altro.-

Oscar increspò le sopracciglia e gli liberò il polso.

-Perché?-

-Perché il Visconte ama i tuoi pregi, ma non vede i tuoi difetti.-

I rumori della strada riempirono il silenzio che calò dopo quelle parole, ma André riuscì ad udire soltanto il suono amplificato e assordante del proprio cuore che gli batteva forte nelle orecchie. Lei non disse più nulla, mise un piede nella staffa e salì in sella con una certa fretta, come se si fosse ricordata all’improvviso di avere un impegno importante. André capì di aver toccato qualche corda sensibile del suo spirito. Forse si era spinto oltre. Non dovevano fingere di essere due “estranei”? E poi doveva capirlo, si rimproverò, se Oscar non riusciva ad accettare che un uomo innamorato pretendesse di darle consigli da amico. E non poteva di certo darle torto.

-Devi scusarmi, André, ma ora devo proprio andare. Vorrei tornare a casa prima che faccia buio. Non c’è luna stanotte.-

Andre si sentì rimesso in riga e fece un passo indietro, abbassando servilmente gli occhi. Con un sospiro si chiese se avrebbe mai veramente smesso di essere il suo attendente.

-Non dimenticarti che la prossima domenica c’è il matrimonio di Rosalie.-

Mormorò senza avere né la voglia né la forza di guardarla.

-Me ne ricordo. A presto, André.-

 

 

 

 

 

Si sentì morire quando vide Oscar allontanarsi a cavallo, lasciandogli addosso la gelida sensazione della solitudine. Il sangue smise di scorrere nelle sue vene e poi ricominciò subito dopo, veloce e bollente, salendo dritto alla testa, oscurando del tutto la sua lucidità.

Si convinse, senza ragione, di aver bisogno di uno sfogo, il più basso, fisico e immorale che potesse ottenere.

Tornò a casa quasi correndo, ignorò del tutto le domande indiscrete della padrona di casa e si precipitò al primo piano, verso la stanza della prostituta. Colpì la porta con entrambi i pugni, poi si allontanò di un passo e si strofinò le mani sui vestiti per eliminare qualche traccia inesistente di polvere.

La donna che gli aprì la porta dopo qualche secondo non aveva affatto l’aspetto di una prostituta. Era piccola di statura, con un volto magro, segnato da un’eta matura e da una vita evidentemente poco felice. L’abito color cenere che indossava era accollato, largo e mostrava molta meno pelle di quanto André si fosse aspettato.

La donna guardò il ragazzo con aria diffidente e indispettita, poi si appoggiò allo stipite piantandogli addosso un paio di eloquenti occhi grigi.

-Buonasera, mi chiamo André. Alloggio nel sottotetto.-

Borbottò lui provando ad abbozzare un sorriso, che dovette assomigliare più ad una smorfia, perché la donna sollevò in alto un sopracciglio e sbuffò appena.

-Ah, desiderate?-

Il demone che si era impossessato di André di colpo lo abbandonò.

-Perdonatemi, io non avevo intenzione di disturbarvi.-

La donna fece schioccare le labbra e sghignazzò divertita.

-Oh, capisco, cercavate un po’ di svago, ma vi aspettavate di trovare qualcosa di più accattivante!-

André sentì che il proprio volto si scaldava, minando da principio la credibilità di qualsiasi suo tentativo di difesa. Provò a pensare ad un modo galante per scusarsi, invece ebbe un’idea.

-Posso farvi una proposta?-

Domandò titubante. Lei acconsentì con un cenno altrettanto incerto della testa.

-Se vi venisse offerto un lavoro come domestica in un palazzo nobiliare fuori Parigi, accettereste?-

La donna accolse quella domanda incrociando le braccia sul petto e riducendo a fessura gli occhi grandi e rotondi.

-Forse.- 

Concesse, inclinando la testa.

-Potrei raccomandarvi.-

-E per quale motivo fareste una cosa simile, di grazia?-

-Sono il nipote della governante di Palazzo Jarjayes. Posso assicurarvi un lavoro, un lavoro onesto, pulito, ben pagato. In cambio, voi dovreste riferirmi tutto ciò che dice e fa la figlia del Generale.-

Perfino Andrè non era convinto di quella offerta, né era sicuro che fosse attuabile, perciò non si stupì di non essere preso sul serio. Lasciò che la mente della donna assorbisse le sue parole, quindi provò ad essere più persuasivo.

-Vi assicuro che sono in buona fede. Io stesso sono disposto a fidarmi di voi, madame. Non rischiereste nulla, in cambio vi chiedo solo di ascoltare e riferirmi.-

Nessuna risposta.

-Potrebbe essere un’occasione per voi di avere una vita più... dignitosa.-

Azzardò mostrandole un sorriso caldo e sperando di sembrare rassicurante.

-Vi posso lasciare un giorno per pensarci.-

Insistette. La donna sciolse le braccia dal petto e appoggiò le mani sui fianchi, rivelando un corpo esilissimo sotto la stoffa abbondante del vestito.

-Se mi assicurate che non è uno scherzo, io accetto anche subito.-

-Ve lo assicuro!-

Esclamò lui di rimando e in uno slancio di riconoscenza prese le sue mani piccole e ossute tra le proprie.

-Bene, allora scrivete alla vostra parente per assicurarmi il lavoro che mi promettete, poi consegnerò io stessa la lettera. In questo modo sarò sicura che non si tratti di una burla.-

-Come desiderate. Scriverò a mia nonna stasera stessa e già domani potrete consegnare la lettera di persona.-

Rifletté un momento, poi chiese:

-Perdonatemi, madame, qual è il vostro nome?-

-Annette, mi chiamo Annette. Per favore,- soggiunse lei abbassando il tono -non dite a vostra nonna che sono una prostituta.-

-Sarò discreto.-

Assicurò lui.

-Sarò discreta anche io.-

Promise Annette e chiuse la porta.

 

 

 

 

 

Lo studio dell’avvocato era un ambiente austero e poco luminoso, quasi come un seminterrato, sebbene si trovasse al livello della strada. L’atrio era ampio e completamente spoglio e l’aria che vi si respirava era pesante e fuligginosa a causa delle numerose candele che riempivano i cantucci, pur senza riuscire ad illuminare la stanza a dovere. Entrando, André ebbe l’impressione che il pavimento e le pareti scure assorbissero e trattenessero ogni bagliore di luce. Nell’angolo vicino alla porta d’ingresso, il punto più luminoso, c’era un basso scrittoio, sopra cui un ragazzo con i capelli neri se ne stava curvo a controllare un grosso libro di annotazioni. André intuì che fosse il garzone. 

-Buongiorno.-

Gli disse in tono cordiale, mentre accompagnava la porta.

-A voi.-

Rispose il ragazzo, studiandolo da testa a piedi.

-Sono André Grandier, sto cercando l’avvocato Basil Moreau.-

-Ah Grandier, vi aspettavo!-

Un uomo basso, magro e scuro come le pareti dell’atrio emerse da una porta di legno altrettanto scura, sfregandosi le mani e sfoggiando un ampio sorriso.

-Sono Basil Moreau e sono lieto di conoscervi. Bernard mi ha parlato davvero bene di voi!-

Esclamò. André gli strinse la mano vigorosamente e stirò le labbra. Valutò a occhio che l’avvocato dovesse aver superato i quarant’anni da almeno un lustro.

-Bernard mi ha riferito, inoltre,- soggiunse Moreau con un tono più discreto -che eravate l’attendente di Oscar François de Jarjayes.-

-Sì, sono stato suo attendente.-

-Mmh.- commentò l’avvocato, prendendosi il mento tra le dita -Voi non avete studiato la legge, dico bene?-

-No, ma ho ricevuto un’istruzione completa.-

-Per concessione del Generale?-

-Sì.-

-Insolito che un servo ottenga questo privilegio da una famiglia aristocratica. Siete stato molto fortunato, ne convenite?-

-Lo sono stato, è vero.-

André fiutò l’obiettivo dell’indagine dell’avvocato, ma lo lasciò parlare fingendo di non aver capito.

-Io sono ben propenso ad assumervi, perché ritengo che un uomo maturo e istruito come voi mi sia più utile di un normale studente principiante, tuttavia vorrei che mi chiariste le idee sul rapporto che intercorre tra voi e la figlia del Generale Jarjayes.-

“Ecco il punto”, pensò André, e decise di propendere per la sincerità, ma senza sbilanciarsi.

-Eravamo in confidenza.-

-Eravate?-

-Siamo cresciuti insieme, ma per diversi motivi non era accettabile che fossimo sentimentalmente legati, in amicizia, si intende.-

L’avvocato sorrise con un’espressione indecifrabile e si avvicinò per dargli una pacca sulla spalla, gesto che André trovò un po’ troppo confidenziale.

-Siete un uomo libero, Grandier, siate felice per questo, e considerate che la vostra istruzione e la vostra intelligenza vi salveranno dalla miseria. Siete una persona davvero fortunata, ho l’impressione che non ve ne rendiate conto.-

La coscienza di André rimase molto colpita da quella affermazione. Lui, un uomo fortunato? Di sicuro era stato più fortunato di molti altri, questo lo sapeva e sua nonna non aveva mai smesso di rammentarglielo. Dunque la sua infelicità era solo una questione di arroganza? Se avesse imparato a farsi bastare ciò che la Fortuna aveva deciso di concedergli, sarebbe stato un uomo felice?

Continuò a rimuginarci sopra per tutto il giorno, anche mentre tornava stanco verso casa. Salì a capo chino le scale per raggiungere la propria camera, perso tra pensieri che gli rimescolavano la testa ed emozioni che gli rimescolavano lo stomaco, quando un giovane con i capelli color nocciola e gli occhi piccoli e affilati, uscì di fretta dalla stanza di fronte a quella di Annette e gli si parò di fronte.

-Voi dovete essere l’inquilino che risiede proprio sopra la mia stanza, dico bene?-

Domandò il ragazzo con un sorriso stretto e freddo. André si fermò sul pianerottolo e, mentre si presentava senza entusiasmo, analizzò l’aspetto ricercato del proprio interlocutore, osservando tra sé che egli indossasse abiti di fattura un po’ troppo raffinata per essere un semplice studente. 

-Io mi chiamo Louis, Louis de Saint-Just, lieto di conoscervi, André.- disse quello -Mi fermerei volentieri a parlare con voi, ma ho impegni urgenti che mi aspettano. Vi auguro buona serata.-

 

 

 

 

 

Alain se ne stava disteso sulla branda con le mani dietro la nuca, in attesa di cominciare il proprio turno di guardia. Avrebbe dovuto fare la ronda notturna e l’idea non gli dispiaceva. Aveva ormai preso l’abitudine di approfittare dei turni di notte per spingersi nei quartieri malfamati di Parigi e cercare tabacco di contrabbando. In genere, gli era sufficiente vendere un paio di bottoni della divisa per acquistarne una quantità bastevole per una settimana.

Di notte gli eventi gravi erano rari, tutt’al più gli capitava di dover intervenire per sedare qualche disordine da osteria o qualche piccola rissa in strada. Ad un soldato grosso come lui bastava mostrare il fucile per quietare gli animi.

Rimase a lungo a fissare il soffitto umido e pieno di ragnatele, pregustando il sapore del tabacco che si sarebbe procurato a breve. Proprio sopra la sua testa vedeva il solco del proiettile che il comandante aveva sparato il giorno in cui era arrivata. 

-Non ho alcuna intenzione di partecipare alla parata in onore del nuovo Comandante.-

Borbottò in quel momento uno dei suoi compagni mentre staccava croste di fango dai propri stivali, seduto su uno sgabello. Gli altri uomini affermarono subito con voci fiacche di provare lo stesso sentimento.

Alain abbandonò le proprie fantasticherie e si sollevò sui gomiti per mettersi ad ascoltare il mormorio della camerata.

-Oltre che nobile, è pure una donna. È ridicolo.-

-Ridicolo? No, non è solo ridicolo, è proprio una presa per i fondelli. Non ho alcuna intenzione di calarmi le brache davanti a lei e offrirle il mio posteriore.-

-Ah, no? Ma tu l’hai vista bene? Io me le abbasserei le brache davanti a lei, eccome!-

-Idiota, quella vergine di ghiaccio ti abbasserebbe i pantaloni solo per infilarti la canna della pistola tra le chiappe.-

-Ah beh, partecipare alla parata sarebbe un po’ come dirle che mettiamo a sua disposizione i nostri culi.-

-Ah, io ve lo dico, non mi vedrete in piazza d’armi domani.-

-Nemmeno a me!-

-Beh, nemmeno io mi presenterò! Quella ha bisogno di un bel maschio che le spieghi la differenza tra uomo e donna.-

-Potremmo minacciarla.-

Alain si tirò su a sedere, dimenticandosi che quella branda era troppo debole per fare da poltrona. Il materasso si avvallò pericolosamente sotto il peso importante del suo posteriore e lui si vide costretto ad alzarsi per non rischiare di rompere la rete. Tutti tacquero e gli rivolsero lo sguardo, credendo che si fosse alzato per intervenire.

-Ehi ragazzi, calmiamoci!-

Esclamò lui, quando si vide addosso tutti quegli occhi. Non aveva alcuna intenzione di costruire un’arringa a favore del Comandante, ma non poteva permettere che quel branco di teste vuote si cacciasse in qualche pasticcio con lei.

-Nessuno di noi è felice del nuovo Comandante, ma non facciamo stronzate, d’accordo? Non vi passi per la testa di toccarla o di minacciarla e nemmeno di farle la corte, o finirete sulla forca. Sono certo che basterà rifiutarsi di eseguire i suoi ordini. Può sparare a quel soffitto quanto vuole ma prima o poi finirà i colpi. E sarà costretta a tornare da dove è venuta.-

Tutta la camerata proruppe in un applauso entusiasta e Alain sorrise godendosi quel piccolo momento di gloria.

“Che banda di caproni.”

Pensò sogghignando, mentre si avviava verso l’armeria a prendere il fucile per il turno di guardia.

Ammetteva senza imbarazzo di provare affetto per quella compagnia di uomini grezzi e analfabeti, quasi un sentimento fraterno, ma non si sentiva uno di loro.Sebbene ora fosse povero e miserabile quanto uno qualunque di quei soldati, Alain da bambino aveva ricevuto un’istruzione, umile ma buona, quando la sua famiglia poteva ancora permetterselo. Ricordava con nostalgia gli anni sereni della sua infanzia. Allora, qualche volta mangiava carne e, nelle occasioni di festa, perfino dei dolci. Vestiva abiti cuciti da un sarto, comodi e duraturi, caldi d’inverno e freschi d’estate. Ma di quei tempi non gli rimanevano altro che ricordi.

Si appoggiò di schiena a gambe incrociate sul muro esterno della camerata per attendere il compagno con cui avrebbe dovuto affrontare il turno. Era una bella notte, limpidissima e profumata di fresco.

Sollevò gli occhi per guardare il cielo e si ritrovò a fissare le grandi finestre dell’ufficio del Comandante al di là delle quali era tutto buio. Il Colonnello doveva essere tornata a casa.

Pensò a lei e alle parole cattive che erano uscite dalle bocche dei suoi compagni e si accorse di non provare rancore nei confronti di quella donna, piuttosto compassione. Non volle trattenersi a ragionare su quel sentimento che sentiva nel cuore, perché sapeva che si sarebbe potuto trasformare in rabbia. 

Non odiava lei, odiava il mondo in cui lei viveva, quello stesso mondo da cui invece lui era stato escluso.

D’altra parte, di chi era la colpa per quell’ingiusta differenza di privilegi?

Lei, lui, gli altri, tutti subivano i capricci della Fortuna e nessuno poteva scegliere da quale grembo venir fuori.

Sbuffò e sorrise amaro. Si convinse che, tutto sommato, fosse meglio vivere nel mondo reale, quello grezzo e sporco del popolo, piuttosto che sul palcoscenico della nobiltà.

-Dimostrateci quanto valete, Comandante.-

Borbottò a voce alta.

   
 
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