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Autore: Abby_da_Edoras    21/06/2019    5 recensioni
Con questa long fic vado a infastidire anche la prima stagione della serie TV "I Medici", ma per un buon motivo: come sempre, salvare la vita ai personaggi che mi sono piaciuti e, anche in questo caso, uso la tecnica della leggerezza, della parodia, e inserisco un personaggio originale, Giovanni Uberti, il cui prestavolto è l'attore che interpreta Jeremy Gilbert in The Vampire Diaries (non c'entra niente, ma mi piaceva!). Dunque, Giovanni arriva a Firenze per motivi tutti suoi, personali e familiari, e si troverà suo malgrado proprio nel bel mezzo delle lotte intestine tra Medici e Albizzi. Nonostante all'inizio non voglia assolutamente farsi coinvolgere, poi si troverà fin troppo coinvolto! E sarà lieto fine per tutti, perché io scrivo per questo.
Voglio mettere in chiaro che in questa storia mi ispiro esclusivamente alla serie TV e che non voglio minimamente arrecare offesa a qualunque personaggio storico venga nominato. Per le parti relative agli Uberti e alla loro storia, mi ispiro al romanzo "Il Cavaliere del giglio" di Carla Maria Russo.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I
Genere: Angst, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo quinto

 

Oh yeah, I'm haunted by the distant past
Called to the skies but she was overcast

But I won't never give up, no, never give up, no, no
No, I won't never give up, no, never give up, no, no

And I won't let you get me down
I'll keep gettin' up when I hit the ground
Oh, never give up, no, never give up no, no, oh
I won't let you get me down
I'll keep gettin' up when I hit the ground
Oh, never give up, no, never give up no, no, oh

I'll find my way, find my way home, oh, oh, oh…

(“Never give up” – Sia)

 

Giunto a Palazzo Albizzi, Giovanni rimase ancora più sbalordito: quella dimora era addirittura più grande e lussuosa di Palazzo Medici, soltanto che lì parevano abitarci solo Rinaldo e suo figlio.

“Bene, visita pure il palazzo, se vuoi, poi accomodati dove preferisci” gli disse Albizzi. “I miei servitori ti porteranno quello che chiederai. Io devo uscire di nuovo, ho alcuni… beh, impegni con mio figlio e con la Signoria. Tornerò stasera.”

Giovanni era più stranito che mai: se doveva restare comunque da solo, tanto valeva che fosse tornato a Palazzo Medici… ma, in realtà, aveva rinunciato da tempo a cercare di star dietro agli ingranaggi mentali di quell’uomo!

La giornata, comunque, passò in fretta nell’esplorazione delle tante stanze di quel palazzo ed era già sera quando Rinaldo rincasò. Giovanni aveva già cenato da solo e l’uomo non si fece tanti scrupoli a prenderlo e portarselo nella sua stanza.

“Messer Albizzi, è successo qualcosa? Sembrate più scontroso del solito” commentò il ragazzo con la consueta sfacciataggine.

“Sembra che i malati nella Cattedrale stiano guarendo e che l’epidemia di peste sia passata. Entro pochi giorni Firenze dovrebbe essere liberata da questo flagello” rispose lui, come se la cosa gli arrecasse un danno personale.

“Ma questa è una bella notizia, non c’è bisogno di fare la faccia da funerale” replicò Giovanni, che poi non poté trattenersi dall’aggiungere una frecciatina… “Avete visto che non era colpa della cupola? Anzi, magari è proprio per questo che siete seccato, avete avuto la dimostrazione che vi sbagliavate!”

Albizzi lo fulminò con lo sguardo. Giovanni ci aveva preso in pieno, come sempre.

“Ti consiglio di non riportare il discorso su questa storia” sibilò. “Comunque Cosimo è stato davvero un irresponsabile nei tuoi confronti: ha portato la sua famiglia in campagna ma ti ha lasciato qui a rischiare il contagio. Non eri forse sotto la sua responsabilità?”

E ti pareva! Per Albizzi, Cosimo era responsabile di tutti i mali del mondo passati, presenti e futuri e ogni occasione era buona per rimarcarlo.

“No, non è andata così” ribatté il giovane. “Messer Cosimo voleva portare anche me nella sua villa in campagna, sono stato io a rifiutare. Per tutta la vita ho desiderato venire a vivere a Firenze e, adesso che ci sono finalmente riuscito, non sarà una pestilenza qualsiasi a farmi andare via!”

Suo malgrado, Rinaldo lo fissò con ammirazione: quel ragazzo lo stupiva ogni giorno di più e… beh, sì, doveva ammettere che gli piaceva, e anche parecchio.

“Sei coraggioso oltre che sfacciato, ragazzino” commentò. “Pensi più a Firenze che alla tua stessa incolumità.”

Per la prima volta Giovanni gli rivolse un sorriso spontaneo.

“Mi sembra che questo valga anche per voi, allora, non è così, Messer Albizzi? Nemmeno voi avete lasciato Firenze come invece hanno fatto tanti altri nobili” disse.

“Forse siamo più simili di quanto pensassi” ribatté Albizzi, al quale la cosa piaceva assai.

Prese Giovanni e senza perdere altro tempo in chiacchiere lo strinse a sé e iniziò a baciarlo. Però si rendeva conto che quella che inizialmente era stata solo una ripicca nei confronti di Cosimo adesso si stava trasformando in qualcosa di diverso e lui si sentiva davvero meglio stringendo tra le braccia quel ragazzino impertinente, come lo chiamava lui. Anzi, si sentiva bene come non gli accadeva più da tanti, troppi anni…

Albizzi distese Giovanni sul letto e continuò a baciarlo a fondo e lungamente. Le attenzioni audaci dell’uomo, sulle prime, sconvolsero il giovane Uberti, che decisamente non aveva pensato che la faccenda prendesse quella piega…ma  Rinaldo dimostrò pazienza e un’attenzione che non ci si sarebbero mai aspettate da lui e il ragazzo, sempre più sorpreso, scoprì che il suo corpo rispondeva inspiegabilmente a ogni sollecitazione e si abbandonò, lasciando che il nobiluomo facesse di lui tutto ciò che voleva e perdendo completamente ogni concezione di spazio e tempo in quel vortice confuso di sensazioni.

Quando si risvegliò nel letto di Albizzi, la mattina dopo, Giovanni ci mise un po’ a capire dove si trovasse e perché, poi ricordò… e rimase ancora più incredulo per essersi lasciato andare così.

Insomma, quell’uomo non gli stava nemmeno granché simpatico e gli aveva permesso di fare di lui tutto quello che voleva (non che avesse avuto voce in capitolo in ogni caso, ma vabbè…)? E per giunta si era anche sentito… beh, la cosa non era stata poi così spiacevole, ecco!

E ora che sarebbe successo?

Apparentemente nulla di nuovo. Rinaldo Albizzi si era già alzato e si stava preparando per andare a causare guai da qualche parte.

“Ah, sei sveglio, credevo che intendessi dormire tutto il giorno” gli disse l’uomo, come se tra loro non fosse successo niente di particolare.

“No, certo, anzi, adesso mi dovrò preparare e ritornare a Palazzo Medici” rispose il ragazzo, alzandosi dal letto. “Se davvero la pestilenza è passata, allora torneranno anche gli altri dalla campagna e io ho voglia di rivedere Piero, Lucrezia e Messer Lorenzo. Del resto anche voi state uscendo, immagino andrete ad una riunione della Signoria, no?”

“Sì, tra le altre cose” replicò Albizzi, senza meglio specificare quali fossero queste altre cose, di certo nulla di buono. “Tuttavia, per adesso, dovresti rimanere nel mio palazzo almeno per qualche altro giorno. Come hai visto, è un palazzo molto grande e praticamente vuoto. Mia moglie vive in campagna e viene a Firenze molto di rado, solo per occasioni di rappresentanza, perciò…”

Quell’informazione turbò Giovanni molto più di quanto si sarebbe aspettato.

“Ah, dunque c’è pure una Madonna Albizzi?” fece, piccato e senza sapere perché la cosa gli scocciasse tanto.

La sua frase strappò un sorriso a Rinaldo.

“Sei forse geloso, ragazzino impertinente?” commentò, divertito. “Da dove credevi che fosse venuto fuori Ormanno, scusa? Comunque, come ti ho già detto, lei non vive qui e viene a Firenze molto raramente. Ormanno va a trovarla spesso e per il resto ad entrambi va benissimo così.”

Il che non era certo una stranezza nei matrimoni di quel tempo… e anche in diversi di adesso, oserei dire. Però a Giovanni non piaceva lo stesso!

“Dovrei davvero tornare a Palazzo Medici” ripeté, stizzito e iniziando a vestirsi.

“E io dico che ci tornerai quando sarò io a darti il permesso” tagliò corto Albizzi.

Giovanni sgranò gli occhi.

“Cos’è questo, un rapimento? Adesso fate anche prigionieri, Messer Albizzi?” protestò.

“A volte, ma non è il tuo caso” fu la risposta niente affatto rassicurante dell’uomo. “Semplicemente, per adesso preferisco che tu non abbia contatti con i Medici. Ormai li conosco troppo bene e ho il sospetto che Cosimo ti abbia mandato da me per scoprire cose che potrebbe poi usare per danneggiarmi… e del resto non sarebbe la prima volta, no?”

“Vi ho già detto che sono addolorato per quello che vi è accaduto vent’anni fa, ma sapete bene che non fu colpa di Messer Cosimo” replicò Giovanni, “e, comunque, io non sono un Medici e non tradirei mai la vostra fiducia. Almeno di me vi dovete fidare, se non volete fidarvi di Messer Cosimo!”

“Magari di te mi fiderò, prima o poi, ma non mi fido dei Medici e per questo non ti permetterò di tornare da loro, almeno per ora” concluse Albizzi, e quella era chiaramente la sua ultima parola sull’argomento. “Oltretutto, tu sei un Uberti, un nobile, perciò il tuo posto è qui e non certo con quella famiglia di usurai.”

Sì, Rinaldo Albizzi tendeva leggermente a ripetersi…

Tuttavia, compiaciuto di aver ancora una volta messo in chiaro la situazione, l’uomo si chinò a baciare Giovanni e poi se ne andò.

Era più che ovvio che non pensasse nemmeno lontanamente di lasciare che Giovanni tornasse a Palazzo Medici: aveva finalmente trovato una scusa per far arrestare Cosimo, grazie alle informazioni ricevute dal figlio il pomeriggio precedente, e proprio quella sera avrebbe avuto la sua rivincita. Visto che Cosimo sarebbe finito presto in prigione, tanto valeva che Giovanni restasse nel suo palazzo. Se poi fosse riuscito a convincere la Signoria a giustiziarlo, ancora meglio e, a quel punto, il ragazzo non avrebbe più avuto motivo di far ritorno a Palazzo Medici, no? No?

Aveva pensato proprio a tutto!

Quello che non aveva previsto, però, era la reazione che avrebbe avuto Giovanni.

Quella sera, ovviamente, Albizzi si guardò bene dal dire qualcosa al ragazzo, sebbene fosse tornato giusto allora dalla sua bella pensata, vestito più elegante del solito tanto per dimostrare che lui, almeno, il bastardo lo faceva con un certo stile… Tanto per dirla in due parole, aveva convocato Cosimo al Palazzo dei Priori con l’inganno e poi lo aveva fatto arrestare con un pretesto, subito prima di tornarsene a casa tranquillo e soddisfatto. Si prese tra le braccia Giovanni e se lo portò a letto come la sera precedente. E, ancora una volta, il ragazzo si abbandonò totalmente a lui, perdendosi in quel caos di sensazioni che lo facevano sentire come se fosse finito in un’altra dimensione.

La mattina seguente, però, Giovanni era ben più lucido e la storia dell’arresto di Cosimo venne fuori.

“Questa mattina avrei piacere di passare da Palazzo Medici per salutare i miei amici” disse il giovane, prendendola molto alla lontana.

“No, oggi decisamente non è il caso” tagliò corto Albizzi.

“Ma perché no? Non vi capisco! Voglio solo salutare Piero e Lucrezia e poi tornerò qui, se questo è ciò che volete” protestò Giovanni.

A quel punto, Rinaldo pensò che tanto valeva dire la verità: il ragazzo sarebbe comunque venuto a saperlo, prima o poi.

“Non c’è ragione che tu vada a Palazzo Medici perché ieri sera ho fatto arrestare Cosimo e ci sarà una gran confusione, non credo che qualcuno avrà il tempo per badare a te” spiegò, come se stesse parlando del tempo.

Giovanni trasecolò.

“Avete fatto arrestare Messer Cosimo?” ripeté, sperando di aver capito male.

“Beh, sì. Mio figlio ha scoperto che quell’usuraio ha mandato il suo sicario a uccidere delle persone che gli davano fastidio e così…”

“Ma avete perso completamente la ragione?” esclamò Giovanni, sconvolto.

Come sempre, il ragazzo non si faceva scrupoli di dire quello che gli passava per la testa. In quel caso, però, Albizzi se ne risentì, forse perché, in fondo in fondo, ma parecchio in fondo, non si sentiva del tutto con la coscienza a posto. Sentendosi aggredito ingiustamente, aggredì a sua volta.

“Non devo certo discutere con te delle decisioni che prendo. Ho ritenuto che Cosimo fosse un pericolo per Firenze e l’ho denunciato alla Signoria” dichiarò, con la solita faccia di bronzo.

“Messer Cosimo ha cercato di riconciliarsi con voi, voleva che dimenticaste finalmente quel fatto di venti anni fa, probabilmente mi ha mandato da voi proprio come gesto distensivo e voi, invece…” protestò il ragazzino.

“Cosimo si è forse illuso che, vendendoti a me, io avrei potuto perdonare quello che ha fatto a me e alla mia famiglia?” replicò Albizzi, ma capì subito di aver detto qualcosa di molto sbagliato, qualcosa di imperdonabile, addirittura.

Giovanni gli si parò davanti con gli occhi colmi di rabbia, vergogna, dolore e mille altre emozioni. Se avesse potuto, lo avrebbe fulminato sul posto.

“E’ questo dunque che pensate di me, di un Uberti?” gridò, infuriato. “Io mi sarei venduto a voi? E’ così che la vedete?”

La rabbia di Giovanni era talmente violenta che Rinaldo tentò invano di arginarla. Il ragazzo era fuori di sé e non lo ascoltava nemmeno più.

“Avete oltraggiato Messer Cosimo e, cosa ancora più grave, avete oltraggiato me! Un’offesa come questa dovrebbe essere lavata con il sangue, ma sapete cosa vi dico? Voi non meritate nemmeno che mi prenda il disturbo! Siete un essere ignobile e meritereste di starci voi nella prigione dove avete fatto rinchiudere Messer Cosimo, a marcire fino alla fine dei vostri giorni!”

Indignato, Giovanni si avviò verso la porta della stanza di Albizzi ma, prima di uscire, volle rivolgere un’ultima frase velenosa all’uomo che lo aveva ingiuriato.

“Mi ero fidato di voi e voi mi avete offeso e ferito. Biasimate Messer Cosimo, ma voi siete mille volte peggio di lui. Ora io me ne vado a Palazzo Medici e voi non mi fermerete” affermò, deciso. “Sono stato uno sciocco, ho creduto che in voi ci fosse una parte buona, ma non c’è, siete solamente un uomo crudele e pieno di invidia e risentimento, non meritate nemmeno i miei insulti!”

Detto questo, uscì dalla stanza sbattendo la porta con violenza, tanto da far risuonare tutto il palazzo. Albizzi, che cominciava a rendersi conto di aver un tantino esagerato, cercò di andargli dietro ma Giovanni aveva già attraversato il salone, sceso le scale e raggiunto il portone del palazzo, uscendo e sbattendo anche quello con tutta la forza che aveva.

Rinaldo rimase pensieroso a guardare il portone chiuso finché non fu raggiunto da Ormanno, piuttosto preoccupato.

“Padre, che succede? Quello era Giovanni Uberti? Ho creduto volesse buttare giù il palazzo… ma cosa gli è preso?” domandò.

Albizzi tentò di recuperare un minimo di dignità, almeno davanti a suo figlio.

“Ha saputo dell’arresto di Cosimo de’ Medici e si è infuriato” rispose. “Ma non temere, è un Uberti, un nobile come noi. Presto capirà che Cosimo merita ciò che gli è accaduto e tornerà nel posto che gli spetta, qui nel nostro palazzo, al nostro fianco.”

Ma, nonostante la fermezza che cercava di infilare nel suo discorso, Rinaldo Albizzi non era poi così sicuro di ciò che affermava.

Questa volta, temeva, si era spinto davvero troppo oltre con quel ragazzino…

Ovviamente non gliene fregava un beneamato di aver fatto imprigionare Cosimo, ma era consapevole di aver detto qualcosa di veramente oltraggioso e ingiusto a Giovanni, e di questo non andava fiero.

Fine capitolo quinto

 

 

   
 
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