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Autore: Department of Illusion    24/06/2019    0 recensioni
Sei brevi capitoli su qualcuno che pensava di morire e invece gli succede qualcosa di appena migliore.
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“Ti prego, ti prego, apri” aveva sentito ancora prima dello scatto della maniglia, la voce affannata e rotta dalla corsa, e poi aveva visto il ragazzo, voltarsi frenetico a guardare la strada.
“Per favore, cazzo, quelli mi ammazzano, ti prego” aveva detto facendosi più vicino, talmente veloce che le parole si erano accavallate l’una sull'altra in un bisbiglio disperato.
Claude si era fatto indietro e l’altro non aveva esitato un momento, neanche nella sorpresa di quella strana concessione senza domande, si era infilato nella casa spingendolo di lato, si era sbattuto la porta alle spalle e si era accasciato per terra.
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Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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                                                                                                          E L L E   E S T


Claude si aspetta per tutta la settimana di vederlo al supermercato. Si aspetta che entri, che compri qualcosa di stupido che non gli serve e che poi venga alla cassa, che lo guardi dicendo hey, chi si vede, sapendo perfettamente che lo avrebbe trovato lì. Ma non succede.
    Succede invece che Alex bussa alla sua porta di domenica, probabilmente in un momento in cui sarebbe stato meglio che non bussasse alla sua porta, ma dopotutto le cose che vogliamo quasi mai accadono nel modo in cui le abbiamo immaginate.
Claude apre la porta e lo vede, resta immobile per un istante e poi incrocia le braccia mentre gli sorride.
“Ciao.”
Alex sta per rispondere ma vede qualcuno nel corridoio che si avvicina a loro e li guarda.
È una ragazza alta e bionda, con i capelli lunghi tirati in alto da un piccolo elastico. Alex si è sempre chiesto come le ragazze riescano a legarsi i capelli così stretti senza provare un fastidio insopportabile. La ragazza tocca il braccio di Claude e Alex fa un passo indietro.
“Scusa, pensavo fossi da solo.”
“Non ti preoccupare. Entra.”
La ragazza ed Alex si guardano, entrambi leggermente sorpresi.
“Non c’è bisogno. Volevo solo salutarti.”
“Non stavamo facendo niente comunque.”
“Non-” “Tranquillo” dice con un gesto con la mano che lo invita dentro. La ragazza si allontana.
Alex lo guarda confuso ed entra, seguendoli in cucina.
“Alex, lei è Françoise. Françoise, Alex.”
Si stringono la mano senza avvicinarsi. Lei si volta verso Claude come se Alex non ci fosse. Sembra arrabbiata.
“Pourquoi l'as-tu invité?”
Alex la guarda per qualche secondo prima di capire che i suoni che sente non sono ricollegabili a qualcosa che può capire.
“Non c’è bisogno di parlare francese.”
Il tono di Claude è freddo e di rimprovero, ma lei non sembra toccata dal cambio di atteggiamento.
“Il ressemble à un dealer.”
“C'est un ami. Arrête.”
“Depuis quand tu le connais?”
“J’ai dit stop, Françoise.”
Claude non grida ma la sua voce è bassa e aggressiva, vuole essere sicuro che lei non risponda e che la smetta di parlare francese. Lei fa per dire qualcosa, poi chiude la bocca e si siede al tavolo di fronte al lavandino, con le braccia incrociate davanti a sé.
“Come vi conoscete?”
Guarda Alex e Alex guarda Claude.
“Alex lavora da Little Market.”
“Non l’ho mai visto.”
“Ha appena cominciato.”
“Ah. E come ti trovi?”
Il ragazzo li guarda entrambi, poi si avvicina a Claude di pochissimo.
“Posso parlarti un momento?” chiede indicando il corridoio.
Claude resta un attimo in silenzio.
“Certo.”
Escono dalla stanza e Alex arriva di fronte al divano arancione quando Claude gli sfiora il braccio.
“Scusa. Non dovevo farti entrare, ero arrabbiato. Puoi andartene, non devi-”
“Non so come ti chiami.”
“Ah?”
“Non so come ti chiami. La storia è già ridicola di suo, se scopre che non so neanche come ti chiami di sicuro non migliora.”
“Merda. Hai ragione.” Gli tende la mano.
“Claude.”
Alex la stringe, si sorridono e tornano in cucina. Françoise li guarda entrambi e sospira.
“Sai giocare a monopoli, Alex?” chiede lei leggermente sgarbata indicando la scatola del gioco sul tavolo.
“Se non giocate in francese, direi di sì.”
La ragazza si ferma e gli sorride.
“Scusami. Sono stata scortese, non volevo” dice indicando la sedia vicino a lei.
“Non giochiamo in francese. È normalissimo monopoli.”
Alex si siede e la guarda aprire la scatola e dispiegare i vari pezzi.
“Ero sicuro che l’età minima per giocare a monopoli di domenica pomeriggio fosse settantacinque.”
Lei ride e sembra che si stia scordando lentamente di essere stata arrabbiata.
“Credimi, basta detestarsi abbastanza da preferirlo ad una conversazione” dice lei mentre dispone le pedine sul cartone colorato.
Alex sembra divertito dalla sua risposta e straordinariamente impermeabile al turbamento. Claude è quasi sicuro che potrebbero cominciare a lanciarsi piatti di ceramica pregiata e Alex resterebbe seduto senza scansarsi di un centimetro. Immagina che aver visto il confine della propria vita o di quelli che ti stanno intorno ridimensioni il concetto di importante e grave, di tutte le cose per cui c’è bisogno di alzarsi e quelle per cui si può tranquillamente rimanere seduti. Claude sente, senza sapere perché, che la gravità di Alex è qualcosa di più reale della loro. Appena un po’ più giusta. Ha voglia di prestargli un po’ di questo interesse per il futile, un po’ di questi drammi leggeri e fargli dimenticare, anche se per poco, che c’è qualcosa di diverso.
    Si siede di fronte a loro e li guarda distribuire le carte, li guarda discutere sulle case e gli alberghi e spera che gli capitino proprietà di poco conto. Fa attenzione a non comprare niente che possa farlo vincere e si scorda quando può di prendere i soldi del via. Alex e Françoise intavolano strategie meschine per battersi e Alex lo guarda spesso, probabilmente si è accorto che cerca di farli vincere, ma non dice niente. Sembra stanco. Claude vorrebbe portarlo sul divano e farlo dormire fino a che non gli sembrerà sveglio abbastanza da poterlo battere a monopoli giocando seriamente.

Françoise vince con solo cento dollari di differenza, anche se Alex è sicuro che abbia barato. Ma conta poco, perché ha barato anche lui e Claude si è alzato da un pezzo, ha fatto il tè e sta lavando i piatti da dieci minuti. Françoise si alza e si avvicina dicendo hai visto, ho vinto e lui risponde ho visto, con un filo di affetto nella voce. Alex beve il tè e si chiede se fossero più simili quando si volevano bene, se a Claude piaccia il fatto che i suoi capelli siano così biondi e tirati così stretti, se a lei piaccia il fatto che Claude non parli quanto lei o se abbia cominciato a darle fastidio. A lui piace. Che Claude parli poco, non per timidezza, ma perché sta bene senza parlare, perché sembra capire quasi sempre senza bisogno di chiedere. Così quando Alex si alza e gli porta la tazza, gli sembra che Claude sappia già che sta per andarsene. Gli fa un cenno di saluto con la testa e Françoise lo guarda.
“Te ne stai andando?”
“Sì.” Pensa ad una scusa credibile ma poi si accorge che non ce n’è bisogno.
“Va bene. Piacere di averti conosciuto.”
“Anche per me.”

Claude lo guarda uscire dalla cucina e spera che stia andando a dormire. Alex, mentre esce dalla casa, spera di non dover mai giocare a monopoli con qualcuno che ha smesso di amare.
  
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