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Autore: EcateC    24/06/2019    3 recensioni
Il famigerato Gellert Grindelwald lotta per avere Albus Silente dalla sua parte.
Albus Silente, da parte sua, lotta per non farsi irretire.
Verranno raccontati due momenti diversi della medesima storia d'amore, perché loro possono cambiare, ma ciò che provano resta sempre uguale.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Albus Silente, Gellert Grindelwald | Coppie: Albus/Gellert
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dai Fondatori alla I guerra
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-Condoglianze, figliolo-
-Sii forte, ragazzo-
-Condoglianze, Albus-
 
Albus ormai ringraziava e sorrideva a comando.
Stringeva le mani, si lasciava abbracciare e baciare, ma era come se fosse al di fuori del suo corpo. Una statua di sale costretta a subire le consolazioni e le parole ipocrite dei pochi invitati.
Suo padre infatti era morto. Gli era arrivato un telegramma dalla Prigione di Azkaban, proprio mentre era a Hogwarts durante il suo mese di prova come insegnante.
Non aveva neanche pianto, né si era scomposto in altro modo. Il dolore feroce e ancora dannatamente vivo per la scomparsa prematura di Ariana e per la improvvisa sparizione di Gellert minimizzava e banalizzava tutto il resto.
Albus viveva nell’apatia e nell’indifferenza, come se fosse in coma dentro un congelatore. Ovviamente si comportava come si conveniva, aveva preso l’abilitazione per l’insegnamento e il preside Dippet lo aveva accolto a braccia aperte, e certo tornare a Hogwarts era stato terapeutico, ma neanche lontanamente sufficiente.
Pensava sempre ad Ariana, e quando non pensava a lei, pensava a Gellert, il suo sole scomparso senza lasciare traccia. Non avrebbe saputo dire per chi dei due soffriva di più, ma sta di fatto che era un dolore incommensurabile, dato dalla consapevolezza di aver perso l’amore della propria vita da un lato e il legame famigliare più stretto dall’altro.
E naturalmente Aberforth non gli rivolgeva la parola da allora. Come volevasi dimostrare, il ragazzone non si era diplomato, aveva preso i suoi capretti e se n’era andato a lavorare come garzone in un pub, lasciandolo solo e rendendolo edotto che lo odiava più di qualsiasi altra cosa al mondo. E pur di non vederlo, non si era presentato nemmeno oggi, al funerale del loro padre.
Albus certo non riusciva a dargli torto, visto che odiava se stesso più di quanto lo facesse lui.
Una mano all’improvviso gli toccò la spalla. Albus si voltò e si trovò di fronte il viso maturo e intellettuale di una donna che conosceva.
-Signora Bagshot- esclamò, cercando di sorridere alla storica della magia -Grazie per essere venuta-
-Caro, è il minimo- lo abbracciò -Come stai?-
-Bene- mentì, poco convincente -Insomma… Tiro avanti, diciamo-
-Ti ho portato un regalo, sperando di fare cosa gradita-
Gli porse il pacchetto che aveva tutta l’impressione di essere un libro. Albus ringraziò e lo scartò, e quando vide di quale libro si trattava, rimase senza parole. Erano le fiabe di Beda il Bardo.
-È una tra le prime edizioni mai pubblicate- continuò la strega -Ricordo che tu e Gellert lo leggiavate spesso-
A sentire quel nome ad alta voce, Albus trasalì.
-Sì… Grazie, non doveva- balbettò, facendosi coraggio -Lei ha saputo qualcosa… Insomma…Ha avuto qualche notizia di lui? Sta bene?-
-No, caro, mi dispiace- gli rispose, dispiaciuta nel vederlo così provato -Ma sono certa che sta bene-
Albus annuì, lottando contro le lacrime. Erano trascorsi quattro anni dall’ultima volta che lo aveva visto e sentito. Quattro anni di inferno, che aveva trascorso tra le lacrime e nelle spire soffocanti della depressione. Subito dopo che era accaduto il letale incidente, infatti, avevano litigato. Albus in preda alla disperazione gli aveva gridato furiosamente di andarsene e l’orgoglioso Grindelwald lo aveva fatto, semplicemente. Senza neanche salutarlo o dargli l’opportunità di rimangiarsi tutto, di chiedergli perdono, di supplicarlo in ginocchio di restare. Se n’era andato per sempre, e per Albus l’unica consolazione riposava nel fatto di saperlo vivo e presente sul suo stesso pianeta.
-Ah, caro, posso presentarti la nipote di una mia amica?-
Albus non fece in tempo a dirle di no, perché si trovò di fronte l’ennesima ragazza in età da marito che le donne del quartiere cercavano di affibbiargli. A suo malgrado, era diventato un buon partito... Il buon partito di Godric's Hollow.
-Ciao- esclamò costei, facendogli un sorriso timido -Mi chiamo Charlotte-
“Oh, benedetto Merlino” pensò, stancamente.
-Ciao, Charlotte…- le rispose, a disagio.
-Mi dispiace per tuo padre- gli disse gentilmente la ragazza -Insomma, era ancora un mago giovane in fondo-
-Sì, abbastanza- le rispose Albus, evitando il contatto visivo.
-Albus, mi chiedevo se…-
-Scusami tanto- la interruppe prontamente -Ma devo andare a controllare una cosa in cucina…Gli elfi, sai-
-Oh, ma certo. Non c’è problema-
-È stato un piacere- e detto questo, Albus si dileguò, chiudendosi la porta della cucina alle spalle.
Non aveva la forza psicologica di intrattenere una conversazione, né di sentirsi pronunciare le ennesime “condoglianze” da gente che conosceva a stento.
Giusto per fare qualcosa, appoggiò sul tavolo una grossa ciotola piena di Acquaviola che aveva fatto preparare per la triste occasione e aprì la finestra per aggiungere un ciuffo di erbe aromatiche, proprio come gli aveva insegnato sua madre.
Quand’ecco che vide qualcosa di strano, svolazzare tra gli alberi della sua proprietà e scuotere le fronde. Albus aguzzò la vista, cercando di individuare l’intruso.
“Saranno i folletti” pensò, stancamente “Prima di tornare a Hogwarts dovrò disinfestare il giardino”.
Fece per chiudere la finestra, ma il verso che sentì lo fece desistere.
Non era il verso di un folletto, quello.
Si voltò e vide dall’altra parte del vetro un rettile strano, volante e sgraziato, che lo guardava con occhi grandi e cangianti. Al giovane mancò il fiato.
-Antonio!?- esclamò, incredulo. La bestia gli rispose con un verso.
Ma se Antonio era lì, allora…
Albus aprì subito la finestra e con un balzo goffo e agitato saltò fuori in giardino, col cuore che martellava come se stesse per avere un infarto. Si guardò intorno, prima a destra e poi a sinistra, piangendo quasi dall’aspettativa, ma non vide nessuno. Si voltò indietro e perfino il rettile era sparito.
-Lumos!- ansimò, testardo, ma l’incantesimo peggiorò solo la situazione, la bacchetta illuminava il niente, non c’era niente di fronte a lui a parte gli alberi spogli e i rovi.
Quell’attimo di gioia che gli aveva illuminato lo spirito, fu brutalmente sostituito dalla disperazione della solitudine.
Si era davvero illuso che Gellert fosse tornato? Dopo tutti quegli anni di silenzio assoluto?
Ci voleva proprio un povero disperato come lui.
Ma Antonio? Possibile che se lo fosse immaginato?
“Sto perdendo la ragione” pensò tra sé, addolorato. Si materializzò nella sua vecchia camera -quella che aveva condiviso con lui e che, ovviamente, aveva smesso di utilizzare da allora- e andò verso la finestra.
Nessuno qui l’avrebbe disturbato, e d’altronde nessuno al piano di sotto si sarebbe accorto della sua assenza.
Poi sentì un rumore dietro di lui, seguito da dei passi leggeri.
Si voltò e guardò la porta, ma era chiusa, non c’era nessuno.
Tornò a guardare fuori, iniziando a provare una sensazione strana, molto strana, come di aspettativa.
Il suo cuore prese a battere velocemente, i peli corti e radi gli si rizzarono nelle braccia.
“No, devo smetterla” pensò tra sé, cercando di mantenersi ragionevole “Basta, Albus, lui non è…”
 
-Ciao, Liebling-
 
Albus non rispose, non si mosse, rimase totalmente raggelato. I suoi occhi si fecero vacui e rimasero fissi in basso, verso il vecchio recinto delle capre di Aberforth, e il suo corpo si irrigidì, teso più che mai.
Sentì dei passi avvicinarsi, vide un’ombra confondersi con la propria.
-Mi dispiace per tuo padre- continuò la voce -Appena l'ho saputo, sono corso subito-
Albus si voltò di scatto, come a voler fronteggiare la sua paura più grande. E infatti appena lo vide, dopo così tanti anni di dolore e di insopportabile, accecante nostalgia, ebbe quasi un malore.
Gellert Grindelwald era proprio di fronte a lui, e sembrava quasi uno sconosciuto. Non aveva più la bellezza angelica dei suoi diciotto anni, era più maturo, i riccioli biondi da cherubino erano stati pettinati all’indietro in un taglio originale e sofisticato, gli abiti non erano più raffazzonati, ma erano eleganti, sicuramente costosi.
Era diverso, ma comunque bello in modo doloroso.
Gli sorrise dolcemente.
-Che bello rivederti- fece per allungare una mano, ma Albus indietreggiò fino a sbattere contro l’anta della finestra, scioccato.
-Sì, beh, suppongo che piombare in casa tua all’improvviso non sia stata una grande idea- gli sussurrò Gellert, comprensivo -Volevo solo sapere come stavi, e… Avevo molta voglia di vederti-
Il giovane mago oscuro sperò in un suo cenno, ma Albus manteneva la stessa espressione esterrefatta e leggermente -apparentemente- inorridita.
-D’accordo- sospirò il biondo -Albus, io…-
-Aspetta… Cosa… Gellert?- sillabò Albus, in preda a un feroce capogiro.
-Ti ricordi il mio nome, è già qualcosa- abbozzò un sorriso. Strano a dirsi, ma il bel giovane sorrideva sempre, quando era nervoso.
-Gellert Grindelwald?-
-Facciamo progressi- Gellert continuò a scherzare, teso -Comunque eccomi qui, al tuo servizio. Servizio in senso buono, naturalmente- si corresse subito -Lo specifico perché può suonare un po’ equivoco, detto così. Non so neanche perché l’ho detto, a dire il vero. Cosa stavo dicendo?-
Albus lo fissava con la stessa espressione stravolta di uno che ha appena ricevuto una botta in testa.
-Sei tornato?- gli sussurrò, con voce stentorea e lacrimosa.
-Sì, e non avrei mai voluto andare via- gli rivelò Gellert, cauto -Come stai, Al?-
-Bene- gli rispose Albus come un automa, col fiato in gola e gli occhi sbarrati. Stava sognando, non c’era altra spiegazione.
-Mi fa piacere. Ti trovo abbastanza bene, infatti-
-Anche tu- gli rispose subito Albus -Cioè, grazie-
-Prego-
Gellert a dire il vero non lo trovava affatto bene. A differenza sua, Albus era pallido, dimagrito e dimesso, gli ricordava quasi una candela consumata. E per di più, lo rendeva terribilmente nervoso, cosa più unica che rara per un ragazzo disinvolto come lui.
Ma in fondo Gellert sapeva perché si sentiva così nervoso al punto da risultare quasi impacciato. Non era colpa di Albus, non era mai colpa di Albus.
-Senti, per quanto riguarda quello che è successo…- esitò, Albus alzò timidamente lo sguardo -Mi dispiace, davvero Albus, sono mortificato oltre ogni limite. Anche perché ho passato il periodo più bello della mia vita qui con te e non avrei mai voluto che finisse così. Ariana era un’angelo e ciò che è accaduto è stata una disgrazia terribile-
-Sì, lo è stata- convenne con lui, rapido, cercando di ingabbiare il dolore e il respiro nel proprio corpo. Gellert lo guardò con occhi dispiaciuti, avrebbe voluto abbracciarlo, ma il timore che lo ritenesse responsabile mortificava ogni iniziativa.
-Comunque, ho sentito che hai vinto il concorso per insegnare a Hogwarts- cercò di cambiare discorso -Complimenti, so che è molto selettiva-
Albus annuì e alzò le spalle, ancora provato -Non è stato niente di che-
-Sei il solito modesto- gli sorrise, guardandolo dolcemente.
Quel sorriso dai denti perfetti lo fece fremere, fu come una scossa nel cervello, un colpo nell’anima, una rinascita. Albus lo guardò, con gli occhi pieni di lacrime e i pugni chiusi, cercando di trattenere il fiato per non esternare i gemiti che aveva in gola.
-Non ti posso abbracciare, vero? Sai che mi piace il contatto fisico-
-Ho paura di svegliarmi- gli spiegò con le lacrime agli occhi -Sai, di solito a questo punto mi sveglio-
Gellert gli sorrise, il suo sguardo empatico e consolatore lo cullò come un abbraccio.
-Vorrà dire che ti darò il buongiorno- scherzò, annullando la distanza che li separava.
Lo abbracciò e Albus trattenne il fiato.
Gli sembrava di riabbracciare il corpo di un defunto che aveva pianto fino a ieri, o il corpo della persona amata che faceva ritorno miracolosamente illesa da una lunga guerra. Lo strinse forte, rievocando subito il suo odore, riconoscendo il profilo della sua schiena, dei suoi dorsali forti, degli addominali tesi che aveva baciato e accarezzato così tante volte.
-Ich habe dich vermisst-
-Che hai detto?- sorrise Albus, bagnandogli di lacrime il soprabito bluette.
-Mi sei mancato tanto- gli rispose in inglese, sorridendogli in quel suo modo così caratteristico -Ma dimmi, come stai? Hai il ragazzo?-
-No, figurati- rispose subito Albus, arrossendo leggermente.
-Perché figurati?-
-Ti ricordi quanto ero imbranato e totalmente incapace? Ecco, sono peggiorato-
Gellert gli fece un bel sorrisone, divertito. Era bello perché quando sorrideva, gli sorridevano anche gli occhi.
-Tu ne avrai mille, immagino- continuò Albus, a disagio.
-No… Un po' di amici- soggiunse, con quell’espressione malandrina che aveva solo lui -Ma niente di serio-
-Certo- mormorò Albus, con un groppo nello stomaco. E d’altronde, era inverosimile sperare che un adone come lui non avesse avuto altri partner durante tutto quel tempo. Era inverosimile pensare che uno come Gellert avesse passato gli ultimi quattro anni a crogiolarsi nel dolore e nella nostalgia, nell’abnegazione più totale e nella depressione come aveva fatto lui.
Gellert intuì i suoi pensieri -Con nessuno di loro però ho stretto un patto di sangue, nè mi sono fatto trascinare in mezzo a una calca di babbani urlanti, il che è stato ancora più considerevole da parte tua, sappilo-
Albus lo guardò con le sopracciglia arcuate, accennando un sorriso al ricordo.
-Al, non erano niente in confronto a te. Ma dimmi, ce l’hai ancora?- gli domandò, ostentando una calma che non aveva -Il nostro ciondolo, intendo… Che fine ha fatto?-
Gellert si aspettava già il peggio, ma Albus lo sorprese. Mise una mano nella tasca interna della giacca nera e lo tirò fuori. Il ciondolo era illeso, brillante e munito di una catenella che prima non aveva.
Lo sguardo di Gellert si illuminò.
“Sto sognando” pensò Albus, mentre il suo ex ragazzo avvicinava il viso al suo “Sto solo sognando”
D’altronde quante volte lo aveva fatto e quante volte si era svegliato con un groppo in gola, soffocato dalle tenebre della depressione e della solitudine?
Non appena sentì le sue labbra baciargli una guancia, Albus chiuse gli occhi, pronto a svegliarsi. Ma quando li riaprì, Adone era ancora lì.
-Vieni a Nurmengard con me- gli propose su due piedi, infervorato -Conquistiamo il mondo insieme come avevamo progettato di fare. Io sono già sulla buona strada…-
E detto questo, Gellert sguainò una bacchetta antica e lunghissima, che trasudava potere magico come un Patronus.
-È lei?- esclamò Albus, sinceramente emozionato.
-L’unica e sola- lo ricambiò l’altro, orgoglioso.
-Sei sicuro questa volta?- fece per sfiorarla, ma Gellert la allontanò bruscamente dalla sua portata.
“Certe cose non cambiano mai…” pensò Albus, senza farci troppo caso.
-Questa è l’originale, ti dico- gli rispose, riponendo la propria amata arma al riparo nel fodero -Ho iniziato le ricerche poco dopo che mi hai lasciato-
Albus sollevò subito lo sguardo verso di lui -Io non ti ho lasciato- lo confutò, incredulo.
-Sì, che lo hai fatto. Mi hai mandato via-
-Era appena morta mia sorella- sussurrò come a giustificarsi, e il solo ricordo bastò per sconquassargli l’animo.
-Sì, ma io ero qui, ed ero il tuo ragazzo- gli disse duramente -Avrei potuto aiutarti a superare il lutto-
-Gellert, tu te ne sei andato- gli fece notare con tono ovvio.
-Me ne sono andato perché tu mi hai gridato ripetutamente di farlo!- si difese il tedesco -Hai gridato come un invasato di odiarmi-
-Ma non lo pensavo, ero fuori di me- esclamò Albus con voce stentorea, stringendosi forte le maniche della camicia nera.
-Per due giorni di fila?- replicò Gellert, più ostile.
-Pensavo di aver ucciso mia sorella e… Oh, Merlino, Gellert. Ti amavo perdutamente, come hai potuto credere che io…-
Altre due lacrime gli solcarono le guance al pensiero di quanto avesse sofferto e di quanto stava soffrendo, ancora. Grindelwald parve accorgersene, e dopotutto era bravo a capire l’animo umano, a leggere le emozioni di chi aveva davanti. Gli si avvicinò e gli posò entrambe le mani sulle spalle rigidissime, che sussultarono.
-Mio caro, adorato amico, non pensiamoci più- soggiunse, sorridendogli -Sono tornato qui pieno di paure e di aspettative. Temevo che non avresti voluto parlarmi, temevo di vederti con un altro uomo o magari con una donna...- sorrise di fronte alla sua buffa espressione schizzinosa -E invece ti trovo qui, solo, prostrato più che mai. Vieni via con me, portiamo a termine il nostro progetto, per il Bene Superiore-
Albus si perse nei suoi occhi, e un pizzico di gioia iniziò a illuminare la buia e polverosa cantina che era stato il suo animo negli ultimi anni.
Fece un sorriso vero e spontaneo, dopo quattro anni di forzata ipocrisia. Non aveva gioito nemmeno quando Dippet gli aveva comunicato la sua nomina a professore di Trasfigurazione. Albus tanto sapeva già di essere più colto e dotato della media, non era certo motivo di vanto o di gioia.
Ma avere al proprio fianco l’uomo più bello e brillante del mondo, quello sì che era un privilegio.
-Gellert, io non so cosa dire…-
-Basta che dici di sì- esclamò lui -Ormai la Germania è mia. Le nostre idee piacciono molto ai miei compatrioti, stanno iniziando a ribellarsi allo Statuto e a seguirmi, seppur lentamente. Anche in Austria e in Ungheria ho già diversi sostenitori. Presto, molto presto, il mondo inizierà a parlare di me-
-Albus?-
Una voce li interruppe. Sulla soglia della porta c’era Helphias Doge, vestito a lutto, con un mazzo di crisantemi bianchi in mano. Appena vide Gellert, questi gli caddero a terra dalla sorpresa.
-Che cosa ci fai tu qui!?- ruggì, furibondo -Dopo tutto quello che gli hai fatto, come osi presentarti in casa sua?!-
-Helpi, dai, non importa…- cercò di intervenire Albus, stretto nelle spalle.
-Io non gli ho fatto niente- rimbeccò Gellert, guardandolo dall’alto.
-Non gli hai fatto niente!? Te ne sei andato di punto in bianco dopo che sua sorella era morta!- inveì Helphias, avvicinandosi pericolosamente -L’hai praticamente ucciso!-
Gellert lanciò un’occhiata Albus, il quale abbassò subito lo sguardo.
-Ora sono qui, non devi più preoccuparti per lui- esclamò Grindelwald, gelido.
-Ah, no? E cosa mi dici di quei tre Auror che hai ucciso in Germania?-
-Cosa? Quali Auror?- domandò subito Albus, guardando allarmato il suo ex.
-È stata legittima difesa- sibilò Gellert, fulminando minacciosamente Doge -Io non ho ucciso nessuno-
-Bugiardo. Quei soldati stavano facendo solo il loro dovere- lo provocò Helphias, avvicinandosi di un passo -Ho letto le carte perché mio padre fa parte del team dei loro avvocati e ti garantisco che non è stata legittima difesa. Tu li hai attaccati con le arti oscure, solo perché ti hanno impedito di tenere un comizio anti babbani!- 
Albus impallidì e lo guardò negli occhi, sconvolto -È vero?- gli chiese, supplicandolo con lo sguardo di dirgli di no.
-È vero, Liebling- ammise Gellert come se niente fosse, sfacciato -Gli ho annientati rapidamente, tutti e tre. Gli avevo avvisati di non immischiarsi e di non sfidare la persona sbagliata, ma sai com’è…- fece un’espressione sprezzante -Gli Auror sono una categoria di stupidi e di incoscienti, disposti a farsi ammazzare pur di ottenere il loro secondo di gloria-
-Stavi facendo apologia al razzismo!- sbottò Doge -Dovevano intervenire, è un reato!-
-Il vero reato è continuare a vivere così, ingabbiati e soggiogati in un mondo che non ci rispetta- replicò Gellert, irritato -I babbani sono esseri violenti, spietati e amorali, e l’hanno dimostrato fin dalla notte dei tempi- guardò Albus, la cui espressione rispecchiava il suo turbamento -Al, amore mio, ascoltami. Io non avrei voluto fare loro del male, sul serio io non voglio fare del male a nessuno. Ma tra le mani ho un potere così violento e ragguardevole che tuttora faccio fatica a gestirlo-
-Ma questo non ti giustifica- sussurrò Albus, con un filo di voce
-Lo so… Ma se tu venissi con me…-
-Albus, non farti incantare- sibilò Helphias, ma Gellert lo ignorò
-Se tu venissi con me- continuò, con gli occhi accesi di speranza -Niente di tutto questo succederebbe più. Non c’è stato un istante in cui io non abbia pensato a te o sentito la tua mancanza- gli sorrise dolcemente, sfiorandogli la guancia con le dita curate -Ti amo ancora-
-Vorrei che fosse vero, Gell, ma non lo è- gli rispose malinconico, cancellandogli il sorriso dalle labbra -Tu non mi hai mai amato, ma va bene così, ho passato i mesi più belli che potessi mai immaginare con te-
-Ma cosa dici…-
-Se davvero mi amassi, rinunceresti a quella maledetta Bacchetta e verresti a Hogwarts con me- lo mise con le spalle al muro, duramente -Ma non te lo chiederò neanche, perché so che non è quello che vuoi. Tu non vuoi me, tu vuoi il potere, ed è quello che avrai-
Gellert rimase senza parole, e anche Helphias non osò fiatare. Indietreggiò timidamente, visto la piega intima che aveva preso la loro conversazione.
-Ma io voglio anche te, Albus. Ti amo sul serio- gli disse, ferito quasi quanto lui.
-Tu non vuoi me, tu vuoi un alleato come me- gli rispose Albus, freddo e disilluso -Non te ne saresti andato a cercare la Bacchetta di Sambuco due giorni dopo che mia sorella era morta, altrimenti-
-So che hai sofferto…-
-NO, NON LO SAI!- sbottò Albus, con gli occhi lucidi -Non puoi neanche immaginare cosa ho passato! Sei sparito senza lasciare traccia, Gellert! Nel momento in cui ho più avuto bisogno di te!-
-Credevo di farti un piacere, pensavo mi ritenessi responsabile per la morte di Ariana. Albus, ero disperato- Per la prima volta, anche lo sguardo imperturbabile di Grindelwald si velò di lacrime -Ti prego di credermi, pensavo di fare il tuo bene-
-Il mio bene? Lasciandomi da solo ad affrontare quell’inferno!?-
-Non sapevo che altro fare, mi sentivo in colpa- ammise Gellert, col cuore a pezzi.
Albus scosse la testa, incredulo -Così in colpa che sei partito alla ricerca della vera Bacchetta di Sambuco dopo neanche due giorni- sibilò, avvelenato -E ora torni qui e mi chiedi su due piedi di venire a Nurmengard con te a fare cosa? A coprirti le spalle mentre inneggi all’odio e alla violenza contro i babbani? No, non funziona così, Gell. Mi dispiace-
-Dammi un’altra chance- lo pregò Gellert -Ti prego-
Albus era sconvolto, non poteva credere alle sue orecchie. A parte l’inconcepibile fatto che Adone lo stesse pregando di tornare con lui, Albus gli avrebbe concesso altre cento possibilità, mille, visto quanto lo amava, però il punto non era il perdonarlo, perché l’amore perdona tutto.
Il punto era un altro.
-Se io ti dicessi di sì, faresti una cosa per me?-
-Certo, qualunque cosa- gli rispose Gellert, regalandogli un sorriso perfetto e pieno di speranza.
-Rinuncia a quella bacchetta- gli ordinò il giovane Silente, severo e perentorio.
Gellert si irrigidì e fece un sorriso nervoso -Albus, amico mio…-
-O me o quella bacchetta- insistette il ragazzo, guardandolo dritto negli occhi -Scegli-
-Non farmi questo- gli sussurrò Grindelwald, costernato.
-Tu non farmi questo, Gell-
Si guardarono negli occhi, turbati, delusi e spaventati entrambi.
-Fammi indovinare. Vuoi indurmi a rinunciare alla Bacchetta perché vuoi possederla tu, non è vero?- gli chiese, improvvisamente ostile e aggressivo -Non sopporti che io sia più forte di te!?-
-No, affatto- rispose subito Albus, ferito -A me non importa niente di quella…-
-BUGIARDO!- ringhiò Gellert, ammutolendolo -Sei un bugiardo! Ti rendi conto che mi stai ricattando!? Mi stai chiedendo di rinunciare alla cosa più preziosa che ho! Lo chiami amore, questo!?-
-No, infatti non te l’avrei mai fatto fare! Bastava solo che mi dicessi di sì- si affrettò a rispondere Albus, talmente depresso che non aveva più lacrime da versare -Sai qual è la cosa più preziosa che ho io?- lo guardò intensamente negli occhi e Gellert rimase senza parole, senza respiro -Anzi che avevo, viste le circostanze-
-Liebling- lo supplicò, scuotendo la testa come per negare ciò che aveva appena detto. Ma Albus non volle sentire ragioni.
Gli si avvicinò, si mise una mano nella tasca interna della giacca ed estrasse il piccolo ciondolo argentato, formato da due punte e contenente una sorta di fiala. Helphias lo osservò con curiosità, ma non fece in tempo a capire cosa fosse perché Albus lo aveva già messo tra le mani del suo ex.
-Fanne quello che vuoi- gli sussurrò, voltandosi e concludendo così la conversazione.
Gellert Grindelwald lo guardò allontanarsi, con la bacchetta di Sambuco in una mano e il ciondolo del loro Patto nell’altra.

 
 
 
Diversi anni dopo, 1927...

 
 
Con l’età che avanzava, Albus Silente aveva imparato ad affrontare i suoi demoni e a fare ritorno nella sua antica dimora, ridotta ormai a un rudere abbandonato.
Ogni volta la rimetteva in sesto con veloci e semplici cenni di bacchetta, ed era bello vedere i mobili rinascere, le fotografie riprendere vita e colore, la polvere andarsene.
D’altronde quella era stata la casa di sua madre e anche se non ci viveva durante l’anno, tornarci e mantenerla intatta gli sembrava un modo per onorare la sua memoria.
E quanti ricordi vagavano tra quelle mura. I più splendidi e tristi della sua vita, e strano a dirsi, ma avevano come comune denominatore la stessa, inequivocabile persona.
Albus comunque spalancò tutte le finestre con la magia per far arieggiare gli ambienti e poi salì al piano superiore, il luogo più arduo da riaffrontare.
La camera di Ariana era ancora off limits per lui, non riusciva a starci dentro per più di un minuto consecutivo. Il rimorso e i sensi di colpa per la sua morte erano troppo dolorosi e annientanti. E poi i ricordi si accavallavano, gli venivano in mente tutti gli sgarbi che le aveva fatto, il modo scortese in cui l’aveva trattata e l’insofferenza con cui aveva fatto fronte ai suoi, ben pochi, bisogni. Era stato così vergognosamente egoista che alla fine aveva perfino deciso di portarla al San Mungo.
E tutto perché voleva piacere a lui, assomigliargli, farsi grande di fronte ai suoi occhi.
Albus sospirò e cercò di non colpevolizzarsi ulteriormente. D’altronde era giovane e ingenuo, debole di spirito come la maggior parte dei ragazzi a quell’età. E poi aveva un bisogno così disperato di amore che Grindelwald gli era parso come un dono dal cielo, in quel momento.
Non che adesso se la stesse passando meglio. Quel bisogno c’era ancora, ed era forte, ma almeno aveva più armi per fronteggiarlo.
Superata la camera di Ariana, arrivò alla propria. Entrò, si guardò intorno con un sorriso triste e si affacciò fuori dalla finestra.
Il cielo stellato era plumbeo malgrado fosse tarda estate, ma c’era ancora qualche lucciola a illuminare dolcemente il cortile incolto e decadente. Il recinto delle capre di Aberforth era irriconoscibile, ridotto a un ammasso di ferraglia arrugginito e sgangherato, e anche il prato fiorito dove stava nascosta Ariana nei mesi estivi non esisteva più, sostituito da un campo di erbacce. Sembrava davvero che non fosse rimasta nessuna traccia di loro a Godric's Hollow, come se il tempo e la natura avessero voluto negare il loro nefasto passaggio distruggendo e sotterrando ogni cosa. Eppure ad Albus pareva ancora di sentire la presenza di Gellert, di vederlo scorrazzare per camera sua con tre libri per aria e la camicia fuori dai pantaloni.
E lo sentiva così bene che quasi iniziò ad allarmarsi.
Si voltò e si guardò indietro con aria circospetta, impugnando strettamente la bacchetta nella destra. Forse era mera suggestione, ma gli pareva quasi che l’aria stessa di quel paese si fosse impregnata del suo profumo e della sua essenza. Impressione o no, non gli avrebbe comunque più permesso di coglierlo alla sprovvista, non dopo quello che era successo al MACUSA nell’ufficio di Percival Graves…
Se ci ripensava, gli venivano i brividi.
Quel disgraziato.
E quelle mani carezzevoli, quei baci… Era così dannatamente ovvio che fosse lui. Lampante, eclatante, come se il finto Percival avesse scritto il proprio e vero nome sulla fronte.
Ma anche in quel momento il suo cuore gli aveva annebbiato la vista. E quale miglior pretesto è fingere di non vedere, per poterlo amare ancora?

-Nostalgia dei vecchi tempi?-

Albus trasalì. Dunque, non era mera suggestione.
Strinse forte il davanzale tra le dita affusolate e chiuse gli occhi come a volersi concentrare e restare calmo.
-Perché non rispondi mai alle mie lettere?- lo sentì avvicinarsi -Non dirmi che sei ancora arrabbiato per la faccenda di Graves-
La voce era beffarda e inconfondibile, anche se l’accento tedesco era quasi del tutto sparito. Albus lo ignorò deliberatamente, continuando a guardare fuori.
-Suvvia, sapevi che ero io-
Silente si sentì arrossire -Vattene via, Grindelwald-
-È stato meraviglioso-
-Vattene via, prima che…-
-Cosa?- lo interruppe Grindelwald -Prima che mi scagli uno schiantesimo? Prima che mi uccidi?- lo provocò -Sono qui, Albus, puoi farlo. Non alzerò un dito contro di te-
Il professore finalmente trovò la forza di voltarsi e di guardarlo. Non c’era più niente di angelico nel suo viso adulto, i capelli finemente rasati ai lati della testa e i baffetti biondissimi gli davano anzi un’aria diabolica e allo stesso tempo sbarazzina, che il fascinoso Gellert amava enfatizzare col suo sorriso furbo. Gli rivolse quello stesso sorrisetto e lo guardò dalla testa ai piedi, Albus strinse forte le labbra una contro l’altra.
-Ti trovo bene-
-Una giovane famiglia di babbani è stata trovata morta nella loro casa, e tra loro c’era anche un bambino di un anno. Un anno, Gellert- replicò Albus con tono duro e severo.
-Non è stata opera mia- gli rispose, avanzando di un passo -Sai bene che non amo praticare la violenza, in nessun caso-
Albus fece un sorriso nervoso e scosse la testa con aria incredula, esasperata.
-Albus, mio caro amico…-
-Non sono tuo amico- lo interruppe duramente.
-Amico in effetti è riduttivo- gli rispose Gellert, sorridendo -Sono venuto qui per farti una proposta perché, malgrado tutto, sono ancora profondamente affezionato a te-
Albus non fece una piega, continuando a guardarlo in modo ostile e indisponente.
-Unisciti a me- gli propose con semplicità, come se gli stesse impartendo un ordine -Unisciti a me e io risparmierò tutti i tuoi amici, compreso quel ridicolo collazionatore di bestie che hai appena incontrato a Parigi-
-Non ho bisogno di scendere a patti con te per proteggere le persone che amo- gli rispose Albus, gelido -E preferisco morire domani, piuttosto che unirmi a te e rinnegare ciò che sono e i miei principi-
-I tuoi principi? Anteponi i tuoi principi morali all’amore? Tu?- osservò Gellert, con tono incredulo -Mio caro, ti stai rinnegando ugualmente e non te ne rendi neanche conto-
-Mi sono già rinnegato una volta, molti anni fa, pur di stare con te. Non commetterò lo stesso errore-
Il mago oscuro gli sorrise -Ma che coraggio spudorato- esclamò -Sei davvero te stesso solo quando sei con me, Al, renditene conto. Quanti sanno di te ciò che so io? Quanti ti accettano e ti comprendono come faccio io? È proprio in mia compagnia che non fingi di sorridere o di essere felice-
Albus rimase a corto di risposte, toccato sul vivo. Il suo sguardo era duro e gelido, ma il buio della tristezza  lo incupiva e manifestava la sua vulnerabilità. Grindelwald ne approfittò per avvicinarsi.
-Non puoi vivere senza di me- lo circuì, iniziando a servirsi delle sue famigerate doti persuasive.
-Ho passato tutta la mia vita senza di te-
-Ed è stato terribile, vero?-
-Forse- gli rispose Albus, schietto -Ma non sono affari tuoi, non più. Hai fatto la tua scelta- indicò con un cenno la Bacchetta di Sambuco -Ora io faccio la mia-
-Ridurre il nostro rapporto, la nostra vita, a una misera scelta è banalizzarlo e offenderlo- replicò Gellert, mai corto di argomenti -Noi siamo molto di più delle nostre scelte sbagliate. E questa Bacchetta fa di me ciò che sono, è la mia essenza e la mia identità, rinunciare ad essa sarebbe stato come rinunciare alla mia anima- Albus fece per ribattere ma Gellert continuò -Per questo la donerei a te, semmai dovessi consegnarla a qualcuno, perché ti…-
-Oh, smettila! Ti faresti ammazzare, piuttosto che darla a me!- lo interruppe Albus, agitato -Conosco i tuoi tranelli, Grindelwald, puoi ingannare chiunque ma non me!-
-Guardami negli occhi e dimmi se ti sto ingannando-
-Non ho più diciotto anni- sibilò Albus, guardandolo dritto negli occhi -I tuoi giochetti non funzionano con me. Ora vattene-
Albus gli diede bruscamente le spalle e si riavvicinò alla finestra per prendere aria e per asciugare quei dannati occhi, che luccicavano.
-Come vuoi. Continua pure a vivere la tua non vita nel rimorso e nel dolore- esclamò Gellert, irriguardoso -Ma sappi che non riuscirai a fermarmi-
-Vorrà dire che morirò prima del tempo- soggiunse Albus, cinico - Me ne farò certamente una ragione-
Rimase in attesa di una risposta, ma questa non venne. Albus si voltò, di fronte a lui la camera era tornata vuota e silenziosa. Il mago oscuro se n’era andato.
Albus si sentì subito solo e desolato, talmente tanto che si lasciò cadere sul letto un po’ ammuffito e cigolante che aveva usato da ragazzo.
Si passò le dita tra i capelli, cercando di non perdersi nei ricordi, di non logorarsi l’animo pensando che sarebbe passato un altro secolo prima che avesse potuto rivederlo e riascoltarlo di nuovo.
In fondo era bello starlo a sentire, lasciarsi consolare dai suoi sguardi e ingannare dalle sue parole. Era un po’ come stare davanti allo Specchio delle Brame, con la differenza che Albus non poteva dare libero sfogo alle sue vere emozioni. Perché si comportava in modo gelido e ostile, ma dentro di lui lo amava, ora come allora. Anche se Grindelwald era un delinquente, un sovversivo, un assassino… Lo amava.
E il suo cervello ostinato cercava sempre di difenderlo, di trovare vie di fuga dalla realtà.
 
Uccide perché difende i suoi ideali e risulta il più forte.
Uccide ma non è sadico, non è violento, non è un bruto.
 
-Mi ferisce vederti così amareggiato-
Albus si voltò di scatto, Gellert era comparso al suo fianco, talmente vicino che i lati delle loro cosce si sfioravano.
-Oh, quanto amo i tuoi occhi- gli sussurrò, incatenandolo con lo sguardo -Sembrano frammenti di cielo-
Si sporse per baciarlo ma il professore avvampò e si alzò subito dal letto, fuori di sé.
-Come… Come osi! Tu…-
-Suvvia, Al. Cos’è un bacio, dopo tutte le acrobazie che abbiamo fatto qui sopra?- accarezzò il letto, assorto -Tre volte al giorno, tutti i giorni, beata gioventù. Ti ricordi la volta in cui…-
-Esci da casa mia, Grindelwald- gli ordinò Silente, furibondo e imbarazzato -O avverto il Ministero-
-E farli morire così inesorabilmente?- replicò l’altro, audace.
-Non moriranno, se ci sarò io-
-Va bene, mio caro, avvertilo pure- lo invitò Gellert, con un sorriso derisorio -Chiama anche il MACUSA, il Zaubereiministerium di Berlino, il Ministero di Parigi… Chiamali tutti. Aspetterò i valorosi Auror qui, prostrato sul tuo letto come una puttana-
Si appoggiò comodamente con la schiena sul letto e si puntellò sui gomiti, guardandolo con un sorrisetto provocante.
Albus rimase interdetto, per un attimo gli parve di rivedere la versione adolescente e riccioluta dello spietato seduttore, che lo aveva guardato proprio nello stesso modo e nella stessa posizione. Grindelwald lo faceva a posta per farlo impazzire, naturalmente.
-Oh, Gellert. Possibile che sei rimasto lo stesso idiota che eri a vent’anni?-
Gellert gli fece segno di sedersi accanto a lui, ma Albus non si mosse. La sua espressione era fredda, ma dentro aveva come delle lingue di fuoco, tutte ingabbiate nel basso ventre.
Era così combattuto.
-Siediti qui accanto a me- gli propose morbidamente -Sotterriamo l’ascia di guerra almeno per stasera-
Avrebbe dovuto schiantarlo in pieno petto, chiamare subito il Dipartimento Applicazione e condurlo in una cella creata ad hoc per lui, essendo quelle di massima sicurezza totalmente insufficienti per trattenerlo.
-Albuuus-
In fondo era un criminale, aveva ucciso, ucciso! E poteva farlo ancora. La morte di Ariana non era forse stata una lezione sufficiente?
-C’è un vecchio amico che chiede di te…-
Tagliargli la lingua, sì, non c’era altra soluzione. E magari oltre alla lingua, anche qualcos’altro.
-Sei sempre senza ragazzo, non è vero?- lo provocò.
-Ho talmente tanti ragazzi da riempire una scuola- gli rispose il professore, sarcastico -E pensa che ogni notte è diversa dalle precedenti-
-Quando è stata l’ultima volta?- continuò Gellert con voce strascicata, sguainando furtivamente dal fodero la propria bacchetta -Con Percival Graves?-
-Non sono affari tuoi- gli rispose Albus, terribilmente combattuto sul da farsi.
-A dire il vero sì, visto che Percival Graves ero io- Gellert ridacchiò al ricordo, compiaciuto.
Albus si voltò verso di lui, pronto a mangiargli la faccia, ma ciò che vide lo lasciò di stucco. Gellert gli stava puntando contro la Bacchetta di Sambuco, ma al contrario, dalla parte del manico.
-Prendila- lo invitò, serio.
Albus guardò stupefatto il manico intarsiato della Bacchetta di Sambuco, che le mani pallide di Gellert gli stavano porgendo.
-Su, prendila- lo incoraggiò astutamente, accarezzandolo con lo sguardo. Albus la impugnò, lo guardò e Gellert mollò la presa, lasciandogliela davvero tra le mani. Nulla di particolare accadde, il professore percepì solo il suo enorme potere, quieto ma vibrante nel legno magico.
-Questo per dimostrarti che sei tu il bene più prezioso che ho- gli disse serio, guardandolo negli occhi -Ti amo, Liebling-
A volte succede di perdere completamente il controllo, di sbottare. Ad alcuni capita spesso, ad altri non capita mai.
Per quella sera Albus si era trattenuto fin troppo, aveva davvero superato ogni limite. Lasciò cadere quell’inutile bacchetta per terra e finalmente si precipitò sopra di lui.
Gli prese il viso tra le mani e lo baciò con passione, ansia e devozione, mentre le dita scaltre di Gellert riavvicinavano a sé l’arma prediletta.
Il tempo si fermò, l’amore li avvolse stretti e sgretolò le maschere di falsità che si imponevano di indossare ogni giorno.
-Ti amo- gli dichiarò Albus a bassa voce, mentre Gellert ribaltava le loro posizioni -Ti amo da morire-
-Unisciti a me- gli ordinò il mago oscuro, più lucido di lui -Sostienimi, combatti al mio fianco e stammi vicino. Noi dobbiamo fare l’amore, non la guerra-
-Lo so- gli rispose con gli occhi lucidi.
-Fallo, allora. Vieni via con me-
-Non posso…-
-Puoi, invece. Insieme possiamo fare tutto quello che vogliamo. Sai cosa facevano gli ateniesi per rendere i loro eserciti brutali e violenti come quelli degli spartani?- Albus sorrise, ecco un altro dei suoi voli pindarici.
-Non lo so- gli rispose
-Gli strateghi separavano gli amanti, mettendo in prima linea i riceventi e in seconda gli attivi. Gli arcieri della prima linea morivano inesorabilmente e perciò quelli della seconda si infiammavano d’ira e di disperazione per la perdita del loro compagno, diventando ancor più spietati di Sparta e portando l'esercito a vincere-
-È uno scempio- gli sussurrò Albus, colpito.
-La guerra lo è, i babbani lo sono. Ed è quello che succederà a me, se continuo a stare lontano da te-
Gellert allora sollevò il palmo della mano destra, che subito si incendiò di un fuoco azzurro, calmo e ondeggiante come il mare. Sembrava apparentemente innocuo, ma Albus sapeva che era una delle sue potenti magie oscure. Il fuoco ipnotico gli illuminò il viso d’azzurro ma non lo bruciò né gli ferì la vista.
-Stringila, amore mio- gli sussurrò con voce melodiosa, attento a non destarlo dall’incanto -Resta con me per sempre-
Albus non ebbe la forza di dirgli di no, si sentiva svuotato. Guidato dalla forza trainante della magia di Grindelwald, egli sollevò la mano, ma proprio mentre stava per attraversare il fuoco con le dita, un canto melodioso e soave lo destò, facendolo rinsavire con dolcezza. Albus guardò subito verso la finestra che dava sul cortile. Erano note distanti e prive di parole, ma talmente armoniose da infondere calma e coraggio anche nel più gelido dei cuori.
-Albus, guarda me!- lo richiamò Gellert, risentito -Davvero, non desidero altro che…-
-Shh, lascia stare- minimizzò Albus, incantato -Ascolta Fanny, sta cantando anche per te-
Gellert decise di tacere e di obbedirgli, seppur con rabbia.
-È la prima volta che la sento cantare, è commovente- continuò Silente, alzandosi e uscendo dal suo influsso oscuro per allungare un braccio fuori dalla finestra -Ci volevi giusto tu per convincerla-
-A quanto pare risulto convincente per le arabe fenici ma non per te-
Albus non gli rispose, si limitava a guardare fuori, col cuore riscaldato da quella melodia.
-Non ti unirai mai a me, vero?-
-No, ma non mi separerò mai da te- gli rispose, e proprio in quel momento comparve Fanny, che atterrò sopra al davanzale. Albus le sorrise e le accarezzò le piume fiammeggianti.
-È sorprendente che quell’uccello ti abbia seguito fin qui. Come sei riuscito ad ammaestrarlo?-
-Perché lo trovi sorprendente, dato che hai fatto la stessa cosa anche tu?- gli rispose semplicemente, senza neanche guardarlo.
-Mi stai dando…-
-Ciao, Gellert- tagliò corto, preparandosi a smaterializzarsi.
-Ti porterò dalla mia parte, prima o poi- gli fece sapere velocemente -Fosse l’ultima cosa che faccio-
-Sono già dalla tua parte- replicò Albus, prima di smaterializzarsi del tutto.
Grindelwald rimase solo e guardò Fanny, che lo ricambiò con occhi intelligenti, alzando la crestina di penne rosse.
-Ci ha proprio ammaestrato per bene- le disse.



 








 

Note
Ciao a tutti!
Questa storia, pur potendo essere letta singolarmente, è un sequel sia delle "Sette pene di Ariana” che poi successivamente di “Ciocche Bionde”, due precedenti Grindeldore che ho pubblicato. Mi piace infatti pensare che tutte le mie storie di questo fandom siano collegate tra loro, come se fossero parte di un unico universo.
Ad ogni modo, ho voluto sottolineare il fatto che Albus e Gellert, malgrado ciò che è successo tra loro, sono rimasti in contatto e si sono visti segretamente, con Gellert che cercava in tutti i modi di portarlo dalla sua parte e Albus che rifiuta sistematicamente.
Se non l’aveste capito, fuoco azzurro è lo stesso che Gellert fa divampare alla fine del film e che brucia i finti alleati. Io in più gli ho dato anche una forza persuasiva, diciamo.
Niente, spero che vi sia piaciuto e che i personaggi siano IC, a presto :)
   
 
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