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Autore: LondonRiver16    28/06/2019    4 recensioni
Quando aprì nuovamente l’Impala, si concesse un momento per osservare come si era ridotto Sam e sospirò abbattuto: suo fratello era zuppo dalla testa ai piedi. Sotto la spessa coperta di lana che un vigile del fuoco gli aveva messo addosso, i suoi vestiti estivi gocciolavano quanto le ciocche di capelli e l’adolescente tremava violentemente per il gelo che doveva esserglisi infiltrato nelle ossa. Le mani, paonazze, stringevano i lembi della coltre; i piedi, coperti solo da calzini che ormai sembravano alghe masticate, non avevano mai smesso di strofinarsi uno contro l’altro nel vano tentativo di recuperare almeno una scintilla di calore.
"Sedici anni di pane perso", aveva pensato Dean con fare implacabile quando, nemmeno un’ora prima, aveva capito in che razza di guaio si fosse ficcato Sam.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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3. Sissignore

 

 

And you tell me to hold on
Oh, you tell me to hold on
But innocence is gone
And what was right is wrong

(Bleeding out, Imagine Dragons)

 

 

Sam non sapeva quanto tempo fosse trascorso quando la prima fitta alla milza lo costrinse a rallentare. Anche se la riduzione di marcia fu impercettibile all’occhio umano, il ragazzo seppe subito di essere fottuto. Per tutto il tempo aveva potuto sentire il respiro di suo fratello rincorrere il suo a pochi metri di distanza e in quel momento fu costretto ad ammettere ciò che Dean gli ripeteva da anni: se avesse smesso di affidarsi soltanto alla potenza delle sue gambe e si fosse preso il disturbo di imparare a controllare ritmo e respiro, sarebbe diventato irraggiungibile.

“Se”, appunto. Era suo fratello quello che ascoltava i consigli del loro padre su come migliorare le abilità utili alla caccia, non certo lui. Lui aveva smesso da anni di impegnarsi oltre il minimo indispensabile perché il vecchio non rompesse le palle.

Trascorsero almeno altri venti secondi, ma poi suo fratello maggiore lo raggiunse lì dove gli alberi si diradavano e il sentiero cominciava a scalare il pendio della teleferica del parco giochi. Quando Dean lo travolse, l’impatto strappò ogni residuo di ossigeno dai polmoni di Sam ed entrambi rotolarono nell’erba per qualche metro. Sam sentì suo fratello gemere e immaginò avesse sbattuto la testa su qualche sasso. Ma quando le vertigini passarono e il sedicenne fu in grado di rimettersi in piedi, Dean gli era addosso e lo ghermì per un braccio prima che i suoi muscoli fossero pronti a riprendere la fuga.

- Ma porca puttana! - urlò il maggiore, trapanandogli il cranio con gli occhi fuori dalle orbite. Il ritmo del suo respiro faceva pensare a una morte imminente, ma in qualche modo era ancora in grado di abbaiargli addosso. - Possibile che tu non capisca che così lo fai solo incazzare di più?

Sam non aveva perso tempo a immaginarsi cosa gli avrebbe detto, ma quelle parole gli fecero rimontare l’ira nel petto e malgrado il caldo, il sudore, la spossatezza, anche lui trovò il fiato per protestare.

- Di più? Più di così? Cristo santo, con cos’altro potrebbe minacciarmi?

Scrollò il braccio con violenza per liberarsi dalla morsa del fratello e Dean lo lasciò andare. A Sam sarebbe piaciuto pensare di essere più forte di lui, ma la verità era che entrambi sapevano di essere troppo distrutti per rimettersi a correre. Non smisero di scrutarsi un solo secondo mentre si contendevano l’ossigeno di quell’angolo di parco, Sam guardingo come un furetto e Dean in un miserabile tentativo di calmarsi. Infine fu quest’ultimo a riprendere la parola, chino sulle ginocchia per limitare il dolore al petto.

- Fidati, Sam - disse con voce roca, alzando un sopracciglio. - Ti conviene smetterla di ribellarti.

Riuscì solo a far sgranare gli occhi a suo fratello, che alzò le braccia con prepotenza.

- Ma che cazzo dici? Sei fuori di testa quanto lui? - detonò. - Io non voglio… non voglio… non posso credere che tu stia dalla sua parte!

Dean lo guardò a lungo, occhi negli occhi, prima di gettare uno sguardo a terra, sputare e tornare a concentrare la sua attenzione su di lui solo dopo essere tornato in posizione eretta.

- Non sono d’accordo con quello che vuole fare. Io non lo farei mai. Non sono né dalla tua né dalla sua parte, sono dalla parte di questa famiglia. Ti voglio bene, lo sai, ma rispetto papà. E poi c’eri anche tu, lo hai sentito, hai sentito quello che ci siamo detti.

Ora c’era qualcosa di dolce nel tono di suo fratello e Sam lasciò che quella nota di comprensione si depositasse attorno a loro prima di trovare il coraggio di parlare di ciò che aveva udito.

- Ho sentito che lo ha fatto anche con te - deglutì.

- Sì - ammise Dean, senza sfuggire il suo sguardo. - Poche volte, quando davvero non ha visto altra via. Quando davvero era necessario per farmi comprendere qualcosa che mi rifiutavo di vedere. E mi dispiace dirtelo ora e così, ma mi è servito e finirà per servire anche a te.

La voce del maggiore virò di nuovo nell’autoritario e Sam si sentì morire dentro. Ad ogni modo, tentò di rimanere calmo e razionale, anche se sentì uno zigomo vibrare mentre scuoteva leggermente la testa.

- Io ho già chiesto scusa - riuscì a opporsi in un soffio, chiedendosi quando sarebbe riuscito a rimettersi a correre.

- Non è la stessa cosa - replicò cauto suo fratello. - So che sei dispiaciuto, ma quello che hai fatto ieri ai tuoi occhi appare ancora come una sciocchezza, qualcosa che ogni sedicenne può fare a settimane alterne. Ebbene, so che non vuoi sentirtelo dire, ma tu non sei un adolescente come tutti gli altri. Devi stare molto attento ai tuoi movimenti e lo sai, ti è stato insegnato. Conosci le minacce di questo mondo più di ogni tuo coetaneo e questo porta con sé delle responsabilità - Dean fece una pausa perché l’altro riconoscesse che aveva ragione, ma Sam piantò gli occhi sul terreno ai suoi piedi, la bocca storta in una smorfia molto vicina al pianto. Così Dean continuò: - Avresti potuto ammazzarti. E se non comprenderai appieno i tuoi errori, se non te ne pentirai davvero, ci incapperai di nuovo. E la prossima volta, il colpo di testa potrebbe avvenire in un momento meno propizio, quando avremo qualche bestia alle calcagna. Se non farai tue le regole, se non le automatizzerai come ho fatto io, potresti finire per mettere a rischio tutti noi. È questo ciò che papà stava cercando di dire.

Il silenzio che seguì durò meno di quanto sarebbe servito perché il messaggio penetrasse. Il respiro accelerato dalla rabbia, stavolta, Sam rialzò la testa solo per scagliargli contro il proprio risentimento.

- Sei decisamente fuori di testa quanto lui - sentenziò, vibrante. - Voi due siete matti come cavalli, mi hai sentito? Io lo vado a denunciare alla polizia, quel bastardo schifoso, ancora prima che mi tocchi! Gli racconterò di quello che ha fatto a te! Quante è volte è successo? Quanti anni avevi?

Dean fece un verso stizzito, frustando l’aria col braccio mentre alzava gli occhi al cielo e assumeva la sua tipica espressione da “Dio, uccidimi adesso e risparmiami l’ascolto di ulteriori stronzate”.

- Ha davvero importanza? - scelse infine di ribattere, inumidendosi le labbra e allargando le braccia in direzione del fratello minore. - Vuoi distruggere questa famiglia, Sammy? Perché è quello che succederà se scanserai le tue responsabilità e andrai alla polizia.

Un risolino nervoso sfuggì dalle labbra del sedicenne.

- Scansare le mie responsabilità. Certo - ripeté con un sorriso infelice. - Quanti anni avevi? Perché non mi hai mai detto niente?

Dean passò al contrattacco con un’occhiata che era un misto di accusa e derisione.

- Per non turbarti inutilmente, perché già allora sapevo che fai un gran casino per qualsiasi cosa.

- Qualsiasi cosa? - tornò ad alzare la voce Sam, evidentemente schifato. - Nostro padre ti prendeva a cinghiate e tu accusi me di essere quello che fa casino per niente? Quello ti ha fatto il lavaggio del cervello! Non ti rendi conto di quello che dici.

Stava tenendo d’occhio il sentiero che saliva verso la cima della collina da parecchi secondi, ormai, convinto che suo fratello non se ne fosse accorto. Ma l’occhiata successiva di Dean rese palese che, se solo avesse provato a scattare, lui gli sarebbe balzato alle caviglie in un attimo per atterrarlo di nuovo. Sam sbuffò sofferente e Dean credette che si sarebbe davvero messo a piangere se non avesse continuato a distrarlo.

- Quattordici, sedici, diciassette e diciannove - sciorinò allora con finta indifferenza, attirando di nuovo l’attenzione del minore. - Ecco le età, contento ora? Sono stati solo quattro episodi.

Il labbro inferiore di suo fratello vibrò mentre si cavava le parole di bocca, furioso.

- Non avresti dovuto fargliene passare neanche uno.

Dean vide nei suoi occhi che razza di idea si stesse costruendo del loro padre e non poté che gettarsi a capofitto nella missione di distruggerla seduta stante.

- Oh, per favore, Sammy, sono ancora vivo! Perfettamente in salute e per niente traumatizzato. La verità è che tu guardi troppi film di merda e sei convinto che una chiacchierata risolva tutto, ma non è sempre così. Non può esserlo.

- Come se papà si prendesse mai la pena di parlare con noi.

Fu solo un mormorio. Suo fratello era stanco. Dean non dovette neppure affrettarsi, quando lui fece per voltarsi e dovette afferrarlo per il polso. Gli occhi con cui Sam incontrò i suoi erano ora più sfiniti che combattivi e questa volta fu qualcosa nel torace di Dean a cedere dolorosamente.

- Pensa a ciò che ti ho detto - lo implorò, deglutendo. - Non voglio perderti, d’accordo?

Sam lo fissò a lungo e durante quegli istanti dovette scorgere molto altro oltre a un fratello maggiore che gli era corso appresso per riportarlo a casa trascinandolo per un orecchio. Vide la supplica, riconobbe la paura viva e pulsante di Dean all’idea che decidesse di non tornare a casa sul serio. Che rimanesse fuori, esposto al mondo, indifeso di fronte a pericoli molto meno circoscritti del loro padre e della punizione promessa.

Infine Sam si liberò ancora una volta dalla sua presa, ma solo per raggiungere l’albero più vicino e scagliare un pugno liberatorio sul tronco, mentre dalla gola gli usciva un urlo che avrebbe dilaniato anche John Winchester.

- Sam!

Dean accorse vedendo il sangue sulla corteccia e sulle nocche e cercò di attirare la mano del fratello a sé per vedere meglio l’entità del danno, ma suo fratello si scostò e gli puntò un dito contro, il volto trasfigurato dal furore.

- Se torno a casa è solo per te, mi hai capito? - ansimò, per poi puntare lo stesso dito in direzione della piccola foresta che avevano appena attraversato. - Non per quello là. Non… non voglio che finisca per scaricare la colpa su di te solo perché io me la sono data a gambe.

Dean non credeva che suo padre lo avrebbe fatto. Ma quello era il primo bagliore di speranza che Sam gli concedeva riguardo al suo ritorno a casa e avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non mandare tutto a puttane. Quindi si limitò ad annuire con fare grave prima di azzardarsi ad accennare di nuovo alla boscaglia.

- Andiamo - sussurrò, deciso ma lieve.

Dopo qualche secondo, Sam fece cenno di sì, ma rimase immobile con lo sguardo sulla punta dei piedi e una lacrima che finalmente gli colava lungo la guancia, bagnando il punto in cui suo padre lo aveva colpito. Aveva corso scalzo, sostenuto dall’indignazione, ma ora le piante dei piedi bruciavano. E sembrava che tutto il mondo gli stesse crollando addosso all’idea di che cosa lo aspettava a casa. Fu con molta cautela che Dean gli si accostò e gli mise un braccio attorno alle spalle.

- Andiamo, Sammy. Sarà finita presto, te lo prometto.

 

Sbucarono dal bosco mezz’ora dopo e Sam si bloccò prima di mettere piede nel cortile, gli occhi fissi sulla tranquillità della casa. Si era aspettato di trovare suo padre in attesa là fuori, con lo sguardo dritto sul punto dove lui e Dean sarebbero ricomparsi, ma la veranda era deserta e sia l’antica sedia a dondolo che l’altalena di legno attaccata al soffitto erano immobili. Sam stava cercando di immaginare dove lo stesse aspettando suo padre, ma Dean interruppe il flusso dei suoi pensieri mettendogli una mano sulla spalla per dargli una stretta d’avviso.

- Se lo costringi a venirti a prendere…

- Si incazzerà ancora di più. Sì, ho afferrato il concetto, grazie mille - sibilò Sam, riprendendo ad avanzare senza aspettarlo.

Stava tornando a casa per l’affetto che lo legava a suo fratello, ma non sopportava comunque il suo atteggiamento in quella situazione. Non sopportava il fatto che avesse dei consigli da dargli, che sapesse com’era meglio comportarsi, che glielo sbattesse in faccia. Sapeva che il ventenne stava solo cercando di dargli una mano, ma tutte quelle parole non facevano altro che ricordare a Sam che Dean ci era già passato. Più volte. E lui non si era accorto di niente.

Una volta entrato in casa, Sam raggiunse la soglia della cucina e lì si fermò, con i pugni serrati lungo i fianchi. John Winchester, seduto a tavola con la cintura a portata di mano, alzò lentamente lo sguardo su di lui, come se temesse che ogni movimento brusco potesse farlo scattare di nuovo verso la libertà. Sam vide i suoi occhi scuri vagare da qualche parte alle sue spalle e comprese che lui e Dean si erano scambiati un cenno neutro. L’uomo aveva dato per scontato che il figlio maggiore non lo avrebbe deluso.

Quello fu anche il momento in cui Sam fu pienamente consapevole della presenza di Dean alle sue spalle. Fu solo chiedendosi che cosa avrebbe fatto suo fratello maggiore che riuscì a trovare il coraggio di fare un passo avanti e rivolgersi direttamente a suo padre.

- Chiedo scusa per essere scappato, signore.

La voce gli uscì dalla gola simile a un rantolo. Suo padre non smise di indagare i suoi occhi, ma lui li tenne nei suoi, cosciente dell’importanza che John Winchester dava al contatto visivo.

- Hai intenzione di piantarla con questo atteggiamento infantile?

Nel tono di suo padre la collera era ancora ben definita, ma Sam cercò di dimenticarne le possibili conseguenze per limitarsi ad annuire. Se la sua fuga aveva peggiorato la situazione, non c’era nulla che potesse fare per migliorarla. Al massimo poteva impegnarsi affinché rimanesse stabile.

- Sissignore - mormorò nonostante il nodo in gola.

- Bene. Allora possono rimanere sedici - sentenziò l’uomo, rimettendosi in piedi, recuperando la cintura e piegandola con la stessa flemma con cui aveva accolto il ritorno dei figli. - Qui. Via la maglietta e appoggiati al tavolo.

Sam si sforzò di deglutire o, ne era convinto, avrebbe vomitato. Sentendo lo sguardo di Dean trapassargli la nuca, afferrò il bordo della sua maglietta e se la tolse mentre raggiungeva il tavolo della cucina con qualche passo incerto. Mentre buttava il mucchietto di stoffa su una sedia e si appoggiava con entrambe le mani al legno levigato, si domandò come cazzo avrebbe fatto a continuare a mangiarci tutti i giorni, su quella stessa lastra di legno.

In quell’istante, John Winchester gli diede un primo indizio perché capisse che la sua quiete era solo apparente e che sotto di essa l’irritazione per il suo comportamento del giorno prima e per la sua fuga insolente appena sventata era pronta a farsi riconoscere. Con la mano libera diede un colpo alle ginocchia del figlio minore, facendogli fare un salto indietro, quindi con un piede lo costrinse ad allargare le gambe per assicurargli l’equilibrio. Sam sussultò entrambe le volte e prima odiò se stesso per esserselo permesso e poi suo padre per aver sottolineato la sua debolezza mettendolo nella posizione adeguata, con la schiena curvata ed esposta, come un bambino obbligato sulle ginocchia del genitore.

- Questa cosa è umiliante - non riuscì a trattenersi dal dire tra i denti, costretto a fissare il pavimento.

La risposta di suo padre gli arrivò bassa ma limpida.

- È così che deve essere.

Non poté vederlo alzare il braccio, ma sentì un sibilo nell’aria e quando la prima scudisciata lo colpì nella zona lombare tutta l’aria che aveva nei polmoni ne uscì prepotentemente. Sam si era mentalmente imposto di non emettere un singolo suono, ma un verso a metà tra un gemito e un urlo gli sfuggì dalle labbra non appena il dolore esplose. Risucchiò l’aria tra le labbra incurvate per il bruciore, con le palpebre serrate e le dita avvinghiate all’orlo del tavolo.

- Porca di quella puttana troia… - si fece scappare non appena fu di nuovo in grado di parlare.

- Te ne sei appena guadagnate altre due - sentenziò suo padre, laconico, e lo interruppe ancora prima che Sam potesse organizzare una protesta: - Condividi le regole con tuo fratello, Dean.

La voce del maggiore arrivò dai fornelli, provata ma salda: - Puoi gridare, puoi piangere, ma non puoi bestemmiare od offendere. Sono altre due. Se provi ad andartene, sono altre cinque.

- Tutto chiaro? - fece la voce di John Winchester, alla sua destra.

Sam inghiottì il veleno che avrebbe voluto sputargli addosso: - Sissignore.

Per i successivi cinque colpi, Sam accettò quello che aveva capito essere un consiglio da parte di suo fratello e smise di affaticarsi per tenere in piedi un’immagine da duro. Lo sferzare della cinghia lo fece urlare ogni volta così forte che se Sam avesse avuto ancora la capacità di ragionare si sarebbe domandato cosa avrebbero pensato i vicini. Anche se vivevano a cento metri di distanza, non era possibile che non lo sentissero. L’inferno gli stava devastando la schiena e la sua stessa voce gli spaccava i timpani, ma non poteva trattenersi.

Suo padre era maledettamente capace: dopo ogni percossa, attendeva il tempo necessario perché il dolore arrivasse al suo apice, quindi riprendeva con la stessa foga misurata.

Dopo il sesto colpo non dovevano essere rimasti molti punti che non fossero già stati colpiti e Sam lo scoprì nel peggiore dei modi. L’urto della cinghia sulla pelle già tumefatta si tradusse in un’esplosione di dolore su tutto un altro livello e il ragazzo iniziò a gemere senza più nemmeno ricordarsi del patto di dignità che aveva stipulato con se stesso prima di iniziare. Temendo che suo padre avrebbe aggiunto altri colpi alla lista se avesse osato avvicinarsi al tavolo e seppellire il volto tra le braccia, rimase sul posto, ma le gambe cominciarono a tremargli violentemente.

Otto. Nove. Dieci.

Suo padre non si ammorbidiva, non faceva pause che non rispettassero la strategia. All’undicesima frustata, un ginocchio di Sam cedette e il sedicenne rimase a terra per qualche secondo, mugolando e tremando a testa bassa.

- In piedi, Samuel. Non abbiamo finito.

Stringendo gli occhi e lasciando cadere le lacrime che aveva trattenuto fino ad allora, Sam cercò a tentoni il bordo del tavolo per aiutarsi a sollevarsi. L’ultima cosa che voleva era incrociare per sbaglio lo sguardo di Dean mentre si alzava e si rimetteva sotto il torchio di quella tortura. Quando fu di nuovo in posizione, le sue gambe tremavano più di prima e i singhiozzi gli scuotevano il petto e riempivano la stanza, ormai troppo forti perché chiunque dei presenti potesse far finta che non ci fossero. Senza nessuna pietà, il dodicesimo colpo si abbatté proprio nel centro della schiena e Sam fu sicuro che questa volta la pelle fosse stata lacerata.

A stento mantenne la posizione, ma le sue labbra si mossero da sole.

- Papà - pianse, boccheggiando e scuotendo la testa. - Papà, basta, ti prego… non lo farò mai più, lo giuro… mi dispiace, mi dispiace, ti prego smettila, mi dispiace…

Le sue lacrime bagnavano il pavimento. Se guardava a sinistra, poteva vedere i piedi di Dean, anche se sfocati, che non la smettevano di agitarsi pur rimanendo sempre nello stesso posto.

- Lo so che ti dispiace - replicò John Winchester, tremendamente vicino.

Talmente vicino che, quando si accomodò la cintura tra le mani, Sam lo udì.

- No papà, ti prego, bast-…

La supplica culminò in un ululato che coincise con il tredicesimo colpo, di nuovo sulla zona lombare.

- Papà… papà, ti giuro che obbedirò, non succederà più… mi dispiace…

- Papà, sta sanguinando.

Dean. Dean ci stava riprovando, a salvarlo. Ma la sua voce era irriconoscibile, più simile a quella con cui Sam stava scongiurando suo padre che a quella sicura e intrattabile che suo fratello minore conosceva. Per John Winchester fu come se un venticello fresco gli avesse accarezzato i capelli.

- Ancora cinque, Sam - annunciò, con tono piatto malgrado avesse il fiato corto. - Voglio che le conti e poi avremo finito.

Lo disse come se stesse parlando di un compito di algebra, ma Sam si morse le labbra a sangue pur di non cedere alla tentazione di insultarlo nei modi peggiori che conosceva. Tirò su col naso e si aggrappò più forte che poté alla lastra del tavolo, quindi serrò gli occhi e attese l’ineluttabile.

Quattordici.

- Uno - sputò, senza fiato.

Quindici. Sedici.

- Due. T-tre - balbettò, con il sapore delle lacrime sulle labbra.

Un urlo lo dilaniò quanto fece il bruciore al diciassette.

- Q-quattro… - esalò poi.

Per l’ultimo suo padre si prese più tempo e Sam fu sicuro si trattasse ancora una volta della logica malata grazie alla quale era in grado di farlo penare anche senza percosse. Infine il diciottesimo colpo, il più violento per la conclusione.

Sam sentì la parola “cinque” abbandonargli le labbra, ma non ricordò mai di averla pronunciata. Sopraffatto dal dolore infuocato che gli devastava la schiena, cadde finalmente in ginocchio e lì si accartocciò su se stesso, continuando a singhiozzare e aspettando che il nodo al petto si sciogliesse per poter tornare a ingoiare grandi boccate d’aria. Non appena il tremore alle gambe diminuì, si trascinò a sedere in un angolo della stanza.

John Winchester era rimasto immobile al suo posto, la cinghia ancora piegata nella mano destra. Sam gli lanciò uno sguardo carico di disprezzo, ma aveva ancora il fiato corto e qualcosa gli impediva di dare voce ai suoi pensieri. Un attimo dopo fece l’errore di cercare gli occhi di Dean. Se ne pentì immediatamente: suo fratello maggiore lo stava guardando con una pena nuova, mai vista, e gli occhi da cui Sam sfuggì erano pieni di orrore e lacrime. Dunque anche il suo castigo aveva fatto effetto.

Per quanto sapesse che Dean era distrutto dalle sue condizioni, Sam provò un imbarazzo immenso e fece sprofondare lo sguardo sul pavimento, continuando a respirare affannosamente. Il silenzio e l’immobilità della scena vennero interrotti soltanto quando il sedicenne, esausto, cercò di trovare sollievo appoggiandosi alla parete dietro di lui. Una scarica di dolore gli strappò un’esclamazione e nuove lacrime gli bagnarono le guance quando tutto il peso dell’umiliazione subita lo travolse come un acquazzone.

Fu allora che John Winchester fece un cenno al figlio maggiore.

- Aiutalo. Portalo a riposare fino all’ora di pranzo.

Sam alzò lo sguardo su di lui con un tremito.

- Tu e la tua ipocrisia potete andare all’inferno - guaì, strappandosi le lacrime dal viso col dorso della mano.

Gli occhi scuri di suo padre lo valutarono dall’alto: - Che cosa mi hai detto?

- Ho detto vai all’inferno! - ringhiò Sam con tutte le sue forze.

John Winchester si mosse lentamente. Se in quel momento non fosse stato impegnato a odiarlo con tutto se stesso, Sam avrebbe detto che aveva bisogno di una buona notte di sonno. Si prese il tempo utile ad arrotolare la cintura e a depositarla sul tavolo, quindi mosse qualche passo verso il figlio minore. Dean era sul punto di intervenire quando vide che suo padre si era limitato ad accucciarsi di fronte a Sam per poterlo guardare dritto negli occhi. Terrorizzato e dolente, il sedicenne rimase fermo sul posto, sostenendo quello sguardo sfinito ma austero. Le parole di suo padre furono come chiodi piantati nelle contusioni fresche sulla sua schiena.

- Ragazzo, non ti piaccio? Va bene. Il mio compito non è piacerti. Il mio compito è crescerti in maniera adeguata. Ed è esattamente ciò che intendo fare.

Sam lasciò andare il fiato che aveva trattenuto solo quando suo padre si rimise in piedi e lasciò la stanza dopo aver fatto un cenno d’intesa a Dean. Quest’ultimo accorse ancora prima che John Winchester arrivasse in veranda, dove si sarebbe messo a consultare vecchie pagine del suo diario e magari a redigerne di nuove.

Sam non respinse l’aiuto di Dean. Aveva perso tutto l’orgoglio prima della settima cinghiata e non gli importò neppure di continuare a piangere mentre suo fratello lo faceva sdraiare a letto, gli disinfettava e incerottava le ferite aperte e gli piazzava sulla schiena tre pacchi di minestrone congelato per sgonfiare i lividi.

 

Il giorno dopo era lunedì e Sam insistette per andare a scuola. Dean lo aveva avvertito dei disagi che avrebbe avuto, ma il sedicenne aveva più di un motivo per abbracciare l’occasione di uscire. Tornò a casa alle quattro e mezza del pomeriggio e trovò entrambi i membri della sua famiglia in salotto, occupati con armi semi-smontate e libri sull’esoterismo giapponese.

- Dove sei stato? - chiese suo padre quando lo vide entrare, fermandosi con una pagina voltata solo per metà. - La scuola è finita un’ora e mezza fa.

Sam rispose solo perché costretto, appoggiando lo zaino sul pavimento e sedendosi lì vicino, accanto a Dean, con un block notes e una matita per fare due schizzi.

- Ah sì, ho… ho avuto da fare.

Suo padre non si fece beffare dalla sua finta indifferenza.

- Sii più specifico.

- Sono stato in biblioteca per una ricerca di scienze - spiegò Sam, gli occhi fissi sul foglio.

- Vi hanno dato una ricerca da fare durante l’ultima settimana di lezioni?

- Ah-a.

- Sam - Il tono dell’uomo divenne abbastanza severo da costringere l’adolescente a essere testimone della sua alzata di sopracciglio. - Ti conviene dirmi la verità.

La schiena di Sam era tutta un’ecchimosi, quindi non perse tempo a protestare.

- Okay - sospirò, facendo balzellare un lato della matita in cima al quadernetto. Dean stava guardando le sue armi come si guarda un’amante, ma aveva sicuramente alzato le orecchie a inizio conversazione. - Ho avuto un colloquio con il consulente scolastico.

- Un colloquio?

- Volevo delle informazioni sul diploma.

Questa volta la fronte di suo padre si corrugò al massimo della sua potenza, ma fu la voce di Dean a investigare.

- Ti mancano ancora due anni di scuola prima del diploma.

- Forse no - rivelò Sam, ora faticando a trattenere il senso di trionfo. - È proprio su questo che avevo bisogno di informazioni. Io… ho chiesto se non ci fosse un modo per accelerare il tutto. Ho degli ottimi voti e il consulente mi ha confermato che esiste la possibilità di diplomarsi un anno prima, nel caso di studenti che abbiano già dimostrato di essere pronti a impegnarsi. Quindi ho fatto domanda per poter seguire più corsi, il prossimo anno accademico, così da potermi diplomare già la prossima estate.

Non si aspettava complimenti o fuochi d’artificio, ma il silenzio che accolse le sue parole fu comunque duro da digerire. Fu John a proseguire l’interrogatorio.

- E perché ti è saltata in mente questa idea?

- Così potrò partire prima per il college.

- Il college - ripeté suo padre, come se fosse una parola dal fastidioso gusto esotico.

- Sì - ribatté Sam, troppo entusiasta della scoperta per farsi mettere in guardia da quello che assumeva sempre più le tinte del disappunto paterno. - E dato che ne stiamo parlando… voglio anche trovarmi qualche tipo di lavoro. Una cosa part-time in un bar, un cinema o un negozio, non lo so. Qualcosa del genere.

John Winchester diede in un sospiro, appoggiandosi allo schienale della poltrona come se tutto ciò fosse troppo da reggere. - E perché, di grazia?

- Be’ - si fece coraggio Sam, scivolando su un mezzo sorriso che era per se stesso e per Dean, ma non certo per suo padre. - Sarei un illuso se pensassi che mi pagherai gli studi, no?

- E cosa ti fa pensare che ti lascerò partire per il college, invece?

La smorfia di gioia di Sam venne cancellata in un colpo solo.

- Non puoi impedirmelo.

- Ah no?

- No - rispose Sam, secco.

- Vedremo - ribatté John, piantandogli addosso occhi simili al giorno prima. - Intanto non ti permetto di metterti a cercare lavori inutili.

- Cosa? Perché?

- Perché hai già un lavoro. Aiutare me e tuo fratello, a casa e a caccia.

Sam si morse le labbra, ma capì che si era spinto troppo oltre per tornare indietro. Aveva attirato l’attenzione di suo padre dal momento in cui era rientrato, anche se si era ripromesso di rimanere quieto e di comportarsi normalmente - perfino di fingere che il giorno prima non fosse successo niente di particolare - per non dar adito a sospetti. Maledizione, la sua forza di volontà aveva già capitolato.

- Non lo voglio più fare - confessò, rifiutandosi di pentirsi malgrado l’occhiata disorientata di Dean.

Suo padre, invece, rimase statico.

- Peccato - si limitò a commentare, alzandosi dalla poltrona e dirigendosi mollemente verso il corridoio. - Sono io che detto le regole, nel caso te lo fossi dimenticato. Nessun lavoro part-time e nessun college. Toglitelo dalla testa e va’ a prendere i fucili a canne mozze da pulire. Dean ha già fatto la sua parte prima di pranzo.

In mancanza di qualcosa da colpire, Sam gettò di lato block notes e matita in un moto di frustrazione.

- Sei tipo l’unico genitore al mondo che proibisce al figlio di studiare e di combinare qualcosa più di quanto non abbia fatto lui!

Sam capì di averla sparata grossa dal fatto che Dean si lasciò scivolare dalle mani il calcio della calibro 45 più che dalla lentezza con cui John Winchester si voltò verso di lui.

- Be’, questo pezzente è tuo padre - sibilò l’uomo. - E tu te lo farai andare bene.

Infine Sam abbassò lo sguardo, cercando di sciogliere il blocco gelido di paura nello stomaco.

- Non era quello che intendevo.

- Ah no?

- Nossignore.

Un attimo dopo, Sam trasalì sentendo le dita della mano di suo padre serrargli il viso in una morsa.

- Intendevi dire che non vuoi essere un cacciatore. Che non vuoi fare questa vita.

Il ragazzo deglutì. - Sissignore.

L’uomo lo lasciò andare e il sedicenne percepì i muscoli del braccio di Dean, pressato contro il suo, rilassarsi come se una bomba fosse appena stata disattivata.

- Mi dispiace, Sammy - concluse il loro padre con la stessa voce atona con cui gli aveva comandato di contare a voce alta gli ultimi cinque colpi di cinghia. - Ma non ho intenzione di lasciare che né tu né tuo fratello vi allontaniate da me. Dimentica il college e tutte le tue fantasie. Finisci la scuola in fretta, se vuoi, ma vorrà solo dire che da quel momento verrai a caccia con me e Dean a tempo pieno - Fece trascorrere qualche secondo, senza lasciare scampo agli occhi verdi del figlio minore, quindi piegò la testa di lato con una smorfia inquisitoria: - Non ho sentito la tua risposta.

Sam avvertì la vera replica che avrebbe voluto dare graffiargli le pareti della cassa toracica, ma strinse le labbra e obbedì come aveva promesso, urlando di dolore, il giorno prima.

- Sissignore.

 

 

 





Angolino dell'autrice

Buongiorno a tutte/i!

Ancora una volta, per prima cosa ringrazio Biota per aver recensito lo scorso capitolo e tutte/i voi che state leggendo questo sclero *crostatine e gelato all over the place*

Approfitto di questo angolo di pazzia per chiedere a chi è più navigato di me nel mondo di Supernatural (quindi tutti) se sapete dirmi da quale puntata viene la frase che ho usato: "Son, you don't like me? That’s fine. It's not my job to be liked. It's my job to raise you right". So che Dean e Sam la riportano citando il padre, ma l'ho letta in un forum e non so di che puntata si tratti. Vorrei inserire il disclaimer perchè evidentemente non è mia, anche se mi è capitata sotto mano a fagiuolo.

Edit: frase presa in prestito dal decimo episodio della decima stagione. Grazie a Vally1979 per l'aiuto!

Ne approfitto anche per informarvi che l'ultimo capitolo non è questo, ma sarà il prossimo.

Un abbraccio e continuate a splendere,


a.

 


   
 
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