Capitolo sesto
Ma cambiami tu, ci riesci di più
Di tutte le parole della gente
Sei la cosa più bella e importante che ho
Non ne devi abusare però
La differenza sostanziale
È che con te mi sento di nuovo bene
Ogni giorno di più è il potere che hai tu
Di accendere e riequilibrare
La conseguenza naturale
È che non c’è più niente che mi trattiene
La seconda metà, sei la mia libertà
Ma il fatto è che non può bastare
Se non so più amare.
(“Non so più amare” – Marco Carta)
A Palazzo Medici
regnavano davvero la confusione, la rabbia e la disperazione e Giovanni si recò
subito da Piero e Lucrezia che, oltre a questo, avevano anche dovuto superare
la perdita del bambino che la ragazza aspettava.
Giovanni abbracciò
gli amici.
“Piero, Lucrezia, mi
dispiace veramente tanto per il vostro bambino” disse loro, “ma non voglio che
a questo dolore dobbiate aggiungere anche la preoccupazione per Messer Cosimo.
Non ci sono prove della sua colpevolezza, l’arresto è stata una totale
assurdità e il Gonfaloniere Guadagni è un uomo saggio, farà liberare Messer
Cosimo il prima possibile, ne sono convinto.”
Nel frattempo era
arrivato anche Lorenzo. Anche lui abbracciò Giovanni, ma con molto meno
ottimismo dipinto in volto.
“Non ne sarei così
sicuro. Albizzi ha convocato l’assemblea della Signoria per questo pomeriggio
per presentare le accuse contro Cosimo” spiegò in tono cupo.
“Messer Albizzi le cose se le sogna la notte,
a quanto pare, e poi le condivide con chiunque voglia starlo a sentire” ribatté
il ragazzo, ancora irritato. “Tuttavia non ha alcuna prova, si farà soltanto
ridere dietro. Firenze ama Messer Cosimo e non certo lui!”
Lorenzo scosse il capo, ancora poco convinto.
Ma anche Giovanni, in realtà, non era così sicuro di ciò che affermava. La
storia della sua famiglia gli aveva insegnato fin troppo bene che non c’era
affatto bisogno di prove se gli accusatori riuscivano ad avere dalla loro parte
la maggioranza delle famiglie, anche tramite menzogne, inganni e corruzione.
Così era andata per gli Uberti…
Era talmente disilluso (e forse non soltanto
per l’arresto di Cosimo…) che quel pomeriggio non volle nemmeno partecipare
alla prima arringa di Albizzi contro
il Medici, al Palazzo dei Priori. Quando Lorenzo e Piero tornarono, non
sembravano molto ottimisti, tuttavia il giovane Medici era agguerrito, aveva
tirato fuori tutto il suo carattere e si dichiarò disposto a fare di tutto per
cercare delle prove che scagionassero suo padre.
“Se vuoi posso aiutarti” si offrì Giovanni, “dimmi
cosa devo fare.”
“In realtà c’è un altro modo in cui puoi
cercare di aiutare mio fratello e questo puoi farlo soltanto tu” intervenne
Lorenzo. “Cosimo mi ha raccontato che Albizzi sta sviluppando una certa qual
simpatia per te in qualche suo modo contorto, so che sei stato al suo palazzo,
che ti parla spesso… Forse potresti aiutare Cosimo proprio tentando di
convincere Albizzi a desistere dal suo proposito. Io ci credo poco, quel
mascalzone non si lascerà persuadere tanto facilmente, ma non si sa mai, no? E’
comunque un’altra strada. Ognuno di noi proverà a portare a termine il suo
compito e, in questo modo, avremo più possibilità di liberare Cosimo.”
Evidentemente Lorenzo non era al corrente
degli ultimi sviluppi e del fatto che
Giovanni non intendesse più rivolgere la parola a Rinaldo Albizzi perlomeno
fino al Giorno del Giudizio Universale… Ma in ballo c’era la vita di Cosimo e
Giovanni non era un egoista. Trasse un sospiro e cedette.
“Va bene, Messer Lorenzo, proverò a parlare
con Messer Albizzi, ma non fatevi illusioni e continuate ad agire su altri
fronti perché io sono sicuro che questo metodo non funzionerà mai.”
La mattina successiva era prevista la seconda
arringa di Rinaldo Albizzi contro
Cosimo de’ Medici e, questa volta, Giovanni seguì Lorenzo e Piero al Palazzo
dei Priori per assistere… e per dire la sua. Sì, beh, il ragazzo aveva pensato
a un modo tutto suo per respingere le
accuse di Albizzi a Cosimo senza doversi esporre più di tanto con lui…
Albizzi quel giorno diede il meglio di sé (o
il peggio, a seconda di come lo si voglia vedere). Aveva fatto portare al
Palazzo dei Priori perfino la statua del David di Donatello come reperto A o qualunque cosa pensava che
fosse, ed era talmente infervorato da proporre addirittura tre capi d’accusa.
Forse Giovanni aveva ragione e lui veramente se le sognava la notte!
La povera statua del David venne esibita come
prova della corruzione e immoralità di Cosimo che, di conseguenza, stava
inquinando le tradizioni di Firenze e la coscienza dei bravi cittadini.
“Questa scultura è un’oscenità” pontificava
Albizzi, dimostrando ancora una volta che il suo gusto artistico era pari a
zero… “Il David è il simbolo di Firenze, ma qui è stato rappresentato come un
ragazzino effeminato che può soltanto indurre pensieri lascivi nelle menti
delle persone. Cosimo è un perverso corruttore dei costumi della nostra città!”
La seconda accusa era, come ovvio, quella di
usura, la più cara e sentita da
Albizzi! Cosimo venne accusato di essersi arricchito estorcendo denaro con gli
interessi a povera gente e perfino ad un convento. Cosimo era dunque anche un imbroglione, un ladro e un
usuraio (già sentita…).
La terza accusa, però, fu la perla della
giornata.
“C’è però una cosa ancora più grave di queste”
dichiarò l’uomo in tono ispirato, facendo pure una pausa a effetto per attirare
ancora di più l’attenzione. “Cosimo de’ Medici ha ostentato grande generosità
verso gli ammalati di peste durante l’epidemia, ma il suo vero scopo era molto
più losco: lui vuole conquistare il popolo per poi tentare un colpo di Stato,
distruggere la Signoria e diventare l’unico tiranno, padrone incontrastato di
Firenze. E questo, signori miei, si chiama alto tradimento e deve essere punito
con la pena di morte!”
Cosimo ascoltava le accuse, allibito. Invece
Lorenzo non poté più trattenersi e interruppe la tirata di Albizzi.
“E voi, invece, Messer Albizzi, che cosa
avete fatto durante l’epidemia di peste?” domandò.
“Ecco Lorenzo de’ Medici che tenta di
difendere suo fratello, ma le sue parole non serviranno a niente” replicò
Albizzi, sarcastico, per poi affondare il capolavoro della giornata. “Non sono
io sotto processo. Io sono solo un onesto cittadino che ama Firenze e vuole il
bene della città. Io non sono il padrone di Firenze, io ne sono l’umile servitore!”
Parliamoci chiaro, ma quello credeva davvero
di convincere qualcuno con questa stronzata? Ci sarebbe stato da ridere, se non
fosse stato da piangere, e anche il Gonfaloniere fece una faccia che sembrava
voler dire ci mancava solo il povero
martire…
Nei pochi istanti che seguirono questa
sparata, mentre Albizzi teneva ancora la mano sul cuore e il capo chino e tutti
aspettavano in silenzio, risuonò un applauso ostentato e una vocetta scanzonata
e ironica spezzò l’incantesimo.
“Bravo, bravo, bravissimo, che grande
interpretazione, Messer Albizzi!” fece Giovanni, applaudendo e sorridendo. “Avete
sbagliato mestiere, lo sapete? Sareste stato un grandissimo attore, mi sono
quasi commosso! E probabilmente la vostra grande esibizione ha impedito al
Signor Gonfaloniere e ai Messeri qui presenti di rendersi conto di quanto ogni
vostra accusa si possa ritorcere contro di voi con una facilità irrisoria.”
L’intervento di Giovanni fu talmente
spiazzante da impedire a chiunque una reazione. Lo stesso Albizzi restò
interdetto e, con la sua esitazione, diede modo al ragazzo di procedere con la sua
esposizione. Del resto, gli altri Priori e Messeri si guardavano allibiti e Lorenzo
si voltò verso Piero, che continuava a prendere appunti, come a voler dire che
forse far intervenire Giovanni non era stata poi quella bella pensata…
Il Gonfaloniere Guadagni, invece, sembrava
compiaciuto: ultimamente, grazie a quel ragazzino imprevedibile, le assemblee
della Signoria erano diventate molto più movimentate ed era curioso di sentire
cosa avrebbe detto stavolta.
“Tu non puoi parlare, non hai un seggio nella
Signoria e non hai alcun diritto di oltraggiarmi pubblicamente in questo modo!”
reagì infine Albizzi, ma era troppo tardi.
“Invece lo ascolteremo tutti, Messer Albizzi.
Abbiamo stabilito già la volta scorsa che il giovane è un discendente degli
Uberti e, come tale, ha pieno diritto di parlare in questa assemblea in difesa
di Messer Cosimo, se così desidera” tagliò corto il Gonfaloniere.
“Vi ringrazio, Signor Gonfaloniere” disse
Giovanni prima di iniziare, sempre molto divertito. “Bene, cominciamo da quella
povera statua che non vi ha fatto niente e che voi, Messer Albizzi, avete preso
in antipatia proprio come avete fatto con la cupola.”
Qui qualche risatina soffocata si fece
sentire tra i Priori, con grande dispetto di Albizzi.
“E’ vero, questa statua rappresenta David
come un ragazzino, ma vedete… ecco, se voi aveste letto veramente la Bibbia,
invece di usarla come vostro scudo senza conoscerla nemmeno, sapreste che David
era, in effetti, solo un fanciullo quando affrontò Golia. L’episodio della
Bibbia mette bene in risalto il fatto che il profeta Samuele, quando fu mandato
da Dio a scegliere un campione da opporre al gigante, fu il primo a restare
stupito, perché Dio non scelse uno dei fratelli maggiori, grandi e forti, bensì
il pastorello David, un ragazzino dall’aspetto fragile” spiegò il giovane, e la
sua precisazione, così dettagliata, attrasse l’attenzione anche dei più
scettici. “Perciò io trovo che la statua rappresenti perfettamente il vero
David così com’è descritto nella Sacra Scrittura. Quanto al fatto che questa
rappresentazione ispiri pensieri lascivi nella gente… beh, per me non è così e
non credo che sia così nemmeno per la maggior parte dei presenti.”
Ovviamente tutti si affrettarono a negare…
“Bene, dunque, se questa statua di un David
giovane e apparentemente debole induce pensieri osceni in voi, Messer Albizzi… oserei dire che questo è piuttosto un problema
vostro e non della statua, non vi
pare?” e con questa allusione Giovanni vendicò su due piedi l’offesa ricevuta
due giorni prima dall’uomo, di essersi venduto
a lui. Ora, se non altro, erano pari.
Dall’assemblea della Signoria si levarono
grandi risate, anche il Gonfaloniere dovette farsi notevole violenza per
smettere di sghignazzare e cercare di riportare l’ordine e perfino a Cosimo
scappò un sorriso. Decisamente non aveva sbagliato a puntare su quel ragazzo,
comunque fosse finita quella brutta storia…
“In quanto al fatto che Messer Cosimo abbia
praticato l’usura… beh, io forse non avrei osato toccare l’argomento” riprese
Giovanni, quando le risate si furono placate. “Dimenticate forse, Messer
Albizzi, che voi stesso avete dichiarato pubblicamente che avreste sfamato e pagato chiunque avesse
lavorato per distruggere la cupola? Credo che vi abbia sentito tutta Firenze. E
sono certo che molti qui presenti potrebbero testimoniare di aver ricevuto da voi l’offerta di una posizione di
prestigio o terre o qualsiasi altra cosa purché avessero votato contro Messer
Cosimo. Io questa la chiamo corruzione…
o forse la Signoria fiorentina le dà un altro nome?”
Qui le sghignazzate si fecero più forti, ma
diversi tra i sostenitori di Albizzi, e qualcuno anche tra quelli di Cosimo,
abbassarono lo sguardo, segno che le offerte le avevano ricevute eccome!
“Infine, come dimenticare la vostra
magistrale interpretazione di umiltà quando vi siete dichiarato servitore di Firenze e al contempo avete
accusato Messer Cosimo di volersi fare tiranno. Veramente commovente, ve l’ho
detto, come attore avreste un futuro garantito. Peccato che siate tanto
teatrale quanto ipocrita, perché le voci che corrono dicono che in realtà siete
proprio voi che state organizzando
una Signoria tutta nuova, con voi stesso a capo e i vostri alleati come
consiglieri. E’ per questo e solo per questo che state cercando di eliminare
Messer Cosimo” concluse Giovanni. “Le vostre accuse non stanno in piedi, perché
voi stesso potreste essere accusato delle medesime colpe. Cosa ne dite di
questo, Messer Albizzi?”
Albizzi avrebbe avuto parecchie cose da dire,
ma sarebbero state principalmente parolacce. Così fece uno sforzo per dominarsi
e per non mostrare quanto le parole di Giovanni avessero colpito nel segno,
indossò di nuovo la sua maschera imperturbabile e si rivolse al Gonfaloniere e
ai Priori come un agnello innocente mandato al massacro.
“Signori, dovremo stare ad ascoltare ancora
per molto le parole di un ragazzino che non ha nemmeno un seggio nella Signoria
eppure osa comunque scagliare accuse contro uno dei suoi membri più nobili ed
eminenti?” esclamò, fingendosi scandalizzato. “Signor Gonfaloniere, chiedo che non
si tenga conto alcuno della testimonianza di Messer Uberti, che non avrebbe
dovuto nemmeno avere il permesso di prendere la parola.”
“Va bene, Messer Albizzi” acconsentì il
Gonfaloniere, che si era già divertito abbastanza. “I membri della Signoria non
tengano conto delle parole di Messer Uberti!”
Albizzi si rivolse a Giovanni.
“Nessuno terrà conto delle tue parole e delle
tue ridicole accuse, ragazzino impudente” gli disse, trionfante.
“Molto bene, tuttavia le hanno sentite” replicò Giovanni, senza perdere
il suo sorrisetto. Sì, forse i membri della Signoria avrebbero finto di non
credere a ciò che aveva detto, magari molti di loro si erano già fatti
corrompere da Albizzi, ma lui era soddisfatto: si era tolto diversi sassolini
dalla scarpa e sentiva di aver fatto veramente quello che poteva per difendere
Cosimo de’ Medici.
Il Gonfaloniere sciolse l’assemblea, le
guardie riportarono Cosimo in cella e Giovanni seguì Lorenzo e Piero che
uscivano dal Palazzo dei Priori.
“Hai parlato bene, Giovanni, però non era
proprio questo l’aiuto che speravo da
te” gli disse Lorenzo, perplesso. “Albizzi potrebbe inasprirsi ancora di più
contro Cosimo e…”
Proprio in quel momento, Albizzi in persona
piombò in mezzo al piccolo gruppetto, afferrò Giovanni per un braccio e lo
strattonò via.
“Tu adesso vieni al mio palazzo, piccolo
impertinente. Io e te dobbiamo fare una bella chiacchierata” ordinò,
perentorio.
“Non dovremmo lasciarglielo portare via”
protestò Piero.
“Non temere, sono certo che non gli farà
alcun male” lo rassicurò Lorenzo. “Dopo le accuse all’assemblea, se a Giovanni
succedesse qualcosa, Albizzi sarebbe il primo ad essere sospettato e lui non è
certo così sciocco. Anzi, forse il nostro giovane amico riuscirà a trovare
qualche altro suo punto debole che noi potremo usare per salvare Cosimo.”
Piero non era molto convinto, ma non poté far
altro che accettare l’inevitabile e lasciare che Albizzi portasse di nuovo Giovanni
al suo palazzo. In fondo lui aveva già abbastanza da fare per recuperare prove
che potessero scagionare suo padre…
E Lorenzo de’ Medici aveva ragione: Albizzi
era sì indignato per essere stato ridicolizzato alla Signoria, ma ciò che più
gli bruciava era che Giovanni si fosse messo, di nuovo, apertamente contro di
lui. Non aveva dimenticato quello che era successo tra loro, nel bene e nel
male, e adesso si sentiva nuovamente tradito, come vent’anni prima… soltanto
che, in questo caso, era consapevole di essersela cercata. Aveva oltraggiato
lui Giovanni, lo aveva umiliato e adesso il ragazzo si era vendicato. Forse,
dopo tanto tempo, non era più in grado di tenersi accanto le persone?
Rinaldo Albizzi sentiva che valeva la pena
cercare di riportare Giovanni dalla sua parte e non solo per liberarsi di
Cosimo, c’era anche qualcos’altro… non voleva perdere l’unica persona che, dopo
tanti anni, gli aveva fatto pensare di potersi ancora aprire con qualcuno.
Lo avrebbe convinto. Doveva farlo.
Fine capitolo sesto