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Autore: Spoocky    01/07/2019    1 recensioni
Ambientato durante l'epidemia di tifo ne "L' Isola della Desolazione".
L' equipaggio della HMS Leopard è stato decimato dal tifo petecchiale, che ha colpito i marinai in forma grave. Jack e Stephen devono decidere se sbarcare i convalescenti più gravi, sapendo che tenerli a bordo significherebbe condannarli a morte.
La decisione, però, non sarà semplice.
Genere: Angst, Hurt/Comfort, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Missing moments in Patrick O'Brian'
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Buona lettura ^^


Poco dopo la visita del capitano, finalmente la febbre di Tom cominciò a scendere un poco per volta. Finché, a notte fonda, aprì gli occhi e chiese un bicchier d’acqua con la voce ferma e una coerenza incompatibile con uno stato di delirio.
Immediatamente l’infermiere mandò a chiamare Stephen, che si precipitò dabbasso ancora in camicia per trovare il giovane ufficiale tremante e in un bagno di sudore.
Il termometro confermò che la temperatura fosse scesa a 98.6°* .

Lo lavarono da capo a piedi, per rinfrescarlo, e gli cambiarono le coperte.
Non per la prima volta, Herapath notò la particolare delicatezza con cui Maturin passava la spugna bagnata sul corpo prostrato del tenente, la dolcezza con cui gli posava una mano sulla fronte per saggiarne il calore, e il tono affettuoso con cui gli parlava. Era chiaro ai suoi occhi come, nonostante fin dall’inizio dell’epidemia il dottore si fosse dedicato anima e corpo alla cura di tutti i suoi pazienti, la guarigione del signor Pullings gli stesse particolarmente a cuore.
Quando ebbero infilato la camicia da notte al malato, per evitare che prendesse freddo ora che la febbre era passata, e lo ebbero infine riadagiato nella sua branda, questi si addormentò di nuovo perché stremato dallo sforzo, per quanto minimo.
 

 

Pur sfebbrato, il tenente era ancora molto disorientato e, a causa dello stato di deperimento in cui versava, ancora non ragionava lucidamente: tremava come una foglia e sussultava ad ogni rumore, stancandosi per nulla. Più volte, tastandogli il polso, lo trovarono sottile e accelerato come quello di un topolino.

Allora Stephen relegò il proprio zelante assistente alla sua branda, con l’ordine tassativo di prestare conforto al malato e di avvisarlo al minimo cambiamento: “Il capitano mi informa che, entro due giorni, dovremmo avvistare la costa e potremo finalmente sbarcare i nostri convalescenti. Queste ultime ore, tuttavia, saranno critiche per la sopravvivenza di alcuni di loro. Il signor Pullings, tra questi. Sebbene la crisi sembri scongiurata non è ancora fuori pericolo. Badate vi prego che sia ben coperto e stategli vicino, se dovesse agitarsi. Le sue condizioni sono estremamente precarie, nonostante il miglioramento: ha bisogno di tutto l’aiuto possibile.”
Compito, questo, che il ragazzo svolse con la massima premura e responsabilità, assentandosi solo per accudire gli altri convalescenti o per sopperire ai propri bisogni fisici.

Per diverso tempo, sedette al capezzale del signor Pullings, tenendogli una mano e accarezzandone il dorso per tranquillizzarlo e farlo sentire meno solo. Gli parlava a bassa voce e lentamente, spiegandogli quel poco che sapeva sulla loro posizione e raccontandogli piccoli aneddoti di vita a bordo. Lo trattava con la stessa cortesia che aveva ricevuto da lui sia quando aveva ritenuto necessario dissuaderlo dall’imbarcarsi, sia durante la sua brevissima esperienza come gabbiere. Almeno per quello sentiva di essergli grato.

“Siete molto buono con me.” Sussurrò Tom il pomeriggio successivo, mentre Herapath gli premeva uno straccio umido sulla fronte per dargli sollievo dal caldo “Vi ringrazio.”
Il facente funzioni di assistente si concesse un sorriso: “Faccio solo il mio dovere, signore.”
“Comunque grazie. “ ribatté Pullings, sinceramente toccato dalla sua vicinanza.
 


Avvistarono finalmente la costa e Stephen si fece aiutare da Herapath ad esaminare i convalescenti, per decidere una volta per tutte chi dovesse sbarcare e chi no.
Per ultimo, visitarono Thomas Pullings.

Quando si accostarono al suo capezzale, il tenente stava dormendo, ancora scosso da sussulti sporadici dovuti quasi esclusivamente al logoramento dei nervi. Con un’ espressione indecifrabile, Maturin gli mise una mano sulla spalla e lo scosse dolcemente: “Tom. Tom, svegliatevi per cortesia.”
Il giovane aprì gli occhi con un gemito: “Dottore?”
Stephen forzò un sorriso, senza staccargli la mano dalla spalla: “Buongiorno, mio caro. Mi dispiace disturbare, ma devo visitarvi.”
Tom lo guardò di sottecchi, come se non avesse ben capito cosa gli stesse dicendo. Poi però annuì e sopportò con pazienza che gli sfilassero di dosso le coperte, nonostante la sensazione di freddo che ne conseguì.
“Riuscite a mettervi seduto?”
Pullings si puntellò con i gomiti sul fondo della branda e fece il gesto di sollevarsi ma ciò che restava dei suoi muscoli era troppo debole per sorreggerlo e ricadde sul cuscino con un gemito di frustrazione.
Volle ritentare ma senza risultato.

Prima che ci riprovasse, Stephen intervenne premendogli le spalle sul cuscino con fermezza: “Non fate sforzi inutili. Vi fareste solo del male. ”
Vergognandosi della propria debolezza, Tom nascose il volto nel guanciale e strinse forte i denti. Stephen ne ebbe compassione e cercò di rassicurarlo: “Siete stato molto malato, Tom, è normale che siate ancora debole. Ma non vi preoccupate: starete meglio presto.”
Inforcati gli occhiali, sollevò lentamente la camicia da notte del malato, che avvampò in volto e sembrò sprofondare ulteriormente nella branda, come a volersi nascondere.
Il medico gli lanciò un’occhiata ma prima che potesse fare nulla, Herapath iniziò a strofinare il bicipite contratto del giovane ufficiale, parlandogli a bassa voce per tranquillizzarlo, e questi si rilassò un poco.

Sfregandosi le mani per scaldarle, Stephen annuì all’assistente e appoggiò le dita sul ventre del paziente, palpandolo superficialmente.
Tom sussultò leggermente quando, esplorando i tessuti profondi, i polpastrelli del medico incontrarono il lobo inferiore del suo fegato ingrossato, che sporgeva dall’arcata costale destra poco più di un palmo sopra l’ombelico.
Ebbe la stessa infelice reazione quando, con l’aiuto di Herapath, lo fece voltare sul fianco destro e toccò la milza, trovandone il lobo inferiore appena più in basso di dove avrebbe dovuto essere. Pur ancora congestionati, gli organi stavano tornando lentamente alle dimensioni consuete, segno che la malattia stava retrocedendo anche se non con la rapidità che avrebbe auspicato.
Lo riadagiarono sulla schiena e Maturin gli appoggiò un orecchio sul torace, sentendo un raschio sottile nei polmoni e i piccoli sussulti che ancora producevano.

Si raddrizzò con un sospiro: nonostante fosse già convinto della necessità di dover sbarcare Pullings perché ricevesse le cure necessarie alla sua sopravvivenza, averne la conferma lo abbatté. Jack ci sarebbe rimasto malissimo, ma non voleva immaginare il dolore che avrebbe provato Tom quando lo avrebbe scoperto.
Non dopo che lo aveva sentito protestare di poter salire ancora sul ponte, quando ormai era tanto malato da non reggersi in piedi, poco prima che la febbre gli togliesse la lucidità. Dover rinunciare al proprio incarico, nonostante l’evidente stato di compromissione fisica, lo avrebbe distrutto.
Stephen si ritrovò a sperare, non del tutto irrazionalmente, che il suo cuore reggesse l’impatto.

Abbassata la camicia da notte, si attardò a palpare anche le gambe del malato, trovandole gonfie ed infiammate, come avveniva nell’ultimo stadio della malattia.
Lo avevano preso appena in tempo.
Gli rimboccò addosso le coperte e ne approfittò per tastargli il polso: lento, lentissimo, ma regolare e stabile. Almeno quello non destava preoccupazione.
Raccolse le sue mani emaciate e gliele incrociò sul petto, all’altezza del diaframma, coprendole con le proprie per un momento.

“Morirò, dottore?”
La domanda, posta a fil di labbra, lo colse completamente di sorpresa, e dovette sforzarsi per mantenere un contegno professionale: “No, mio caro ragazzo.” Riuscì a rispondere. “Vivrete più a lungo di Matusalemme e che possano cascarmi entrambi gli occhi se un giorno non vedrò la vostra insegna sventolare sull’albero di mezzogiorno!”
“Di mezzana.” Lo corresse Tom con un sorriso.
“E’ uguale!” Sbottò Stephen, notoriamente a disagio con i termini nautici.
“No. Ma se non altro avete azzeccato l'albero, è già qualcosa.”
“Oh, insomma! Voi marinai e le vostre fasciabubbole demoniache!”
Sentendo il termine “fasciabubbole”, sapientemente coniato da lui stesso e dall’amico William Mowett per essere propinato al buon dottore come scherzo, Pullings scoppiò a ridere.
Il riso si dissolse presto in un attacco di tosse e il suo torace sussultò violentemente sotto le mani di Stephen, che ordinò ad Herapath di passargli la tazza con l’acqua. Sorreggendo il capo di Tom nell’incavo del gomito, lo aiutò a bere.

Quand’ebbe finito, lo riadagiò sul cuscino, appoggiandogli una mano sul petto: “Cercate di riposare ancora un poco. Tornerò presto a trovarvi. E non preoccupatevi: ormai siete in via di guarigione.”
Lo guardò addormentarsi con il cuore stretto dall’ansia. Se fosse rimasto, fragile com’era, sarebbe morto in pochi giorni. Lasciarlo indietro sarebbe stato difficile per tutti: Jack, lo stesso Stephen, e i marinai erano cordialmente affezionati a Tom Pullings e viceversa. Lui ne avrebbe sofferto più di loro, probabilmente, perché già provato dalla lunga e grave malattia.
 

Il rapporto con la lista dei convalescenti che necessitavano di cure immediate, in ordine di gravità, iniziò dunque con il nominativo di Thomas Pullings.
Bussando alla porta del capitano Aubrey per consegnarlo, Stephen dovette ripetere a se stesso per l’ennesima volta che se davvero volevano il bene di Tom, quella era l’unica soluzione possibile. Come medico e come uomo era un fallimento, e accettarlo non sarebbe stato semplice, ma ormai non si poteva fare diversamente.



Note:

98,6° Farenheit sono 36,6° Celsius 
  
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