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Autore: echois    02/07/2019    1 recensioni
Dopo essere riuscito a organizzare un fortunato appuntamento per uno dei suoi migliori amici, Georg, ben presto si diffonde la voce che Bill sia diventato un organizzatore di incontri (ma c'è anche la versione che lo definisce organizzatore di scopate). Ma così impegnato a trovare per gli altri il vero amore, riuscirà a trovare il suo oppure dovranno intervenire i suoi migliori amici, Georg e Gustav?
[TomxBill]
Genere: Commedia, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, Crack Pairing | Personaggi: Bill Kaulitz, Georg Listing, Gustav Schäfer, Tom Kaulitz
Note: Lemon, OOC | Avvertimenti: Incest
Capitoli:
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Capitolo 4.
Diversi tipi di amici.
 
 
 
 
 
 
“Ti prego Bill, vieni con me!” lo pregò Jaxon mentre era seduto sul suo letto.
 
Dopo che Bill aveva salutato Tom era entrato nella scuola e, senza vergogna, era andato nella classe di fisica che frequentava Jaxon per chiamarlo da parte. Gli aveva detto che aveva trovato un appuntamento per lui e il ragazzo si era agitato così tanto che Bill aveva pensato che gli servisse una lezione pre-appuntamento come aveva fatto con Georg.
 
“No, Dio, sarebbe imbarazzante!” esclamò Bill e iniziò a camminare per la sua stanza. “Jaxon, sai quanti punti perderesti se al primo appuntamento ti presentassi con me o con una qualsiasi altra terza persona?”
 
Jaxon strabuzzò gli occhi. “Ci sono dei punti?” disse e il suo sguardo rivelò ancora di più l’orrore che provava. “Potrei perdere?!”
 
“Per favore, calmati, Cristo! Non te lo dico più, la prossima volta passerò alle mani!” esclamò il moro e improvvisamente bussarono alla porta, roteò gli occhi. “Entra, mamma” Da quando aveva detto a Simone, sua mamma, che era gay, ogni volta che portava a casa un uomo, qualsiasi fosse il suo rapporto con Bill, lei lo voleva conoscere, solo per assicurarsi che suo figlio non stesse portando a casa il suo ragazzo senza presentarglielo.
 
In effetti la porta si aprì ed entrò Simone, reggeva in mano un vassoio in argento pieno di biscotti al cioccolato. “Ciao ragazzi, ho fatto i biscotti e ho pensato di portarvene un po’” disse e richiuse la porta.
 
“Certo, come no! Da quando cucini?” le chiese Bill.
 
“Che sciocco, la cucina è la mia passione!” Simone era pessima a cucinare e tutti in famiglia lo sapevano, ma mangiavano ugualmente ciò che cucinava perché non volevano che si offendesse. A un tratto, però, i piatti di Simone non divennero solo mangiabili, ma squisiti: sembrava che la donna avesse improvvisamente imparato a cucinare; accettava i complimenti che le rivolgeva la sua famiglia e sviava talvolta le domande. La buona cucina di Simone durò per una settimana, finché non cadde sotto la pressione di Bill, sospettoso di tutti quei piatti eccellenti: aveva aperto un ristorante take away vicino casa loro e la madre comprava lì i piatti spacciandoli per suoi, stanca delle continue critiche della famiglia. Bill quasi si pentì di averglielo chiesto, perché dopo quella rivelazione i suoi piatti tornarono a essere pessimi.
 
Simone posò il vassoio che reggeva tra le mani sulla scrivania di Bill, fece finta di posare casualmente lo sguardo sul ragazzo seduto sul letto di Bill. “Oh, ma tu non sei Georg! Che schiocca, pensavo fossi lui!” disse. Era palese che stesse fingendo – beh, palese per Bill, ma Jaxon non sospettò di nulla.
 
“Mamma, lui si chiama Jaxon ed è un mio amico, solo un amico” disse il figlio, scandendo per bene la parola amico.
 
“Oh!” Simone sembrò quasi delusa dal fatto che non fosse il fidanzato del figlio mentre lo guardava, ma comunque gli porse la mano per presentarsi. “Piacere, sono Simone, la mamma più simpatica che incontrerai!”
 
“Mamma, non avevi un appuntamento con il club di cucito alle sei?” chiese, affinché la madre capisse che era ora di andare, ma Simone lo ignorò, non sicura che quello fosse davvero solo un amico.
 
“Sono contenta, ragazzi, che voi siate amici” disse Simone, ponendo enfasi nella stessa parola che il figlio prima aveva scandito. Lanciò un’occhiata a Bill e questo alzò gli occhi al cielo. “Sapete, anche io sono stata giovane una volta. Io e Gordon andavamo nei bar dove suonavano sempre buona musica e ballavamo fino a notte inoltrata. Poi Gordon mi accompagnava a casa con l’auto che gli aveva prestato il padre – sapete, allora non si potevano permettere due auto -, io lo invitavo a salire e lì—” lasciò in sospeso la frase e ridacchiò, Bill arrossì e strabuzzò gli occhi guardando la madre. “Pensate che per permettere ai miei genitori di farlo salire inventavo la scusa che fosse un semplice amico!”
 
“Mamma! Non mi sembra il caso di scandalizzarmi in questo modo né a quest’ora!” urlò, rosso in viso. “E poi so dove stai andando a parare: siamo davvero solo amici!”
 
“Suvvia, Billy, è una cosa normale, e poi voi siete grandi” disse e Bill si coprì il volto con le mani, Jaxon ridacchiò per il soprannome.
 
“Niente di ciò che dirò ti convincerà del fatto che siamo solo amici, vero?” sussurrò e sospirò, Simone si aprì in un delizioso sorriso.
 
“Esatto! È stato bello conoscerti, Jaxon, Billy è fortunato ad avere un amico come te” La donna gli fece l’occhiolino e Jaxon arrossì, inarcò le sopracciglia. “Bene, è ora che io vada: alle sei ho un appuntamento con il club del cucito. Tra cinque minuti esco e non farò ritorno che tra un’ora e mezza, non c’è nessun altro in casa” Simone fece di nuovo l’occhiolino al ragazzino, ancora più imbarazzato di prima. “Divertitevi, ragazzi!” La donna uscì dalla stanza e Bill guardò la porta, puntò lo sguardo su Jaxon che lo stava guardando terrorizzato.
 
“Noi—Noi dobbiamo fare sesso?” balbetto, Bill sospirò.
 
“No! A meno che tu non lo voglia” scherzò per rendere l’aria meno pesante, ma Jaxon non sembrò capire la battuta perché strabuzzò gli occhi spaventato. “Jaxon, diamine, non faremo sesso!”
 
 
*
 
 
“Ciao, Troy Bolton!” lo prese in giro Bill, Tom si girò a guardarlo e ridacchiò. Era il giorno della partita e lui si sentiva forte e sicuro di sé, ma allo stesso tempo ansioso. Sapere di avere il moro tra il pubblico lo faceva sentire più nervoso, ma anche più fiducioso. Era venuto a trovarlo negli spogliatoi prima che la partita iniziasse, ma Tom non sospettava che fosse venuto lì solo per vedere torsi nudi piuttosto che lui.
 
“Ciao! Tu quale personaggio saresti?” disse Tom e si tolse la maglia con cui era venuto, Bill si sedette sulla panchina in legno negli spogliatoi accanto a lui e guardò il torso nudo del ragazzo. Era venuto per vedere quello degli altri, ma anche quello di Tom andava bene, lui aveva un fisico incredibile. Era fortunato che Bill avesse superato la fase prepuberale e che quindi fosse in grado di controllarsi, in questo modo la sua antipatia (l’odio che provava per Tom si era trasformata in antipatia) poteva prevalere su qualsiasi altro tipo di eccitazione.
 
“Indubbiamente Sharpay. Davvero hai sentito la necessità di chiedermi questo? Avresti dovuto immaginarlo” disse e Tom ridacchiò, un po’ deluso dal fatto che il ragazzo non ci tenesse a essere Gabriella.
 
“Già, avrei dovuto immaginarlo” Tom frugò nel suo borsone e cacciò la sua divisa. Non che gli desse fastidio la visita di Bill, ma ora avrebbe dovuto cambiarsi di fronte a lui e questo lo metteva un po’ in imbarazzo. Lui, tuttavia, sembrava estremamente calmo e rilassato e il rasta sospirò, avrebbe voluto vederlo altrettanto nervoso a causa della presenza così ravvicinata di un Tom mezzo nudo. “Non hai una minigonna. Come avevi promesso” gli disse, convincendosi che fare conversazione avrebbe reso la situazione meno imbarazzante (beh, imbarazzante per lui. Bill stava guardando il sedere di qualcuno alle sue spalle, ma lui non lo notò) che rimanere in silenzio. Riuscì a togliersi i pantaloni rimanendo in mutande, ma Bill comunque si ritrovò a fissarlo.
 
Rimase estasiato: Tom aveva un fisico asciutto, non aveva gli addominali, era vero, ma Bill riusciva a intravedere un accenno di pettorali e di muscoli. Le sue gambe erano toniche e allenate e il ragazzo si ritrovò a fissarle insistentemente, perché stava facendo di tutto per guardare semplicemente lì e non altrove, magari più in su.
 
“No, esatto, ho indossato i jeans come ti avevo detto, perché in fondo ho un animo buono e non voglio che nessuna ragazza pianga stasera” disse e Tom ridacchiò, si infilò la maglia con cui avrebbe giocato. “Ma comunque perché ti hanno nominato capitano? Hai fatto loro pietà?”
 
“Mi hanno nominato capitano perché sono bravo” gli rispose Tom e si infilò i pantaloncini, si sedette accanto a lui per mettersi le scarpe.
 
“Qualcuno qui dovrebbe farsi un bagno di umiltà”
 
“Sei la persona meno adatta a parlare di umiltà”
 
“Mi stai spingendo a fare il tifo per l’altra squadra: mi manca davvero pochissimo” Il rasta scosse il capo con un sorriso sul volto e si allacciò la scarpa destra. “Non ho mai visto una tua partita a dire la verità, non so il modo in cui giochi, quindi, per quanto mi riguarda, continuerò a pensare che ti abbiano scelto perché gli fai pena finché non inizierò a reputare il contrario”
 
Tom si alzò e si stiracchiò, si girò verso Bill e gli sorrise. Si avvicinò al suo viso e poggiò la fronte contro sua, il moro fissò i suoi occhi color nocciola nei suoi. I loro visi erano davvero molto vicini, al punto che i loro nasi si sfiorarono. Se Bill avesse prestato abbastanza attenzione, avrebbe sentito il cuore del rasta battere così veloce da sembrare un tamburo. “Allora guardami” sussurrò prima di andarsene, lasciò Bill da solo con i suoi pensieri, tra i quali il principale era: “Perché Tom ha dovuto fare un’uscita drammatica, sapendo benissimo che quello è il compito di Bill?”.
 
Bill scosse il capo e si alzò. Tom era andato al centro dello spogliatoio e aveva chiamato a raccolta i suoi compagni di squadra per dire loro qualche ultima parola d’incoraggiamento prima della partita, ma anche per assicurarsi che tutti fossero in forma e che tutti ricordassero lo schema che avevano così duramente preparato e studiato. Il moro lanciò un ultimo sguardo al capitano e poi decise di andare a prendere il suo posto sugli spalti.
 
Bill era pensieroso. Era strano per lui esserlo, ma non riusciva a non pensare all’appuntamento di Jaxon. Ieri sera se n’era andato da casa sua con la testa piena di consigli, ma il moro era il primo a sperare che non li seguisse tutti alla lettera: un primo appuntamento doveva essere innanzitutto spontaneo, non meccanico e innaturale. L’incontro ufficiale tra il ragazzo e Lydia sarebbe avvenuto a breve: i due si erano dati appuntamento alle nove e avevano deciso di mangiare sushi. Era stato Bill a consigliargli di vedersi per cenare insieme, d’altronde il cibo era sempre un ottimo spunto per la conversazione. Ciò che gli dava da pensare era proprio l’appuntamento in sé, perché da questo dipendeva il modo in cui gli altri trattavano Jaxon. Per quanto dimostrasse di essere insensibile, non lo era e voleva che gli altri smettessero di prendere in giro quel ragazzo una volta per tutte.
 
Gli spalti erano pieni di tifosi, ma lui riuscì comunque a trovare un posto per sé. Guardò il campo ancora vuoto e tirò dalla tasca dei suoi jeans il telefono: Jaxon non gli aveva inviato nessun messaggio. Era sicuro che lo avrebbe inondato di messaggi e di telefonate, ma non era così e questo riuscì a tranquillizzare un po’ Bill: magari l’appuntamento stava andando bene. Solamente il giorno dopo a scuola, però, avrebbe visto Jaxon e saputo di più sull’incontro tra i due.
 
A un tratto qualcuno seduto accanto a lui poggiò la mano sul suo avambraccio, Bill, così immerso nei suoi pensieri, sussultò. “Tu sei Bill?” gli chiese il ragazzo alla sua destra. Il moro lo guardò: era un ragazzo alto e incredibilmente magro, la sua pelle era mulatta e i suoi capelli, molto scompigliati, erano castani. Indossava una maglia verde scuro a maniche corte nonostante facesse freddo e dei jeans larghi.
 
“Uhm, sì. Invece tu chi sei?” gli chiese guardandolo da capo a piedi, ma il ragazzo non si sentì in soggezione. “Questa deve continuare a stare qui?” gli chiese facendo cenno alla mano dello strano tipo. Non gli piaceva che gli sconosciuti lo toccassero.
 
“Ho sentito le tue vibrazioni tra queste centinaia di persone” gli disse e lo guardò, continuando a toccarlo.
 
“Oh mio Dio, ricominciamo?” chiese, ancora non aveva allontanato da sé la paura che quella strana di Amelia gli aveva infuso. “Forse hai sentito le mie vibrazioni perché sono vicino a te. Altre persone mi hanno detto di sentire le mie vibrazioni, ma sono sicuro di non averne: forse siete voi che siete un po’ psicopatici”
 
“Hai un gatto?”
 
Bill sospirò, quel tipo gli dava l’impressione di non ascoltarlo. “Eccoci di nuovo. No, non ho un gatto”.
 
“Adesso hai un gatto”
 
“Che cosa?” gli chiese inclinando il capo, il ragazzo lo guardò e Bill ricambiò il suo sguardo. Sentì il suo telefono squillare e lo prese velocemente pensando che fosse Jaxon, ma vide che colei che lo stava chiamando era la madre. Sospirò e disse al ragazzo: “Scusami un attimo”. Accettò la chiamata e mise il telefono vicino all’orecchio. “Mamma?” rispose e sentì un gran rumore intorno a lui: entrambe le due squadre erano entrate in campo; Tom era di fronte ai suoi compagni e si avvicinò all’altro capitano, gli sorrise e i due si strinsero la mano. Bill si tappò l’orecchio per sentire meglio la mano.
 
“Bill, amore! Non so cosa sia successo” urlò la madre, si sentiva che era piuttosto nervosa.
 
“Mamma, stai bene?” lo chiese, iniziando a preoccuparsi anche lui.
 
“Sì, sì, io sto bene. Stavo ritornando dal supermercato con la macchina e per poco non ho investito un gattino! Sono scesa immediatamente dall’auto e lui è venuto ai miei piedi, non so cosa fare!” esclamò la madre, Bill strabuzzò gli occhi e guardò il tipo accanto a lui, questo stava ascoltando la conversazione con lo sguardo fisso sul moro.
 
“Non lo so, ignoralo, mamma!”
 
“Ma è così piccolino e carino!”
 
“Ignoralo!” le ripeté il figlio.
 
Simone sospirò. “D’accordo, allora prendo le buste della spesa e torno a casa”
 
“Così si fa! Ciao, mamma” disse e attaccò. Guardò il ragazzo che lo stava ancora fissando e sorrise. “Mi sa che ti è andata male, io non ho—” Il telefono squillò di nuovo e neanche questa volta era Jaxon. “Pronto, mamma?”
 
“Bill, adesso abbiamo un gattino! Sei libero di decidere il nome. Bacini” disse e la donna riattaccò, Bill inarcò le sopracciglia e guardò il ragazzo.
 
“Io ho un gatto” sussurrò e posò sul suo grembo il telefono. La paura gli era appena passata, era riuscito a convivere con la sensazione di aver incontrato un mezzo demone e adesso un altro mezzo demone gli si presentava davanti. Senza che lui lo volesse, senza che lui potesse fare nulla per evitarlo. Un mezzo demone più un mezzo demone faceva un essere demoniaco completo e la sua paura inevitabilmente si moltiplicò per due. Improvvisamente gli venne un’illuminazione e pensò che un demone felice era un demone inoffensivo.
 
Guardò il ragazzo e gli sorrise, gli mise le mani sulle spalle. “So già come comportarvi con voi mezzi demoni: non volete mai dirmi il vostro nome e quindi lo devo inventare. Facciamo dunque che il tuo nome è Jake? Ti va bene?”
 
“Jake?” ripeté il ragazzo corrugando la fronte.
 
“Sì, Jake è perfetto, perfetto” disse e prese il suo telefono, aprì la rubrica e cercò tra i numeri memorizzati. “Sai, forse non lo sai, ma io ho un lavoro part-time”
 
“Sei un organizzatore d’incontri” gli disse il ragazzo e Bill scosse il capo.
 
“Avrei dovuto immaginarlo che l’avresti indovinato”
 
“In verità tutta la scuola sa che sei un organizzatore di scopate”
 
Il moro sospirò e chiamò l’unico mezzo demone che conosceva. “Ciao Amelia! Sì, sono io, Bill. Lo sai che ti ho rimediato un appuntamento? Ah, lo sapevi già. Va bene, allora ti invio il suo numero via messaggi. Ciao” Chiuse la telefonata e lanciò uno sguardo a Jake. “Mi dai il tuo numero?”
 
 
*
 
 
La squadra di Tom aveva vinto e Bill era rimasto concentrato sulla partita solamente durante gli ultimi venti minuti. Infatti si era velocemente sparsa la voce sugli spalti che lui fosse il famosissimo Bill, quello che riusciva a trovare la donna perfetta per tutti, e numerosi tifosi si erano avvicinati a lui per chiedere informazioni. Bill aveva dunque dovuto tirare fuori il raccoglitore rosa che oramai era abituato a tenere sempre con sé e dispensare qualche numero di telefono, solamente dopo essersi accertato che ci potesse essere un potenziale feeling, ovviamente. Era riuscito a formare cinque coppie, senza contare la coppia demoniaca.
 
Ma durante quei venti minuti in cui Bill si era interessato alla partita aveva dovuto constatare che Tom era davvero bravo: non solo la sua tecnica era perfetta, ma quando qualche suo compagno sbagliava lui si faceva in mille per cercare di risolvere. Quando non aveva la palla urlava qualcosa per incoraggiare i suoi compagni e aiutava loro a fare canestro. Quando l’arbitrò fischiò, segno che la partita era finita, Tom si avvicinò nuovamente al capitano dell’altra squadra e di nuovo gli strinse la mano, ma questa volta si fermò a chiacchierare con lui. Bill immaginava che si sarebbero picchiati, ma i due ridevano e scherzavano.
 
Era incredibile come Tom riuscisse ad andare d’accordo con tutti, anche con l’avversario che aveva appena sconfitto. Si chiese invece perché lui e Tom non andassero d’accordo. Gli era chiaro il motivo della sua rabbia, ma era qualcosa successa anni fa quando loro erano piccoli ed era incredibile come ancora non riuscisse a dimenticarlo. Il rasta non gli aveva mai comunque dato motivo di rancore o astio, anzi, era sempre molto carino nei suoi confronti, anche se delle volte faceva finta di ricambiare l’odio solamente per puro divertimento. Forse Bill annoverava Tom tra le persone che odiava semplicemente perché non voleva ammettere che almeno un po’ gli voleva bene. Era inutile nasconderlo: loro erano cresciuti insieme, Bill era abituato a vederlo ogni singolo giorno oramai e un po’ si era affezionato. Erano come fratello e sorella, ma non sapeva davvero perché il suo rapporto con lui non si fosse evoluto come quello con Georg e Gustav.
 
Quando si risvegliò dai suoi pensieri vide che il campo era vuoto, entrambe le squadre stavano facendo ritorno ai rispettivi spogliatoi e anche gli spalti si stavano svuotando. Guardò alla sua destra e notò che Jake se n’era andato, scosse il capo e si alzò. Scese velocemente le scale e si avvicinò come prima agli spogliatoi.
 
Aveva deciso che smettere di odiare Tom andava bene – d’altronde era qualcosa che aveva già fatto prima – ma non sapeva se fosse pronto a intraprendere una nuova amicizia. Solo Dio sapeva quanto Bill fosse incapace nello stringere amicizie, soprattutto con le persone che aveva odiato sino a quel momento! Se Tom ci teneva a diventare suo amico come dimostrava così disperatamente, allora avrebbe dovuto fare lui il passo più lungo della gamba.
 
Entrò negli spogliatoi e vide Tom circondato dai suoi compagni di squadra. Si sentivano schiamazzi, risate e urla: molti stavano elogiando il capitano per modo in cui aveva giocato, altri invece elogiavano la vittoria – in effetti questa significava molto per loro, essendo una partita parecchio importante. Quando però il biondo, con la coda dell’occhio, vide Bill, disse qualcosa agli altri e questi si dissolsero. Continuarono a parlare in modo piuttosto rumoroso tra di loro mentre si avviavano alla docce.
 
“Ehi” lo salutò il capitano, si passò l’asciugamano con cui aveva circondato il collo sul viso.
 
“Suppongo di doverti dire che sei stato bravo, ma non montarti la testa!” esclamò Bill e Tom rise, ma il ragazzo si rese conto che, se volevano diventare amici, anche lui avrebbe dovuto fare qualche passo in avanti. “Cioè, voglio dire, sei stato molto bravo”
 
“Grazie, Bill. Suppongo allora di dover annullare quel bagno di umiltà che avevo prenotato qualche ora fa”
 
Il moro gli mandò un’occhiataccia. “Sto cercando di mostrarmi simpatico nei tuoi confronti, ma la tua antipatia me lo impedisce. Mi rimangio tutto”
 
Tom rise gettando la testa indietro e Bill guardò il suo viso, era leggermente rosso a causa dello sforzo. “D’accordo, scusami. Adesso sono stato io quello antipatico” gli disse e lo guardò, gli sorrise.
 
“Sei sempre tu quello antipatico. Pensavi che lo fossi io, scusami? Come può qualcuno con la mia personalità essere antipatico?”
 
“Hai ragione, Bill, ma devi scusarmi, il tuo complimento mi ha fatto così montare la testa da dimenticare che sono io l’antipatico e da accusare te di esserlo” lo prese in giro e sorrise. “Ti va di bere qualcosa?”
 
“È il minimo che tu possa fare per farti perdonare”
 
 
 
   
 
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