3. Jaime & Cersei
Stava correndo quando lo trovò, poggiato ad una colonna della sala con la mappa di Westeros in cui si erano salutati tempo addietro, prima che lui se ne andasse a Nord a combattere contro gli Estranei. Il cuore le batteva all’impazzata, ma quando lo vide si fermò per qualche secondo, prima di riprendere a pulsare con ancora più vigore.
Tra le tante persone che aveva incontrato in quel giorno apocalittico, l’unica che Cersei non si sarebbe mai aspettata di incontrare era proprio Jaime. In un attimo, dimenticò Euron Greyjoy, Daenerys Targaryen, Qyburn, la Montagna, il Mastino…dimenticò tutti, e con le lacrime che iniziavano a fuoriuscire corse dall’unico uomo che avrebbe potuto consolarla e aiutarla in quel momento drammatico.
Jaime la strinse a sé come aveva fatto mille volte in passato. Che strano rapporto, il loro: segreto ma sotto gli occhi di tutti, calunniato ma mai apertamente giudicato. Amore e odio. Cersei chinò la testa incoronata sul petto di Jaime e seppe ancora una volta che i loro destini erano legati indissolubilmente.
Anche Jaime pensò la stessa cosa. Provava rimorso per come si era comportato con Brienne, certo, e sarebbe stato riconoscente alla donna di Tarth per tutta la vita. Eppure…eppure neanche le sofferenze e le lezioni degli ultimi anni riuscirono a tenerlo lontano dal suo vero amore. Da Cersei.
Restarono l’una tra le braccia dell’altro per un periodo indeterminabile, che però parve loro assurdamente lungo, incuranti di quanto stava accadendo intorno a loro. Incuranti delle fiamme del drago di Daenerys, delle urla di terrore degli innocenti, della Fortezza Rossa che, un tempo inviolata, ora cadeva a pezzi. Non si curarono più di nulla. Esistevano soltanto loro due.
Poi Jaime ricordò. Ricordò il piano di Tyrion. La loro via di fuga.
Cersei era ancora profondamente scossa, così Jaime dovette trascinarla per un braccio fino ai bassifondi della Fortezza. L’agonia della città che stava per cadere fece sembrare ogni loro passo lento come la fine dell’Inverno.
Una sensazione che durò poco, e alla quale subentrò la rassegnazione. Ogni passaggio verso la spiaggia alla base della Fortezza, infatti, era inaccessibile per via dei mattoni crollati. Jaime provò ad aprirsi un varco, in un ultimo, disperato tentativo di evasione. Ma farlo con una sola mano e con le numerose ferite inflittegli da Euron era proibitivo, se non impossibile.
Fu allora che Cersei iniziò a capire. Capì che non c’era più scampo per lei e per Jaime, che la fine si avvicinava, che le sue manie di potere l’avevano portata alla rovina e che, per una volta, avrebbe dovuto accordarsi con Tyrion. Ricominciò a piangere e si avvicinò a Jaime barcollando.
Lo stesso Jaime nel frattempo aveva mollato. Non ce l’avrebbero fatta, non c’era modo di uscire di lì. La morte li avrebbe raggiunti nello stesso luogo in cui erano custoditi i teschi dei draghi dei Targaryen.
Già, i Targaryen. Gli unici che non si vergognarono mai dell’incesto. Ancora una volta Jaime colse dell’ironia nel destino che gli era stato assegnato.
“Jaime, ti prego, fa’ qualcosa. Non voglio che il bambino muoia”. La voce di Cersei lo riportò alla realtà.
Il bambino. Suo figlio. L’unico figlio che sarebbe stato insindacabilmente suo. Lo avrebbero odiato per questo, ma a lui non importava. Voleva solo smetterla di cercare scorciatoie e vivere alla luce del giorno.
Voleva vivere, innanzitutto. Ma capì anche lui che non sarebbe stato possibile, e questo lo fece sentire ancora più inerme e impotente.
“Voglio che nostro figlio viva Jaime. Ti prego, non lasciarmi morire!”.
Jaime si avvicinò a Cersei ma tutto ciò che riuscì a fare fu stringerla ancora una volta, l’ultima. Lei lo supplicava, ma stavolta non c’erano soluzioni, non si intravedeva alcuna via d’uscita da quella prigione che li stava opprimendo.
“Guardami, Cersei. Guardami negli occhi. Non conta nient’altro. Non conta nient’altro. Soltanto noi”.
Per un’ultima volta le accarezzò il viso, quel viso che lo aveva fatto innamorare e penare. Non trovò più nulla da dire.
Rimasero fermi in quel punto, in attesa che la morte venisse a prenderli, naturalmente insieme come quando nacquero.
Ed essa non tardò ad arrivare, sotto forma di un cumulo di macerie che sommerse i loro corpi, uniti come se fossero uno solo.
Tra le tante persone che aveva incontrato in quel giorno apocalittico, l’unica che Cersei non si sarebbe mai aspettata di incontrare era proprio Jaime. In un attimo, dimenticò Euron Greyjoy, Daenerys Targaryen, Qyburn, la Montagna, il Mastino…dimenticò tutti, e con le lacrime che iniziavano a fuoriuscire corse dall’unico uomo che avrebbe potuto consolarla e aiutarla in quel momento drammatico.
Jaime la strinse a sé come aveva fatto mille volte in passato. Che strano rapporto, il loro: segreto ma sotto gli occhi di tutti, calunniato ma mai apertamente giudicato. Amore e odio. Cersei chinò la testa incoronata sul petto di Jaime e seppe ancora una volta che i loro destini erano legati indissolubilmente.
Anche Jaime pensò la stessa cosa. Provava rimorso per come si era comportato con Brienne, certo, e sarebbe stato riconoscente alla donna di Tarth per tutta la vita. Eppure…eppure neanche le sofferenze e le lezioni degli ultimi anni riuscirono a tenerlo lontano dal suo vero amore. Da Cersei.
Restarono l’una tra le braccia dell’altro per un periodo indeterminabile, che però parve loro assurdamente lungo, incuranti di quanto stava accadendo intorno a loro. Incuranti delle fiamme del drago di Daenerys, delle urla di terrore degli innocenti, della Fortezza Rossa che, un tempo inviolata, ora cadeva a pezzi. Non si curarono più di nulla. Esistevano soltanto loro due.
Poi Jaime ricordò. Ricordò il piano di Tyrion. La loro via di fuga.
Cersei era ancora profondamente scossa, così Jaime dovette trascinarla per un braccio fino ai bassifondi della Fortezza. L’agonia della città che stava per cadere fece sembrare ogni loro passo lento come la fine dell’Inverno.
Una sensazione che durò poco, e alla quale subentrò la rassegnazione. Ogni passaggio verso la spiaggia alla base della Fortezza, infatti, era inaccessibile per via dei mattoni crollati. Jaime provò ad aprirsi un varco, in un ultimo, disperato tentativo di evasione. Ma farlo con una sola mano e con le numerose ferite inflittegli da Euron era proibitivo, se non impossibile.
Fu allora che Cersei iniziò a capire. Capì che non c’era più scampo per lei e per Jaime, che la fine si avvicinava, che le sue manie di potere l’avevano portata alla rovina e che, per una volta, avrebbe dovuto accordarsi con Tyrion. Ricominciò a piangere e si avvicinò a Jaime barcollando.
Lo stesso Jaime nel frattempo aveva mollato. Non ce l’avrebbero fatta, non c’era modo di uscire di lì. La morte li avrebbe raggiunti nello stesso luogo in cui erano custoditi i teschi dei draghi dei Targaryen.
Già, i Targaryen. Gli unici che non si vergognarono mai dell’incesto. Ancora una volta Jaime colse dell’ironia nel destino che gli era stato assegnato.
“Jaime, ti prego, fa’ qualcosa. Non voglio che il bambino muoia”. La voce di Cersei lo riportò alla realtà.
Il bambino. Suo figlio. L’unico figlio che sarebbe stato insindacabilmente suo. Lo avrebbero odiato per questo, ma a lui non importava. Voleva solo smetterla di cercare scorciatoie e vivere alla luce del giorno.
Voleva vivere, innanzitutto. Ma capì anche lui che non sarebbe stato possibile, e questo lo fece sentire ancora più inerme e impotente.
“Voglio che nostro figlio viva Jaime. Ti prego, non lasciarmi morire!”.
Jaime si avvicinò a Cersei ma tutto ciò che riuscì a fare fu stringerla ancora una volta, l’ultima. Lei lo supplicava, ma stavolta non c’erano soluzioni, non si intravedeva alcuna via d’uscita da quella prigione che li stava opprimendo.
“Guardami, Cersei. Guardami negli occhi. Non conta nient’altro. Non conta nient’altro. Soltanto noi”.
Per un’ultima volta le accarezzò il viso, quel viso che lo aveva fatto innamorare e penare. Non trovò più nulla da dire.
Rimasero fermi in quel punto, in attesa che la morte venisse a prenderli, naturalmente insieme come quando nacquero.
Ed essa non tardò ad arrivare, sotto forma di un cumulo di macerie che sommerse i loro corpi, uniti come se fossero uno solo.