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Autore: Fran Truth    04/07/2019    1 recensioni
Un pittore di mezza età muore all'improvviso, lasciando i suoi quadri come unici eredi.
Presente anche su Wattpad.
Genere: Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Lo stanzino circolare era avvolto in un tenue bagliore arancione; il cielo rossastro dietro le grandi finestre impolverate scompariva dietro le montagne, illuminando coi suoi ultimi istanti le cornici e i dipinti che disseminavano la parete scrostata, decine di sprazzi di vita.

Al centro del pavimento, costellato di macchie di tempera e acquerello, una sedia di legno, scheggiata sul lato, giaceva per terra sporcata di pittura rossa, con accanto un pennello abbandonato per sempre e un pacchetto di medicinali, rovinato dalle strette di rabbia.

Un'unica pennellata color sangue violava la tela fissa sul cavalletto. Le chiazze sulla tavolozza, gettata lontano, non l'avrebbero mai sfiorata.

Erano passati solo pochi minuti dagli eventi che avevano sconvolto quella sala pacifica, un uragano che aveva portato un gemito trattenuto a malapena, una mano stretta al petto, sullo sterno, gli squillanti suoni dell'ambulanza trasportati dal vento.

In quel cilindro di pietra solamente i quadri respiravano ancora, centinaia di occhi nati dai pennelli che parevano puntare a quella sedia vuota dove un tempo sedeva il loro creatore e narratore, la loro mente e la loro anima, ogni spirale di vita ormai dissolta.

Fu in uno dei tanti che quella vita sembrò risollevarsi: un quadretto appena sotto la finestra, contornato da una semplice cornice in legno senza rifiniture, raffigurante una piccola radura illuminata dal sole. Un leprotto sonnecchiava al centro, ma in quell'istante parve svegliarsi. Drizzò le orecchie e si sollevò sulle lunghe zampe posteriori, puntando gli occhietti verso il bosco, fitti alberi dalle foglie verdeggianti e radici che quasi scomparivano sotto i cespugli rigogliosi punteggiati di bacche.

In quel microscopico paradiso, al leprotto fu sufficiente un balzo. Si ritrovò in un luogo del tutto estraneo, privo dei paradisiaci colori del bosco, ma dove un fuoco scoppiettante nel camino bastò a offrire calore: in una casetta modesta, dalle mura color caffè, un uomo dai capelli folti e ormai bianchi teneva lo sguardo fisso su un bambino seduto a una scrivania con un tomo in mano. Fuori dalle finestre, il cuore della campagna batteva regolare.

Disorientato, il leprotto vagò per pochi secondi sotto gli sguardi dei due personaggi, ritrovandosi poi in un parchetto innevato. Gli alberi, sottili e tremanti sotto il peso della neve, erano spogli davanti a un'enorme distesa ghiacciata e azzurrina, graffiata dai pattini di un gruppo di bambini che sfrecciavano a braccia aperte, con le sciarpe colorate semilibere al vento. Il leprotto, in mezzo a quel paesaggio polare, corse a cercare riparo dietro un arbusto sempreverde. Nascosto nel fogliame, vide due bambini seduti a pochi centimetri da lui, accucciati per resistere al gelo. Dalle loro risate si formavano lievi nubi bianche.

Il leprotto si allontanò e attraversò un'altra cornice, in cerca di un luogo più caloroso. Saltò e corse lontano come una freccia quando, davanti a sé, vide un uomo in nero accasciato sul pavimento, la mano ancora stretta intorno a una bottiglia di vino mezza piena.

Lo scatto lo portò alla riva di un lago abbracciato dalle montagne. Il sole era del tutto avvolto dalle nuvole, ma una tenera calura persisteva. Il leprotto si distese dietro un cespuglio, osservando la calma piatta del lago, interrotta solamente da una piccola barca. Un uomo e una donna vi sedevano, senza barriere formali l'uno davanti all'altra, lui che le indicava l'immensità del paesaggio oltre i confini visibili da un semplice spettatore.

Il leprotto, invaso da un'arcana felicità, balzò oltre un altro confine, dove lo stesso lago si palesò sotto una luce differente, che distrusse la gioia dell'animale: una notte senza luna e senza stelle colorò l'acqua di nero, oscurando la valle e rinchiudendola all'interno dei monti. L'angoscia invase il leprotto, gli sembrò di essere dentro una tana in cui si veniva squarciati dall'interno, in cui migliaia di aculei erano lì, pronti a penetrare nella carne senza pietà, una pianura attraversata da fiumi di sangue.

Il leprotto si spaventò e scappò a gran velocità, ma presto il suo cuore venne acquietato da un dolce tramonto sul promontorio, dove un bimbo alzava le braccia verso il crepuscolo e un uomo, accanto a lui, lo osservava malinconico e compiaciuto allo stesso tempo.

Gli occhietti vispi dell'animale osservarono per qualche minuto quel dolce dipinto, incantato dalla limpidezza di quei gesti. Poi, riprese la sua corsa.

I giorni su quel promontorio furono innumerevoli: il leprotto saltellava allegro, beandosi di quell'uomo e di quel bambino privi di volto e colmi di spirito. Il bambino veniva coccolato e istruito dalla natura e dalle parole dettate dalla pittura di quell'uomo che sorrideva, lui e il bimbo sulle ginocchia.

La corsa del leprotto era rapida, quasi divenne invisibile sotto l'alone di dolcezza e affetto che accarezzava quel luogo tanto terreno e tanto divino.

Finché, nella sua corsa ignara, il leprotto attraversò una delle cornici più antiche. Un uomo possente, con un fucile in mano, saettava per il bosco. La sua canna si pose, in un attimo, di fronte all'animale.

Fuori, la luna brillava serena.




   
 
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