Libri > Harry Potter
Segui la storia  |       
Autore: Robert_Wire    05/07/2019    1 recensioni
… terza parte di una incredibile storia, inizialmente ambientata nella Londra degli anni '90, di un ragazzo sopravvissuto ad un incidente stradale, in cui hanno perso la vita i genitori e la sorellina Emilia, che acquista poteri "paranormali" e viene coinvolto in vicende che riguardano il mondo parallelo di Harry Potter
Genere: Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Rubeus Hagrid
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'Alex Krow - Schegge di Magia'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Questa terza parte del “manoscritto Hobbs” rivela aspetti ancora più interessanti, se non inquietanti, dell’avventura di Alex, questo ragazzo da me inizialmente diagnosticato come affetto da una psicosi traumatica, ma il quale a un più attento esame, a meno che non sia psicotico io stesso, devo ammettere che descrive una realtà altra che sfido chiunque dimostrarmi che non possa esistere.
 

 
Giovedì 6 Maggio 1993
 
Arrivato che fui in vista del cancello principale del Castello con gli inconfondibili cinghiali alati alla sommità dei due pilastri (che in verità mi trasmisero in quella circostanza una certa sensazione di disagio) intravidi quello che sarebbe diventato il mio prossimo compagno di avventure. Una specie di John, signor Hobbs, Aberforth tutti e tre frullati insieme con un po’ di qualche energumeno di Notturn Alley, ma sicuramente con una grossa razione di quei bravi Custodi del mondo magico che avevo avuto occasione di conoscere tempo prima a Londra.
 
“Ciao, tu sei Alex, no? Io sono Rubeus Hagrid, Custode delle chiavi e dei luoghi della Scuola di Magia e Stregoneria di Hogwarts che è questa qua”
 
Era un omone gigantesco, che però già a pelle mi trasmetteva la sensazione che non avrebbe mai potuto fare del male ad una mosca.
 
“Il Professor Silente, che poi è il signor Preside di questa Scuola qui, mi ha detto che da oggi lavorerai qui e sarai il mio assistente”
 
“Il tuo assistente? Ma io ho già un lavoro con Aberforth alla Testa di Porco”
 
“Ah, Aberforth è stato già avvertito. E’ tutto a posto, ha detto il Professor Silente. Da oggi starai qui con noi. Da oggi lavorerai qui con me. Vieni che ti mostro la tua stanza dove potrai posare la tua roba”
Non capivo. Perché dovevo trasferirmi qui? Stavo già bene lì dove stavo. Non che mi dispiacesse vivere al Castello, anzi. Però non capivo tutta la faccenda.
 
Dopo aver attraversato per un po’ il parco costeggiando il lago alla nostra destra, ci allontanammo dalla strada principale per avvicinarci a quella che appariva come una imponente foresta che si estendeva tutta ad occidente della Scuola. Al limitar di questa c’era una casetta e un canone si avvicinò a noi scodinzolando.
“Oh, oh, oh, oh questo è Zanna. E questo è Alex. Saluta Alex”
Mi parve quasi che Zanna mi sorridesse, quando percepii l’umido della sua lingua nella mia mano.
“E questa è casa mia, ma vieni che ti faccio vedere dov’è casa tua”
Mi sembrava di sognare. Ancora sino a una buona ora fa, mi trovavo alla locanda e ora avrei avuto una casa tutta per me. Be’, insomma.
 
“Bene, abbiamo fatto un po’ di lavoro ieri. Solo ieri il professor Silente ci ha detto che arrivavi. Quello, come vedi, è un magazzino, perlomeno di davanti. Ma di dietro, avvicinati, c’è la tua nuova casa”
 
In effetti ad una certa distanza dalla casa di Hagrid, sempre proseguendo in direzione del Castello, ma restando vicini alla foresta, c’erano delle costruzioni con dei recinti: parevano delle stalle precedute da un’altra costruzione un po' più alta che poteva essere appunto il magazzino di cui Hagrid parlava. Lo costeggiammo, restando alla sua sinistra, in tutta la lunghezza sino ad arrivare in fondo e, svoltando a destra, sul suo lato corto al centro c’era una porta, proprio a pochi metri di fronte la foresta.
“Ecco qui la chiave” disse subito Hagrid, molto ansioso di mostrarmi quello che in pratica mi resi conto che era il retro del magazzino separato da quello da una parete interna.
 
“Per il momento la stanza è ancora quasi vuota. Ieri abbiamo sgomberato tutto il materiale che c’era e abbiamo pulito. Quella di fronte è la porta che comunica con il magazzino, ma forse è meglio che poi la copriamo con un armadio, quello è il bagno, qua c’è, diciamo, una piccola cucina; il letto lo abbiamo portato proprio stamattina prima che tu arrivassi, ma in giornata sarà tutto a posto”
“Avete degli animali qui?” chiesi.
“Sì, sì e un bel po’ anche, e di tutti i tipi, vieni che ti mostro”
E in effetti udivo quelli che potevano essere versi di animali, ma non sapevo riconoscerli.
Insomma, non mi sembrava di averli mai sentiti.
E allora uscimmo fuori come per avvicinarci a quelle che sembravano delle stalle.
“Fra un po’ conoscerai tutto come le tue tasche”.
Ma in fondo ad un viottolo che si inoltrava nella foresta, intravidi, un po’ nascosta dalla vegetazione, una magnifica assurdità. “Oh, che animali strani quelli! Cosa sono?”
Sembravano dei cavalli neri, ma erano scheletrici e con una testa molto particolare. In tutta onestà non avevano proprio un bell’aspetto e poi … avevano le ali anche. Hagrid mi guardò come stupito, ma poi sorrise. Pensai per la sorpresa che mi aveva fatto mostrandomi bestie che non esistevano nel mio mondo.
 
“Questi sono Thestral, ci aiutano con le carrozze che ogni anno portano gli studenti dalla Stazione fin su al Castello. Vedi, quello con quella macchia più scura intorno all’occhio è Orione, quello accanto a lui Ariel, più dietro quella è Lyra, lì Alchaid, poi Alcor, Mizar, Alioth, Megrez, Merak, Algol, Mirfak, Schedir eccetera, ma te li presenterò bene nei prossimi giorni, quando imparerai ad accudirli”
“Fantastico e poi quali altri animali? Quando ci avvicinavamo al magazzino ho visto delle specie di stalle”
“Ah, oh be’ quelle sono quelle per gli ippogrifi. Sai, si deve fare attenzione là perché se i Thestral sono animali docili e ormai abituati a vivere qui in cattività, gli Ippogrifi sono animali curiosi assai, molto sensibili e si accorgono subito se uno gli manca di rispetto, perciò dobbiamo fare molta attenzione”
Ci allontanammo dall’area riservata ai Thestral ritornando su un sentiero più grande del precedente in direzione della casa di Hagrid; Zanna ci venne di nuovo incontro, oltrepassammo la casa e ci dirigemmo di nuovo verso il magazzino, questa volta dalla parte del lato frontale, opposto quindi a “casa mia” sino a raggiungere le stalle e i recinti.
“Ora fai attenzione, non li guardare mai in faccia! Guarda invece come faccio io”
Hagrid aprì il recinto e entrò seguito da me. C’era una coppia di quelle bestie dentro il recinto, gli altri a quanto pare stavano nelle stalle vicine.
Ad un certo punto Hagrid si fermò e si inchinò davanti agli ippogrifi, io feci la stessa cosa facendo attenzione a puntare gli occhi per terra. Udii allora una specie di verso di approvazione “Ora lentamente puoi avvicinarti, ma sempre lentamente per non farli innervosire. Questo maschio è Fierobecco, il capobranco, l’altra è una femmina, Altera, ma non è la sua compagna. Imparerai che è difficile fare accoppiare degli ippogrifi. Vieni, avvicinati. Ora puoi anche toccarli”
E cosi accarezzai quegli animali che non avevo mai visto. Un bizzarro incrocio tra un grosso uccello e chissà… forse un cavallo. La pelliccia era a tratti morbida, il corpo stesso morbido. Mi sembrava di accarezzare un… gatto. Poi, però, muovendo verso il collo, laddove il corto pelo grigio lasciava a poco a poco il posto a delle piume, la sensazione mi ricordava quella di una volta quando avevo avuto tra le mani una gallina.
“Signor Rubeus Hagrid, signore, noi siamo qui” una voce che pareva quella acuta di un bambino che però imita un adulto, interruppe la mia estrema concentrazione.
Mi voltai e vidi tre strane creature oltre il recinto che ci guardavano. Potevano essere alte poco più di 2 piedi, poco meno di 3; occhi grandi sporgenti, quasi a palla, ma con uno sguardo tenero, delicato; orecchie a punta e lunghe braccia che terminavano con mani dalle dita ossute; e nervosi piedi nudi, che non stavano mai fermi. Indossavano tutte e tre una specie di tunica con una grossa H d’argento ricamata sul petto.
“Ah dimenticavo, i nostri elfi sono qui per completare il lavoro della tua nuova casa”
“Allora avete anche elfi, qui? A Hogsmeade mi avevano detto che solo le famiglie più ricche di maghi possono permettersi di averli”
“Infatti, questi sono i discendenti delle antiche famiglie degli elfi che erano al seguito dei fondatori di Hogwarts molti secoli fa e quella era gente ricca. Ma avrai modo di sapere”
Ci avvicinammo e uscimmo dal recinto. Mi girava la testa. Troppe cose strane stavano accadendo.
“Questi è mastro Wyky, che coordina attività esterne alle cucine, Alex, e questi altri sono Haler e Tossy” i tre stavano ora con gli occhi bassi.
“E lui è il signor Alex Krow” concluse Hagrid.
“Oh, ehm, buongiorno... a voi” feci subito io. Non sapevo proprio come comportarmi.
“Oh, buongiorno signore Alex Krow signore” risposero in coro sempre con gli occhi bassi.
“Seguitemi” continuò Hagrid e ci recammo di nuovo sul retro del magazzino dove c’era la porta che dava sulla Foresta e che permetteva un ingresso indipendente alla mia nuova casa.
“Allora, la situazione è questa, c’è da completare l’arredamento, manca un armadio, qualche mensola, e qualcos’altro, non penso che avrete problemi a trovare mobili adatti”
Le cose però non erano così semplici perché sebbene i mobili, a quanto pare, ci fossero, c’era da far tornare i conti con le misure. Voglio dire che la camera tutto sommato non era male, ma bastava sbagliare con le dimensioni dei mobili che starci dentro per un elfo forse era facile, ma certo non per me. Insomma, non era facile in un ambiente così piccolo mettere d’accordo tre porte, una finestra seppur piccola, un armadio, un letto, un comodino, una cassettiera, un tavolo, quattro sedie, alcuni scaffali e anche un vecchio bancone dell’aula Pozioni che mi poteva servire se mai avessi voluto cucinarmi qualcosa. Frugalità, sembra che avesse detto Silente ad Hagrid.
Il Custode delle Chiavi e dei Luoghi allora decise che per cominciare a prendere un po’ di confidenza con il Castello avrei accompagnato gli elfi anche in modo da scegliermi quello che più mi facesse comodo.
“Wyky!” ringhiò il Custode.
“Sì, signore Rubeus Hagrid, signore” l’elfo coordinatore, l’unico con una tunica nero notte, si mise quasi sugli attenti.
“Mi raccomando, con il signor Alex, percorso in copertura, mi intendi Wyky?”
“Sì, signore, percorso in copertura, certamente”
“Non dovete incontrare anima viva. Sarete voi e il Castello. Capito?” ringhiò ancora il Custode.
“Sì, certamente, signor Rubeus Hagrid, signore, vista l’attuale situazione nel Castello, immaginavo anzi che mi avrebbe permesso di suggerirlo io stesso, signore” e mi sorprese non poco il fatto che Wyky lanciasse un imprevedibile sguardo d’intesa ad Hagrid.
“Ehm… qual’è l’attuale situazione nel Castello, Hagrid?” mi affrettai a domandare un po' teso.
“Oh, niente, niente…” si affrettò a sua volta a rispondere il Custode, che poi però immediatamente aggiunse “ma non c’è minimamente da preoccuparsi, Alex, Silente ha tutto sotto controllo… ehm… a suo tempo ti spiegherò… andate ora, che è già tardi”
 
* * *
Certo che andata e ritorno fu una grossa scarpinata. Perché mi resi conto che era un bel viaggio arrivare dalla mia nuova casa sino in cima, in cima al Castello.
Gli elfi comunque sembrava che non ci facessero molto caso. Usavano i loro incantesimi per fare ogni tipo di lavoretto al Castello e in quel caso avevano un loro incantesimo di levitazione che permetteva di sollevare facilmente la mobilia e portarla ovunque come si porta un animale da passeggio.
E così, dopo un lungo girovagare “in copertura”, che mi sembrò come stare dentro ad un labirinto, arrivammo finalmente (io sfinito) ad un corridoio del settimo piano e ci fermammo davanti ad una striscia di parete libera, di fronte a un immenso arazzo dove c’erano delle creature enormi, dei troll mi spiegarono, che mi pare cercassero di fare… danza classica.
 
Ormai (dopo la mia permanenza a Hogsmeade e proprio adesso mentre ci recavamo al settimo piano) avevo visto così tanti tipi di ritratti, quadri o arazzi con personaggi che sembravano vivi che non mi sorprendevo più di tanto, ma poi vidi fare una cosa curiosa assai.
 
Mastro Wyky si staccò dal gruppo e cominciò a camminare di fronte alla parete libera su e giù lungo il corridoio, sino ad un enorme vaso, per ben tre volte. E all’improvviso nella parete vuota si materializzò dal nulla una porta. L’elfo la aprì ed entrammo tutt’insieme.
 
“Eccoci qua, ora, signore, puoi scegliere l’armadio che più ti piace, noi vediamo per gli altri oggetti e poi saremo subito da te, appena sarai pronto, per portare giù le cose”
 
La scena che mi si presentò davanti era di una tale enormità che stento ancora adesso a descriverla bene per dare anche una minima idea di che cosa voglio dire.
 
Eravamo entrati dentro una stanza grandissima, immensa. Mi ricordava una chiesa o, forse meglio, una cattedrale, altissima, splendente di luce che attraverso ampie vetrate illuminava pareti interne fatte di… oggetti, oggetti di ogni tipo. Ma ci credereste? C’erano delle vere e proprie strade interne delimitate da pile pericolanti di mobili, rotti o danneggiati che fossero. C’erano poi migliaia e migliaia di libri sparsi o accatastati qui e là, bottiglie, cappelli, gioielli, e anche mantelli oppure quelli che sembravano gusci di uova di ogni tipo e poi ancora altri cappelli, casse, sedie, e libri, e armi, e manici di scopa, mazze e molte e più cose e cianfrusaglie di tutti i gusti e le necessità che adesso non riesco proprio a ricordare. Non sapevo proprio da dove iniziare.
Cominciai allora a camminare, allontanandomi dall’ingresso di quella immensa cattedrale 
che non riuscivo proprio ad immaginare all’interno del Castello. Un labirinto fatto di oggetti, dentro l’altro labirinto che avevamo poc’anzi percorso. Una vera e propria vertigine. E sempre più spesso mi voltavo indietro perché mi era venuta pure paura di perdermi e che non sarei riuscito più a tornare al punto di partenza. Un’esperienza allucinante.
Ma non so se fu proprio la disperazione che mi fece aguzzare meglio la vista, ma ad un certo punto finalmente intercettai, oltre alcuni cumuli e cumuli di roba, e un po’ distante da dove mi trovavo, e in posizione sopraelevata, un armadio di legno chiaro, dal disegno molto semplice, bello, che si stagliava in mezzo a tutto quel ciarpame. Tu sei mio mi venne subito di pensare. E così cercai di avvicinarmi, scegliendo il vicolo giusto e cercando anche di non perderlo di vista.
 
Più volte, infatti, svoltando tra i cumuli e gli altri mobili squassati, lo perdevo per poi riuscire a identificarlo un po’ dopo, visto che svettava chiaro da una posizione sopraelevata rispetto al resto. Infine, lo ebbi alla mia destra e così svoltai a destra in una stradella dopo quello che mi sembrò un enorme troll impagliato e a quel punto, dopo un altro po’, me lo ritrovai a sinistra e quindi cercai una nuova strada nella sua direzione, girando a mia volta a sinistra, prendendo un nuovo vicolo. Lo ricordo perché proprio lì, prima di svoltare, ebbi una strana sensazione. Era come se ci fosse la presenza di un qualche oggetto enorme, che però non riuscivo a vedere. Avvertivo che proprio lì c’era qualcosa… come un altro grosso armadio, per esempio. Ma in realtà, non c’era niente. Muovevo le mani in direzione della sensazione… ingombrante, ma niente. Niente. Solo cianfrusaglie come mille che ne avevo visto. E alla fine, non ci feci più caso pensando che mi trovavo ad Hogwarts e che di cose strane lì ne potevano accadere. Insomma, continuai a camminare.
 
Il mio armadio si trovava in cima ad una catasta di roba. Per questo ero riuscito a vederlo a distanza. Era come se qualcuno con qualche incantesimo di levitazione ce lo avesse posato lì, forse per far spazio sotto. Oppure no? Boh!
 
L’armadio stava, in parte sulla catasta e in parte su un altro grosso mobile che si trovava quasi appoggiato alla catasta stessa. Mi ricordava tanto la vecchia credenza di casa mia, di quando vivevo con i miei. Sì. Era proprio una credenza. Di quelle con una parte grossa sotto con degli sportelli e poi tanti scaffali sopra, più stretti, in modo che restasse un ripiano inferiore che mia madre, ricordo, utilizzava per posarci le pietanze quando apparecchiava la tavola.
Il mio armadio era bello, di legno così chiaro. Certo c’era da ripararlo un po’, ma pensai che non ci sarebbero stati problemi. Aveva un cassettone inferiore e le due ante sopra; una aveva forse le cerniere rotte perché era quasi mollata dal resto. Ma era in particolare il cassettone che volevo guardare meglio perché mi sembrava troppo sbilenco. Così mi arrampicai sul ripiano della credenza per utilizzare le spesse mensole di legno della parte superiore come se fossero pioli di una scala. Ricordo che per salire sul ripiano mi aggrappai ad una delle maniglie degli sportelli, aprendone uno. Mi prese un colpo. All’interno del mobile c’era una gabbia con lo scheletro di un animale dentro. Che paura!
 
Mi misi, finalmente, in piedi sul ripiano, ma ebbi la necessità di salire almeno sulla prima mensola per poter vedere meglio perché il cassetto appariva così storto.
Misi allora prima un piede su, per sincerarmi che reggesse, e poi cautamente posizionai l’altro. Reggeva, ma cominciò tutta un’orchestra di cigolii e rumori strani.
Cercando, allora, di non muovermi troppo, allungai un braccio per poter armeggiare con il cassetto. Era proprio rotto.
La parte frontale non era più incollata bene a tutto il resto e praticamente non riusciva più a fare corpo unico e così, quando cercavo di aprire il cassettone, questo usciva storto e si bloccava. Montai, allora, su un’altra mensola per vedere meglio. Altri cigolii sinistri.
 
A guardar bene, però, c’era un altro problema, oltre a quello dell’esterno scollato. Il cassetto non era, infatti, vuoto. C’era della roba dentro: carte, pergamene, libri; e quello che mi sembrò un vecchio pezzo di legno scuro in cima a tutto il resto, che impediva al cassetto di venir fuori perché sbatteva nel bordo interno del suo alloggiamento. Cercai allora di liberarlo e cominciai a fare avanti e indietro con la maniglia, ma, ad un certo punto, diedi uno strattone più forte e la parte frontale del cassetto mi restò in mano e persi l’equilibrio.
Lasciai la maniglia e mi aggrappai, istintivamente, mentre cadevo indietro, a quello che c’era dentro il cassettone, ossia a nulla che mi potesse reggere. Insomma, io e il contenuto del cassettone ci esibimmo in un bel volo. E combinai un bel guaio anche, perché all’interno del cassettone c’era, chissà perché, un paio di bottiglie coricate che rotolarono giù sul ripiano della credenza. Venendo giù, si ruppero riversando sulla credenza un liquido verdastro, forse un acido, che cominciò a sfrigolare corrodendone la superficie. E insieme alle altre cose che caddero giù c’era il pezzo di legno scuro che andò a piazzarsi sulla superficie sfrigolante. Ma per quanto sembrasse vecchio e ammuffito, non era un pezzo di legno qualunque, bensì una specie di scatola quadrata che ora stava per essere completamente distrutta. C’era puzza e fumo verdastro tutt’intorno. Gli elfi avevano avvertito aria di emergenza. “Che sta succedendo? Signor Alex, signore, che succede?”. Certamente in pochi secondi sarebbero arrivati lì, dove mi trovavo. Dovevo essere rapidissimo.
 
Ancora a terra e sordo al dolore per la botta al mio fondo schiena, acchiappai velocemente una spada che avevo individuato alla mia destra e sferrai un colpo alla scatola per cercare di farla cadere giù da ripiano e salvarla dall’acido. Ma il colpo non fece altro che aprirla, forse perché una parte della scatola rimaneva incollata sul ripiano o forse anche perché la scatola stessa era di legno troppo vecchio, fragile e ammuffito, che insomma, si aprì, lasciando uscire quello che mi parve essere un cerchietto annerito che volò via e si perse in mezzo al resto delle cianfrusaglie, guardai bene, in direzione del busto sbeccato di un brutto vecchio stregone, che stava in cima ad una botte. Ricordo anche che vicino, in quella direzione, c’era una vecchia parrucca impolverata.
Gli elfi, come previsto, non tardarono ad arrivare e lanciarono immediatamente un loro incantesimo che bloccò il disastro. La superficie della credenza però ora appariva ricoperta di bolle, danneggiata da quella schifosa sostanza. Del resto della scatola, che prima era rimasta come incollata sul ripiano, neanche l’ombra. Come pure del cerchietto, perché non fui più in grado di identificarlo in mezzo a tutto quel ciarpame e al fumo verdastro che ancora per qualche tempo rimase intorno.
 
Rintracciai per terra, invece, ciò che restava di una delle due parti della scatola: un vecchio pezzo di legno quadrato e annerito, sul quale si potevano rilevare, a ben guardare, incisi, una serie di caratteri che mi incuriosirono non poco. Istintivamente la nascosi agli elfi, quasi a minimizzare il danno che avevo combinato, sebbene un’altra parte di me ben comprendesse che all’interno di un simile mega ripostiglio di anticaglie scassate e di immondizia, mi stavo facendo in realtà troppi problemi.
 
* * *
 
Alla fine, ritornammo a “casa” dopo circa un paio d’ore con l’armadio, delle mensole, un comodino e delle sedie. E cominciammo a sistemare la stanza. Quindi, si fece l’ora di pranzo.
“Bene. Sei naturalmente mio ospite. Mentre eravate a sistemare ho preparato qualcosa di buono.”
Finito che fu il pranzo, mi riposai un po’ nella mia nuova stanza (e forse la mia nuova sistemazione poteva tutto sommato rivelarsi migliore di quella con Aberforth).
Nel pomeriggio, poi, continuammo con Hagrid il giro di ricognizione.
“Prima che continuiamo ti devo dire una cosa importantissima, perché Silente ci tiene assai. Questa foresta che tu vedi non è una foresta come tante, ma è la foresta di Hogwarts dove ci sono molte cose pericolose. Silente, infatti, nel discorso che fa ogni anno per i nuovi studenti che arrivano, dice che questa è la Foresta Proibita e che nessuno di loro può metterci piede se non accompagnato. Quindi sta bene attento. Io non ti farò mai entrare da solo in questa foresta. E quando entri con me, come poco fa, quando siamo andati a vedere i Thestral, fai sempre attenzione a quello che faccio io”
A questo punto ci avviammo di nuovo verso le stalle e proseguimmo costeggiando la foresta quando ci trovammo di fronte qualcosa che poteva essere un enorme stadio.
“E questo è il campo di Quidditch”, esclamò il mio accompagnatore.
“Quiddicosa?”
“Il Quidditch. Non conosci il Quidditch?”
“Veramente… Cos’è uno sport?”
“Ragazzo mio, il Quidditch è il vero sport dei maghi: giocano due squadre che cercano di segnare punti facendo passare la pluffa attraverso quei cerchi lì”
“Cos’è la pluffa, signor Hagrid?”
“La pluffa è una … una palla, ecco… e poi non chiamarmi signor Hagrid, che mi sembri un elfo”
“Oh sì, sign... sì, ma non capisco, se la pluffa è una palla è impossibile farla passare per quei cerchi”
“Oh no, non è impossibile, appena vedrai la prima partita te ne renderai conto. Ci sono studenti che indovinano quei cerchi anche a occhi chiusi”
“Ma… ma è impossibile, cioè voglio dire, sono altissimi, sono almeno dieci, che dico forse venti, trenta volte più alti di un canestro di basket.” E intanto ci eravamo avvicinati a quello… stadio, quasi dentro il campo.
“Ehi, diavolo di un ragazzo, ma non è che la pluffa si lancia da qui giù”
“Ah no? E da dove? Dalle scalinate?” mi venne da ridere, pensavo che mi stesse prendendo in giro.
“Ma quando stai su una scopa, ovviamente.”
“Su una scopa? In che senso?”
“Ah, scusa non ti avevo detto che le due squadre giocano sulle scope”
“Non ci capisco più nulla Hagrid. Spiegati meglio. Voglio dire, come si gioca su una scopa?”
“Io comincio a non capire te ragazzo. Su una scopa significa che i giocatori si passano la pluffa e la lanciano verso i cerchi mentre stanno su una scopa da gara; ce ne sono di tutti i tipi, sai, quelle più veloci, quelle più maneggevoli e ce ne sono alcune professionali che riescono a impennarsi quasi in verticale e raggiungere anche duecento metri in pochi secondi.”
Che stava dicendo?
“Vuoi dire che voi su una scopa ci volate?”
Non mi era ancora capitato di vedere niente di simile neanche ad Hogsmeade. Non ne avevo avuta l’occasione, nei pochi mesi in cui stavo sempre chiuso al pub a sfacchinare per Aberforth .
“Perché tu che ci fai? Ragazzo, mi sa che dobbiamo iniziare dai fondamentali”
Dopo questa, per me sconvolgente, notizia, Hagrid mi portò ancora in giro per Hogwarts.
Superato il campo, raggiungemmo una parte del Castello dove c’erano gli orti e le serre e una moltitudine di elfi che si occupavano delle coltivazioni. “Questo è il regno della Professoressa Sprout che insegna Erbologia”
“Ok, la professoressa Sprout insegna Erbologia. E chi è quel professore, con il naso adunco e i capelli lunghi neri, un po’… be’, un po’ antipatico?”
“Ah, ah, ah, ah quello è sicuramente il professor Piton. Insegna Pozioni. L’hai conosciuto?”
“Sì. È venuto un giorno giù al pub con il Preside”
“È vero. Escono spesso insieme Piton e Silente. Silente ha grande stima di lui”
 
Intanto si fece sera e dopo aver dato una bella occhiata alle serre, ci incamminammo di nuovo verso lo stadio e quindi a costeggiare la Foresta, verso casa.
 
 
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Harry Potter / Vai alla pagina dell'autore: Robert_Wire