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Autore: Lost In Donbass    05/07/2019    2 recensioni
Spaccone, arrogante, attaccabrighe, Denis non ha niente che non sia la sua voce meravigliosa e l'ottima prospettiva di capitanare la sua band nel mondo del metalcore. Peccato che per adesso sia solo un bullo di periferia qualunque vittima dell'alcol, delle sigarette e del sesso facile.
Sasha, al contrario, pensa troppo. Depressa, anoressica, inquietante, desidera follemente la storia d'amore che nessuno sembra in grado di darle.
Però poi si incontrano, ed è subito amore.
Ma come possono due ragazzi così persi ritrovarsi nella periferia violenta di Omsk, quando tutto sembra lottare per separarli? E soprattutto, quando ormai hanno superato il punto di non ritorno?
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
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CAPITOLO QUARTO: YES, SHE SMILED

I met a girl who never looked so alone
Like sugar water in your mouth lukewarm
She tied a cherry stem for me wiyh her tongue
We fell in love and now we’re both alone
[Pierce The Veil – Hell Above]
 
Quando aprì gli occhi, Sasha si rese conto di essere in ospedale. Sdraiata esangue su un lettino scomodo, intravedeva le luci asettiche che conosceva così bene, la flebo attaccata al braccio e il solito cerchio alla testa. C’era qualcosa di nuovo, però: ovvero, un grosso paio di occhi ambrati fissi su di lei.
Sfarfallò le ciglia e cercò di mettere a fuoco il ragazzo seduto accanto al suo lettino.
-Ti sei svegliata! Dio, ragazza, mi hai fatto prendere un colpo!
Lui.
Denis.
-D … Denis … - balbettò, aprendo del tutto gli occhi e distinguendo finalmente il giovane cantante, sudato e spettinato, con il solito chiodo di pelle posato distrattamente accanto e con gli occhi febbrili.
Ma cosa ci faceva all’ospedale con Denis? Erano insieme prima che lei svenisse, come al solito? E cosa stava facendo insieme a lui? Cosa …
-Eri al mio concerto.- offrì il ragazzo, sorridendole. E di nuovo, Sasha pensò che lui avesse un sorriso così bello, così sofferente, eppure così vero, così terreno. – Ti ho vista svenire. Ma cosa ti succede, Sasha?
Giusto. Il concerto dei My Girlfriend’s Depressed. Sasha chiuse per un attimo gli occhi, cercando di ricordare tutti i movimenti precedenti al suo svenimento, dovuto al fatto che non mangiava, che si voleva autodistruggere, che si odiava. Ricordava essere entrata in quel locale sulla Kirova molto presto, per essere in prima fila a vedere Denis. Ricordava una strana eccitazione che le correva sottopelle, ricordava il cuore battere e ricordava di aver sorriso quando le luci si erano spente ed era entrata quella buffa band metalcore, capitanata da quel ragazzo bello come un angelo. Si figurò di nuovo la prima canzone, che si chiamava Stay Alive, ma soprattutto ricordava Denis che incrociava il suo sguardo e le sorrideva. Sì, le sorrideva, come nessuno aveva mai fatto prima, un sorriso che voleva dire “sono contento di vederti”, “girl, stay alive”, “non sei sola in questa guerra”. Un sorriso che le aveva strappato una risata, un sorriso soffocato da quel giro di basso, da quel vocalizzo molto poco sensato ma così poetico all’orecchio. Ricordava come aveva pensato che forse Denis avrebbe potuto stare al fianco, come compagno di battaglia, come spalla, come amico. Ricordava tutto, ma poi era caduta per terra, svenuta, bella come una silfide a cui sono state tagliate le ali e la linfa vitale.
E poi, poi si era risvegliata al fianco di Denis.
-Non sto molto bene, in questo periodo.- mormorò. – Scusa se ti ho rovinato il concerto.
-Non dirlo nemmeno, splendore. Stai meglio, adesso?
Lei si ritrovò ad arrossire disperatamente quando lui le accarezzò i lunghi capelli biondi come quelli di un angelo caduto. Aveva la mano grande e callosa, una mano da chitarrista, quelle abituate a sanguinare sulle corde ripetendo assoli uno dopo l’altro, ma erano anche mani gentili, delicate. La sfiorarono con la stessa amorevolezza con cui avrebbe sfiorato la chitarra di Jimy Hendrix e Sasha si chiese se trattasse tutte le ragazze così o se fosse un trattamento che riservava a lei perché erano sofferenti allo stesso modo, perché erano già morti, perché erano a pezzi. E non era amore, non era amicizia, non era niente se non due ragazzi che si erano riconosciuti nella disperazione di quella Omsk lasciata a sé stessa. Si erano visti, e avevano deciso che avrebbero proseguito fianco a fianco fino a quando non sarebbero riusciti a fuggire da quella Siberia maledetta.
-Sì, ora sto meglio.- sussurrò lei, e guardò la flebo che ormai troppo spesso vedeva attaccata al suo braccio così esile. Erano momenti come quelli che avrebbe voluto scomparire per sempre, lasciarsi scivolare via nell’Irtys per non tornare più su e venire trascinata fino al mare che non aveva mai visto. – Denis? Hai mai visto il mare?
Lui sorrise e si scostò il vistoso ciuffo scuro dal viso.
-Ho visto solo il Mar Nero.
-Com’è?
-Bellissimo.- tacque per un secondo – Non hai mai visto il mare, Sasha?
Scosse la testa appena, e tremò quando lui le prese una mano tra la sua, con una delicatezza quasi impossibile per quelle mani da chitarrista.
-Immagina una distesa d’acqua della quale non puoi vedere la fine, che cambia continuamente colore. A volte è celeste come il nostro cielo estivo, a volte assume il colore dei tuoi occhi.
Sasha arrossì e abbassò le ciglia. Non poteva nemmeno immaginare di avere gli occhi del colore di un mondo a lei sconosciuto.
-Poi di notte diventa di un blu travolgente e ci si riflettono sopra le stelle. Al tramonto, si tinge di rosso, e sa di amori finiti o forse di amori che devono ancora cominciare. Il Mar Nero è meraviglioso, perché è come una persona. Ama, odia, piange, ride.
-Mi ci porterai un giorno?- disse Sasha, e forse non intendeva nemmeno dirlo, ma in quel momento, in quell’ospedale, con la mano intrecciata a quella di Denis tutto sembrava essere possibile.
-Sì, Sashen’ka. Ti ci porterò, e ti insegnerò a nuotare.
-Sarebbe meraviglioso.
Si sorrisero, e c’era tanta disperazione in quegli sguardi, in quei due ragazzi che avevano disimparato ad amare. Tanto orrore di incubi mai davvero sopiti, tante paure che non erano in grado di affrontare, tanta voglia di morire per mettere a tacere le voci che li perseguitavano. Le voci che li volevano morti e che facevano di tutto per mettere loro i bastoni tra le ruote.
Denis si sistemò meglio sulla sedia accanto a letto e le scostò i ciuffi dal viso smagrito, guardandola con un sorriso quasi dolce. Sasha lo guardava e avrebbe tanto voluto piangere, perché era sempre sola in quell’ospedale, era sola quando stava male, era sola e basta a combattere la sua depressione e la sua anoressia. Nessuno voleva stare al fianco di Aleksandra Bazarova e della sua bellezza malata e divorata da sé stessa. Nessuno, ma quello strano cantante sì, si era schierato al suo fianco, le aveva promesso che l’avrebbe portata a vedere il mare, l’aveva portata in ospedale mandando all’aria il suo concerto. Forse, finalmente, avrebbe trovato qualcuno. Forse, finalmente, qualcuno l’avrebbe salvata.
-Perché stai male?- le chiese lui, di punto in bianco. La guardò, con quei suoi occhi stupendi e si morse il labbro inferiore – Cosa ti succede?
-Conosci i demoni, Denisoch’ka?
-Fin troppo bene, Sashen’ka.
-Ti ricordi il dolore di Celan? Ti ricordi la malinconia di Tatjana?
-Ricordo la rabbia di Onegin. Ricordo la devastazione libidinosa di Baudelaire. Ricordo la dolcezza dissimulata dell’Achmatova.
-Se allora ricordi quello, capirai perché sto male.
I due ragazzi si guardarono e poi lei strinse più forte la mano di lui, e una singola lacrima le sporcò il volto eburneo, appena punteggiato da poche efelidi.
-E tu, ragazzo ucraino?
-Sono un cosacco che deve tornare a casa, ragazza siberiana.
-Perché non riesci ad arrivarci?
-Perché devo ancora trovarla, la mia casa. Ma guardo verso l’orizzonte e so che un giorno mi lascerò la Siberia alle spalle e finalmente sarò felice.
-Saremo felici insieme, allora.
-Perché?
-Perché verrò con te. Mi hai promesso che mi porterai a vedere il mare.
-Hai ragione. Allora sì, saremo felici insieme. Scapperemo lontano da questo inferno.
-Denis?
-Sì, Sasha?
-Non sei solo in questa guerra.
-Nemmeno tu. Compagni d’armi?
-Compagni d’armi.
Lui scoppiò a ridere e un pochino rise anche lei, rendendosi conto di quanto lui fosse in grado di smuoverle dentro il riso più di chiunque altro. Di quanto i suoi occhi ucraini la facessero arrossire. Di quanto lui fosse così bello, anche sudato e spettinato come era in quel momento.
Un’infermiera passò dicendogli che era ora di andare e di lasciare riposare la ragazza, così Denis si alzò e le sorrise ancora
-Torno a vedere come stai domani. Anzi, tieni, questo è il mio numero. Chiamami quando ti pare.- le diede un pezzetto di carta con un numero di telefono.
Sasha lo prese e lo ringraziò dolcemente.
-Vai adesso, non vorrei che ti venisse troppo tardi.
-Cerca di dormire, ragazza. Non voglio più vederti svenire a un nostro concerto.
Poi, come se nulla fosse, si chinò su di lei e le baciò la fronte. Lei arrossì selvaggiamente ma non disse nulla, guardandolo andarsene con quella sua andatura arrogante da bullo di periferia, il chiodo buttato su una spalla e l’aria dell’eroe scanzonato che avrebbe salvato il mondo quando avrebbe imparato a salvare sé stesso.
Sasha sorrise appena, chiudendo gli occhi.
Sì, sorrise.
  
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