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Autore: Lost In Donbass    14/07/2019    2 recensioni
Spaccone, arrogante, attaccabrighe, Denis non ha niente che non sia la sua voce meravigliosa e l'ottima prospettiva di capitanare la sua band nel mondo del metalcore. Peccato che per adesso sia solo un bullo di periferia qualunque vittima dell'alcol, delle sigarette e del sesso facile.
Sasha, al contrario, pensa troppo. Depressa, anoressica, inquietante, desidera follemente la storia d'amore che nessuno sembra in grado di darle.
Però poi si incontrano, ed è subito amore.
Ma come possono due ragazzi così persi ritrovarsi nella periferia violenta di Omsk, quando tutto sembra lottare per separarli? E soprattutto, quando ormai hanno superato il punto di non ritorno?
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO QUINTO: SING WITH ME

Tell me why we live like this
Keep me safe inside
Your arms are like towers, towers over me
Cause we are broken
[Paramore – We Are Broken]
 
Alla fine, lo aveva chiamato. Non appena era uscita dall’ospedale aveva composto quel numero, ed era arrossita quando aveva sentito la sua voce dall’altro capo del filo. Non sapeva perché lo avesse fatto, ma aveva sentito un disperato bisogno di sentire la sua voce dolcissima. E così aveva chiamato, ed era rimasta di stucco quando lui le aveva detto che sarebbe andato a prenderla per portarla a casa. Così era lì, al freddo, ad aspettare che lui arrivasse. Stava male, Sasha, stava così tanto male da non sapere nemmeno più lei da che parte salvarsi: però era arrivato Denis, col suo sorriso, con le sue canzoni, e lei si sentiva così a casa quando era con lui. E così lo aveva chiamato. Arrossì ancora un pochino al pensiero di quel bacino che le aveva lasciato sulla fronte. Nessuno si era mai preoccupato  di trattarla con tanta premura, e invece lui, dal basso delle sue canzoni metalcore, era arrivato a curarla come una principessa. Sembrava che una piccolissima luce si stesse affacciando anche per lei in quell’oscurità che era diventata la sua vita però era così tanto tempo che i suoi occhi si erano disabituati alla luce che adesso stava provando un enorme dolore agli occhi.
-Hey, Sasha! Come stai, bellezza?
Si voltò e Denis era lì accanto a lei, con due caschi in mano e un sorriso stupendo stampato sul viso angoloso.
-Sto meglio, grazie.- mormorò lei, arrossendo un pochino quando lui la baciò tre volte sulle guance. Come se fossero amici. Come se ci tenesse davvero a lei. Come se per lui fosse una persona importante – Ma non dovevi venire in moto, potevo tornare a casa da sola, non …
-Sei ancora convalescente, non ti lascio scarpinare fino alla Kemerovskaya.
Si ricordava anche dove abitava.
La prese a braccetto, per sostenerla, e la accompagnò fino a una moto piuttosto vecchia e male in arnese. Sasha sorrise: sembrava l’inizio di qualche triste film d’amore destinato a finire male. Avrebbe tanto voluto poter avere anche lei la meravigliosa quanto melancolica storia come quelle che leggeva nei suoi romanzi di nicchia. Ma davvero l’avrebbe trovata insieme a quel ragazzo? O forse sarebbe morta prima, divorata dalla sua depressione, dalla sua anoressia? Inspirò il profumo di Denis, che era di fumo e colonia scadente, e pensò che sarebbe quello l’odore che avrebbe voluto sentire tutti i giorni tra le sue lenzuola. Ma forse si stava solamente ingannando. Sicuramente lui non si sarebbe mai innamorato di una ragazza anoressica che sveniva ai concerti. Non di una povera depressa che non aveva mai visto il mare. Non di lei, perché nessuno poteva amarla.
Salirono sulla vecchia moto e si immisero nelle grosse strade di Omsk, scivolando rapidamente in mezzo alle macchine, e lei si strinse a lui, per non cadere, forse per sperare di non doverlo mai lasciare andare. Gli posò la testa sulla spalla e lo strinse forte e le parve che lui ridesse. Non le importava. Voleva solo sentirlo terribilmente vicino a sé almeno per un attimo. Guardò le luci serali della grande città correre ai loro lati, mentre lui accelerava ancora, svoltava, prendeva i semafori proprio a rotta di collo e lei, lei non si era mai sentita così viva come in quel momento, vicino a lui, su quella moto cadente, a saettare per le strade della loro maledetta città.
-Cantiamo, Sasha?- le urlò lui, prendendo una curva troppo stretta.
-Cosa?!
Rise e cominciò a cantare quella canzone degli Asking Alexandria che piaceva tanto ad entrambi.
-So take take take, all that I’ve got got got, all I need is one more moment, all I want is to end this torment …
Cantava bene, con quella voce alta e melodiosa, cantava in quel modo che a Sasha piaceva così tanto. E alla fine decise di cantare con lui, anche se era stonata, anche se il suo inglese lasciava a desiderare. Ma cantarono insieme, ed era quello che contava, lasciarono fondere le loro voci, lasciarono uscire quel demone in mezzo alla velocità e alla musica metalcore che scorreva sotto pelle, si lasciarono andare liberi mentre la moto correva veloce. Lo strinse più forte, proprio come aveva sempre desiderato fare, lo strinse e cantò con lui e per la prima volta in vita sua, poté dirsi felice, felice come non lo era mai stata. Avrebbe tanto voluto che quel tragitto non finisse mai, avrebbe voluto rimanere aggrappata a lui per sempre, continuare a intonare quelle canzoni per lasciare i mostri rotolare fuori dalle loro bocche secche e liberare le loro menti soffocate da loro stesse. Lo avrebbe tanto voluto, ma poi lui frenò di fronte al suo palazzo e lei si ritrovò a togliersi il casco e a scendere, le guance teneramente arrossate e gli occhioni verdi luccicanti di qualcosa che sapeva di gioia e malinconia allo stesso tempo. Perché in fondo Sasha era fatta per essere malinconica la maggior parte del tempo, era fatta per la nostalgia, per la dolce tristezza, per la depressione soffocante ma raffinata.
Lui si tolse il casco e le sorrise, spettinandosi i capelli e lei pensò che fosse così dannatamente bello da fare male. Si guardarono qualche secondo in silenzio, non sapendo bene cosa fare ed era così strano per uno come lui rimanere senza parole. Denis era il tipo che non aveva nessun problema a portarsi a letto le ragazze che gli piacevano, a fare lo spaccone idiota, a conquistarle con due strizzate d’occhio e un sorriso affascinante. Ma lei, lei no, lei non poteva essere trattata come le varie Yulija, Anastasija, Marina, assolutamente no. Aleksandra meritava una dolcezza nuova, un calmare i suoi bollenti spiriti, un corteggiamento più delicato, più furtivo, più tenero e Denis non sapeva se era in grado di darle veramente quello che cercava. Ci provava, però. Ci provava ad essere quello che da tanto tempo aveva dimenticato di essere.
-Vuoi venire su? Ti offro un the.- mormorò lei, giocando con una ciocca di capelli.
-Sarebbe fantastico, grazie.
La seguì nel grosso palazzone popolare fino nel piccolo appartamento triste dove lei abitava, in mezzo a romanzi letti fino a essere consumati, a servizi da the di porcellana ormai impolverati e grossi vinili di musica metal straniera. Era una casetta che sapeva di antico, di triste, di quelle mogie piccole cose polverose che si accumulano in un angolo e che vengono sistematicamente dimenticate. Un po’ come Sasha: una cosina tanto carina ma messa sulla mensola da tutti e lasciata lì a impolverarsi. Eppure, per qualche strano motivo, Denis aveva deciso che le avrebbe levato di dosso tutta la polvere e l’avrebbe portata a splendere come prima. L’avrebbe tolta dalla mensola e messa sul comodino, per vederla ogni mattina.
Si sedette poco graziosamente su una poltrona e la guardò mentre metteva su il the con rapida efficienza. Era così bella, pensava il ragazzo, così tanto bella ma così tanto maltrattata dalla vita. E così tanto magra.
-Sasha … perché?
-Cosa?
Lei si voltò e gli sorrise, un sorriso dolcissimo e carico di dolore, il sorriso di una ragazza che ha disimparato a vivere ma che si trascina nell’esistenza tra una lacrima e l’altra.
-Perché sei così triste?
-E tu perché covi questa rabbia distruttiva dietro agli occhi?
Lui la guardò, e lei guardò lui. Fecero incontrare i loro occhi verdi e ambrati, e si riconobbero. Due ragazzi abbandonati che trovano la propria anima gemella nella disperazione dell’estrema periferia russa. Il cosacco e la fanciulla, come la più trita e ritrita delle favole contadine. Lui si alzò e le andò vicino, posandole una mano sulla spalla e lei tremò appena, perché di nuovo lui era vicino, così tanto vicino da farle male.
-Sono arrabbiato col mondo, ragazza, non c’è molto da fare. Sono un coglione qualunque che urla come un pazzo anche se nessuno lo può sentire, sono un cosacco che sta tornando a casa anche se non sa ancora dove sia, questa maledetta casa, sono un idiota che lotta e non la smette per la sua utopica Russia migliore che sa che non vedrà mai, sono un cantante che ha provato a salvarsi con la sua musica perché è l’unica cosa che gli rimane. Covo rabbia dentro di me perché sono fatto così, sono distruzione allo stato puro, sono un bastardo, sono tutto e sono niente. Sono semplicemente Denis, il ragazzo ucraino che sta sprofondando sempre di più nel suo odio. E tu chi sei?
Lei si passò una mano tra i capelli e gli posò delicatamente una mano sul fianco sottile, facendolo tremare. Sembrava che stessero per ballare come due crisalidi.
-Sono una ragazza caduta dal cielo, come ti avevo detto qualche giorno fa. Sono la mia depressione, sono una bambola che è stata riposta in un cassetto e dimenticata lì per sempre, sono un soffio di vento gelido che trascina via qualunque cosa nel suo passaggio,  sono una ballerina senza più palco che continua a danzare per le strade deserte di una città al macero, sono una ragazza che ha smesso di mangiare perché sta troppo male per farlo, sono un esserino sottile che cerca qualcuno che la leghi a questa terra e che non la lasci scivolare via. Sono la mia tristezza congenita, sono la nostalgia del mare che non ho mai visto.
Si guardarono di nuovo e poi lui l’abbracciò. Così, senza un perché, la strinse a sé con troppa forza, affondandole il viso nei capelli quasi bianchi, la strinse e lei si aggrappò di nuovo a lui, alle sue spalle, gli passò una mano nella massa scompigliata di capelli, si inebriarono a vicenda dei rispettivi profumi. Rimasero abbracciati nel salotto come due bambini spaventati dal temporale, come due angeli caduti dal paradiso, come due diavoli scacciati dall’inferno, semplicemente come due ragazzi che non avevano più niente se non la loro musica e la loro depressione. Lei lasciò qualche lacrima bagnarle il viso smagrito dai tormenti, chiuse gli occhi, lasciandosi travolgere dalle braccia di lui che si ostinavano a non volerla lasciare andare, come se per lui fosse davvero preziosa.
-Non ti lascio andare, Sasha.- mormorò lui, con la voce spezzata.
-Non voglio essere salvata, Denis.
Lui si allontanò da lei e la fece tremare. La strinse per le spalle gracili e la fissò, con quegli occhi tempestosi e irosi da cosacco ucraino. Lui era tempesta, lei era l’occhio del ciclone. Lui era il mare, lei era il cielo. Lui era fuoco, lei era aria. Insieme, erano la deflagrazione degli elementi.
-E allora cosa vuoi?
-Voglio il mare.
-Ti ci porterò.
-Voglio morire.
-Non lo permetterò.
-Perché, Denis?
-Perché voglio incontrare il tuo sguardo quanto canto. Voglio sentirti intonare le mie canzoni. Voglio vedere i tuoi capelli ondeggiare ai concerti. Voglio abbracciarti nel backstage. Perché ti voglio, Sasha.
Lei sbatté le lunghe ciglia e scosse la testa, allontanandosi da lui e tornando a dedicarsi al the. Lui rimase per un attimo immobile, prima di voltarsi verso di lei e pensare di nuovo che fosse troppo bella per quel mondo.
-Senti, non volevo offenderti. Non intendevo in quel senso. Era … mi dispiace.
-Non ti dispiacere.- lei si voltò e gli porse una tazza di the, con un sorriso mogio – Ho capito. È solo che … mi fa strano. Nessuno si era mai interessato a me così.
Denis prese la tazza e bevve un sorso di the, guardandola di sottecchi. Si chiese come mai quella ragazza meravigliosa fosse così sola nel suo dolore, come mai nessuno avesse mai pensato di soccorrerla. Di amarla come avrebbe meritato.
-Sei molto bella.- disse poi, candidamente.
-Anche tu sei molto bello.- rispose lei, e si sedette sul divano, quasi nervosamente, come se dovesse scappare da un momento all’altro. Scappare della vita.
-Facciamo i belli e dannati insieme.
Risero un pochino e lei pensò che quel “ti voglio, Sasha” era stata la cosa più stupenda che avesse mai sentito in vita sua. Anche lei lo voleva, disperatamente. Voleva il suo sorriso stupendo, la sua risata, la sua bellezza, voleva la sua sfacciataggine ma contemporaneamente la sua dolcezza un po’ da periferia, voleva la sua musica, voleva quel bacio sulla fronte e quelle cantate in moto. Lui le si sedette accanto e rimasero un pochino in silenzio, le ginocchia che si sfioravano e gli sguardi che si inseguivano.
Lei pensò a come sarebbe stato baciarlo. Anche lui stava pensando la stessa cosa. Eppure, nessuno dei due fece nulla, perché a loro bastava anche starsene semplicemente vicini, sentire il rispettivo calore corporeo.
-Scusa se prima sono stato inopportuno.- disse a un certo punto Denis, scostandosi il ciuffo dal viso.
Lui non chiedeva mai scusa, benchemeno a una ragazza.
-Non sei stato affatto inopportuno.- sussurrò lei, e in quel momento ebbe un disperato bisogno di stringerlo a sé, di sentirsi dire che sarebbe andato tutto bene, che c’era lui a difenderla dai mostri che la perseguitavano. – Possiamo essere amici, Denisoch’ka?
Lui le sorrise e si trattenne dal metterle quella ciocca fuggitiva dietro l’orecchio.
-Certo, Sashen’ka. Amici. Se mi prometti che mi lascerai lottare al tuo fianco.
-Lo farò, ma solo se tu mi prometti che lascerai che sia io a mettere un freno al tuo odio.
-Andata, bellezza.
E si sorrisero, con i loro sorrisi migliori, quelli luminosi, quelli liberi dalla tristezza, dalla rabbia, dai problemi, quei sorrisi sinceri e aperti che avevano quando erano bambini. Sembravano più giovani dei loro ventitre anni, in quel momento, coi visi luminosi e i sorrisi aperti.
Fu solo lo squillo del telefono di Denis a rovinare l’atmosfera di pace che si era instaurata nel piccolo appartamento. Lei lo guardò alzarsi e rispondere, cercando di origliare incuriosita la conversazione che sembrava prenderlo da morire. Lo vedeva sorridere, con gli occhi brillanti, era quasi estasiato, e lei si sentiva felice per lui. Un piccolo sorriso sorse anche sulle sue labbra quando lo sentì strillare di gioia e si chiese cosa potesse essere successo di così bello. Ma qualunque cosa fosse, sapeva che l’avrebbe resa felice: lui adesso era suo amico. Amico. Aveva dimenticato cosa volesse dire quella parola.
-Sasha! Sasha, non ci puoi credere!- urlò lui, lanciando il telefono sulla poltrona.
-Cos’è successo?
-Oddio, oddio, non ci credo, non ci credo.- lui cominciò a girare per la stanza, quasi in lacrime dalla gioia.
-Dai, non tenermi sulle spine, cos’è successo?- insistè lei, alzandosi a sua volta.
-Ci hanno chiamato per aprire il concerto dei Louna! Ti rendi conto?! Apriamo il concerto dei Louna!
-Denis, è stupendo!
-Ce l’abbiamo fatta, Sasha!
Lui l’abbracciò di slancio, prendendola in braccio e lei strillò, sentendosi pervasa da una felicità sconosciuta. Lo strinse, mentre lui la faceva girare per la stanza e tutto le sembrò così bello. Così perfetto. Così innaturalmente giusto stare tra le sue braccia e volteggiare con lui per la stanza. Così meraviglioso da non poterci davvero credere.
-Verrai con noi?- le chiese, con gli occhi luccicanti.
-Al concerto?
-Sì. Vieni nel backstage, ci aspetti lì, così poi ci godiamo il concerto dei Louna insieme. Ti prego, Sashen’ka, vieni.
Lei arrossì ma annuì, prendendogli una mano.
-Verrò e farò il tifo per te. E’ una cosa così bella, Denisoch’ka.
Lui l’abbracciò di nuovo e lei rise forte.
  
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