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Autore: Roberto Turati    06/07/2019    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Rexar accompagnò Acceber da Mei e Gaius i quali, per giunta, avevano finito per doversi allontanare molto dal bordo della gola a causa dei troppi ostacoli, raggiungendoli seguendo il loro odore. Mei era sollevata e imbarazzata allo stesso tempo per aver perso tempo a combattere con l’omone, mentre il tilacoleo aveva pensato da solo al salvataggio con più efficienza di una persona. Acceber, vedendola, balzò giù e salutò gaiamente, tornando alla sua solita allegria, ma poi si accorse di un minuscolo dettaglio: la faccia di “Cesare” era diversa. E quello non era affatto uno sconosciuto. La figlia di Drof provò un’ondata di confusione mista a odio da patriottismo alla vista dello straniero che per quasi tutta la durata del 6316 aveva invaso e sottomesso senza diritto mezza isola con la scusa di portare “ordine e civiltà”. L’aveva visto solo una volta, quando era venuto con una scorta armata al suo villaggio per negoziare con Yasnet, ma i lineamenti le erano rimasti impressi.

«Uno di voi due mi potrebbe spiegare perché lui è qui? Mi sono appena salvata da un assassinio e ora mi ritrovo anche il capo della Nuova Legione?! E perché proprio tu, che sei famosa per ciò che hai fatto per tutti noi contro di lui, gli stai accanto come se niente fosse, Regina delle Bestie?!»

Spinta da un’ondata di “patriottismo”, si lanciò su di lui e provò a colpirlo in faccia, ma lui fu più veloce e si scansò, facendole rischiare di capitombolare. Prima che si lanciasse ancora, Mei-Yin la trattenne afferrandole un braccio. Allora, terrorizzato, Gaius si toccò la faccia e si accorse solo allora di aver dimenticato di recuperare la maschera in lattice. Incredibilmente, anche Mei non l’aveva realizzato, e lei di solito si accorgeva infallibilmente di certi dettagli.

«Allora? Avete perso la voce?» chiese Acceber, ora più perplessa che arrabbiata.

«Lui è…» cominciò a spiegare Mei.

«No, aspetta, preferisco dirlo io: sapevo già che presto o tardi la verità sarebbe emersa» la fermò Nerva.

«Come vuoi»

«Dunque… ragazza, quando i miei amici hanno deciso di seguire quei quattro giovani sulla vostra isola, avevo paura di venire, perché sapevo che il perdono pubblico della tua gens era solo una formalità: per quello che vi stavo facendo, non potrei mai ricevere delle vere scuse»

Acceber annuì, con gli occhi stretti a fessura.

«Così Helena mi ha convinto dandomi una maschera da Gaio Giulio Cesare, una persona che fu molto importante nella storia della civiltà a cui appartenevo. E così eccomi qua, con una copertura che è durata poco. Odiami quanto vuoi, ma puoi fidarti di me: oggi non provo che vergogna per quello che pensavo e facevo fino a due anni fa, lo giuro e lo garantisco. Possa Plutone trascinarmi negli inferi se sto mentendo!»

La figlia di Drof sembrava cominciare a convincersi, anche pensando al fatto che il presunto “Cesare” fino ad allora le era sembrato un tipo a posto, ma esitava ancora…

«Ascolta, Acceber, tutto questo sarebbe inaccettabile anche per me, se fossi al tuo posto – le disse Mei – Anch’io lo odiavo e lo volevo morto, ma all’ultimo mi ha dimostrato che era davvero pentito. All’inizio non sopportavo l’idea, ma ora che ho vissuto al suo fianco per due anni, posso confermare che è sincero»

Acceber strinse i pugni, chiuse gli occhi e tirò un lungo sospiro… e poi annuì:

«D’accordo, d’accordo: farò finta che tu non sia un nemico di ARK e ci crederò solo perché lo dice anche la Regina delle Bestie in persona! Non ti denuncerò a nessuno e ti tratterò come prima… ma stammi lontano, o potrei pensare di alzare le mani o di mettere mano ad un coltello. O di svelare il tuo segreto al primo villaggio a cui andiamo»

«Me ne ricorderò. Ma, come ho detto, di me puoi fidarti»

«Vedremo» disse Acceber, indignata, prima di liberarsi dalla presa di Mei e avviarsi con aria altezzosa in direzione Nord, fiancheggiata da Rexar.

I due ex-nemici e colleghi di vigilanza si guardarono con disagio, poi si incamminarono. Mei, in uno dei suoi rarissimi momenti di sarcasmo, provò a consolarlo:

«Poteva andarti peggio: avrebbe potuto essere armata, oppure avrei potuto esserci io al suo posto»

«Mei-Yin-Li che scherza? Suppongo che anch’io dovrò lasciarmi andare più spesso, se la Regina Bestiarum concede»

Dopo una breve risata a denti stretti, si incamminarono a loro volta.

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«Dove devo sistemare questo?» chiese Jack, mostrando a Rockwell l’ultimo oggetto che era nel sacco, cioè un rudimentale miscroscopio di bambù intagliato.

«Mettilo subito lì sopra, poi vedrò io con calma» rispose distrattamente il medico, indicando il tavolo da lavoro improvvisato che aveva montato con scatole in TEK leggero vuote che aveva chiesto di prendere in prestito.

Jack obbedì, poi sospirò con soddisfazione.

«Ora – affermò Rockwell, andando a sbirciare da una delle due finestre arrotolabili della sua tenda – dobbiamo cercare di capire quando avremo delle occasioni per prendere un po’ di edmundio fluido da quel serbatoio…» guardava con avidità la cisterna del replicatore di TEK, troneggiante al centro della base.

«Oh, Gesù… capisco che vuole studiare quella cosa, ma… se ci scoprissero? Io ho ansia!»

«Te l’ho detto, è un rischio che merita di essere corso. Tu sei troppo timoroso, giovanotto! La fiducia in se stessi è importante, nella vita»

«Lo so, ma mi sento come se stessimo per ficcanasare in qualcosa di troppo grosso per noi, non so come spiegarlo…»

«In che senso?»

«Insomma… una sostanza usata a più di cento anni nel futuro e che è mezza illegale anche per loro, che lo usano sempre? Ci dev’essere un motivo…»

«Il motivo è che credono che io sia troppo retrogrado per capire la loro tecnologia! – tuonò Edmund – Ma gliela farò vedere! Immagino già i loro sguardi attoniti quando rivelerò di aver scoperto tutto…»

«Da dove viene fuori, questa?»

«Dal fatto che so interpretare quello che mi si dice»

«Magari ci hanno proibito di chiedere altro perché sanno che c’è qualcosa di pericoloso con quel liquido e non vogliono che ci accada qualcosa! Dopo la responsabiltà ricadrebbe su di loro, chiunque siano le persone a cui obbediscono»

«Forse è così. E noi scopriremo cosa c’è di pericoloso nelle proprietà della forma liquida di quello straordinario metallo!»

Jack, capendo che non sarebbe mai riuscito a dissuadere Rockwell, iniziò a sudare freddo, quando sentì il suo cellulare (che aveva incredibilmente ancora batteria) vibrò. Lo prese, lesse e trovò un messaggio di Sam.

SAM
Ehi, secchione! Come va col gentiluomo inglese? Guarda cos’abbiamo scoperto noi!

Subito dopo, arrivò una foto del grande seminterrato sotto le rovine dell’Allics, più una foto di Machu Picchu. Perplesso, Jack avviò una telefonata e, dopo aver salutato tutti, si fece raccontare tutto.

«Come? Ma è pazzesco! Chi erano questi Pre-Arkiani?»

«Che ne so? Mi sa che lo scopriremo se cerchiamo il nostro Tesoro»

Poco dopo, sentì la voce di Helena che gli chiedeva di mettere il vivavoce per permetterle di spiegare a Rocwell e lui lo fece. Richiamò quindi l’attenzione di Edmund, che era tornato alla finestra, e mise il vivavoce. Il farmacista ascoltò il racconto di Helena con aria assorta. Alla fine, cominciò a mormorare:

«Fenomenale… incredibile… prima l’edmundio, ora questo…»

«Pronto? Edmund? Va tutto bene, lì?»

«Oh, il dottor Rockwell sta bene, sta cercando di assimilare le scoperte» spiegò Jack, che trattenne a stento una risata: quella scena faceva troppo ridere.

«Capisco, è quello che è successo anche a me! Non… cos’è quel… oddio!»

Dall’altro capo del telefono si sentì uno stridìo assordante, poi grida e la voce di Sam che bestemmiava, poi la linea cadde. Jack rimase agghiacciato.

«Pronto? Pronto?! Ragazzi!» gridò, preoccupato.

«Non credo che possano risponderti» sospirò retoricamente Rockwell.

«Oh, dannazione! E se fossero…»

«Non andare subito sul tragico! Siamo tutti sopravvissuti a qualunque cosa l’isola ci abbia messo di fronte, finora, persino noi due da soli. Perché i tuoi amici e una ragazza conscia del fatto suo come Helena Walker dovrebbero soccombere a qualcosa che noi non abbiamo potuto distinguere perché l’abbiamo solo sentito?»

«Ha ragione, dovrei fidarmi di più»

«Ora, comunque, dicevo: se c’è un periodo particolare in cui assolutamente nessuno può vedermi avvicinarmi a quel serbatoio, forse avremo una possibilità di…»

In quel momento, nella tenda entrò la giovane soldatessa coi capelli verdi e i due balzarono, Jack dallo spavento e Rockwell perché terrorizzato dall’idea che qualcuno avesse potuto sentirlo cospirare sull’Elemento liquido. La ragazza aveva un braccio ingessato, adesso.

«Ciao, simpaticoni dal secolo scorso!» esordì lei, senza entrare del tutto nella tenda e con un sorriso a metà strada fra l’imbarazzato e il sornione.

«Ehm… ciao» rispose Jack, arrossendo.

«Non vorrei rimproverarti, giovinetta, ma è molto più cortese avvisare e chiedere il permesso di entrare, prima di aprire una porta o una tenda!» contestò Rockwell, lievemente irritato.

«Mi scusi, ha ragione – si scusò lei, imbarazzandosi a sua volta – Il fatto è che vi ho preso in simpatia quella sera nella mensa, così adesso ho voluto approfittare del mio periodo di infermità per farvi vedere qualcos’altro su di noi!» disse.

Sia Jack che Rockwell, per i rispettivi motivi, accettarono di buon grado. Allora lei entrò e, dopo essersi frugata in tasca, porse loro quattro inalatori d’Elemento, simili a quelli per gli attacchi d’asma.

«Cos’è?» chiese Rockwell, incuriosito e prendendoli.

Se li rigirò tra le mani in cerca di scritte o simili, ma non ne trovò.

«Niente di meno che la prima droga legale della Storia» esclamò lei, divertita.

«Come?» domandarono entrambi, stupiti.

«La Terra sarà anche invivibile, ma vi ricordo che le città sono ancora protette e sicure: c’è tutto il necessario per progredire ancora nei campi secondari, come drogarsi. Questo ha un nome lunghissimo che è "neurofarmaco stupefacente per apoteosi psichica", o NFSAP, ma tutti preferiscono chiamarlo in un modo molto più divertente: sballa-mente!»

«Interessante… un allucinogeno legale… un’altra meraviglia che il contatto con la società del futuro mi ha donato!» esclamò Rockwell, quasi commosso.

«E quindi… cosa fa?» chiese Jack.

«Quello che facevano gli acidi: provoca viaggi mentali. Solo che questo non ti fa diventare dipentente e non ha effetti collaterali. Quindi può essere benissimo comprato e usato senza rischi. Anzi, gli strizzacervelli lo usano per capire cos’hanno i depressi che non va! Alla fine, il paziente prova una sensazione meravigliosa di autoconsapevolezza inconscia che chiamiamo “apoteosi psichica”»

«Oh, un nome così altisonante non può che creare una certa aspettativa! Be’, grazie tante, giovinetta!» ringraziò Rockwell.

«Chiamatemi Sarah. Ciao!» e se ne andò.

«Allora, giovanotto…vuoi provare tu questo psico-farmaco? Io vorrei osservare gli effetti da un punto di vista esterno» suggerì Rockwell, dandogli uno degli inalatori.

Jack, non trovando il coraggio di rifiutare, prese e si fece coraggio. Si mise la bocchetta di fronte alla bocca e spruzzò l’aerosol all’interno, inspirando con forza… e tutto quello che lo circondava scomparve.

Il mondo si dissolse liquefacendosi e spargendosi ovunque, come delle tempere sommerse da un getto d’acqua. La tenda, gli oggetti, Rockwell… persino lui stesso si sciolse ed espanse in giro. Poi fu il buio… Jack si ritrovò in una stanza male illuminata che sembrava una vecchia rimessa degli attrezzi, polverosa e fatiscente.

«Dove sono?» chiese ad alta voce, sconvolto.

«Fa’ silenzio ed osserva il progresso!» gli rispose la voce di Rockwell, tonante.

Jack si voltò e vide Edmund davanti ad un tavolo di legno semi-distrutto. Sul tavolo c’erano quattro piante in vaso e il farmacista le stava annaffiando…Con uno strano liquido viola. Come le pianticelle assorbirono il fluido, iniziarono a contorcersi e ad avvitarsi, poi il groviglio di rami prese delle forme e dei colori definiti… e diventarono le teste di Jack, Laura, Sam e Chloe.

«Ah!» esclamò Jack.

«Incredibile, vero?» gli chiese Rockwell, con orgoglio.

Ma le piante si attorcigliarono di nuovo e presero un’altra forma, quella della testa di un mostruoso uccello simile ad una gallina con la cresta di un dilofosauro e le zanne di un serpente. Il ragazzo gridò dal terrore, ma gli sembrò che la voce gli uscisse a fatica dalla gola e l'eco durò per sempre, almeno per come la udì. 

La catapecchia crollò su se stessa nel momento in cui le teste di uccello strillarono e Jack si ritrovò ancora da solo. Era in uno spazio nero, infinito e senza gravità, dove centinaia di animali preistorici fra tutte le specie di ARK fluttuavano con lui, senza muoversi né guardarsi intorno: respiravano e basta. Jack era angosciato o, meglio, avrebbe dovuto essere angosciato; invece si sentiva rilassato e sereno, come se si stesse godendo una vacanza al mare dopo mesi di lavoro. Per curiosità, toccò un moscope, un goffo lucertolone paleozoico, e si sentì risucchiato da una forza invisibile, come una calamita. Poi cadde a peso morto per dieci secondi e… si ritrovò negli uffici dove lavorava come tecnico informatico. Tutti gli impiegati sfogliavano documenti e svolgevano pratiche al computer, ignorandolo. In fondo al corridoio, vide il suo capo discutere con un uomo in giacca e cravatta. No, un momento… non era una persona: era un gigantopiteco coi vestiti! Improvvisamente, il soffitto fu sfondato e un velociraptor vestito da Robin Hood e armato di arco irruppe. Puntò l’arco verso Jack e scoccò una freccia. Il ragazzo trattenne il fiato, pronto per il dolore… ma la freccia non gli fece male, quando raggiunse il suo torace. Guardò meglio e si accorse che la freccia aveva una ventosa al posto della punta e che l’altra estremità era itagliata a forma di cuore. Guardò ancora il velociraptor/Robin Hood e notò che gli erano spuntate delle ali da angelo e che in realtà la sua testa era una maschera... dietro la quale c’era Laura.

«Laura?! Ma che diamine...» chiese Jack, incredulo.

«Dovresti saperlo, Jack. Io non lo so, ma tu l’hai sempre saputo, guardandomi» fu la risposta.

Tutti i presenti applaudirono. Il gigantopiteco rivelò di essere un costume a sua volta e sotto c’era Sam, che gli strizzò l’occhio. La segretaria che in quel momento stava facendo delle fotocopie, invece, era Chloe.

«Io non capisco!» gridò blandamente Jack.

Improvvisamente, gli venne sonno. Chiuse gli occhi e… tutto tornò alla normalità.

Non si era mosso di un centimetro: la tenda, Rockwell, ARK… tutto invariato.

«Oh! Che mi è successo?» chiese Jack, ancora preso da quel senso di beatitudine che Sarah aveva chiamato “apoteosi psichica”.

«Ti sei addormentato in piedi, ragazzo!» esclamò Edmund.

«Io… ho visto di tutto! Noi due, le creature, il mio posto di lavoro… e ho anche scoperto che forse ho un’attrazione inconscia per Laura! È… è… non so come prenderla!»

«Be’, sei eccitato sessualmente da lei ma non te ne sei mai accorto. Oppure hai represso il sentimento tanti anni fa, fino a dimenticartene. È frequente nella post-adolescenza, sai?»

«Lo so, ma mi ha colto alla sprovvista! E poi chi ha mai detto che me la voglio sco... no, non in quel... bah, ma insomma! Non lo sapevo neanche, giuro!»

«Comunque sia, questa sostanza è un vero portento! Posso solo immaginare cosa possa mai nascondere l’edmundio fluido…»

“Ci risiamo…” pensò Jack, sconsolato.

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Parte della squadra di cattura dell’URE, appostata su un ripiano del monte Iddirac da ormai più di due ore, osservava le registrazioni dei vari droni che avevano mandato in giro per la zona delle due montagne gemelle alla ricerca di specie selvatiche. Mentre Santiago e gli altri si accertavano che tutto procedesse senza imprevisti tecnici, Diana restava in contatto radio con gli altri soldati, mandati nelle zone d’interesse a gruppi di due per prendere gli eventuali bersagli individuati.

«Guppo due, qui il tenente Altaras. Come procede con lo smilodonte?» stava chiedendo in quel momento.

«Cattura svolta con successo: bersaglio neutralizzato e sedato, aspettiamo l’autorizzazione a procedere al teletrasporto»

«L’avete, potete andare – rispose – Claudia, cancella lo smilodonte dall’elenco»

«Subito» le rispose la soldatessa seduta accanto a Santiago.

«Tenente, abbiamo contatto visivo con un brontosauro in uno specchio d’acqua. Potremmo provare un dirottamento verso una trappola, conferma?» le chiesero quelli del gruppo sette.

«Uhm… non mi dispiacerebbe, ma no: aspettiamo di organizzare una missione apposita per i sauropodi. Ricordate l’ultimo tentativo, col diplodoco?»

«Ma…»

«Non cambierò idea questa volta, mi spiace. Sapete anche voi che casino è, tra piazzare un muro d’energia contro cui farli andare a sbattere e colpirli finché si addormentano! Se per un diplodoco c’è voluta un’ora e abbiamo avuto tre feriti, pensate a qualcosa di ancora più grosso!» fu la replica.

«D’accordo, capiamo»

«Ehi, tenente, guarda qua: c’è un argentavis vicino alla nostra postazione – la chiamò Santiago – Dalla telecamera del drone che lo sta riprendendo si vede anche il nostro gruppo… ed infatti eccolo lassù!»

«Ora l’ho visto. Quindi? Abbiamo già preso degli argentavis»

«Lo so, il punto è un altro… l’ho visto un quarto d’ora fa e non si è mai allontanato da questa zona. Così mi è venuto un sospetto… e se stesse guardando noi?»

Diana inarcò le sopracciglia:

«Sai, ha senso, ma… perché? Pensi davvero che voglia attaccarci?»

«È un animale ed è carnivoro, tutto è possibile!» disse l’altra soldatessa.

«Ma non ricordi le istruzioni sulla fauna arkiana? Gli argentavis sono saprofagi, quindi non ci dovrebbe att…»

Quasi come se l’avesse sentita e volesse smentirla, il rapace smise bruscamente di fare i suoi lenti giri in cerchio e scese in picchiata… proprio su di lei. Per gli altri due presenti fu un istante: prima Diana c’era, poi era passato un bolide nero e piumato, infine lei non c’era più.

«Oh! Porca vacca, l’ha afferrata!» esclamò Santiago, sconvolto.

Subito, lui e la soldatessa presero i fucili e provarono a mirare, ma capirono subito che non avrebbero potuto fare tanto, perché il rischio di colpire Diana coi proiettili al plasma era troppo alto ed era assolutamente meglio evitare. Si trattava dell’Ala di Sangue, un leggendario esemplare di argentavis unico in tutta la sua specie, che da anni terrorizzava le Aquile Rosse sulle due montagne gemelle. Diversamente da ogni suo simile, l’Ala di Sangue era golosa di carne umana e attaccava le persone a vista, invece di intimidirle se invadevano il suo territorio, com’era normale tra gli argentavis. In più, era attratta dalla lucentezza, come le gazze ladre. Quindi, vedendo Diana e vedendo la sua armatura in Elemento, non aveva saputo resistere, anche perché aveva appena fallito nell’inseguire quattro bersagli che erano i ragazzi ed Helena. Era il suo verso, quello che Jack e Rockwell avevano sentito durante la telefonata. Diana era ancora senza fiato per l’urto e per lo spavento: all’improvviso, si era ritrovata nella zampa di un’aquila-avvoltoio gigante!

Non aveva il casco, era appeso alla sua cintura, per cui le toccava stringere gli occhi, perché l’aria che le sferzava il viso era fortissima. Cercando di non farsi prendere dal panico, tirò il braccio destro verso l’alto per liberarlo dalla stretta dell’artiglio dell’argentavis. Si fermò un istante a ringraziare la sua armatura in TEK per aver attutito l’impatto: la zampa del rapace le avrebbe frantumato le ossa se non l’avesse avuta. A quel punto, premette il pulsante che attivava il propulsore schienale. Come sperava che succedesse, il calore della fiammata costrinse l’uccello a mollare la presa e lei fu libera. Le ci vollero dei secondi per stabilizzare il volo, ma alla fine acquisì il controllo dell’armatura. Prese subito il casco e lo indossò, attivando anche la visione termica. L’Ala di Sangue, dopo un secondo di sbandamento in aria, si voltò verso di lei e stridé di rabbia, poi cominciò a vorticare intorno a Diana, in attesa di una buona occasione per attaccare.

“È ora della rivincita, gallina di merda!” pensò Diana, accelerando col propulsore.

Si proiettò verso il bersaglio tenendo un pugno avanti come Superman, contando di dare un colpo potentissimo grazie alla carica. Ma l’argentavis aveva dei riflessi più pronti di quanto pensasse: poco prima che Diana lo investisse, appiattì le ali contro i fianchi e la schivò con una breve picchiata, per poi tornare ai lenti giri in tondo di prima. Colta alla sprovvista, Diana schizzò in avanti per una decina di metri per inerzia, prima di riuscire a fermarsi. Nel frattempo, tutti i soldati dell’URE in missione avevano interrotto la battuta di caccia per osservare, come ipnotizzati, il combattimento dalla telecamera nel casco di Diana, visto che ogni elmo ne aveva una e che erano tutte connesse. L’Ala di Sangue tentò un attacco, ma questa volta fu Diana a schivare, e approfittò dei loro ruoli rovesciati per lanciarsi in un’altra carica, che questa volta non poté fallire: investì in pieno il rapace e, avvinghiati l’una all’altro, iniziarono a scendere verso il pendio roccioso del monte in una spirale caotica. Diana tirò un pugno sulla testa dell’argentavis e lo lasciò molto stordito. Peccato che non avesse accumulato energia potenziale, prima, altrimenti gliel’avrebbe letteralmente spappolato. A questo punto, scorgendo la roccia sempre più vicina, Diana mollò e osservò l’Ala di Sangue scendere. L’uccello riuscì a rallentare la sua caduta un secondo prima dello schianto e rotolò per un po’, prima di riuscire ad alzarsi sulle zampe: era intontito e ammaccato, penne e piume vorticavano ovunque. L’argentavis alzò il becco verso la sua avversaria che, immobile nell’aria, incrociò le braccia in attesa di vedere cos’avrebbe scelto di fare la bestia. Il rapace fece la cosa più sensata: arrendersi e volare via.

«E ringrazia che ci sia andata piano, stronzo!» gli gridò Diana.

Tutti i suoi commilitoni cominciarono ad esultare e a complimentarsi con lei, il che la fece sentire fiera di sé come non era mai stata sul lavoro.

 
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Dopo essere stati attaccati dall’Ala di Sangue, i ragazzi ed Helena avevano corso di nuovo giù dal pendio per forza di cose ed erano caduti in un lago che riempiva una conca su un ripiano, alimentato da una cascata che usciva da un buco nella roccia. I velociraptor, agitati, raggiunsero in fretta e furia la riva e cominciarono a camminare avanti e indietro, in preda al nervosismo. Dopo essersi ripresi dallo spavento e fermatisi a riposare vedendo che quel dannato uccello non li inseguiva più, avevano sentito altri dei suoi stridii e rumori di motori. Guardando in alto, si erano accorti dello scontro aereo fra Diana e l’argentavis e l’avevano osservato dall’inizio alla fine, ammirati. A quel punto sentirono delle voci familiari chiamarli e si voltarono: Mei e Nerva erano tornati e avevano recuperato Acceber. I ragazzi corsero dalla figlia di Drof:

«Ehilà! Bello riaverti!» esclamò Chloe, sorridendo.

«Grazie!»

«Cos’è successo? Tuo fratello… quel Gnul-Iat?» chiese Laura, seria.

«Eh, già. Lui e il socio che si è trovato a caso pensavano di farmi calpestare da una mandria impazzita in una gola!»

«Uao, è come ne Il Re Leone, con te a fare Simba! Spero non ci sia stato nessun Mufasa» Sam non poté resistere alla tentazione di fare quella battuta.

«Sam, sai che non può capire una parola di quello che hai detto, vero?» gli ricordò Chloe, con tanto di gomitata.

«Certo! È solo che volevo fare questa battuta»

«Quindi loro due ti hanno salvato? E… hai scoperto l’identità di Nerva, giusto?» chiese allora Laura, mai in vena di alleggerire l’atmosfera con un minimo di spiritosità.

«Mi ha salvato Rexar, in realtà. Loro mi hanno raccontato di aver sfidato l’aiutante di Gnul e… sì, ho scoperto chi è veramente il “vecchio Cesare”. Volevo spaccargli il naso e anche l’osso sacro, ma mi sono trattenuta perché voglio mantenere un po’ di decenza»

«Fidati, ti capisco: se fossi arkiana e fossi passata da quello da cui siete passati voi due anni fa, verrebbe da fare così anche a me, anche se sono così timida» rispose Laura, giusto per assecondare le sue emozioni.

Intanto, Helena aveva raccontato tutto l'accaduto a Mei e Gaius, dopo aver ascoltato la storia di come aveva perso la maschera ed essersi sbattuta un palmo in faccia. Entrambi rimasero stupefatti da quella rivelazione sulla vera natura dei Pre-Arkiani.

«Sospettavo che quei manufatti avessero qualcosa in più del potere di rompere il muro!» esclamò il Romano, ricordando a come si era improvvisamente interessato agli artefatti alla fine del suo “dominio” su ARK di due anni prima.

«Come pensi che siano riusciti a creare tutto ciò così tanto tempo fa?» le chiese Mei che, fatto straordinario, si stava interessando all’argomento “misteri pazzeschi di ARK”.

«Non posso saperlo, voglio comunque arrivare prima a capire cos’è il Tesoro. Magari sarà proprio quello a spiegare cosa c’è dietro questo… teletrasporto primitivo» teorizzò Helena.

«Allora, adesso dobbiamo ancora andare a quel villaggio sulla montagna?» chiese Nerva.

«Sì, per il prossimo manufatto: il programma non è cambiato, a meno che non ci siano dei casini» spiegò la biologa.

E si voltarono a guardare il cielo, dove la sommità della montagna penetrava la coltre di nuvole scure che si era appena formata. Forse, di lì a poco, avrebbe piovuto.
 
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Dopo aver seguito le tracce dei loro bersagli, Mike e Doris erano arrivati alle rovine che portavano a Machu Picchu e li avevano osservati aprire la botola nel terreno, entrarci e poi uscirne per richiuderla. Emozionato perché aveva finalmente scoperto cosa fare con quei piedistalli, Mike era corso a premere il tasto segreto nella nicchia e, pregustando le scoperte, andò a guardare la botola riaprirsi.

«Ci siamo, Doris! Un punto di svolta! Pronta a diventare ricca e famosa?»

«Tecnicamente, l’attuale fase non è quella che ci può condurre a successo e ricchezza»

«Oh, quanto sei inquadrata! Ogni tanto è bello sognare, guardare in avanti!»

«Ti devo ricordare che ciò è possibile solo per un encefalo organico e malleabile come il tuo e quello di ogni altro organismo pluricellulare»

«Sì sì, quello che è. Andiamo a vedere!»

Corse dentro, seguito da Doris che, invece di fluttuare, camminava con le zampe di ragno. Videro tutti i simboli e il mappamondo olografico e la porta.

«Ehm… che significa tutto questo?» chiese Mike, confuso.

Doris, per trovare la risposta, scansionò l’ambiente e fece un calcolo algoritmico di ogni potenziale meccanica di quella camera. E concluse a sua volta che doveva essere girata la serratura accanto al portone. Lo fece e nell’arco apparve l’immagine di Machu Picchu. Mike spalancò la bocca e fece la bella statuina. Doris spiegò di aver capito di cosa si trattava e, a sentire ciò, il ladro di strada le ordinò subito di aspettarlo lì e si fiondò al sito Inca, perché voleva sperimentare coi suoi occhi il teletrasporto. Il creatore di DOR-15 non gli mentiva affatto, quando gli aveva promesso che ARK gli avrebbe portato la gloria. Mike stette via per un quarto d’ora. Doris, preoccupata, stava decidendo di andare a cercarlo e accertarsi che fosse tutto a posto, quando il suo proprietario si rifiondò dentro, ancora più estasiato di prima:

«Doris, oggi è il nostro giorno fortunato!»

«Per quale motivo?»

«Perché… ho trovato qualcuno che ci aiuterà a dimostrare al mondo che diciamo la verità! Ehi, voi, venite! L’isola dei dinosauri e delle meraviglie archeologiche aspetta solo voi… e le vostre telecamere!»

Quindi, dal portale apparvero tre persone che formavano una sgangherata troupe televisiva. Erano una donna in impermeabile, coi capelli biondi e gli occhiali, che osservava la camera segreta pre-arkiana con una gioiosa espressione spiritata, un giovane barbuto coi capelli rossi leggermente in sovrappeso che reggeva un microfono e un tipo alto e smilzo, anch’egli con gli occhiali, che filmava tutto. Mike raccontò a Doris che erano tre criptozoologi che aveva appena incontrato a caso a Machu Picchu, mentre loro provavano a trovare e a documentare prove della presenza di fossili nei siti archeologici delle civiltà antiche, famose o misconosciute. Lui aveva approfittato dei loro progetti per avvicinarli con la promessa di portarli in un posto che avrebbe confermato tutte le loro teorie e che avrebbe reso sia loro che lui famosissimi, grazie alle prove e al “talento nella recitazione” che Mike affermò di avere con aria pomposa e sicura di sé.

«Incredibile… i dinosauri esistono ancora! E stavano con persone antiche più avanzate di tutti noi! Stai registrando, Phil? Il microfono è acceso, Allan?» chiese Vicky, la documentarista bionda.

I suoi due colleghi annuirono, in estasi a loro volta. DOR-15 si ritrovò, per una volta più unica che rara, ad approvare i piani improvvisati e fantasiosi di Mike. Che fosse davvero l’inizio della loro scalata per il successo? O solo un’illusione in un incubo destinato a finire male?
   
 
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