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Autore: Ghostclimber    08/07/2019    4 recensioni
Becca era sempre stata una bambina un po' mattacchiona.
Nonostante sia stata costretta ad indossare un bellissimo vestitino rosa, Becca è ancora il pirata più crudele dei Sette Mari.
Ma, alla fine, chi vincerà? Il pirata o il vestitino?
Genere: Commedia, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Ciao a tutti!
Rieccomi con un altro capitolo.
Grazie a tutti voi che leggete e soprattutto ad alessanroago_94, Jonghyun88 e Ste_exLagu, che mi hanno regalato minuti della loro vita per esprimermi le loro opinioni su questa storia.
XOXO





-Cosa vuoi? Cosa vuoi ancora?- chiese Becca, disperata, al proprio riflesso che si deformava nello specchio a figura intera, ancora un po' appannato dalla doccia.

Nel tentativo di riprendere in mano le fila della propria vita, si era messa a fare attività fisica agonistica; grazie a quella e ad una dieta mirata, aveva perso quindici chili e aveva scolpito quel che restava del suo corpo in una sagoma sinuosa e muscolosa.

Ma ogni volta che guardava nello specchio, ecco rispuntare la pancia molle, il seno enorme, le cosce grosse, il doppio mento, le spalle cadenti.

Si prese i seni tra le mani, sollevandoli a mostrare l'ombra delle costole sottostanti, cercò le linee degli addominali e le trovò, la curva delle ossa delle anche, i quadricipiti ben in evidenza. Si mise di profilo, inarcando la schiena all'indietro, e fissò l'attenzione sulle natiche quasi prive di cellulite, sull'assenza di maniglie, sulla convessità del ventre che rientrava appena sotto le ultime costole. Sollevò il viso, e la linea del mento era dritta, i muscoli del collo tesi.

Ma il suo sguardo pareva cogliere quei particolari solo nel momento in cui ci si soffermava: non appena passava oltre, ecco riapparire strati e strati di grasso che soffocavano i muscoli e le ossa.

Trattenne il desiderio di spaccare lo specchio con un pugno, cercando di ripetersi che sarebbe stato stupido visto che era a piedi nudi e le ciabatte erano in un'altra stanza.

Trattenne anche le lacrime.

Aveva lavorato un anno, senza requie, per ottenere quel corpo, ancora non perfetto ma ormai più che dignitoso, eppure le capitava spesso di guardarsi e di avere la forte impressione che non fosse cambiato nulla, anche se i vestiti nell'armadio e la bilancia dicevano tutt'altro.

Dismorfofobia, credeva si chiamasse.

Dismorfofobia, e anni di bullismo subito a scuola: sulla soglia dei trent'anni, ancora rispondeva ai complimenti con sorrisi di circostanza, e riusciva a credere veramente solo a Johnny, che dopo dieci anni di relazione ancora la trovava sexy, e dopo lo smaltimento di quei chili di troppo spesso non le resisteva.

Ogni volta che qualcuno le diceva che era bella, che era in forma, che stava bene vestita in una data maniera, Becca sorrideva, ringraziava come il galateo comandava, e poi si allontanava con la schiena contratta e le orecchie tese a cogliere qualunque commento che confermasse la sua ipotesi: che il complimento appena fatto altro non era che un modo per attirare l'attenzione di una terza persona, con cui poter malignare sull'aspetto fisico oggettivamente strano o deforme di Becca.

Solo con le mani di Johnny a percorrere le sue curve, a cingerle la vita mentre facevano l'amore, e con le sue labbra sul collo, e con il suo respiro affannoso nei capelli, Becca riusciva a sentirsi davvero bella. Ma durava solo fino all'orgasmo.

Adottò una tecnica di auto-affermazione suggerita da un'amica: si sistemò le sopracciglia, eliminò tutti i peli superflui che riusciva a raggiungere, si diede una mano di smalto, mise un completo intimo carino e aprì l'armadio in cerca di un bell'abito.

Ne trovò cinque, e dopo averli provati li scartò sistematicamente uno ad uno.

Le stavano bene, doveva riconoscerlo, eppure si sentiva strana ad indossarli: era bella, ora, nel riflesso, ma non una bella ragazza. Una bella drag queen.

Nonostante i capelli lunghi, il velo di mascara, il rossetto, le forme chiaramente femminili, a Becca sembrava di essere un uomo che per sbaglio o per divertimento avesse deciso di indossare i vestiti della fidanzata o della sorella.

Ritirò i vestiti, reprimendo un irrazionale senso di colpa, come se stesse nascondendo le prove di qualche crimine orrendo, sostituì la scomoda brasiliana di pizzo con un paio di slip di cotone e il reggiseno a balconcino con un top sportivo, avendo cura che le bretelle incrociate non le solcassero i trapezi, già tesi e induriti per il nervosismo.

Pescò un paio di jeans da arrampicata, larghi anche se sagomati per avere una forma più accattivante, simile un po' ai vecchi bootcut che andavano di moda una quindicina di anni prima, e se li abbottonò senza sforzo: anche quelli stavano diventando decisamente troppo spaziosi per il suo corpo in rapida diminuzione di dimensioni.

Aprì un cassetto e scelse una maglietta dei Mötorhead, con il teschio meccanico simbolo del gruppo sul davanti e la lista di una tournée a cui Becca non aveva partecipato sulla schiena.

Si struccò, cancellando le tracce colorate dell'ombretto e riportando le labbra al loro naturale rosa, si sciacquò il viso e optò per un semplice velo di crema viso coprente e giusto un tocco di mascara.

Si ravviò i capelli con le dita, smontando la perfetta stiratura che le aveva fatto perdere un buon quarto d'ora farcito di minacce, grugniti e parolacce, e li raccolse in una treccia morbida, infine trovò il coraggio di alzare gli occhi verso il tanto temuto specchio.

Le ricambiò lo sguardo una creatura androgina, il seno appena intuibile sotto la maglia larga e pressato dal reggiseno sportivo, i fianchi nascosti dalla tela spessa del jeans, qualche ciocca di capelli che scendeva ribelle a circondarle il viso che poteva quasi definirsi “acqua e sapone”.

Becca rivolse a se stessa un sorriso sornione, lo stesso che si scambiava con gli amici in palestra dopo qualche battuta sconcia, e questa volta il grasso non tornò.

Indossò le scarpe da basket con l'immancabile logo di Michael Jordan, si gettò sulle spalle uno zainetto e uscì di casa.

   
 
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