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Autore: Roberto Turati    08/07/2019    1 recensioni
Laura, Sam, Chloe e Jack sono quattro neo-laureati di Sidney che, dopo aver trovato un libro segreto firmato Charles Darwin che parla di ARK, un'isola preistorica abitata da creature ritenute estinte da milioni di anni, da un intrigante popolo, protetta da una barriera che altera lo spazio-tempo e che nasconde un "Tesoro" eccezionalmente importante, decidono di scoprire di più... andando su ARK. Ma le minacce sono tante, siccome l'arcipelago arkiano non è certo il più accogliente dei posti... però, per loro fortuna, non saranno soli nell'impresa. Fra creature preistoriche, mostri surreali, nemici che tenteranno di fermarli o di ucciderli per diversi motivi, rovine antiche, incontri da ogni luogo, da ogni epoca e da altri universi e gli indizi sul misterioso passato dimenticato di ARK, riusciranno a venire a capo di un luogo tanto surreale?
 
ATTENZIONE: oggi, il 30/06/2021, è iniziato un rifacimento radicale della storia usando l'esperienza che ho fatto con gli anni e la nuova mappa di ARK usata per l'isola del mio AU. Il contenuto della storia sta per cambiare in modo notevole.
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Dopo essersi svegliato tutto intontito, Sotark aveva trovato Gnul seduto a gambe incrociate di fronte a lui, furioso. Gli fu rivelato che erano passate sei ore e che, nel frattempo, a Gnul era toccato depistare suo padre e suo zio prima di poter tornare a recuperarlo.

«Fammi capire… tu avevi più di dieci bestie ad aiutarti e loro erano soli con due velociraptor, eppure sei riuscito a farti addormentare come un’idiota?» il suo sarcasmo pungente era stato completamente sostituito dalla rabbia, per il fallimento del suo omicidio più atteso.

«Scusa, ma era pur sempre uno spazio strettissimo, le bestie potevano fare poco. Alcune sono cadute!»

«Allora sei scemo due volte! – prese il coltello e, andato da lui, premette la punta contro la sua gola – Sai qual è l’unico dettaglio che mi fa passare la voglia di legarti ad una roccia e lasciarti agli animali selvatici?»

«No»

«Il fatto che fossero la Regina delle Bestie… e pure il capo della Nuova Legione! Le uniche candidate vittime che ho dovuto togliere dalla lista perché erano sparite. Ma ora sono tornati, e grazie a te che hai fallito ho di nuovo l’occasione di eliminarli! Dopo Acceber, ovviamente» quindi, si limitò a fare una lieve incisione sulla gola di Sotark, che se la strofinò infastidito.

«Non bastavano gli assassinii a caso, adesso dobbiamo anche fare i pagliacci…» protestò.

«Ehi! Ti stai forse lamentando?»

«Sì, perché la stiamo tirando troppo per le…»

Gnul lo interruppe tirandogli un pugno sul naso.

«Decido io cosa si fa! Puoi fare come ti dico, morire o tornare alla tua patetica vita socia… ops, dimenticavo che non hai più una vita sociale! Le scelte diminuiscono, socio…»

«Sai che sei un bastardo?»

«Me lo dicono in tanti, ma ogni volta muoiono. Chissà perché...»

«Va bene, va bene, resto ancora dalla tua parte per non so quanto. Cosa facciamo adesso?»

«Secondo te? Riprendiamo la caccia, sperando che non ci voglia troppo… o che quei due dannati seccatori non si facciano vivi troppo spesso»

«Pensi che li vedremo molte volte?»

«Ne sono certo: mio padre caccia molto bene, me lo ricordo dall’infanzia»

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Drof e Odranreb, dopo aver perso Gnul, avevano raggiunto il contingente del cugino di Drof e ora, stando entrambi sulla sella di Anitteb, guidavano le bestie verso uno spiazzo in cui poter allestire un accampamento. Odranreb bevve da una borraccia e la porse al cugino, che però rifiutò sconsolato.

«Non disperarti, Drof! È andata male, ma come non è morto lui non siamo morti noi! Lo ritroveremo, vedrai che la prossima volta saremo avvantaggiati»

«Non ne sono sicuro… combatte meglio del previsto, anche senza bestie… se non riesco a proteggere Acceber da quell’essere, non me lo perdonerei mai!»

«Drof, sei un padre, è normale che ti senta così. Ma non devi dare per scontato che quella ragazza sia spacciata appena lo vede! Dev’essere senz’altro in grado di cavarsela, no? Lo siamo tutti, su ARK!»

«Ah, hai ragione: la sottovaluto. Sei davvero d’aiuto, Odranreb! Adesso, però, torniamo alla ricerca di quel mostro…»

«Ah, volentieri! Questa volta, farò sparpagliare le bestie, mentre noi restiamo con Anitteb. Così lo troveremo molto prima!»

«Dipende da quanto sarà bravo a nascondersi e a difendersi»

«Andiamo, cuginastro! Nessuno è invincibile, neanche tuo figlio!»

Odranreb si fece dare un vecchio bracciale di spago che era appartenuto a Gnul-Iat quando aveva cinque anni, l’unico ricordo di lui di cui Drof non aveva voluto liberarsi. Scese dalla femmina di giganotosauro e lo avvicinò al naso di ognuno dei suoi animali, poi diede loro l’ordine di cercare. Gli animali urlarono e sparirono nella vegetazione, prendendo direzioni diverse: i primi che avrebbero capito dov’era Gnul, sarebbe tornato e avrebbe avvertito il padrone.

«Nel frattempo, vuoi provare a muovere le redini di Anitteb?» chiese al cugino, tornato su.

«Non me lo faccio ripetere!» esclamò Drof, sorridendo per la prima volta da svariate ore.

Dunque, prese posto nella parte anteriore dell’enorme sella e afferrò gli anelli di ferro fissati alle lunghe e spesse redini di Anitteb che facevano da tramite fra le mani del fantino e la cavalcatura.

«Attento, questa simpatica signora ha il vizio di provare ad andare dove le pare: ci vuole forza di volontà, con lei!» precisò Odranreb.

«Come quando ha incontrato il maschio che si è arrapato per lei?» lo punzecchiò Drof.

«Ah, sì...»

«Farò del mio meglio»

Drof, con tutto la forza delle sue braccia, spronò Anitteb, che cominciò a camminare lungo il margine della zona alberata da cui poi si raggiungeva il Labirinto di Gole. I passi di quella potente e letale creatura facevano tremare la terra e la vibrazione saliva lungo tutto il corpo, trasmettendosi anche nelle redini e finendo tra le sue dita, dandogli una sensazione che non riusciva a descrivere, ma che gli piaceva. Era così pentito di non aver mai preso almeno un giganotosauro prima di allora! Si sentiva potente, a controllarne uno. Abbastanza da avere la certezza ferrea di poter sconfiggere Gnul-Iat e cancellarlo dalla faccia dell’isola.

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Finalmente, dopo tanto tempo passato solo a sapere che ci sarebbero arrivati, raggiunsero il villaggio delle Aquile Rosse, sul più grande ripiano naturale del monte Allics. Anche se ne aveva visti solo altri due, Laura era più che certa di poterlo affermare: quello era il villaggio arkiano più bello che avesse visto. Per la cronaca, per ovvie ragioni, Nerva rimase a debita distanza da un luogo così affollato: fu incaricato di tenere a bada le cavalcature, cosa che lui fece molto volentieri, pur di non farsi linciare da una massa patriottica e inferocita. La palizzata serviva solo davanti e dietro, perché sulla destra c’era il versante del monte, in cui erano state scavate alcune abitazioni, e sulla sinistra c’era il dirupo, sul cui bordo c’era un parapetto di pietra. La cosa più spettacolare, giustamente, era il panorama. Come aveva suggerito Helena, i ragazzi presero qualche minuto per restare soli e andarono subito alla sporgenza per osservare l’isola. Si poteva vedere veramente tutto: le foreste, le praterie, le colline, i picchi innevati, così lontani ma comunque dall’aria imponente, le cime delle sequoie giganti che bucavano le nuvole passeggere, il fumo dei due crateri dell’isola vulcanica (il luogo che appariva più piccolo, in quanto il più lontano), il deserto…

«Volete sapere una cosa?» chiese Chloe, appoggiando i gomiti sul parapetto.

«Dicci tutto» le rispose Sam, brioso.

«Già lo pensavo guardando il paesaggio mentre scalavamo, ma ora posso dirlo senza alcun dubbio: ne vale decisamente la pena. Siamo lontani da casa e non sappiamo se ci potremo mai tornare, ma se siamo condannati a morire... almeno ci saremo goduti queste viste! E anche gli abitanti del posto e gli animali preistorici, finché non ci vogliono staccare braccia e gambe. Vero, paleontologa nostra?»

«Lo penso anch’io. Tutto quello che hai detto è giusto, Chloe. Mi sento così felice! E questa soddisfazione... Helena me l’ha descritta più di una volta... mi sento bene a scoprire sempre più cose, anche se non posso né devo dirlo al mondo!»

«Goditela finché puoi, allora!»

«È un vero peccato che Jack non sia con noi: scommetto che, se ci fosse, attaccherebbe subito a giocare a calcolare le distanze dei luoghi a mente! A parte che sarebbe morto dalla fatica prima ancora di arrivarci, quindi non cambia tanto» scherzò Sam.

«Dài, non rovinare il momento!» lo apostrofò Chloe, ottenendo una risatina in risposta.

In quel momento, furono raggiunti da Acceber, che sembrava allegra almeno quanto loro: si era ripresa molto in fretta dal rapimento e tentata uccisione.

«Ehi, ragazzi! Vi piace l’isola da qui?»

«Sì, tantissimo!» rispose Laura, serena.

«Helena e la Regina delle Bestie sono andate dalla capovillaggio a prendere il manufatto, di certo sapere che l’Ala di Sangue ha perso uno scontro contro gli Uomini dal Cielo la farà sentire di buon umore: potrebbe addirittura portare il manufatto al suo posto per conto suo! No, scherzo, era solo per rendere l’idea. Comunque, che ne dite di vedere un posto che vi faccia sentire di nuovo nel vostro mondo?»

«In che senso?» chiese Chloe, incuriosita.

«Qui, dalle Aquile Eterne, c’è un negozio che è il mio posto preferito in tutta ARK, quando si tratta del mondo esterno. L’hanno fondato sei stranieri l’anno scorso, sono molto simpatici e disponibili! Hanno qualche anno più di me e meno di voi e dicono di venire da una terra che chiamano “Kentucky”» spiegò la figlia di Drof.

«Americani? Giovani? Negozio? Voglio vedere subito!» esclamò Sam.

Ai tre ragazzi bastò un’occhiata per concordare…

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«Sparito?!» esclamò Helena.

«Neanch’io capisco: poco fa era qui! Ero in questa stanza e c’era!» anche la donna a capo della tribù delle montagne era sconvolta.

Quando lei e Mei si erano presentate a casa sua, aveva riconosciuto subito la Regina delle Bestie e l’aveva ringraziata per tutto il servizio che aveva avuto la pazienza di prestare alla società arkiana: anche se erano passati due anni dall’ultima volta che un capovillaggio le era dato formali ringraziamenti, il senso di gratitudine era ancora forte in tutti loro, così come l’astio per Nerva. Ma non aveva importanza: quando le aveva fatte entrare per prendere il Manufatto del Bruto, non l’aveva trovato. A suo dire, si era come volatilizzato.

«Non è colpa tua, rilassati…» cercarono di tranquillizzarla.

«Be’, lo so, ma mi sento in colpa lo stesso! Per essere svanito così, non può che essere un furto. Ma chi è stato, allora? A nessuno è mai importato di quelle bizzarre cose in ossidiana! Perché oggi e adesso?! Non mi capacito, non me ne capacito proprio!»

Bastarono quelle parole a far insospettire Helena che, strabuzzando gli occhi, fissò l’amica:

«Pensi alla stessa persona a cui sto pensando io, Mei?»

«…l’uomo col cappello ridicolo?»

«Certo! Chi altri, se no? Chi altri potrebbe mai essere interessato ai manufatti, specialmente sapendo a cosa servono dopo aver spiato le persone giuste? Sembra assurdo, ma a quanto pare gli sono bastati questi due minuti per rubare il manufatto, prima che ci arrivassimo noi»

«E allora cosa stiamo aspettando? Dobbiamo cercarlo subito! E poi non ho finito con lui» replicò Mei, insolitamente fomentata.

«Ehm… di che state parlando, voi due? Mi state facendo agitare, per gli spiriti!» si intromise la capovillaggio.

Helena stava per rispondere, ma Mei tagliò corto dicendole di non preoccuparsi e di tornare alla sua vita quotidiana, prima di afferrare il braccio della biologa e trascinarla fuori dalla casa.

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«Muhuhuhaha! Preso! Siamo i migliori, Doris!» esclamò Mike.

Dopo aver “reclutato” la troupe amatoriale, Mike si era divertito come non mai a raccontare diversi aneddoti finti per sembrare una sorta di “Indiana Jones dei poveri”, come si autodefinì. Ora, dopo averli lasciati filmare il più possibile dell’isola, avevano seguito la traccia chimica dei manufatti grazie alle scansioni di DOR-15. Giunti a poca distanza dal villaggio, Mike aveva intimato ai tre documentaristi di non muoversi da dov’erano, dicendo loro che ci sarebbero state occasioni migliori per intervistare la popolazione locale. Appena avevano scoperto che i loro rivali in ricerca erano presenti, Mike aveva mandato subito Doris ad infiltrarsi nella casa della capovillaggio e a recuperare il manufatto, cosa che avvenne senza problema.

«Molto bene, siamo in possesso di uno dei manufatti. Secondo le mie analisi, la prossima destinazione è nella regione desertica a Nord dell’isola» spiegò la bombetta, cominciando a ronzare verso il punto in cui avevano lasciato Girodue e la troupe.

«Aspetta! C’è ancora una cosa da fare!» la fermò lui.

«Ovvero?»

«Non te lo ricordi più? Rapire la biondina! Ci serve per avere subito più informazioni!»

«Ricalcolo dati in corso… confermo: ci eravamo precedentemente accordati per questo»

«Ci pensi tu, vero?»

«Affermativo. Come al solito, oserei aggiungere, visto l’andamento delle operazioni. Ma dopo l’ultima scoperta che abbiamo effettuato, il motivo per cui dovremmo catturare Laura Hamilton è cambiato»

«Perché?»

«Non sono certa che tu l’abbia notato, ma quando abbiamo osservato i nostri bersagli al sito in rovina più a valle, ho ingrandito la visuale e ho visto che hanno raccolto una strana tessera di pietra da una nicchia. Probabilmente, questo ha importanza per la ricerca del Tesoro»

«Davvero? E io non me ne sono vagamente accorto! O forse sì, ma me ne sono dimenticato subito… comunque, li ha lei, vero?»

«Sì»

«Ah, lo sapevo! Come pensi che la prenderemo?»

«DOR-15-B ha quasi terminato l’auto-riparazione, ma l’attesa è ancora relativamente lunga. Quindi, il mio suggerimento è questo: io torno al centro abitato ed elaboro una strategia e tu ti accerti che Girodue e i nostri nuovi compagni di spedizione stiano al sicuro»

Mike fece un sorriso a trentadue denti, schioccò le dita e strizzò un occhio:

«Sicuro! Fa’ del tuo meglio, Doris! Vuoi battere il cinque come augurio?»

«Come preferisci»

Quindi lei estrasse un braccio meccanico e lasciò che lui le battesse il cinque, facendosi pure male. Quindi, volò in direzione del villaggio…

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«Queste maglie sono fantastiche! Dove hai imparato?» chiese Chloe, tenendo in mano una veste in lino su cui era stata dipinta, a tinte naturali, una bandiera statunitense.

«Ho imparato qui: ho avuto due anni per fare pratica! Questo è forse l’unico posto su tutta l’isola in cui sentirete profumo di casa» rispose una delle due ragazze al bancone, con un sorriso.

«Sei davvero brava!»

«Grazie»

Come aveva detto Acceber, quel negozio era gestito da sei studenti universitari venuti dal Kentucky: Rusty, Emilia, Boris, Trent, Imamu e Skye. Erano approdati su ARK un paio d’anni prima e si erano rassegnati all’idea di essere prigionieri di quel posto. Per compensare, dopo un breve periodo passato prima isolati in un rifugio improvvisato nella giungla, poi presso le Rocce Nere a svolgere diverse mansioni presso vari Arkiai, avevano deciso di aprire quel piccolo negozio in cui vendere oggetti d’artigianato a tema mondo esterno per ricordarsi di casa, offrire agli Arkiani curiosi come Acceber qualche souvenir stucchevole e consolare gli altri eventuali stranieri. Questo, in due parole, fu il racconto di Emilia quando Laura le chiese com’erano finiti lì. In quel momento, c’erano solo Emilia e Skye: i quattro maschi, a dire della cassiera, erano all’avamposto degli Squali Dipinti all’arcipelago tropicale nel Nord-Ovest a fare scorta di coralli, che servivano per scolpire le statuette di monumenti tipici di vari luoghi che tenevano in lunghe file sulle mensole del negozio.

«Quella lì mi piace! – disse Laura, indicandone una a forma di Sidney Opera House – È fatta benissimo!»

«Grazie! Mi fa piacere saperlo: è sempre stata quella più difficile. La prima volta che ne ho fatta una, ho dovuto scartare più di venti pezzi prima che venisse a dovere»

«Ragazzi, vi dispiacerebbe se ne prendessi una?» chiese timidamente agli altri.

«Perché dovrebbe?» disse Sam.

«Acceber, posso chiederti dei ciottoli?» si rivolse quindi alla figlia di Drof.

Ma lei, imbarazzata, si strofinò il collo e del rossore apparve lentamente sulle sue guance color bronzo:

«Ehm… mi dispiace, ma li ho finiti tutti poco fa»

«Oh! Come mai?»

«Ricordate quando vi ho promesso che avrei comprato degli archi per tutti voi, così avreste potuto difendervi meglio che solo con le lance? Ecco, dalle Rocce Nere mi sono dimenticata per via di Diana, così ne ho approfittato qui. L’armaiolo mi ha detto che ci sarebbero voluti dieci minuti o poco più per sistemare frecce e faretre per ognuno degli archi, quindi non li ho adesso. Purtroppo, però, mi è costato ogni ciottolo. Scusa, Laura!»

«No, no! Va tutto bene! Anzi, li hai spesi per qualcosa di molto meglio! Un souvenir non è un’arma, d’altronde…»

Emilia, notando la malinconia nel tono di Laura, le disse che offriva la casa e che poteva prendere la piccola scultura.

«Oh, grazie infinite!»

«La vuoi come soprammobile o come collana? – chiese la cassiera – Di solito, il costo non cambierebbe, quindi offriamo noi lo stesso»

«Uhm… potrei avere la collana, per piacere?»

«Subito! La porto a Skye, così ci lavora…»

Prese la statuetta e andò nel retro-bottega, sparendo. Tornò pochi minuti dopo: ora c’era un laccetto di spago che attraversava la piccola scultura da parte a parte, pur rimanendo poco visibile. Laura ringraziò ancora e se la provò, chiedendo agli altri come stava. Loro le dissero che andava benissimo, anche se si vedeva poco sull’abito mimetico.

«Se vuoi vederti, lo specchio e sulla parete del vicolo, fuori… sì, so che è ridicolo, ma non avevamo nessun posto migliore» spiegò Emilia, ridacchiando.

Laura, allora, disse agli altri di avere un secondo di pazienza e andò fuori da sola, trovando lo specchio dov’era stato indicato. Sì, le stava veramente bene.

“Ah, Sidney, quasi quasi mi pento di averti lasciata!” pensò, sorridendo.

Improvvisamente, però, sentì uno strano ronzìo meccanico, un rumore che le ricordava in qualche modo i film di fantascienza. Si guardò intorno con perplessità, ma non vide niente. Ma, in un istante, sentì un brusco peso sulla testa e... tutto diventò grigio. I suoi muscoli si intorpidirono e si sentì braccia e gambe flaccide; non riusciva più a fare niente: non poteva muoversi, parlare né addirittura pensare. Vide solo, allo specchio, di avere una bombetta con un visore in testa e capì subito cosa stava succedendo. Un secondo dopo, non per sua volontà, si mise a correre verso l’uscita posteriore del villaggio, rimanedo lungo il perimetro della palizzata, dove non c’era quasi nessuno. Prima di raggiungerela guardiola delle due sentinelle del lato Nord, il cappello robotico la fece balzare in un buco simile a quello di un coniglio, che passava sotto i pali. Probabilmente, era stata Doris stessa a scavarlo, avendo pianificato dall’inizio di fare così... era caduta nelle mani dell’uomo con la bombetta.

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«Dove diamine è Laura?»

Ormai erano cinque minuti che la cercavano. Non avevano solo guardato nei dintorni del negozio, ma avevano anche provato a chiedere ai passanti. Apparentemente, nessuno aveva notato nulla di strano negli ultimi cinque minuti; anzi, nessuno si era nemmeno accorto di una ragazza bionda nel vicolo accanto alla bottega.

«Potreste provare nella taverna» suggerì Acceber

«Di solito chi non è di un villaggio e deve andare in bagno va lì»

«Oh... è possibile?» chiese Sam a Chloe.

«No, non può essere. Voglio dire, conosci Laura!»

«In che senso?»

«Sai che prima di fare qualsiasi cosa avvisa o chiede il permesso e tutto il resto!»

«Ah, giusto! Ricordo ancora quando l’ho persuasa a farsi il profilo Facebook: chiedeva il permesso a me solo per mettere il “mi piace” alla foto di un semplice paesaggio...»

«Che c’entra?»

Mentre divagavano, ignari della gravità della situazione, Acceber li ascoltava e si arrovellava il cervello, sforzandosi di capire da sola cosa potesse essere Facebook. La conversazione fu interrotta dall'arrivo di Helena e Mei, che annunciarono la mancanza del manufatto e dissero di chi sospettavano. Subito, allora, a Sam e Chloe venne spontaneo fare il collegamento, anche se non ne avevano la certezza. Sam volle comunque esplicitarlo:

«E se ci fosse di mezzo l'uomo con la bombetta? Voglio dire, il manufatto svanisce poco prima che arriviate voi e subito dopo Laura scompare senza parlare né fare segno? Dubito che sia una coincidenza...»

Helena incrociò le braccia e si strinse le guance con le dita della mano sinistra, pensosa:

«Ho veramente paura che tu abbia ragione. Se è stato davvero l'uomo con la bombetta, dobbiamo trovare subito un modo per capire dov'è»

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Seduto a braccia conserte su una roccia, Nerva sentì Alba stuzzicarlo sulla schiena col muso, per la terza volta da quando gli altri erano andati al villaggio: lo faceva per chiedere carne secca.

«Ancora? Allora hai preso il vizio! Sai che non va bene, giusto?»

La femmina di velociraptor emise un verso schioccante e fremette, facendo agitare i suoi ciuffi di piume.

«E va bene, ma sappi che è l'ultima volta!»

Gaius frugò nel suo sacco e ne tirò fuori due strisce di carne. Le lanciò verso Alba e lei le afferrò al volo. Se le rigirò in bocca per un paio di minuti e ingoiò.

«Contenta? Bene»

In quel momento, vide gli altri arrivare, ma dalle facce che avevano capì subito che c'era qualcosa che non andava. Mancava pure la ragazza bionda, per cui non c'erano dubbi...

«Cos'è successo?» chiese quando lo raggiunsero.

«Il manufatto è scomparso poco prima che arrivassimo e adesso anche Laura» gli rispose Mei.

«Dietro dev'esserci l'uomo con la bombetta» aggiunse Helena.

«Oh, ancora lui... sapevo che prima o poi ne avremmo sentito ancora parlare» commentò il Romano.

«Comunque dovete spiegarmi meglio chi è questo tizio! - esclamò Acceber - È già un paio di volte che lo nominate, ma ho capito solo che è cattivo...»

«Eh, ti spiegheremo meglio poi. Come pensate di trovarlo?» chiese Chloe.

«Allora, ricordo che questo manufatto doveva essere messo sulla montagna al centro della regione desertica: direi che sia diretto lì - rifletté Helena - In caso non lo troviamo lungo la strada... credo di avere un'idea!»

«Oh, quindi si va nel deserto? Che figata!» esclamò Sam.

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Al campo dell'URE si era radunata una gran folla quando la squadra di Diana era tornata dalla spedizione con le bestie del giorno: tutti avevano sentito dell'attacco dell'argentavis e volevano sentirglielo raccontare sul momento. Jack, incuriosito, aveva voluto andare a sua volta, mentre Rockwell si era rifiutato dicendo che intendeva osservare più attentamente il campo di forza attorno alla base e il macchinario che lo generava. Inizialmente, Diana (che aveva una faccia mezza sconvolta a testimoniare il fatto) ripeteva di non avere voglia di raccontarlo subito, che voleva prima riprendersi nel suo alloggio e poi parlarne con comodo nella mensa, la sera. Ma i soldati che quel giorno erano rimasti alla base, specialmente i suoi coetanei e quelli poco più grandi, insisterono al punto che lei si arrese. Quindi, poggiata la schiena contro un muro e toltasi il casco, iniziò a descrivere l'attacco dell'Ala di Sangue e di come lei ne fosse uscita vittoriosa. Sentendo l'aneddoto, Jack immaginò la scena praticamente come una battaglia spaziale incredibilmente drammatica, senza neanche sapere bene perché. Si accorse che la folla si era fatta ancora più grande, fino a quando tutti i presenti furono lì. Finito il racconto, tutti si dispersero e tornarono a svolgere i loro incarichi. Quando rientrò nella tenda, trovò Rockwell che camminava avanti e indietro tenendo le dita congiunte e con un'espressione soddisfatta e sognante.

«Va tutto bene?» chiese Jack, perplesso.

«A meraviglia, giovanotto! - rispose il farmacista - Quell'improvvisa esplosione di notizie là fuori mi ha dato un'occasione imperdibile per compiere il primo passo per la ricerca!»

Andò dietro la scrivania e prese qualcosa da sotto di essa. Ci appoggiò sopra due barattoli di vetro pieni di un bizzarro fluido viola e quasi luminescente, per come rifletteva la luce. Jack trasalì quando notò che somigliava incredibilmente alle gocce violette che aveva visto uscire dall'annaffiatoio, durante il suo viaggio mentale.

«Cos'è?» chiese, anche se sapeva perfettamente la risposta.

«Sono riuscito a prendere dell'edmundio liquido dal serbatoio del replicatore! Senza farmi mai notare, com'è ovvio»

«Oh no!»

«Che ti succede?»

«Questo non va bene per niente! Se ci scoprono adesso, ci abbandoneranno là fuori! Poi come faremo a trovare gli altri o un qualunque posto sicuro?»

«Devi smettere di avere paura di tutto, ragazzo! Le regole non vanno sempre bene: è giusto che esistano, ma se c'è di mezzo uno scopo come questo è lecito aggirarle o rivederle»

“Meno male che era un gentiluomo...” pensò Jack, con una vena di sdegno.

Ma, anziché rimproverare Rockwell, gli chiese cosa aveva intenzione di fare adesso: prima avrebbero cominciato, prima si sarebbero tolti quel rischio di torno.

«Innanzitutto, voglio osservarlo a livello molecolare: tra gli attrezzi che ho recuperato dalla farmacia, c’è anche un microscopio»

«Come fa la sua assistente arkiana ad averne uno? Mi fa un poco strano!»

«Semplice: lo commissionai ad un artigiano quando avviammo l’attività. Chiedi ad un manifatturiere arkiano di costruire un oggetto qualsiasi: il risultato ti lascerà a bocca aperta!»

«Le credo sulla parola. Cominciamo subito?»

«No. Preferirei stanotte, quando la maggior parte di loro starà riposando e i restanti saranno in missione»

«Capito. Speriamo bene...»

In quel momento, la ricetrasmittente di Rockwell emise un ronzio e si sentì la voce di Helena che chiedeva di lui.

«Sono qui, ti sento - rispose il medico - C'è stato un imprevisto?» chiese, avendo un cattivo presagio sul motivo della chiamata.

«L'uomo con la bombetta ci ha preceduti con questo manufatto. E forse ha anche catturato uno dei ragazzi»

«Come?!» fu la reazione sia di Rockwell che di Jack.

«Chi ha preso?!» chiese il ragazzo.

«Laura»

«Cazzo!»

Dall'altro capo della radio, Chloe e Sam, che avevano sentito poiché l’urlo dell’amico era stato davvero forte, si guardarono stralunati, non capendo perché dovesse prenderla così estremamente. Era giustissimo che sapere ciò lo sconvolgesse, ma si era sentito chiaramente qualcos’altro in quel’esclamazione, qualcosa che ad entrambi ricordò il tono con cui un genitore o un marito reagisce quando gli rapiscono la moglie o i figli: protettività, attaccamento… conoscendolo da una ventina di anni, gli sembrò stranissimo da parte sua. Se avessero saputo del suo viaggio mentale, avrebbero capito parecchie cose. Rockwell notò a sua volta come quella reazione stonasse con la timidezza e introversione del giovane e sorrise sotto i baffi (che nascosero abbastanza bene la smorfia) sospettandone la causa.

«La dobbiamo ritrovare al più presto!»

«Non ti preoccupare, è quello che faremo! – cercò di calmarlo Helena – Sospettiamo che lui stia andando al deserto, dove c’è il prossimo piedistallo, per cui lo seguiremo. Prometto che ti faremo sapere subito cosa succederà»

«Grazie, grazie» Jack cominciava a ricomporsi, quindi la telefonata finì.

«Però, hai preso davvero sul serio quanto il tuo inconscio ti ha svelato durante la tua visione! Comprendo perché i medici della mente del futuro lo usino nelle psicanalisi» commentò il dottor Rockwell.

«Non è che adesso amo perdutamente Laura! Anzi, penso di non provare niente di serio. Ho gridato così perché ora pensare a lei mi ricorderà quel sogno per mesi!»

«Vedila come vuoi. Dunque, cerca di stare lucido e torniamo al lavoro! Vedrai che la tua amica starà bene… come Mei-Yin ha già dedotto a Sidney, quell’uomo non è altro che un sempliciotto ambizioso con in mano una meraviglia ingegneristica che non merita!»

Jack gli diede ragione. Per un istante, un fuggevole istante, considerò l’opzione di chiedere l’aiuto di Diana. Ma, alla fine, decise di lasciar perdere.

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Quando Laura tornò libera di controllare il suo corpo, Doris le aveva fatto legare mani e piedi con della corda che Mike si era fatto dare dagli stallieri dei Teschi Ridenti per chiudere le sacche da sella di Girodue. Fu messa seduta su un macigno, all’ombra di un salice nodoso. La sua testa girò per un paio di minuti e le immagini traballarono. Sentì la voce robotica del cappello che chiedeva a Mike dove fossero i documentaristi, chiunque fossero. Lui rispose che avevano visto un dinosauro bere ad un ruscelletto ed erano andati a filmarlo.

«Come giustificherai il sequestro di Laura Hamilton?» chiese Doris.

«Facile: dirò loro che lei è con me e che stiamo facendo le prove per un film amatoriale che loro potranno aggiungere al loro documentario! Così, anche se la biondina frignerà e li proverà a corrompere, non ci riuscirà perché sembrerà tutto sul copione!»

«Lo trovo astuto e improbabile allo stesso tempo, ma principalmente improbabile» fu l’ovvia opinione di Doris.

«Bah, funzionerà! Non mettere in dubbio il mio ingegno pianificatore, tanto quei tre sono dei fessi!»

«L’uomo con la bombetta…» rantolò Laura, ancora mezza stordita.

«Oh, si sta riprendendo! Eccoti, finalmente, Hamilton! Questa la prendo io… muhuhuhaha!» e Mike prese la sua borsa, si accertò che contenessero i tasselli del mosaico pre-arkiano e la appese alla sella dello pteranodonte, trionfante e sorridendo a trentadue denti.

«Pensavi davvero che tu e i tuoi amici col moccio al naso poteste negarmi quello che merito di diritto di scoprire per sempre? Avreste dovuto già capire in quel bar che con me, ovvero Mike Yagoobian, non si scherza! Certo, lì mi andò un po’ male, ma hai capito!»

Laura non trattenne una risatina.

«Cos’hai da ridere?» chiese Mike, con un tono che credeva minaccioso, ma che pareva il commentario di un direttore di circo.

«Niente, avevo sentito il tuo nome già una volta e mi era scappato da ridere, ora che me lo dici tu anche il doppio»

«Mocciosa impertinente! Ma non mi abbasserò ad arrabbiarmi per certe scemenze…»

«Senti, hai preso quello che volevi, inutile che provi a convincerti a ridarmelo… ma ora non hai motivo di tenermi! Lasciami andare!»

«Certo, così mi insegui coi tuoi amici? Non sono mica scemo! Se loro dovessero essere più svegli del previsto e raggiungermi…Dovrei solo minacciarti per tenerli buoni! Muhuhaha!»

Laura rifletté e dovette ammettere che il ragionamento dell’uomo con la bombetta aveva senso. Doveva assolutamente liberarsi, riprendere i tasselli e il manufatto e tornare dai suoi amici… come?

   
 
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