Anime & Manga > Il mistero della pietra azzurra
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Autore: Vitani    09/07/2019    0 recensioni
Dopo la sconfitta di Gargoyle, i superstiti del Nuovo Nautilus cercano lentamente di far tornare alla normalità le proprie esistenze. Non è semplice, quando si è vissuta un'avventura come la loro.
Electra ha visto morire l'uomo che amava e si trova da sola con un bambino da crescere. Nadia non riesce a smettere di guardare al passato nonostante abbia ormai la vita che desidera.
Presto, troppo presto, l'incubo di Atlantide torna ad addensarsi sul futuro.
E, stavolta, sembra esigere la vita dei suoi Figli.
Basteranno a salvarli l'abnegazione di una madre, il legame di una sorella e di un fratello?
Basterà il comandamento di un padre, "vivi"?
Basterà l'amore?
"Nadia, noi non siamo obbligati a dare o ricevere amore. Noi siamo amore."
Genere: Science-fiction, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Medina Ra Lugensius, Nadia Ra Arwol, Nuovo personaggio
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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PHILIPPE
 
 
Le Havre, agosto 1897




Jean camminava ininterrottamente avanti e indietro.
La porta della stanza gli sembrava improvvisamente una prigione.
«E se qualcosa va male?»
King gnaulò.
«Parlo sul serio, King!»
Anche King, probabilmente, parlava sul serio.
Nadia stava per dare alla luce un bambino, il suo primogenito, e Jean era disperatamente in ansia. La levatrice entrava e usciva portando panni e ciotole d’acqua calda, senza però dare notizie. Jean era terrorizzato all’idea che accadesse qualcosa. La gravidanza però era andata bene, dunque cosa sarebbe mai potuto andare storto?
«Cosa, King? Dimmelo!»
Il leone inclinò di lato il testone peloso, come a dire che non capiva.
Suo zio sbucò dalla porta della cucina con in mano una tazza di camomilla.
«Tieni, cerca di calmarti. Sei un uomo, no?»
Sì, era un uomo, ma lo stesso gli tremava talmente la mano da riuscire a malapena a reggere la tazza.
D’improvviso, udirono un vagito oltre la porta chiusa.
Jean lasciò cadere la tazza e la spalancò, senza curarsi delle proteste della levatrice.
Nadia, sudata e stanca, ansimava sul letto.
Accanto a lei, la levatrice teneva in braccio un bambino ancora sporco e col cordone ombelicale attaccato. Con fare esperto tagliò il cordone, lo lavò con acqua calda e lo avvolse nei panni che aveva portato per asciugarlo.
«È un bel maschietto», disse.
Jean annuì, pieno di gioia.
«Si chiamerà Philippe», rispose, «Philippe Lartigue.»
La levatrice lo mise in braccio a sua madre. Nadia, pur se ancora provata, sorrise.
«È bellissimo», disse.
E lo era davvero.
Un bel bambino di più di tre chili, con la pelle color nocciola, leggermente più chiara di quella di Nadia. Piangeva in braccio a sua madre, che se lo portò al seno e lo allattò incurante dello sguardo di Jean.
«Saremo felici», disse Nadia ancora sorridendo «vivrà in un mondo di pace e saremo davvero felici.»
Jean si sedette accanto a loro, sul bordo del letto, e le strinse una mano.
«Certamente», disse.
Suonava come una promessa.

 
Le Havre, dicembre 1897
 
Era diventata quasi un’abitudine quella di ritrovarsi a dicembre per passare le feste di Natale tutti insieme. Erano ormai tre anni che Electra, tutti gli inverni, si imbarcava da Tangeri per andare a trovare Nadia. Lo faceva per Etienne, più che altro, per dargli modo di vedere la sorella almeno una volta l’anno e di trascorrere con lei il suo compleanno. Nadia era ciò che restava della sua famiglia, dopotutto, gli doveva almeno quello. Raoul, invece, di solito rimaneva a Tangeri, perché cominciava a risentire degli acciacchi dell’età e, anche se il viaggio non era lungo, capitava che in quel periodo il mare fosse in burrasca.
Quell’anno, inoltre, avevano il motivo in più di conoscere Philippe.
Electra aveva detto a Etienne della nascita di Philippe, e il bambino era più che curioso di incontrare il nipote. Certo, essere diventato zio a neanche sette anni gli sembrava un po’ strano, parole sue, ma si sarebbe abituato.
Si presentò alla porta da solo, suonando il campanello con un pacco in mano.
Electra lo osservava poco distante, ridacchiando fra sé.
Fu Jean ad aprire la porta.
«Etienne!»
«Ciao, Jean!»
Il bambino era vestito di tutto punto per affrontare il rigido inverno normanno, con tanto di mantellina di pelliccia e cappellino.
«Tieni questo, è per Philippe.»
Sollevò il pacchetto, piuttosto voluminoso, e lo porse a Jean.
«Regalo di Natale?»
«Già. Mamma?»
Electra venne avanti, anche lei vestita secondo la moda occidentale, con un sontuoso soprabito di pelliccia bianca. I capelli biondi erano raccolti sotto il cappello e sembrò a Jean perfino più bella di come la ricordasse.
Jean lasciò che si accomodassero, posò su un tavolo il pacco che gli aveva dato Etienne e ravvivò il fuoco nel camino. Quell’inverno era davvero gelido.
«Fa freddissimo qui», si lamentò il bambino.
«Lo credo bene», rispose Jean «Tu sei nato e cresciuto in Marocco!»
«Anche in Marocco le notti sono fredde», intervenne Electra.
In quel momento Nadia, che li aveva sentiti parlare, si affacciò dalle scale che portavano al piano superiore: «Electra, Etí, siete arrivati! Che piacere! Ora scendo!»
Non fece in tempo, perché Etienne salì su per le scale e le si attaccò alla gonna.
«Mi fai vedere Philippe?»
Electra, dal basso, lo gelò.
«Etienne? Si saluta.»
Etí sgranò gli occhi e lasciò andare Nadia, poi si mise sull’attenti e batté i tacchi degli stivaletti neri che indossava.
«Buonasera, sorella!»
Ma aveva sul volto un sorriso così beffardo che Nadia non poté impedirsi di ridere.
Si chinò e lo strinse forte.
«Ciao.»
«Ora andiamo da Philippe?»
«Sì, ma fai piano che dorme.»
Nadia prese Etienne per mano e lo condusse nella sua camera da letto, dove avevano sistemato la culla del piccolo. Philippe dormiva tranquillo, con un pollice in bocca.
Etienne si alzò in punta di piedi e si affacciò sulla culla. Nadia, accanto a lui, guardò Philippe sorridendo.
«Non ci posso ancora credere», disse «non mi ci vedevo proprio a essere mamma.»
Etienne alzò le sopracciglia. Non capiva certi discorsi, ancora. Mise giù una mano, per accarezzare le guance del bimbo. Aveva la pelle più chiara di quella di Nadia, più o meno come la sua, ma era comunque più scuro di Jean. Per il resto somigliava tutto a lui, ciuffo di capelli rossi compreso.
Ops, sbagliato.
Etienne se ne accorse appena Philippe aprì gli occhi.
Aveva gli occhi verdi, come quelli di Nadia.
E di Sana’a, la regina. La prima moglie di suo padre. La mamma di Nadia.
Etienne l’aveva incontrata una volta, o meglio l’aveva vista da lontano durante un corteo a Tartesso e non aveva osato avvicinarsi per paura che succedesse qualcosa di orribile. Di solito non accadeva mai che Etienne incontrasse persone che per così dire conosceva, ma quel giorno sua madre gli aveva raccontato proprio di Sana’a e forse gli era rimasto impresso ed era successo che si era ritrovato in mezzo alla folla di gente di un corteo. Aveva visto lei, così uguale a Nadia da riconoscerla al volo, una donna giovane col sorriso dolce. Poco dietro di lei, su un cavallo, c’era suo padre Nemo. Anzi, Elusys. Ancora poco più che un ragazzo, sorridente, felice. Diversissimo dall’uomo ombroso di cui sua madre gli parlava.
“Non mi vedete”, aveva pregato, “non mi vedete, non mi vedete, non mi vedete”.
Con tutte le forze s’era ritratto in se stesso e aveva pregato che passassero oltre senza notarlo, senza capire, senza accorgersi che non era a quel luogo che lui apparteneva.
S’era svegliato di botto, in lacrime.
In quel momento, Philippe vagì. Etienne lo osservò a lungo, si specchiò in quegli ingenui occhi verdi e si sentì un po’ più felice.
«Piacere di conoscerti», disse, e gli prese una manina.
 
Lo sguardo di Philippe è fermo su di lei, saldo come mai prima.
“Io non lascio Etienne”, dice.
Nadia scuote la testa.
“Philippe, cerca di capire.”
Non c’è niente da capire.
“Nessuno di noi lascerà mai Etienne, e sai perché? Perché lui non ci ha mai abbandonati.”

 
«Ti ho portato un regalo dal Marocco. Sono dei giocattoli per quando sarai cresciuto. Sono bellissimi.»
Guardò Nadia, con l’espressione profonda che a volte lo faceva sembrare più grande dei suoi anni.
«Quando sei nata c’è stata una settimana di festeggiamenti.»
«Cosa?»
Etienne annuì.
«Cortei, banchetti, feste. C’erano fiori ovunque. Tartesso era una terra molto ricca. Alla fine della settimana sei stata presentata sul balcone del palazzo, con tutta la gente raccolta sulla piazza. Mamma dice che eri carinissima. Lei c’era.»
«Te l’ha raccontato Electra tutto questo?»
Etienne spalancò gli occhi e la osservò in silenzio, per un lungo attimo.
«Anche», rispose infine.
Nadia rabbrividì.
«Andiamo di sotto?» chiese «Porto Philippe giù con noi, così lo può conoscere anche Electra.»
«Sì!»
 
«È un bambino davvero grazioso», disse Electra.
Aveva preso Philippe in braccio e lo cullava, e il bambino restava tranquillo.
«Scommetto che non ti dà nemmeno tanto da fare.»
Nadia fece il solletico al bambino, che rise.
«Non ho tanti metri di paragone ma sì, è buono. Anche di notte dorme quasi sempre. Sono fortunata.»
«Mica come Etienne che invece è sempre stato sveglio fin troppo!»
Etienne sbuffò.
«Devo ammettere, però», continuò Electra «che il periodo in cui era così piccolo un po’ mi manca. Era molto tenero. Adesso corre da una parte all’altra e vuole fare tutto per conto suo. L’anno scorso ha iniziato ad andare a scuola e fargli fare i compiti è un’impresa. Non perché non sia capace.»
Etienne, seduto sul divano, ciondolava.
«Sono troppo facili, io mi annoio.»
Electra alzò le sopracciglia e guardò Nadia con espressione divertita.
«Ecco cosa intendevo.»
Nadia rise.
«Be’, non è necessariamente un male.»
«No, se riesci a tenerlo seduto.»
In quel momento Jean si alzò in piedi.
«Facciamo merenda? Vado a preparare della cioccolata calda.»
Etienne scattò in piedi.
«Evviva, la cioccolata!»
«Vieni in cucina a darmi una mano, Etí?»
«Certo!»
Rimasta sola con Nadia e Philippe, Electra si appoggiò allo schienale del divano.
«Per un periodo ho pensato di ritirarlo da scuola e seguirlo io. Ho iniziato a lavorare come istitutrice presso alcune famiglie, te l’avevo accennato per lettera. Non ne avrei bisogno, abbiamo i soldi e le proprietà che ci ha lasciato Nemo, ma non voglio attingere da quelle più di tanto ed è un bene che anche io mi dia un po’ da fare ora che Etienne è cresciuto. Ti dicevo, ho pensato di ritirarlo da scuola. Ha un’intelligenza notevole e i programmi scolastici standard non lo stimolano abbastanza. Però ha bisogno di stare con ragazzi della sua età, almeno in un ambiente protetto come quello della scuola. Ha bisogno di amici, non voglio che cresca solo.»
«Fa ancora sogni?»
Electra annuì.
«Non tutte le notti, ma sì. E sembrano diventare sempre più dettagliati man mano che cresce. A volte sono sogni veri e propri, a cui si mescolano cose avvenute nel passato recente. Altre volte sembrano ricordi. Sogna spesso Tartesso, per esempio. Mi ha raccontato dei festeggiamenti avvenuti nei giorni della tua nascita. Tutte cose vere che ricordo bene e che non può avere sentito da me. Mi ha detto di avere visto anche me una volta. Mi ha descritto i vestiti e la strada che facevo per andare da casa mia ai campi dove lavoravano i miei genitori. Tutto per filo e per segno. E poi…»
Tornarono, Etienne e Jean, con in mano tazze di cioccolata calda e biscotti allo zenzero.
«Ecco qua.»
«I biscotti li ha fatti la zia di Jean, sono buonissimi!» disse Etienne, che già ne aveva afferrati un paio e li inzuppava nella cioccolata senza troppa classe.
Nadia si alzò.
«Philippe si è addormentato di nuovo, lo porto di sopra così può dormire tranquillo. Poi torno, quindi Etienne vedi di non mangiarmi tutti i biscotti.»
Etienne, bocca piena, fece cenno di sì con la testa.
Nadia prese in braccio l’addormentato Philippe e lo cullò un poco mentre saliva le scale.
Era vero, non si era mai vista molto bene come madre.
Dovette ammettere, però, che non se la cavava poi così male.
Posò Philippe nella culla con delicatezza e gli rabboccò le coperte.
Era un bambino davvero dolce, sì, sempre sorridente già a pochi mesi di vita.
Assomigliava tanto a Jean.
«Dormi bene, piccolino.»
Sentiva delle voci dal piano di sotto. Uno era Etienne che insisteva per provare il pianoforte che avevano in salotto.
«Lo so suonare! La sera di Natale facciamo un concerto!»
Ed Electra confermava che sì, Etienne aveva voluto imparare a suonare il pianoforte.
Sempre perché era curioso, e perché sapeva che anche suo padre lo suonava, quello e l’organo.
«Una volta ho sognato una musica.»
 
Sogna musica odori sapori.
Ricordi.
 
«Ero nella città e passavo vicino al palazzo. Ho sentito questa.»
E suonò.
Un po’ incerto dapprima, ma poi prese la mano con la tastiera e, tranquillamente, buttò giù a orecchio una melodia tenera e un po’ malinconica.
Nadia ebbe il tempo di guardare Electra, di vederla spalancare gli occhi e osservare il figlio con espressione incredula.
Poi sentì qualcosa, dentro di sé, come un ricordo lontano che si risvegliava. Era una musica che aveva già sentito, anche lei. Seppe prima di capire che era una delle composizioni di suo padre. Si sforzò di ignorare la dolcezza, la violenza della nostalgia che la pervase. Elusys era un padre che non aveva praticamente mai conosciuto, eppure le mancava immensamente.
Respirò profondamente, una volta, due.
Poi si inginocchiò e pianse.
 
Quando riaprì gli occhi era in camera sua, senza sapere come ci fosse arrivata.
C’erano Electra e Jean seduti vicino al letto, Etienne era seduto sul cuscino accanto al suo e si teneva un po’ goffamente Philippe in grembo. La guardava incuriosito, senza parlare.
Electra, per contro, le sorrideva.
«Che ne diresti se invitassimo anche Marie, Hanson, Sanson e Grandis a trascorrere il Natale qui? Penso che farebbe piacere a tutti.»
Nadia respirò profondamente, poi annuì. Ci aveva già pensato.
Jean le passò un bicchiere d’acqua e la aiutò a mettersi seduta.
«Stai bene?»
Le accarezzò i capelli.
«Sì», rispose lei, «solo un po’ di stanchezza.»
Sarebbe stato un bel Natale, anche quell’anno.
Philippe, quasi a voler concordare, mosse le braccia.
«E poi tra qualche anno», disse Etienne «io, mamma e nonno Raoul ci trasferiremo in Francia. Così giocheremo insieme, eh, Philippe?»
Sembrava più un desiderio che una possibilità reale.
«Perché no?» rispose tuttavia Electra «Non sarebbe male che Etienne avesse vicino la sua famiglia. Anche Nemo ne sarebbe stato felice.»
Etienne guardò a lungo Nadia, poi sua madre, poi Jean e Philippe.
Osservò il bambino con particolare affetto.
Gli sarebbe piaciuto avere un fratellino minore, ed eccolo lì.
Philippe, coi capelli rossi e gli occhi verdi e la pelle scura, rideva gioioso.
 
«Sai una cosa, Philippe?»
Etienne, vent’anni, guarda Philippe, tredici.
«Non so proprio come farei senza di te.»
Philippe ride.
«Faresti come hai sempre fatto. Troveresti un modo.»
Adora Etienne.
Sono seduti sull’ala di un Wind da collaudare, osservano il cielo e le stelle.
«No, seriamente. Io ho le idee e tu le metti in atto, è fantastico.»
«Perché sono belle idee.»
Etienne ride forte, poi si alza con uno scatto.
«Avanti, collaudiamo questo bambino.»
Porge la mano a Philippe per aiutarlo ad alzarsi.
«Sei sicuro? A tua madre non piacerà.»
«Il primo volo ti spetta di diritto.»
È notte fonda e il cielo, nell’anno del Signore millenovecentodieci, è ancora libero.
 
 
 
- continua -
 
 
N.d.A. Non ho molto da dire riguardo a questo capitolo, se non che spero vi sia piaciuto. Il nuovo personaggio di cui vi parlavo era il piccolo Philippe, di cui sentirete ancora parlare in futuro. A proposito, nel giro di pochi capitoli, tre o quattro al massimo, ci ricongiungeremo all’epilogo della serie animata. Da lì in avanti continuerà a esserci qualche saltello temporale, perché la vicenda di Etienne partirà davvero quando sarà adolescente. Comunque non manca molto e devo dire sono emozionatissima. Continuate a seguirmi e a presto!
 
Vitani
   
 
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