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Autore: Mary P_Stark    09/07/2019    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Achille – 1 –
 
 
 
 
Achille Nikomachos1 poteva ritenersi soddisfatto. Non soltanto era riuscito a scovare Efesto, dio del fuoco e della metallurgia, ma aveva anche ottenuto un incontro con lui.

Da quel poco che aveva sempre saputo sul dio, non era molto propenso a ricevere visite ma, poiché potevano vantare una parentela acquisita per parte di madre, Efesto si era ben guardato dal rifiutargli un incontro.

Un po’ a sorpresa, quindi, Achille aveva annotato il suo indirizzo – chi avrebbe mai pensato che lo scorbutico Efesto abitasse a Catania? – e, dopo aver preparato una borsa leggera, aveva prenotato un volo dall’Aeroporto Torino-Caselle in direzione sud.

Greco per parte di padre, Achille viveva nei pressi di Bra da quando aveva compiuto cinque anni, e le sue ossa si erano temprate sulle curve di asfalto che si inframmezzavano ai filari delle Langhe e del Roero.

Dalla madre italiana, che lo aveva cresciuto dopo la separazione dal marito, aveva preso l’amore per il buon cibo e la passione per la cucina, oltre che per la vita.

Di suo padre sapeva ben poco, pur se non era in cattivi rapporti. Era soprattutto la distanza a tenerli separati, non il rancore.

Naturalmente, essendo un dio redivivo, non aveva affatto dimenticato il suo passato glorioso ma, proprio memore degli eventi delle sue vite precedenti, ne aveva fatto tesoro per cambiare.

In quella nuova vita si era prefissato altri traguardi, ben differenti dall’essere un eroe universalmente riconosciuto, pur se questo nuovo tracciato non si era rivelato più facile del precedente.

Anche per questo, la visita al dio Efesto era giunta come una lancia di salvataggio insperata.

Fu quindi con una buona dose di fiducia che accolse l’atterraggio sull’isola di Trinacria, ben più che desideroso di conoscere di persona il dio che sua madre Teti aveva svezzato.

Non occorse molto per uscire dall’aeroporto e trovare un taxi. Il vero problema, come scoprì poco più tardi, fu altrove, infatti.

Dall’Aeroporto Fontanarossa alla piccola Strada Viola nel centro di Catania – dove Efesto aveva acquistato un enorme lotto di terreno – occorse più di un’ora. Il traffico gli parve impazzito, ma non molto differente da quello di Torino, città che lui evitava come la peste, se poteva.

In generale, preferiva usare le auto per le corse di rally, in cui se la sapeva cavare discretamente bene, nella categoria CIR asfalto. Diversamente, il suo interesse primario era attualmente lo sky running, dove poteva dare libero sfogo al suo amore per la corsa. E per il pericolo.

«Il suo amico si è costruito proprio un villone» commentò divertito il tassista, ammirando la bella magione visibile oltre l’alto muro di cinta.

Achille annuì, osservando senza parole l’ampia villa a due piani dai muri bianchi, le persiane color perla e il pronao dal fitto colonnato che circondava l’intera struttura.

La proprietà – in parte visibile dal cancello in ferro battuto davanti a cui si era fermato il tassista – era circondata da un alto muro stuccato di bianco. Da quell’angolo in particolare, erano visibili lunghi filari di ulivi e di aranci, oltre a un’ampia piscina a forma di conchiglia e a un gazebo dalla forma ellittica.

«Non si è risparmiato, questo è sicuro» chiosò Achille, pagando la corsa e scaricando la sua borsa per poi approssimarsi al cancello d’entrata.

Lì, suonò al citofono mentre il rombo della Fiat Bravo del tassista si allontanava lungo la via impervia e, dopo alcuni secondi, una donna rispose chiedendo chi fosse.

Sorpreso, Achille si presentò e, quando il cancello pedonale venne aperto per lui, l’uomo si chiese come mai vi fosse un esemplare di genere femminile in casa del burbero dio.

Da quel che ricordava di lui, Efesto non era mai stato molto amato dalle donne, e parte del suo rinomato caratteraccio dipendeva anche da questo. Non che la dea Afrodite si fosse comportata molto bene, con lui, però anche il dio non era mai stato famoso per le sue carinerie.

Perciò, chi gli aveva risposto?

Quando infine raggiunse il pronao e lo oltrepassò, ammirandone i colonnati di marmo bianco e gli splendidi capitelli corinzi, Achille notò la porta d’entrata aprirsi prima del suo arrivo.

Dinanzi a lui, quindi, apparve una giovane in divisa camicia-pantaloni color bianco latte che, sorridente, disse: «Benvenuto. Il signor Basileia la sta aspettando nella veranda sul retro.»

Basileia? Perché diavolo Efesto usava come cognome uno degli epiteti di Artemide?

Achille lo trovò un fatto piuttosto sconcertante ma, ugualmente, seguì la giovane che, nel farlo accomodare, aggiunse: «Il signor Basileia si scusa per non essere venuto personalmente alla porta, ma sta terminando la sua sessione di massaggi.»

Achille strabuzzò gli occhi, a quella notizia e, sempre più confuso – che avesse sbagliato completamente indirizzo? – mormorò dubbioso: «Ehm, non vorrei sembrare offensivo, ma l’Efesto che conosco io non farebbe mai massaggi.»

La giovane allora sorrise incantevole e, indicandogli di svoltare a destra, lungo un ampio corridoio dai bianchi pavimenti in gres porcellanato e pareti abbellite con stucco veneziano giallo paglierino, asserì: «Oh, il signor Basileia, infatti, ci ha assunti solo alcuni mesi fa, perché ci prendessimo cura di lui. E’ stato inoltre così gentile da offrire una stanza a coloro che fossero troppo distanti da casa per rincasare ogni giorno, perciò non si stupisca di vedere altre persone in giro per la villa.»

Il semidio non poté che sorprendersi ulteriormente, di fronte a quel mare di novità inaspettate e, quando infine raggiunsero la veranda, Efesto stava giusto ringraziando uno dei massaggiatori per il buon lavoro svolto.

Achille non poté che rimanere a bocca aperta. Non solo per lo spettacolare panorama offerto dalla distesa di ulivi e aranci – piantati in rigorosi filari – e del mare alle loro spalle, ma per la incredibile trasformazione avvenuta nel dio del fuoco.

Per quel che ne aveva sempre saputo lui, Efesto era famoso per essere un uomo bruciato dal calore, arcigno, rapace nello sguardo e scorbutico con quasi tutto il genere vivente.

Il ragazzo che aveva appena ringraziato e che, in quel momento, stava sistemando in uno stipetto tutto ciò che aveva usato per i massaggi, era stato gratificato invece gratificato da un sorriso, così come da parole gentili e generose.

Una bella contraddizione in termini, per quanto ne sapeva lui.

Nel volgersi a mezzo, il corpo avvolto da un pesante accappatoio bianco, Efesto esordì dicendo: «Bentrovato, Achille. Accomodati pure e serviti senza problemi. Ci sono diversi vini bianchi, acqua e limoncello, nel carrello delle bevande. Io mi cambio e sono da te.»

Ciò detto, entrò in una stanzetta affacciata sulla veranda in cui si trovavano e Achille, non sapendo che altro fare, si accomodò su una poltrona di vimini e si servì del limoncello fresco.

Era davvero senza parole. Si era aspettato di giungere in un tugurio nei pressi del monte Etna, circondato da sterpaglie, gran confusione e odore di zolfo. Al contrario, si ritrovava in una sorta di villa hollywoodiana, con tanto di massaggiatori, servitù e bevande eccellenti, di fronte a uno dei panorami più belli del mondo.

Qualcosa non tornava.

Quando infine Efesto tornò, presentandosi in leggeri pantaloni di lino beige e camicia bianca dalle maniche arrotolate sui gomiti, ebbe ulteriormente motivo di stupirsi.

Evidentemente, qualcuno aveva giocato – in meglio – con il suo guardaroba e, a ben vedere, anche con la sua faccia. Il taglio di capelli era perfetto, e la leggera barba era stata sistemata da mani esperte.

Camminando grazie all’ausilio di un bastone da passeggio dal pomolo in argento, pur se non sembrava che la sua zoppia fosse così importante, Efesto raggiunse il suo ospite e si accomodò su una poltrona vicina.

Lì, si servì del Greco di Tufo in un bel calice a forma di calla e domandò: «Cosa porta il mio fratellastro alla porta del dio del fuoco?»

Achille sapeva bene che sua madre Teti si era presa buona cura di Efesto, dopo che l’ingrata Era lo aveva scacciato malamente dall’Olimpo, ma non aveva mai pensato che il dio lo vedesse come un fratello.

«Per la verità, sono così sconvolto da quello che vedo, da averlo praticamente dimenticato» ammise Achille, facendo sorridere il dio.

«Posso capire. Chi passa a trovarmi, impiega più o meno mezza giornata per capire che non è tutto uno scherzo» asserì magnanimo Efesto. «Hai mancato Athena e Artemide di una settimana. Erano qui assieme alle loro famiglie allargate.»

Sorpreso, Achille esalò: «Quanti altri dèi camminano tra noi? Io sono giunto a te tramite i buoni uffici di Memnone, ma non avevo idea che vi fossero altre divinità amanti del mondo umano.»

«Memnone?» ripeté sorpreso Efesto, prima di comprendere e sorridere. «Oh, già… ogni tanto si ferma in uno degli stagni che ci sono nella proprietà. Ho impiegato un po’ per capire che era il figlio di Eos, ma alla fine ci sono arrivato. La traccia divina che si tira dietro è abbastanza forte, pur se io non sono molto esperto nel riconoscerle.»

«Cielo! Artemide e Athena! Forse, dopotutto, è stato un bene che io non le abbia incrociate, visti i miei trascorsi con Apollo, e il caos con Briseide e il sacco di Troia» esalò l’uomo, passandosi nervosamente una mano tra i ricci capelli castani.

Durante la guerra di Troia si era inimicato il fratello di Artemide – protettore della città – e, in un’occasione, aveva obbligato la dea Athena a intervenire perché non commettesse una follia.

Il fatto che Agamennone avesse tentato di togliergli Briseide, lo aveva quasi mandato fuori di testa ma, a conti fatti, uccidere il re di Micene avrebbe portato solo la vittoria ai troiani. Lui, però, si era solo fatto guidare dall’istinto cieco e dalla lussuria, e Athena si era vista costretta a fermare la sua mano… e a fargli una lavata di capo.

Fosse stato solo quello, però, forse Athena lo avrebbe anche potuto perdonare… ma ciò che era successo dopo la caduta della città aveva fatto infuriare così tanto la dea che probabilmente, sapendolo redivivo, avrebbe preteso una vendetta anche su di lui.

Efesto, però, lo irrise e replicò: «Ah, quelle due ragazze sono assai cambiate. Esattamente come me. Inoltre, pur se la faccenda di Cassandra fu incresciosa – e commessa da un soldato acheo, non da te – Athena sapeva bene chi e come colpire, per vendicarsi. E mi pare lo abbia fatto più che bene, a suo tempo.»

Annuendo suo malgrado, Achille però replicò: «Non lo metto in dubbio, Efesto. Ma Artemide ama molto il fratello, e io combattei contro di lui, a Troia, e feci mia una sua accolita. Quanto ad Athena, so che lo stupro venne commesso da Aiace Olieo, ma lei non accettò il comportamento barbaro di tutti gli achei, che infatti vennero puniti per sua mano, smarrendosi sulla via del ritorno. Se io fossi stato in vita, si sarebbe vendicata anche su di me, e sapermi vivo ora potrebbe farle tornare in mente quella vendetta.»

Efesto sorrise benevolo, ben comprendendo le paure dell’eroe. L’ira degli dèi non conosceva data di scadenza e, pur se lui sapeva che sia Artemide che Athena erano molto diverse dalle dèe che erano state un tempo, Achille nutriva giustamente dei dubbi.

«Posso chiederti come mai, tra gli umani, usi un titolo onorifico di Artemide come cognome?» domandò curioso Achille.

«A suo tempo, quella scaltra ragazza mi fece capire un paio di cose e mi rese edotto sulla vita moderna, così la onoro portando il suo cognome tra i mortali. Dopotutto, sia lei che Athena mi chiamano zio, perciò ha un suo senso logico» scrollò le spalle il dio, sorprendendo ulteriormente l’uomo.

In quel mentre, il cellulare di Efesto squillò e la divinità, scusandosi col proprio ospite, rispose alla videochiamata e sorrise spontaneamente nel veder comparire il viso solare di Alekos all’altro capo.

«Ciao, zio! Come stai?!» esclamò il figlio undicenne di Athena.

«Alekos, ciao. Io sto benissimo, e ho appena ricevuto la visita di mio fratello» gli spiegò Efesto, sorridendo nel vederlo spalancare la bocca per la sorpresa.

«Hai un fratello? E chi, zio? Dimmi, ti prego!» esclamò eccitato il ragazzino, battendo le mani pieno di allegria.

Sorridendo divertito suo malgrado, Achille si piegò verso il cellulare per vedere con chi stesse parlando Efesto e, nel vedere un ragazzo dalla carnagione chiara, gli occhi verde smeraldo e i riccioli scuri, domandò piano: «Chi è?»

«Il figlio di Athena» spiegò Efesto, prima di aggiungere: «Lui è Achille, Alekos. La sua mamma si prese cura di me, quando nacqui, perciò lo considero una sorta di fratello.»

Mentre Achille diventava pallido al solo sentir nominare la dea della guerra, la sua potente protettrice – e che lui aveva deluso grandemente –, Alekos sorrise pieno di meraviglia e disse: «E’ una cosa bellissima, zio. Anche se non siete parenti veri, vi lega l’amore della stessa mamma. Perciò, tu sei quell’Achille

Riscuotendosi dinanzi alla domanda del ragazzino, l’uomo assentì e, di colpo, gli occhi di Alekos si illuminarono di letizia, mentre il ragazzino esclamava: «Ti stiamo studiando a scuola! Eri davvero fortissimo

Achille fece per denigrarsi, ma la voce di una donna in sottofondo lo fece raggelare, facendolo impallidire di colpo. Conosceva molto bene quel timbro vocale, e sembrava che i secoli l’avessero mantenuto immutato.

Alekos rispose alla donna con un: ‘c’è Achille in linea!’ e, prima ancora che l’uomo potesse defilare, il volto perfetto e bellissimo della dea Athena comparve nello schermo dell’iPhone di Efesto.

Gli occhi smeraldini della divinità lo perforarono per alcuni istanti prima che la bocca generosa e morbida si piegasse in un sorriso, per poi far defluire un ‘ma guarda’ davvero sorpreso da essa.

Lanciata poi un’occhiata a Efesto, Athena domandò ironica: «Hai fatto una riunione di famiglia senza invitarci, zio?»

«E’ stata una cosa dell’ultimo minuto, cara, ma se vuoi ho camere libere per tutti» ironizzò il dio, vedendo Achille scuotere freneticamente il capo per negare con forza.

Athena accentuò il suo sorriso nel vedere l’espressione sconvolta di Achille e, divertita, asserì: «Se sei preoccupato per il fatto che i tuoi uomini hanno stuprato e ucciso donne che mi adoravano, infischiandovene del fatto che fossero degli persone innocenti, non devi più preoccuparti. Chi di dovere è stato punito, dovresti saperlo, e tu hai pagato con la morte la tua entrata a Troia. Non vedo motivi per infierire ulteriormente. Io e Arty – sai, suo fratello è qui in visita, e sarebbe interessato a parlarti, se sapesse che sei vivo – siamo molto maturate, col tempo. Non spacchiamo più culi a nessuno. Preferiamo parlare, prima.»

«Linguaggio2» dissero in coro Efesto e Alekos, scoppiando poi a ridere per diretta conseguenza.

La dea fissò disgustata il figlio, prima, e lo zio, poi e infine borbottò: «Benedette maratone Marvel. La prossima volta mi darò malata.»

Achille immaginò per un momento di trovarsi catapultato in un universo parallelo, poiché non capì nulla di quello che stava accadendo. Era mai possibile che, non solo Athena lo stesse bellamente prendendo in giro per fargli nascere un po’ di sana strizza, ma stesse anche nominando dei film di caratura mondiale con proprietà fin troppo sospetta?

Inoltre, il figlio che osservava con così tanto affetto, da dove saltava fuori? Cos’era successo, dalla sua morte alla sua ultima reincarnazione?

«Mamma, perché non invitiamo qui sia lo zio che Achille? Così può aiutarmi coi compiti di Epica. Stiamo giusto studiando l’Iliade!» propose a quel punto Alekos.

Achille si sentì male al solo pensiero. Il suo nuovo silenziatore per l’auto, per cui si era sobbarcato quel viaggio, sarebbe finito nel dimenticatoio. Ma come dire di no al figlio di una dea?

Athena sbirciò nel visore, assottigliò le palpebre e domandò: «Era una visita di cortesia, la tua, o d’interesse?»

«Ehm… entrambe» ammise Achille, non comprendendo il motivo della domanda.

«Oh, giusto. Il disegno che mi hai mandato» ammise a sua volta Efesto, scoppiando a ridere. «Temo dovremo rimandare, Alekos. Devo preparare un silenziatore nuovo per l’auto da rally di Achille.»

«Ma hai una fucina anche qui!» protestò dolente il ragazzino.

«Non insistere, Alekos. Lo zio lavora più volentieri nella sua e, se è un pezzo speciale, avrà bisogno della forza della lava, per forgiarlo» replicò pacifica Athena.

«Già… è vero…» brontolò suo malgrado il ragazzino, prima di guardare spiacente Achille e aggiungere: «Scusa se ho insistito.»

Ecco, bene. E adesso chi poteva dire di no a due occhioni così dolci, gentili e contriti?

Lui non aveva esattamente un macigno, al posto del cuore e, avendo già sperimentato la vita da eroe, nella sua nuova reincarnazione aveva iniziato a testare l’altra scelta offertagli dalla madre a suo tempo.

Una vita nell’ombra, ma coronata da amore, famiglia e affetti.

Non che per il momento vi stesse riuscendo molto bene, ma aveva avuto un paio di fidanzate e non gli era dispiaciuto, come interludio. Inoltre, parte del motivo per cui si trovava lì, era proprio a causa di una donna, perciò…

Di fronte a quegli occhioni, quindi, si ritrovò a mormorare: «Beh, se Efesto può lavorare lì, allora…»

Achille non dovette dire altro. Alekos scoppiò in un ‘evviva!’ pieno di letizia e il dio del fuoco, sorridendo divertito al fratellastro, chiosò: «Ma tu non eri tutto d’un pezzo?»

«Non in questa vita. Mi sono ripromesso di provare con la seconda scelta che mamma mi fece all’epoca, e questi sono i risultati attuali» asserì sconfortato Achille.

«Beh, io posso anche lavorare a casa di Alekos, non c’è problema» disse a quel punto Efesto, dando una pacca sulle spalle ad Achille, che sospirò.

Athena, a quel punto, ghignò beffarda e disse: «Preparerò una stanza per Achille, allora. Immagino che tu voglia dormire da Artemide, visto che ti ci sei trovato così bene la prima volta. Inoltre, con Apollo nei paraggi, meglio non rischiare.»

«Avrete un ospite a testa… mi sembra corretto» dichiarò divertito Efesto.

«Ma certo. Avvertirò Érebos dell’arrivo di un ospite» disse a quel punto Athena, svanendo dall’inquadratura per allontanarsi.

Nell’udire quel nome ancestrale, Achille rabbrividì per diretta conseguenza e, osservando titubante il bambino ancora presente in linea, il semidio gorgoglio: «Ah… Érebos è tuo padre, ragazzino?»

«E’ il mio secondo papà. Il mio primo papà è morto, e ora è nell’Oltretomba, ma adesso Érebos è il nuovo compagno di mamma, e lui mi fa da padre. E’ davvero un mito» gli spiegò Alekos, tutto sorridente.

«Morto? Quindi era…» esalò sorpreso il semidio.

«Era un mortale, e si chiamava Miguel. I capelli li ho presi da lui» asserì il ragazzino, tirandosi una ciocca bruna con due dita. «Suo fratello Felipe sta con la zia Artemide, adesso.»

D’accordo, era davvero finito in un universo parallelo. Athena aveva avuto un figlio da un mortale? E Artemide aveva per fidanzato l’ex cognato di Athena?

Dandogli una pacca sulla spalla, Efesto chiosò comprensivo: «Te l’ho detto. Sono cambiate.»

«O io mi sono ubriacato con il tuo limoncino» celiò Achille, facendo scoppiare a ridere Etesto e Alekos.
 
***

Materializzarsi nel giardino di una villetta con vista sul mare, era strano anche per uno come lui, che aveva vissuto in epoche ora considerate mito, e con guerrieri ricordati come eroi da millenni.

Pur essendo un mortale, la sua anima di semidio gli concedeva qualche vantaggio – oltre a quello di ricordare ogni sua reincarnazione – e, quando Efesto gli aveva proposto di teleportarsi, non si era rifiutato.

Nel poggiare i piedi su erba fresca e profumata di rugiada, Achille si guardò quindi in giro con espressione ammirata, niente affatto disturbato da quel salto spazio-temporale durato solo un battito di ciglio.

Il giardino in cui erano giunti era ben curato, con eleganti salici piangenti a offrire ombra agli uccellini e un grazioso gazebo a traliccio dove crescevano rose rampicanti dagli svariati colori.

Poco più in là, nei pressi dello steccato in legno chiaro che delimitava la proprietà, una grande voliera disegnava un ampio semicerchio e lì, solitaria, una civetta dal manto bruno stava riposando tranquilla.

Il tutto appariva moderno e ben tenuto e nulla faceva pensare che, all’interno di quella villetta a piano terra in stile americano, potesse vivere la potente dea della guerra, cui lui aveva prestato giuramento di fedeltà secoli addietro.

Era stato davvero uno sciocco a comportarsi come aveva fatto, durante la guerra di Troia ma, a giudicare dalle parole della dea, lei pareva non avere rancori repressi verso di lui.

Ugualmente, quando la vide comparire sulla veranda in uno splendido chemisier di seta scura, si inginocchiò penitente e mormorò ossequioso: «Ti chiedo venia per il mio comportamento irresponsabile, mia signora. Fui davvero una testa calda, a gettarmi a quel modo contro Agamennone. Per non parlare di come mi comportai a Troia.»

«E’ vero…» ammise con candore Athena, poggiando una mano sui suoi riccioli castani. «… ma apprezzavo molto la tua irruenza, a suo tempo e, quando ti scelsi per appoggiarti nella guerra, sapevo a cosa andavo incontro. Intervenni perché fu giusto intervenire, tutto qui.»

«Ma non feci nulla per impedire lo scempio di donne e bambini. Pensai solo a occupare la città» replicò l’uomo, sollevando il capo a guardarla.

Lei si accigliò appena, annuì e ammise: «Sì, è vero anche questo. Ma le persone che commisero tali atti vennero degnamente punite. Tu perdesti la vita, non vedo quindi il motivo di infierire ulteriormente su di te, Achille.»

«Anche se non sono stato degno del vostro amore?» domandò dolente l’uomo, fissando la sua dea con occhi ricolmi di sincero patimento.

Athena a quel punto gli sorrise, si piegò per afferrare le sue mani e, sollevatolo da terra, gli carezzò una guancia, affermando con sincerità: «Avrei punito anche te con un ritorno in patria irto di difficoltà, esattamente come feci con Ulisse ma, se ricordi la storia, alla fine aiutai anche lui, nonostante tutto.»

Achille accennò un sorriso, ripensando a Nausicäa e al dolce intervento della dea.

Al suo assenso, Athena terminò di dire: «Perdono sempre gli errori dei miei campioni, prima o poi. E tu pagasti un pegno assai più grande di quello che avrei mai chiesto per la presa di Troia, compiuta in modo così brutale.»

«E’ confortante sentirvelo dire, mia signora» mormorò ossequioso Achille.

Lanciando uno sguardo a Efesto, che stava osservando l’intera scena con quieto interesse, Athena domandò: «Che ti aspettavi, scusa? Che gli tirassi le orecchie, o che? E’ uno dei miei bambini, dopotutto!»

Efesto scoppiò a ridere di fronte a quella frase – Achille superava di mezza testa Athena, per quanto lei fosse già una donna molto alta – e, nell’avvicinarsi alla nipote acquisita, asserì: «Lo chiami bambino, ma è grande il doppio di te. E’ buffo, ammettilo.»

«Anche quando Alekos sarà adulto, lo chiamerò il mio bambino. E Achille è un figlio prediletto, anche se un paio di volte mi ha fatto pensar male» sottolineò Athena. «Ai nostri figli adorati possiamo dare strigliate colossali, se serve. Sta a indicare quanto gli vogliamo bene.»

«Buono a sapersi, vero, Achille?» chiosò Efesto, ammiccando al fratellastro.

Sorridendo nervosamente, Achille si limitò a dire: «Vedrò di non fare ulteriori casini, in questa vita.»

Prima ancora di poter commentare qualcosa in tal senso, Athena sgranò gli occhi per la sorpresa, spostò dietro di sé Achille con una facilità che sgomentò il semidio e, levato un braccio, fece apparire il suo scudo con la Gorgone, esclamando: «Andiamo, Apollo! Vedi di contenerti!»

La freccia d’oro scagliata da Apollo dovette affrontare il potere devastante di Athena che, de facto, impedì al dardo di raggiungere il suo bersaglio, finendo con il frantumarsi contro lo scudo magico della dea.

Irritato, il dio abbassò il suo arco proprio mentre Artemide lo raggiungeva piena di rabbia e lo afferrava alla vita per trattenerlo.

«Perché quell’infame scudiero del male si trova sul suolo sacro della tua dimora?!» sbraitò Apollo, infervorandosi.

Athena sospirò esasperata, abbassò a sua volta lo scudo e borbottò: «Cielo, Apollo… modernizzati! Si parlava così nel secolo scorso!»

Achille fissò vagamente preoccupato la figura snella e affascinante del dio solare, fermo all’altro capo della staccionata e trattenuto dalla gemella che, furibonda, sembrava sul punto di malmenare il fratello.

Turbato, il semidio mormorò: «Devo andarmene, mia signora?»

«Per niente. Alekos ti ha invitato, e tu rimani» sottolineò Athena, accigliandosi. «Ne avevamo già parlato, Apollo. Soffri di vuoti di memoria, per averlo dimenticato in così breve tempo?»

«Come, ne avevate già parlato?» esalò Achille, mentre Efesto si avvicinava ad Athena per offrire un ulteriore scudo al semidio.

Volgendosi a mezzo, Athena replicò: «Beh, mi è sembrato scontato, visto che Apollo era già qui e ti avrebbe visto. Ma, a quanto pare, è un po’ sordo. Oppure soffre di vuoti di memoria.»

«Reco giustizia, Athena, perciò scostati!»

Infuriandosi, le dea della guerra si ammantò della sua armatura, fece rifulgere l’icore nel suo sangue e, dando lustro al suo nome, esclamò: «Non rechi giustizia, ma un’inutile vendetta! Cospirasti contro Patroclo fino a farlo uccidere, pur sapendo quanto Achille vi fosse affezionato, e infine guidasti la freccia di Paride perché colpisse Achille nel suo punto debole! Cos’altro vuoi, dal mio protetto?!»

Stringendo la mano sull’arco d’argento che gli era proprio, Apollo sbottò dicendo: «Tu stessa ti infuriasti per ciò che lasciarono dietro al loro passaggio, una volta cadute le mura di Troia!»

«E li punii all’epoca! Ma ora siamo ben lontani da quei tempi, e tu devi piantarla di portare rancore. Soprattutto se lo porti verso ospiti che sono in casa mia!» sbraitò Athena, falciando l’aria con la sua spada.

Achille si guardò attorno preoccupato, scrutò ansioso le ville nelle vicinanze e, rivolto a Efesto, domandò: «Ma… non c’è il rischio che li vedano?»

«Érebos ha elevato uno scudo proprio per evitare che scenate del genere divenissero pubbliche» chiosò Efesto, ammiccando simpaticamente. «Conosce i suoi polli, del resto.»

«Pollo a chi?!» sbraitarono all’unisono sia Apollo che Athena.

Un refolo di nebbia avvolse l’intera casa di Athena, escludendo di fatto Apollo e Artemide e, mentre Érebos usciva con passo tranquillo in veranda, Achille si premurò di chinare ossequioso il capo di fronte alla divinità Ctonia.

Se Athena gli incuteva un sincero timore, verso il dio dell’oscurità, Achille provava un più che motivato terrore primigenio.

«A quanto pare, ho fatto bene a erigerla» chiosò quieto il dio, poggiando le mani sui fianchi con espressione soddisfatta.

«Questo è barare, Érebos!» si lagnò Apollo, oltre il muro di nebbia.

«Ti sta salvando le chiappe da un pestaggio, idiota che non sei altro!» lo rabberciò per contro la sorella. «Davvero ti vorresti battere con Athena? Cazzo, lei è la dea della guerra!»

«Linguaggio!» declamarono in coro Efesto ed Érebos, facendo esplodere la dea silvana in un’altra maledizione.

Calando la sua spada, Athena bofonchiò: «Giuro, Apollo, che a volte dubito della tua intelligenza. Forse hai preso troppo sole, da bambino.»

«Sarò anche il dio del sole e della medicina, ma posso batterti in qualsiasi momento! Ti sei rammollita, da quando vivi tra i mortali!» la prese in giro Apollo.

Sollevando un sopracciglio con aria accigliata, le mani strette a pugno e l’icore ancora brillante nelle sue vene, Athena sibilò: «Mi sono… rammollita

Efesto guardò un tantino preoccupato la divinità Ctonia che, però, replicò con candore: «Ehi, l’hanno offesa. E’ giusto che dica la sua.»

Achille lanciò occhiate più che preoccupate a tutti finché, colto da un moto di speranza, non vide arrivare Alekos, il figlio di Athena e, forse, la loro unica fonte di salvezza da un potenziale disastro.

Il ragazzino fissò pieno di ammirazione la figura della madre, sorrise a Érebos e infine, rivolgendosi al semidio, esalò: «La mamma ti sta difendendo?»

«A quanto pare, sì, ma temo che le cose ci siano un tantino sfuggite di mano» ammise l’uomo, sperando che Alekos potesse portar pace tra i due dèi.

«Perché sei arrabbiata, mamma?»

«Lo zio Apollo pensa che mi sia rammollita, a vivere qua» ghignò la dea, poggiando temporaneamente a terra scudo e spada per legarsi i capelli fulvi in una treccia.

Alekos scoppiò in una sonora risata che non fece presagire nulla di buono ad Achille che, un attimo dopo, sentì infatti dire: «Lo zio non ti conosce bene, allora, mamma.»

«Pensi dovrei dargli una lezione?» gli domandò lei.

«Dipende. Se non lo facessi, ti prenderebbe in giro?»

«Temo di sì.»

«Allora, suonagliele» dichiarò Alekos, sgomentando non poco Achille.

«Mia signora… credete davvero che sia necessario?» domandò a quel punto il semidio.

«Le accuse di Apollo sono assurde, perciò combatteremo» dichiarò Athena, facendo scomparire con uno schiocco sia scudo che spada.

Confuso, Achille vide svanire anche la nebbia che, fino a quel momento, li aveva protetti dallo sguardo di Apollo che, finalmente libero di avvicinarsi, scavalcò la staccionata, fissò livido il semidio e sibilò: «Ti distruggerò.»

«Lo vedremo. Finora, le hai solo prese» sottolineò Athena, ghignando superba nell’afferrare il dio a un braccio perché distogliesse lo sguardo da Achille.

Il semidio fu pronto a mettersi tra i due, pur di evitare che Apollo levasse mano contro la sua dea ma Efesto, trattenendolo, mormorò divertito: «Io non mi preoccuperei, sai?»

«Ma Apollo vuole…» iniziò col dire Achille, prima di bloccarsi costernato quando sentì parlare il dio solare.

«Mi sono allenato un sacco ad Assassin’s Creed, perciò avrò la meglio, stavolta.»

Athena lo fissò con aria di sufficienza, replicando: «Hai la stratega delle strateghe per eccellenza, di fronte a te. Non vincerai mai

Ciò detto, i due dèi entrarono nella villetta a passo di carica mentre Efesto, battendo una mano sulla spalla di un costernato semidio, chiosava: «Che ti aspettavi? Fulmini e saette?»

«Davvero non lo so» gracchiò Achille, chiedendosi ancora una volta se non fosse finito in un universo parallelo.

E pensare che a lui serviva soltanto il silenziatore di uno scarico!

 
 
 
1 Nikomachos: (greco) letteralmente, significa “vittoria in battaglia”.
2: “Linguaggio!”: Battuta di Captain America in Avengers:Age of Ultron, simpaticamente utilizzata poi da Tony Stark per prendere in giro il capitano Rogers sulla sua fissazione per il linguaggio educato.


N.d.A.: facciamo la nostra conoscenza con Achille, e scopriamo che il dio è convinto che Athena sia adirata con lui per quanto successe a Troia, una volta cadute le sue porte. A sua volta, Athena è suo malgrado divertita all'idea di poter parlare con il suo campione perché, se un tempo avrebbe potuto punirlo al pari degli altri achei, i millenni passati a conoscere gli umani l'hanno cambiata, così come la maternità, e ciò la spinge a tranquillizzare il giovane semidio... e a proteggerlo dalle bizze di un irritato Apollo, che invece non ne vuole sapere di perdonare.
Che dite? Chi vincerà ad Assassin's Creed? E Achille riuscirà ad avere il suo silenziatore nuovo?
  
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