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Autore: Roberto Turati    11/07/2019    0 recensioni
[ARK: Survival Evolved + Horizon Zero Dawn]
 
Una collaborazione tra me e Manon, mia buona amica e grande appassionata di Horizon Zero Dawn, autrice su Wattpad.
 
Dopo aver salvato il mondo da ADE, Aloy può finalmente rilassarsi pensando ad alcune faccende marginali come esplorare, partecipare alle cacce della Loggia, sbloccare nuovi override nei Calderoni eccetera. Ed è proprio in uno dei Calderoni che, per incidente, scopre un progetto segreto e abbandonato che gli Antichi avevano inizialmente preso in considerazione come un'alternativa a Zero Dawn, prima di decidere che quest'ultimo era un'idea migliore. Così l'amazzone Nora scoprirà un posto che non avrebbe mai immaginato, ma dovrà suo malgrado salvarlo da alcune Macchine che vi hanno acceduto assieme a lei...
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Quella sera, alla base di Nellim, Asile mangiava a volontà godendosi lo stufato di coniglio che le cuoche della banda avevano preparato per tutti con la cacciagione della settimana. Si era seduta in prima fila davanti al falò al centro della conca, insieme a Kïma e a Bargh e Corliss. Quest’ultima la tempestava di domande su di lei, il marito la esortava a darle un po’ di respiro e Kïma ridacchiava, senza dire niente. Asile, dal canto suo, replicava poco e per cenni: prima di conversare, voleva riempire l’enorme buco nello stomaco che le era venuto durante la reclusione da Brachio. Il coniglio stufato le piaceva tantissimo: in bocca era tenero come la carne di tutti i mammiferi, ma anche fibrosa come il pollame, il suo preferito. Intanto, si guardava intorno per guardare gli altri: un po’ si rideva e scherzava, un po’ si raccontava cosa si era fatto in giornata. In quel contesto, Nellim non sembrava affatto un’autorità: si univa al gruppo, come uno di loro: suscitava simpatia. Alla fine finì il coniglio e non ebbe più scuse per non rispondere alle domande di Corliss.

«Sono tutta tua. Cosa vuoi sapere?»

«Chiedile da quanto tempo la sua gente sta su quell’isola!» suggerì Kïma.

«Buona idea! Mi hai letto nel pensiero, Kïma»

Asile rimase stranita:

«Che razza di domanda è?»

«Così, per curiosità»

«Be’, il nostro calendario parte dallo sbarco dei nostri antenati. Quindi, se è giusto, da più di seimila anni»

«Impressionante!»

«Senti un po’, ma… che musica avete? A me piace tanto la musica, ma sentirne di decente in giro è così raro!» domandò Kïma.

«Be’, non me ne intendo tanto… se a me dici “musica”, vuoi dire parecchie cose. Ci sono gli spettacolini teatrali nei villaggi, quelli che suonano per gli affari loro…»

«Lo so, lo so, intendevo quali stili?»

«Sono certa che c’è una suddivisione, ma non so i nomi dei generi: non mi sono mai interessata tanto»

Corliss si schiarì la gola e chiese:

«Qualcuno ti ha già detto cosa sono i Giorni Rossi in questo mondo?»

«No»

Dopo una rapida spiegazione, le fu chiesto se su ARK c’erano arene o anfiteatri simili al Cerchio del Sole, in cui la gente moriva. Aggiunse che in passato aveva perso dei conoscenti a causa di quello. Ebbe una fitta di invidia quando le fu risposto di no.

«Ora faccio io una domanda – intervenne Bargh, bevendo dell’acqua – Sulla tua isola c’è l’emarginazione o altre ingiustizie inutili?»

«No, siamo tutti… Arkiani e basta. Anche fra villaggi. I nostri capi non sono neanche esattamente dei tizi che comandano, semplicemente regolano certe cose e fanno annunci, o chiedono opinioni»

«Dannazione, vorrei essere della tua isola! Altro che “il volere della Madre”… le matriarche sono solo stupide racchie»

«Bargh! Porta rispetto! Sono pur sempre loro!»

«Lasciati andare, moglie: non siamo più Nora, a parte certi modi di fare. Vale lo stesso per tutti, qui»

«Ora che ci penso… perché l’isola si chiama come un’arca?» chiese Kïma.

«Oh, è un racconto che dicono a tutti da bambini. Decenni fa pare che sia arrivato un certo Darwin, dall’estero, che ha paragonato l’isola all’arca di questo tizio, Noè, che secondo una sua credenza una volta ha portato degli animali ad accoppiarsi in mare sulla sua barca. E niente, da qui il nome. Prima era solo “patria”»

«Mi sembra ridicolo»

«Non dirlo a me»

In quel momento, una ragazzina dallo sguardo timido con il viso tinto di giallo, quindi una giovine Utaru, raggiunse Asile e la salutò:

«Ciao, tu sei quella ragazza da un altro mondo, giusto?»

«Sì. Che vuoi?»

«Oggi ho visto un uccello che non ho mai visto prima, sono sicura che venga da casa tua. Lo vuoi vedere?»

«Perché no?»

La bambina frugò nella sua veste e tirò fuori un disegno a carboncino.

«Eh? Credevo che volessi farmelo vedere dal vivo!»

«Purtroppo una Vedetta l’aveva appena calpestato, però sono sempre stata brava a disegnare»

Le diede il disegno.

«Oh, un dodo! Dove l’hai visto?»

«Raccoglievo piccole piante con mia madre nel deserto, quando l’ho visto morire da lontano»

«Oh, capisco… ma non è stata una scena un po’ cruda per la tua età?»

Bargh rise e scosse la testa:

«Asile, di fronte a te c’è la piccola Taia, la disegnatrice senza paura e senza vergogna… purtroppo. Regala sempre a tutti dei bei paesaggi, però a volte tira fuori cose un po’ sconce senza nemmeno saperlo…»

Asile sbarrà gli occhi, incredula.

«Cosa?! Tipo?»

«Tipo… un nudo di me a mia insaputa su richiesta di Nellim» disse Kïma, irritata.

«Un nudo di te? Fatto da una ragazzina? Per cosa gli serviva?»

«Avad, il re dei Carja, ha sempre accettato volentieri di dare un piccolo supporto alla nostra comunità nei rari casi in cui Nellim glielo chiede, ma la sua corte ci è sempre stata ostile. Così il capo ha pensato ad un modo per “appagarli” e farseli amici, anche sapendo che Avad e Kïma si conoscono e lui ha un vago debole per lei» raccontò Corliss, divertita.

«Tra me e Avad non c’è niente! Magari lui fa il cascamorto per me, ma io no. Mi piacciono di più le ragazze» protestò subito Kïma, arrossendo.

«Ehi, dovresti essere contenta: sei proprio bella, a parte quella tempia!» scherzò Asile.

Mentre Kïma sollevava gli occhi al cielo, Asile fece per restituire il disegno del dodo alla bimba, ma lei non c’era più. Allora fece spallucce e decise di tenerlo. Improvvisamente, però, il suono di un corno dai posti di guardia attirò l’attenzione di tutti, preoccupando Nellim…

«Oh-oh…» fece Kïma.

«Che succede?» chiese Asile.

«Abbiamo visite non di cortesia. Credo abbiano capito tutti di chi si tratti…»

Poco dopo, una guardia raggiunse Nellim di corsa per avvertirlo.
 
«Capo, è arrivato...»
 
«Ho già capito chi è. Vuole attaccare?»
 
«No, non sembra...E poi non ha con sé tanti uomini, però potrebbe essere una trappola!»
 
«No, non lo è: lui è tale e quale a suo padre, prima vuole fare qualche minaccia a vuoto per far sembrare tutto più serio. Be’, se è me che vuole, sono tutto orecchie. Se crede di spaventarmi, si sbaglia: anzi, avremo finalmente l’occasione di attuare un certo piano...»
 
Si alzò, si stirò e andò fino alla scala che portava fuori dalla cava accompagnato da alcuni combattenti armati. Su loro richiesta, prese anche un paio di Macchine per ogni evenienza. Quando furono fuori, trovarono Brachio, in armatura leggera e con una sorta di “spada-falcetto” ricavato da rottami, seduto a gambe incrociate e con cinque dei suoi, ad aspettarli. Visero che, dal canto loro, avevano portato tre bestie da ARK: un carnotauro e due velociraptor. Brachio si aspettava che Nellim rimanesse di sasso, ma non accadde: i suoi accompagnatori erano pallidi e cercavano di nascondere che le loro gambe tremavano, ma lui era tranquillo. Questo perché, ovviamente, Asile gli aveva raccontato tutto.
 
«Vedo che ti stai facendo del supporto animale, giovane» commentò.
 
«Oh, l’hai notato? Diciamo che ho i miei contatti. Vedi, al contrario di voi barboni senza identità, io penso in grande! Ho tanti di quei progetti in mente... conquistare qualche villaggio, prendere il posto di chiunque comandi, legalizzare omicidio e stupro...»
 
«Non cambiare argomento. Cosa vuoi da me?»
 
«Da te? Niente... per ora. Vengo solo a chiederti di consegnarmi una certa stronza tatuata di nostra conoscenza, più una straniera dall’isola dei miei nuovi cuccioli, che è uscita da casa mia senza permesso»
 
«Altrimenti?»
 
«Devo davvero dirtelo? Guerra»
 
«Pensi di essere minaccioso?»
 
«No, ma sono un tipo sincero: stai certo che lo farò. Non fraintendere, avremmo fatto la guerra comunque: sterminarvi era sulla mia lista delle cose da fare da tanto»
 
«Allora non prendiamoci in giro e finiamola!»
 
Brachio sembrò sorpreso:
 
«Cosa? Credevo che fossi contro gli ammazzamenti, vecchio!»
 
«Lo sono. Ma ci ho riflettuto e ho capito che finché ci sarai tu, rischieranno di esserci. Quindi farei prima a cercare di toglierti di mezzo»
 
Brachio ghignò:
 
«Oh, è la prima cosa intelligente che ti ho mai sentito dire in un nostro incontro! Sventrarvi tutti sarà uno spasso. Che ne dici se mi presento domattina con tutto quello che ho da scagliarti contro?»
 
«Certo che no»
 
«Eh?»
 
«Hai dimenticato che ho sempre un piano per tutto? Sapevo che prima o poi questa trattativa sarebbe giunta»
 
«Per cui?»
 
«Hai presente la prateria piena di palazzi e veicoli in rovina degli Antichi, vicino alle Terre Sacre dei Nora?»
 
«Chi non la conosce? Ci vanno tutti a cacciare Macchine»
 
«Il nostro campo di battaglia sarà quello»
 
«Oh, considerami già lì! E quando ci incontreremo... manda Kïma in prima fila: voglio buttarmi su di lei quanto prima! Stavolta non avrò pietà»
 
Una delle guardie di Nellim scoppiò a ridere di gusto:
 
«Che hai da ridere, idiota?!» si infuriò subito Brachio.

«In realtà è lei che ha sempre avuto pietà di te!»
 
Brachio ebbe l’impulso di gettarsi su di lui, ma un Secodonte della scorta di Nellim riconobbe l’atteggiamento aggressivo e si mise in posa d’attacco, fermandolo. Nellim si schiarì la voce e rivelò che non ci sarebbe stato subito un combattimento: prima i due capi si sarebbero sfidati ad un duello senza armi. Se Nellim avesse vinto, Brachio avrebbe dovuto andarsene per sempre da quei territori. Altrimenti, le due bande si sarebbero scontrate a sangue. Nellim sapeva che a Brachio, come a tutti i giovani, piacevano le sfide. Infatti accettò.
 
«Ci vediamo domani, per il vostro funerale! Vi conviene cominciare a scrivervi gli epitaffi!» salutò Brachio, prima di andarsene.

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Quando Nellim tornò, Kïma lo raggiunse e chiese cosa si erano detti. Quando seppe tutto, ridacchiò:
 
«Oh, non vedo l’ora di prenderlo a pedate nel culo per l’ultima volta!»
 
«Ti seccherebbe cercare ancora un po’ di Macchine prima dell’alba? Meglio abbondare quanto possibile» chiese Nellim.
 
«Ah, sicuro! L’avrei fatto lo stesso, per fare riscaldamento»
 
«Bene. Dobbiamo accettarci di potergli tenere testa!»

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“Ah, è stato interessante... be’, si torna al vecchio lavoro” pensò Alocin, guardando Aloy e Sylens, con la loro nuova Macchina a forma di granchio, salire sul traghetto.
 
Lui volle prendere il successivo, per non dare a vedere che gli dispiaceva che quel viaggetto da scorta di Aloy era finito, anche se gli era parso di capire che ci fosse ancora un’ultima Macchina in giro per cui Aloy sarebbe tornata da lui. Ma anche in quel caso, non poteva certo attendere con le mani in mano. Così pranzò alla locanda, fece scorta di sidro al mercato e andò alla bacheca per vedere se c’era qualche richiesta interessante. Ma quel giorno erano per la maggior parte delle inezie:
 
"Alla nostra famiglia servono tante uova per un banchetto che allestiremo fra cinque giorni in occasione di un matrimonio. Offriamo settanta ciottoli al primo che consegnerà almeno una trentina di uova di teropode grande (vanno bene anche quelle di carnotauro). Per saperne di più, casa nostra è al villaggio dei Piedi Sabbiosi, davanti a quella del capo."
 
Oppure:
 
"Il mio moscope Ddat è sparito nella giungla tre giorni fa e non l’ho ancora trovato, se qualcuno è disposto ad aiutarmi, abito dalle Rocce Nere. Se invece, per caso, trovaste un moscope grigio scuro col segno di un morso di microraptor sulla schiena, è lui: per piacere, riportatemelo. Offro venti ciottoli."
 
O ancora...
 
"È da più di una stagione che due ittiorniti hanno deciso di vivere sul tetto di casa mia: ho il tetto bianco per il guano e, come se non bastasse, filtra anche dentro. Li provo a scacciare distruggendo il nido, ma tornano sempre; non riesco neanche ad ucciderli, l’ultima volta che ci ho provato mi hanno quasi cavato gli occhi. Mi troverete a casa mia: dal punto in cui si vede l’isola degli Squali Dipinti, proseguite qualche migliaia di passi a Nord. Decidete voi il compenso."
 
Alocin si grattò la testa, infastidito:
 
“Che si aspetta, che vengano con le lance e le frecce per pulirgli il tetto? Sul serio, chi è che scrive questi annunci?!” pensò.
 
Alla fine si rassegnò e decide di aspettare ad accettare qualche richiesta. Anzi, perché fare un lavoro, quando poteva andare da Lefeuvre a farsi una bevuta con lui? L’idea gli mise allegria, così radunò le cavalcature e aspettò che arrivasse il traghetto, quindi tornò sull’isola principale. Si diresse verso le praterie e, per un paio d’ore, procedette fischiettando in tranquillità. Ma poi sentì il grido di un argentavis e le sue creature guardarono in alto, allarmate. Controllò e vide la sagoma di un argentavis (cavalcato da un uomo) che scendeva in picchiata...Verso di lui. Prima che potesse dire o fare qualcosa, due zampe fulminee lo strapparono dalla sella dello yutiranno e lo portarono via, tenendolo per le braccia.
 
«MA CHE CAAAAAAAAAAAAAA...» gridava Alocin, spaventato e confuso.
 
L’uomo dalla bandana rossa, soddisfatto, prese la radio:
 
«L’ho preso, Ryamo»
 
«Mi chiamo Ryomo, stupido barbaro! E portalo qui, che ho aspettato anche troppo» rispose il suo mandante.

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«Bene, siamo arrivati» dichiarò Sylens, finita la camminata lungo il fiume Etnorehca.

Si trovavano di fronte la caverna dell’Oleip, la più profonda, estesa e intricata di ARK. All’interno, lungo le pareti, erano appese due file di torce che illuminavano l’immenso corridoio che portava nel cuore dell’isola.

«Il nostro Carja ha davvero una passione per gli spazi chiusi - scherzò Aloy - Perché ci sono le torce? Credevo volesse stare in incognito»

«In questa caverna c’è una miniera. L’unica di questo posto, a dire il vero» spiegò Sylens.

«Quindi credi che si stia nascondendo fra i minatori per fare le sue ricerche senza destare sospetti?»

«Uhm… ne dubito. I nativi sono buoni osservatori, noterebbero subito delle stranezze. E farebbero un sacco di domande, ovviamente, l’ultima cosa che lui vuole. Dev’essere ben nascosto, nelle profondità…»

«Che strano… non riesco a localizzarlo col focus! Mi sta evidenziando decine di persone e creature laggiù, ma da dove proviene il tuo segnale non c’è niente»

«Temo che sia lui: esistono dei modi per non farsi rintracciare. Forse…»

«Sa di essere seguito, vero?»

«Forse. Proseguiamo con prudenza…»

«Nessun problema: la prudenza è la mia specialità!»

Dunque entrarono. Per sicurezza, Aloy fece stare l’Arcapode sempre al loro fianco e con lo scudo acceso: il focus stava rilevando parecchi animali, da pipistrelli grossi come gatti a insetti enormi, che non la rassicuravano per niente. Se avessero attaccato, avrebbero trovato entrambi pronti: lei con le frecce e la Macchina col suo scudo di plasma. Seguirono il sentiero di torce, molto utile quando c’erano dei bivi. Le creature, al momento, non davano segni di aggressività e non si facevano vedere, ma Aloy era sempre vigile. Proseguirono per vari minuti, prima che i cunicoli iniziassero ad andare in discesa. Poco dopo, passarono davanti ad un cartello che segnalava che la zona di lavoro dei minatori era vicina. Arrivarono ad un precipizio, con un complesso sistema di carrucole e una funivia in legno che portava fino al fondo, attivabile con una leva nella parete. Aloy diede un’attenta occhiata alla struttura, poi all’Arcapode, quindi chiese l’opinione di Sylens: sembrava abbastanza solido per trasportarlo? Lui si strinse nelle spalle. Così decisero di far provare all’Arcapodo, da solo, prima di loro. La funivia lo trasportò dal bordo del precipizio al livello inferiore della caverna senza problemi, poi tornò da loro in automatico con una lenta risalita. Allora i due, sollevati, la presero e raggiunsero il fondo a loro volta. Si ritrovarono in una stanza di calcare piena di alte stalagmiti sottili e ruvide. Un altro cartello diceva di girare a destra e ora si sentiva un gran frastuono di voci umane, passi e rumore di picconi e scalpelli. Aloy e Sylens seguirono il rumore e si ritrovarono nel punto di ritrovo della miniera: un’area fortemente illuminata per metà dalle torce e per metà dai brillanti minerali che spuntavano da ogni angolo roccioso. I minatori chiacchieravano tranquillamente mentre lavoravano o si gridavano indicazioni a vicenda, da lati opposti della grotta. Il rumore dei picconi che sbattevano sui cristalli era assordante. Alcuni trasportavano i materiali raccolti con carretti pieni di ceste, trainati da bestie da soma con grosse lanterne appese al collo.

«Qui sembra decisamente meno triste che nelle cave Oseram» commentò Aloy.

Sylens, indifferente a quello che aveva davanti, disse:

«Come vedi, questo posto ha parecchie entrate e uscite. L’uomo che stiamo cercando è per forza in una delle zone a cui quei cunicoli portano. Quindi, se ci avviciniamo agli ingressi, i nostri focus dovrebbero rilevare più o meno intensamente il segnale a seconda di quanto distiamo. Allora dividiamoceli per esaminarli: io quelli laggiù e tu quelli là, a destra»

«Agli ordini» lo scimmiottò lei.

Ma, mentre passavano davanti agli sbocchi della camera, sotto gli sguardi curiosi ma distaccati dei minatori, l’Arcapode andò automaticamente a posare la sua scatola al centro, intasando il traffico delle bestie da traino, e a raccogliere i minerali estratti dai lavoratori per metterceli. Quindi, poco a poco, cominciarono a volare insulti e imprecazioni, ma Aloy capì solo dopo qualche minuto che erano indirizzati alla sua Macchina. Così, rossa di vergogna, andò a fermarla e ordinarle di disattivare le sue funzioni di raccolta.

«Scusate, non volevo! È con me, non pensavo che l’avrebbe fatto» si scusò frettolosamente con tutti.

Alcuni le dissero di non preoccuparsi, altri la mandarono al diavolo, poi tornarono al lavoro. Aloy sospirò per calmarsi, poi tirò uno schiaffetto sui visori:

«Eddai, che figure mi fai fare?»

Poi, fermandosi a riflettere, si accorse di averlo trattato come un essere vivente: vedere gli Arkiani e le loro cavalcature la influenzava parecchio, a quanto pareva. Sylens arrivò poco dopo e constatò che l’audace Nora aveva dato spettacolo, sorridendo beffardamente. Poi avvisò di aver trovato il cunicolo giusto e glielo indicò.

«Bene, allora andiamo!»

«Però un minatore mi ha detto che è uno dei più pericolosi»

«Non importa: sono abituata ai posti pericolosi»

«Ne prendo atto»

Dunque, si avviarono…

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«Lasciami, figlio di puttana!» gridò Alocin.

L’argentavis lo traportò fino all’Oleip, poi lo buttò nel piccolo lago, famoso per la sua isoletta, ai piedi della montagna. Alocin andò in superficie annaspando, poi nuotò in fretta e furia a fino a riva. Rimase per terra, scosso e senza respiro dallo spavento e dalla caduta in acqua. Sentendo che gli sarebbe venuto un infarto, ingoiò la sua polverina gialla: per fortuna, il sacchetto era di cuoio e non si era bagnata. Si calmò e mise seduto, ma qualcuno venne a colpirlo alla nuca: l’uomo con la bandana, col volto coperto, aspettò che Alocin si rialzasse e gli fece segno di avvicinarsi per sfidarlo.

«Io ti spacco la faccia!» gridò lui.

Ma appena finì di dirlo, gli arrivò un calcio nello stomaco e, subito dopo, un sinistro in mezzo agli occhi. Finì steso ancora prima di poter difendersi.

«Quando sei diventato così scarso?» chiese lo sconosciuto, girandolo sulla pancia e legandogli polsi e caviglie.

«Chi sei?»

«Forse non mi riconoscerai, abbiamo lavorato insieme abbastanza poco, ma...»

Si tolse il fazzolettone e Alocin poté guardarlo bene: all’inizio, non capì lo stesso chi fosse. Poi, però, un fioco ricordo gli tornò gradualmente in testa. Non era che...

«Aspetta... non eri quel tizio con cui dovevo prendere un dente di Zanna Rossa l’anno scorso?»

«Eh sì, Alocin Ollednom!»

«Com’è che ti chiamavi? Ehm... Omocaig, giusto?»

«Esatto»

«Ma com’è mai possibile che sia vivo? Ti aveva mangiato!»

«Mangiato? Nah... mi ha solo mangiucchiato i vestiti: sono riuscito a ingannarlo»

«Quindi... oh, ma certo... vuoi vendicarti perché non ti ho aiutato?»

«Magnifico, mi hai risparmiato il discorso  pieno di rancore!»

«Vuoi ammazzarmi? Non credi che sia un po’ esagerato? Non ti ho fatto niente di male, in fondo...»

«No... non sono così estremo, anche se ammetto che nell’ultimo mese ho detto in giro che ti volevo dare in pasto a qualcosa perché mi divertiva l’idea»

«Allora perché sei venuto a rompere?»

«Sono stato assunto da un tizio che paga bene: vuole chiederti un paio di cose. Sembra che venga da dove sono spuntate quelle creature di metallo...»

«Ma che coincidenza, anch’io conosco una ragazza da lì. Ho mia nipote che si sta facendo un giro da quelle parti...»

«Lo so, ho visto. Bene, bando alle ciance...»

Omocaig afferrò il bavero di Alocin e gli tirò una testata, facendolo svenire. Se lo caricò a peso morto sulle spalle, andò verso la montagna ed entrò in un ingresso secondario e mezzo nascosto della grande caverna, pronto a lasciarlo a Ryomo.

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POCO PIÙ TARDI…

Alocin si ritrovò in un punto profondissimo della caverna, legato ad una sedia. Omocaig gli bisbigliò un beffardo “ci si vede” all’orecchio e andò via. Il prigioniero si guardò intorno: era tutto arredato con scaffali su cui c’erano scatole e contenitori vari e tavoli con disegni di piante, animali e appunti. A una parete, invece, era inchiodato quello che sembrava un progetto: c’era l’immagine e la sezione di uno strano apparecchio davanti a cui c’era la rappresentazione di una delle nuvole viola da cui erano uscite le creature di ferro. Già da quello, capì subito che il mandante di Omocaig era chiunque l’”amico” di Aloy voleva trovare. Ma tutto ciò era una sottigliezza, in confronto al resto che si capiva ci fosse: da quella camera partiva una miriade di cunicoli, collegati ad altre stanze simili. Da ognuna di quelle provenivano versi, stridii, ruggiti e lamenti di chissà quante bestie. Alocin riuscì a vedere una delle stanze accanto a lui a fatica, torcendo il collo: era strapiena di gabbie fatte di pezzi dei mostri metallici, in cui numerosi animali di ARK si agitavano e gridavano: lì era dove Ryomo preparava gli animali da liberare nel mondo di Aloy.

“Questa non me l’aspettavo” pensò Alocin.

Pochi minuti dopo, si aprì un piccolo portale da cui uscì Ryomo. All’inizio non si accorse di Alocin, restò a trafficare con degli appunti per qualche secondo, poi si girò e lo vide.

«Oh, sei arrivato! Finalmente, il lavoro è stato fermo troppo a lungo...» disse, pensoso.

«Certo... non che sia arrivato di mia volontà, eh?»

«Questo era necessario: dubito avresti accettato un invito. E poi senza maniere forti non mi avresti preso sul serio: è così che voi barbari ragionate... a quanto ho visto, almeno»

Il vecchio era arrivato da cinque secondi, ma ad Alocin era già venuta voglia di ammazzarlo. Come si permetteva di fare giudizi senza senso come quello? E poi aveva avuto la faccia tosta di farlo rapire da un ex-compare, non gliel’avrebbe fatta passare liscia nemmeno per tutti i ciottoli dell’isola. Si dimenò e provò ad allentare le corde, ma riuscì solo a muovere la sedia. Gli venne voglia di prendere in giro quello che diceva:

«Barbari? Oh, sì! Io barbaro, io parlare male perché io ignorante! Ho-ho-ho!» fece anche la voce grave e scimmiesca da troglodita per enfatizzare.

«Non sono in vena di scherzi. Tu hai qualcosa che mi appartiene: una batteria»

«Batteria? Cosa essere batteria? Io no capire tua lingua, io barbaro: tu detto!»

Ryomo andò dove poco prima c’era il portale, ora richiuso, e raccolse qualcosa da terra. Si avvicinò e gli fece vedere di che si trattava: una sorta di grosso telecomando quadrato, bianco e attraversato da circuiti viola che luccicavano. Al centro c’era un pulsante nero, piatto e quadrato a sua volta. Il telecomando era legato con dei fili ad una batteria.

«Vedi questa?»

Alocin, come Ryomo si aspettava, la riconobbe.

«Ehi, somiglia molto a quel coso che mi è capitato tra le mani il mese scorso!»

«Perché è uguale. Ma, soprattutto, prima che la trovassi tu era mia. Ecco, spiegarti come e perché uso queste batterie sarebbe come regalare perle ai porci, quindi andrò subito al punto: dove l’hai messa? Mi serve»

Alocin non era affatto disposto a collaborare col suo rapitore. Se voleva sapere dove aveva messo la batteria, gli doveva almeno un paio di spiegazioni. E perché mai avrebbe dovuto restituirgliela? Quando qualcuno trova un oggetto per terra e lo raccoglie, gli appartiene di diritto! Era curioso di sapere cosa c’entravano quelle gabbie e gli animali intrappolati. Inoltre, allo stesso tempo, doveva pensare ad un piano di fuga. Guardandosi intorno senza darlo a vedere, osservò la grotta e vide una piccola sega appesa ad un chiodo nella roccia, all’altezza dei suoi polsi, legati ai braccioli della sedia: ebbe un’idea. Appena Ryomo se ne sarebbe andato, lui avrebbe provato a liberare le gambe, per poi badare al resto. Quindi si concentrò sulla parte diplomatica:

«Frena, frena! Sai che qui è maleducazione chiedere i piaceri come prima cosa? Prima si scambiano quattro chiacchiere, così si rompe il ghiaccio!»

«Davvero? Molto interessante, non l’avevo ancora scoperto. Un altro tratto comune fra noi e voi indigeni… ma comunque non ho tempo da perdere, quindi ti concedo una divagazione, una soltanto»

«Quello era una delle nuvole magiche che Aloy vuole togliere di mezzo… non è che sarà contrariata se sapesse di te?»

«Pffff! L’Audace Nora dai capelli rossi non mi spaventa. E poi non ha motivo di essere contro tutto questo: hai idea dei vantaggi che porterebbe all’economia, se padroneggiata e data a tutti? Devo solo trovare il modo di replicarlo..e avere più di una batteria mi aiuterebbe. Dove l’hai nascosta? Parla!»

«Un momento! A che ti servono queste creature?»

Ryomo alzò gli occhi al cielo e sbuffò:

«Tu fai tante domande, barbaro, troppe… sappi solo che il mio re mi ha fatto un torto e intendo spaventarlo un poco per fargli chiedere scusa. Poi potrò dare la mia invenzione a tutti e ognuno userà le risorse di quest’isola come gli pare»

«Ehi, non è piacevole da sentire!»

«Hai sentito tutto. Dov’è la batteria?»

«Ho cambiato idea, non mi conviene dirtelo»

«Come osi?! Te la sei cercata!»

Andò al tavolo che Alocin aveva adocchiato poco prima, prese uno strano pezzo di metallo e fili con quattro elettrodi e glielo fece vedere, muovendo freneticamente la mano. Disse che quello era il trasmettitore di energia elettrica che le Macchine usavano per tenere accesi i loro visori. Alocin rise e disse che non faceva nessuna paura: sembrava una scatoletta grigia come parecchie altre. Il vecchio Carja ghignò e glielo appoggiò al collo. Alocin fu attraversato da una potentissima scossa che gli fece morder la lingua e sentì i muscoli contrarsi fino a sembrare duri come ferro; mille aghi roventi lo pungevano ovunque, braccia e gambe tremarono così tanto che le corde che lo trattenevano… si allentarono. Ryomo parve non accorgersene, il che gli offrì un’enorme possibilità di fuggire e ribellarsi. Ma quando la scossa finì, d’istinto, emise un grido di disperazione:

«AH!!!»

«Ha fatto male?»

«SÌ!!!»

«Farà ancora più male se non mi rispondi ora»

«Va bene, va bene… c’è un rifugio nelle praterie, vicino al mio amico Lefeuvre… ci metto qualunque cosa non serva, ma che mi sembra interessante. È lì»

«Perfetto, grazie»

«E ora?»

«In teoria ti dovrei liberare, ma il tuo conoscente mi ha detto di ridarti a lui»

«Oh, no! No no no no no! Non merito questo!»

«Che ci vuoi fare? È stato un piacere»

«NON FINISCE QUI!!! SENTITO??? TE NE FARÒ PENTIRE!!!»

«Come vuoi»

Ryomo andò alle sue spalle, uscendo dal campo visivo di Alocin. Stette via per più di due minuti, per cui Alocin decise che era il suo momento: strattonò e le corde, già semi-sciolte, si slegarono del tutto. Si alzò, si sgranchì le gambe e prese coltelli e altre cose contundenti dal tavolo, quindi si guardò in giro in cerca di un modo per creare un diversivo, visto che l’uscita era una sola. Sentì un rumore di passi, quindi corse in una delle stanze piene di gabbie e si rifugiò dietro una che ospitava tre velociraptor. I cacciatori piumati lo fissarono sbavando e scoprendo i denti; lui, in risposta, alzò loro il dito medio e fece un lieve “shhhhhhhhhh!” come a dire di stare zitti. Sentì le voci di Ryomo e Omocaig: il vecchio descrisse il posto in cui Alocin aveva detto di tenere la batteria e il suo compare lo rassicurò di conoscerlo già, di esserci già stato ai tempi in cui lui e lo zio di Asile lavoravano insieme. Questo fece ribollire Alocin di rabbia: se c’era qualcosa che odiava, era quando si convinceva a dare fiducia ad un contatto, per poi vedere la scelta ritorcerglisi contro come in quel caso. A quel punto, Omocaig disse che la ragazza coi capelli rossi e il tizio pelato coi pezzi di metallo nel mento si avvicinavano in fretta; e quella era un’ottima notizia: anche Aloy era nella caverna, per fortuna, cosa che gli avrebbe potuto dare molti vantaggi. Doveva solo prendere il tempo giusto… ed ecco che i due entrarono in quella camera e videro che era fuggito. Mentre ad entrambi scappava un’imprecazione, Alocin decise di tentare di giocarsi la libertà con la forza e corse verso di loro.

«HA!!!» si buttò di testa su Omocaig, togliendogli il fiato e buttandolo a terra.

I due cominciarono un violento pestaggio a terra, un susseguirsi confuso di cazzotti, ginocchiate, testate, ma anche morsi e graffi. Poi, ovviamente, volavano gli insulti e le parole oscene. Ryomo, nel panico, ordinava con voce stridula ad Omocaig di non perdere tempo e di andare a fermare Aloy e Sylens prima che arrivassero. Ma dal momento che non fu ascoltato, decise di aiutare il suo tirapiedi e riprese il fulminatore. Alocin, notandolo, stordì Omocaig con una gomitata sotto la cintura e si avventò sul Carja, afferrandogli il polso e stringendo fino a fargli cadere il dispositivo. Quindi gli ruppe il naso con un destro e, anche se avrebbe potuto scappare, volle tornare a pestare l’ex-compare: ormai ci aveva preso la mano.

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I minatori avevano ragione: quel cunicolo non era pericoloso, di più. Era davvero tortuoso, per molti tratti a ridosso di un alto precipizio che finiva con un fiumiciattolo ed era stretto, largo giusto quanto bastava perché l’arcapode lo potesse percorrere, anche se avvicinando faticosamente le zampe fra loro e mettendole l’una davanti all’altra con calma. Aloy aveva dovuto difendersi in più occasioni: una megalania era piombata dall’alto e aveva quasi morso Sylens. Poi un’artropleura era uscita da un buco nelle pareti e li aveva bersagliati di acido, si erano salvati solo riparandosi dietro lo scudo dell’arcapode e Aloy aveva dovuto aggirarla per ucciderla. E, come se non bastasse, Sylens non faceva che metterle sempre più fretta, man mano che si addentravano nella grotta. La ragazza poteva capire che fosse preso dalla frenesia di capire di più sulla tecnologia di teletrasporto degli Antichi, ma così non l’aiutava per niente. Anzi, le stava facendo venire voglia di dargli una botta in testa. Ma dimenticò di volerlo fare quando cominciò a sentire la voce di Alocin che imprecava e rideva di gusto, unita a rumori di pestaggio.

«Ma questo è Alocin!»

«Il tuo accompagnatore? Strano…»

Prima che Sylens potesse aggiungere altro, la Nora iniziò a correre, svoltò qualche meandro e si ritrovò nel covo di Ryomo. La prima cosa che vide fu Alocin che pestava un altro Arkiano, la seconda fu un anziano con indumenti tipici dei Carja fulminarlo col processore ottico di una Macchina. Alocin finì a terra paralizzato e l’altro uomo, pieno di sangue e acciacciato, si rialzò ridendo e iniziò a restituirgli le botte.

«Ah, figlio di una lurida! Gli faccio vedere io…» ringhiò Omocaig.

Ryomo vide Aloy, che si era fiondata lì con troppa foga per nascondersi, e andò nel panico: l’Audace Nora era arrivata sul serio! Sapeva che era in avvicinamento, ma Omocaig avrebbe avuto il dovere di fermarla. Peccato che Alocin avesse rovinato tutto. Che fare ora? L’unica soluzione che gli apparve fu la fuga. Quando Sylens arrivò, aveva già preso il telecomando e si stava buttando in un portale.

«Prendilo, Aloy! È un’occasione imperdibile!» esortò Sylens.

«Oh, voi due siete quelli che dovevo fermare! Be’, immagino che ormai non abbia senso buttarvi fuori, tanto siete arrivati…» commentò Omocaig, perplesso.

«Ma Alocin?» indugiò Aloy.

«Non… ci penso io, non ti preoccupare! Sbrigati e basta!»

Aloy si convinse e si buttò a capofitto nel portale, che si stava già chiudendo, prima che sparisse.

Quando fu tornato il silenzio, Sylens provò a ragionare con Omocaig:

«Dunque, la mia spalla non mi aiuterebbe mai più se succedesse qualcosa ad una persona che conosce. C’è qualcosa che posso fare per convincerti a lasciarlo andare?» chiese.

«Uhm… fammi pensare… volevo dare un mucchio di mazzate a questo zotico, e gliele ho date. Cosa mi trattiene dal dargliene ancora? Oh, ma certo! Non è un vero favore, è giusto una formalità. Non è che potresti andare a prendere la “batteria” di cui il vecchio continua a blaterare al posto mio? Rubare ad Alocin sarebbe la mia rivincita definitiva, quindi penso che ci stia»

Sentendo nominare le batterie, a Sylens si illuminarono gli occhi: un indizio su come Ryomo faceva a sfruttare quella tecnologia senza i Calderoni! Propose di affidare l’incarico ad Aloy una volta tornata, se fosse tornata. Omocaig pensò un attimo, poi accettò. Quindi, dopo aver tramortito il povero Alocin un’ultima volta, i due si sedettero e iniziarono ad aspettare, mentre le creature nelle gabbie continuavano a dimenarsi.

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Aloy si ritrovò di nuovo “a casa”. Rotolò per non cadere rovinosamente e si rialzò, guardandosi intorno. Ora era nella base originaria della banda di Brachio: un vecchio rottamaio Oseram abbandonato, incustodita da così tanto che in mezzo alle montagne di pezzi di metallo arrugginito cresceva l’erba. Anche le viuzze sterrate fra i cumuli erano coperte di verde. Tutt’attorno, c’erano delle baracche improvvisate costruite con telai e lastre di Macchine di grossa taglia. Ryomo, di fronte a lei, la vide e iniziò a scappare lanciando un allarme:

«AIUTO!!! UN’AMAZZONE NORA MI VUOLE MORTO!!!»

C’erano pochi banditi nella base: Brachio aveva portato tutti gli altri a combattere contro Nellim. La quindicina di uomini e donne presenti uscirono dalle baracche, incuriositi. Quando il vecchio li raggiunse, indicò Aloy e gli disse che doveva morire. Loro risposero che l’avrebbero ammazzata comunque e corsero alle armi.

“Dannazione!” pensò Aloy.

Per quell’occasione, decise di fare alla vecchia maniera: l’approccio furtivo. Quindi cercò una macchia di erba alta e ci si buttò in mezzo, con l’arco teso. Poco dopo, i banditi erano sparsi in tutta la base ad armi spianate, in cerca dell’intrusa. Ricordando tutte le volte in cui si era trovata nella stessa situazione contro l’Eclissi, Aloy fu paziente e rimase immobile, in attesa che qualcuno le passasse vicino. I banditi guardavano in mezzo alle ferraglie, dietro gli angoli e in cima ai mucchi, ma a nessuno veniva in mente di guardare nel posto più ovvio. Intanto, si raccomandavano a vicenda di stare molto attenti, di non sottovalutare una Nora eccetera eccetera. Alla fine, Aloy mandò la pazienza a quel paese e si spostò, camminando accucciata o rotolando da un punto coperto all’altro. Osservò i banditi, in attesa che qualcuno si isolasse. Così scelse una donna armata di lancia che si era appena allontanata da uno dei suoi compagni per entrare in una delle baracche, sospettando che potesse esserci entrata in loro assenza. La ragazza si intrufolò dentro, mentre la bandita faceva per voltarsi. Appena si girò, una punta di freccia le perforò la gola e uscì dall’altro lato. La vittima, spruzzando sangue dalla bocca ad ogni respiro gorgogliante, guardò Aloy esterrefatta. Prima che le afferrasse il collo, la rossa sfilò la freccia, sporcandosi il viso e la veste di sangue, mentre l’altra cadeva esanime.

«Perdonami, ma probabilmente mi avresti fatto lo stesso al mio posto» sussurrò Aloy, togliendosi il sangue dal viso.

«No!» sentì un’esclamazione alle sue spalle.

Si voltò e vide che un altro bandito era entrato nella baracca e l’aveva scoperta. Rapida come un fulmine, Aloy incoccò a freccia e lo colpì in testa. L’uomo piegò flaccidamente le ginocchia e si accasciò su se stesso, con gli occhi sbarrati. Tesa, Aloy si appiattì contro il muro accanto all’ingresso e tese l’orecchio: gli altri non davano segni di allerta. Sospirò di sollievo: aveva fatto in tempo a fermarlo. Tornata fuori, sentì del chiacchiericcio oltre la montagna di rottami di fronte a lei. La arrampicò agilmente in assoluto silenzio e, sdraiandosi sulla pancia, strisciò in cima fino a poter vedere l’altro lato: tutti gli altri si erano radunati lì e parlottavano nervosamente sul da farsi. Aloy vide una malandata testa di Spezzarocce in bilico sopra una grossa trave, che teneva stabile una buona parte dei rottami poco distante da lei ed ebbe un’idea: la afferrò e strattonò. Fece abbastanza fatica, ma infine riuscì a smuoverla e, con un assordante fracasso, quasi metà del mucchio franò sui banditi, seppellendoli sotto metalli e polvere. Aloy riuscì a correre giù dall’altro lato prima di essere trascinata col resto dei ferri, quindi si strofinò le mani per togliersi la ruggine che era sulla testa di Spezzarocce e andò a vedere: non era rimasto nessuno. Invece no: dietro di lei, un ultimo bandito gridò:

«Maledetta! Ti sgozzerò come un maiale!»

Davanti a lei apparve un tizio con un pugnale. Aloy alzò gli occhi al cielo e colpì il coltello con un tiro fulmineo, disarmandolo. Infuriato, l’uomo le corse incontro a mani nude; lei si spazientì e lo colpì al cuore. Il bandito si inginocchiò, sputando sangue, poi morì e si distese su un fianco. E anche l’ultimo era andato: ora era chiaro che non ci fosse nessun altro. Rimaneva solo da predere il vecchio… cercò in giro e lo trovò rintanato come un topo nella baracca più grande e “lussuosa”. Appena vide Aloy, considerando anche il casino che si era appena sentito, capì che non c’era più niente da fare: si inginocchiò con le mani sulla nuca, dichiarando la resa.

«Hai fatto la scelta giusta» affermò Aloy, mettendo via l’arco.

«Non ne dubito» mormorò Ryomo.

«Ormai questa tua faccenda mi ha incuriosita… chi sei? Come hai scoperto il modo in cui gli Antichi potevano collegare il nostro mondo ad ARK?»

«Non lo saprai mai»

Aloy prese la lancia e gliela puntò alla gola, facendo un po’ di pressione per spaventarlo, e funzionò: non era poi così inflessibile.

«Argh… e va bene! Mi chiamo Ryomo, sono un onesto cittadino di Meridiana»

«Onesto? A me non sembra, vista la gente che frequenti»

«Fidati, non mi piace collaborare coi banditi, lo faccio proponendo scambi convenienti solo perché è l’unico modo che ho per mandare avanti le mie ricerche»

«Fammi sapere di più…» per evitare proteste, Aloy gli fece un graffietto sul pomo d’Adamo.

«Certo, certo, solo… non uccidermi! Non posso lasciare il mio operato a metà!»

«Allora parla!»

«Mi sono sempre interessato alle rovine degli Antichi e ai loro oggetti. Credi che i focus siano tutto? Quelli non sono che una piccolissima parte»

«Sì, ho notato»

«Basta saper cercare bene nei bunker e si trova letteralmente di tutto. E poi ho sempre avuto un talento naturale nell’aggiustare i loro strumenti e farli tornare in funzione: basta conoscere le Macchine e riconosci anche tutto il resto. Poi ho cominciato ad unire varie componenti per inventare oggetti nuovi, anche semplici attrezzi della vita di tutti i giorni, e a venderli. Ovviamente, la vita di molte persone si è fatta più comoda, ma… – il suo tono diventò rabbioso e strinse i denti – Quei bigotti ipocriti della corte regale si sono spaventati, hanno cominciato ad insinuare certe idee su di me nella testa di re Avad»

«Conosco Avad. Non sembra il tipo da diffidare di qualcuno che fa il benefattore…» lo interruppe Aloy.

«Il re è amico di una rozza cacciatrice di montagna vestita in pelli ed erba secca?! Quanto è caduto in basso…»

«Ma come, ti sei perso tutto quello che è successo nell’ultimo mezzo anno? Ho aiutato il suo esercito contro le Macchine corrotte, quando la Guglia si è… ehm… svegliata»

«Se magari mi facessi continuare, sapresti che non ero più in città ai tempi… comunque, io non ascoltai le loro vuote minacce e continuai a cercare. E l’apice della mia carriera è stato quello che ho scoperto nei Calderoni: un sistema che permette di raggiungere altri mondi!»

«E immagino che da lì hai cominciato ad allestire quei rifugi segreti su ARK e a studiarla»

«Sì. E più studiavo quel posto e più perfezionavo metodi per imbrigliare questo “teletrasporto”, come pare che gli Antichi lo chiamassero, più mi rendevo conto del bene che avrebbe portato non solo a Meridiana, ma a tutte le tribù, appena avessi imparato a replicare il mio nuovo dispositivo e distribuirlo! Quell’isola è piena di vita e ricchissima di risorse, ho perso il conto di quante volte l’ho detto. Al confronto di quel posto così ristretto, tutto il nostro mondo è niente! Mettere tutti in comunicazione con quest’ARK risolverebbe i più grandi problemi di tutti, dalla ricerca di merce per noi alla mancanza di cibo per le tribù povere come la tua!»

«In effetti, me ne rendo conto. La tua idea ha un fondo di buona volontà, a pensarci bene…»

«Vedi che ci sei arrivata anche tu? E invece, per la corte di Meridiana è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso»

«Che ti hanno fatto?»

«Mi hanno rinchiuso a Rocca Pietrasole per un anno per ricerca pericolosa. Solo il Sole può dirmi perché non hanno pensato di bruciare i miei progetti e le mie invenzioni! Quando sono uscito, era tutto ancora a posto. Ma sono stato anche esiliato. Mi serviva qualcuno che mi supportasse e che fosse interessato a sua volta ad avere risorse infinite perché mi accettasse…»

«È così che ti sei alleato con questi banditi?»

«Sì. Quelli erano una parte della banda: tutti gli altri stanno facendo la guerra con una comunità di sfollati con illusioni di benessere, credo che torneranno dimezzati o peggio»

«Non mi riguarda. C’è un’ultima cosa che non ho capito… a che ti servono quegli animali rinchiusi nel tuo rifugio su ARK?»

«Quelli servono per la mia vendetta. Credi che sia rimasto indifferente a quello che il re mi ha fatto passare?»

«No»

«Infatti. Così mi sono fatto aiutare da quel gentiluomo disposto a fare il lavoro sporco, Omoceg o come diamine si chiama, per raccogliere un mucchio di bestie sconosciute per questi bifolchi e rilasciarle nel nostro mondo. Gli avvistamenti e le morti hanno raggiunto quasi subito Meridiana: posso solo immaginare la paura del re! E quando andrà in disperazione perché non sa come fermare tutto questo, i suoi sudditi gli si rivolteranno contro. Be’, a meno che io non torni e gli riveli tutto, costringendolo a perdonarmi se vuole fermare questa lunga serie di sanguinose morti di civili a caso in giro per il mondo…»

Aloy era disgustata da questa rivelazione. Le creature che Asile si era offerta di ammazzare erano sguinzagliate da Ryomo, seminando morte e panico… solo perché voleva vendicarsi di Avad? Immaginando quanti innocenti fossero già stati sventrati per questo, gli premette la lancia ancora più forte sulla gola.

«Per questo, però, meriteresti peggio della morte!»

«Argh… perché? Non dirmi che ti dispiace per gli anonimi che sono morti nel frattempo! Sono solo delle nullità che vivono nel mezzo del nulla! Hai idea di quanti come loro muoiano ogni giorno?»

Questo era troppo: Aloy aveva sempre odiato le frasi di indifferenza verso gli altri come quelle. Furiosa, girò la lancia sul lato dell’impugnatura, gli sputò in faccia e lo colpì sulla fronte, facendolo svenire all’istante. Ora aveva finalmente scoperto tutto sul Carja che Sylens cercava. Notò il telecomando apri-portali sul tavolo e, per intuito, lo riconobbe. Lo prese, lo provò e funzionò: davanti a lei si aprì la solita nuvola viola. Quindi, trainando Ryomo per le caviglie, tornò su ARK, esattamente dove era prima di venire lì, e richiuse il portale. Vide Sylens da solo nel rifugio del vecchio, intento a leggere gli appunti sulle sue invenzioni con sguardo ammirato. Sentendo il rumore del portale, alzò la testa e vide la ragazza.

«Vedo che sei ancora tutta intera. E col nostro amico, per giunta!» salutò.

«Ecco a te» Aloy gli lanciò il telecomando e lui lo prese al volo.

«Ah, ci è voluto così tanto, ma ne è valsa la pena! Adoro la scoperta»

«Anche troppo, secondo me» lo provocò Aloy.

«Dunque, cosa spingeva il nostro amico a fare tutto questo?»

Aloy si sedette e raccontò tutto quello che Ryomo le aveva confessato nei dettagli. Sylens ascoltava assorto e annuiva. Alla fine del racconto, ridacchiò:

«Un altro genio incompreso consumato dal rancore. Un classico!»

Quindi prese la sua lancia, andò da Ryomo e, prima che Aloy potesse fermarlo dopo aver capito cosa voleva fare, gli infilzò il petto. Aloy non sapeva bene se approvare quel gesto o protestare. Da un lato, era giusto per il sangue che Ryomo aveva fatto spargere inutilmente; dall’altro lo era di meno perché era pur sempre partito con buone intenzioni, spinto dalla semplice curiosità.

«Non mi serviva più vivo: so tutto su di lui, con gli archivi dei Calderoni saprò come padroneggiare tutto questo e la concorrenza è l’ultima cosa di cui ho bisogno. Ebbene, sei libera, Aloy: puoi tornare alla tua patetica caccia alle Macchine»

«Finalmente»

«Sai, te ne manca solo una»

«Ah, sì?»

«Sì. Il Divoratuono che ha cominciato la tua avventura qui. Sai, gli indigeni lo chiamano “la bestia fatta di ferro e sangue” perché fino a poco tempo fa era un misto fra un Divoratuono e una creatura simile a lui di qui»

«Interessante… come il Manticerio abbattuto da te aveva delle piante sulla sua cisterna?»

«Sì. Ma ora si è trasformato: le notizie dell’ultim’ora dicono che è tornato ad essere una Macchina pura, tranne che per un dettaglio»

«Cioè?»

«Al posto dell’olio ha del sangue»

«Ferro e sangue… be’, sempre un Divoratuono rimane!»

«No. Da quello che ho sentito, fa molti più danni ed è più aggressivo di quelli a cui siamo abituati. Sta’ attenta, Aloy: probabilmente mi servirai ancora, in futuro. Non farti ammazzare!»

«So badare a me stessa, non ti preoccupare. Dov’è Alocin? Prima era qui, svenuto e pestato…»

«Si è svegliato di colpo e ha ucciso il suo rapitore mentre gli dava le spalle. Ora ti aspetta fuori dalla caverna. Ovviamente non mi sono intromesso: chi sono io per immischiarmi in questi affari da Arkiani?»

«Come no, come no… me lo sarei dovuto aspettare da Alocin!… ciao, Sylens. Se mi ricatti un’altra volta, potrebbe scapparmi una freccia!»

«Molto spiritosa. Ora vai. Ah, e a proposito... l’Arcapode che avevi con te è distrutto»
 
«Cosa?»
 
«Un centopiedi enorme l’ha combattuto e distrutto con dell’acido»
 
«Magnifico, addio ad ogni proposito di affezionarmi alle nuove Macchine... ah, vedrò di fare da me, come sempre»

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Quando Aloy uscì dalla caverna, Alocin era intento a osservare l’argentavis di Omocaig che mangiava il corpo del suo stesso padrone. Evidentemente, da vivo non lo trattava molto bene: cattivo padrone, animale traditore, diceva un proverbio su ARK. Ovviamente, stava bevendo il liquore che aveva preso dai Lupi Bianchi ed era già mezzo sbronzo.

«Alocin!» salutò lei.

«Oh, Aloy! Ci rivediamo! Sai, è un peccato che non mi abbia visto fare un mazzo così a quel bastardo laggiù. Questa era troppo! Era offeso perché ho lasciato che un giganotosauro provasse a mangiarlo… ma sappi che l’ho fatto perché era cosa buona e giusta: era una persona di merda. Ma sul serio, eh? Era di tutto: violentatore, tagliagole, pedofilo, strozzino… certo, il tipo di gente con cui sto io, ma a tutto c’è un limite. Credo che solo il Ladro di Innesti sia più sadico... un giorno proverò a rintracciarlo. A parte che gira voce che sia uno della tua età...»

«Va bene, ti credo! Senti, Alocin, c’è un’ultima Macchina su quest’isola…»

«Perché non l’hai detto subito? Dimmi dov’è e prendo le mie bestie, così le facciamo un…»

«No, questa volta andrò da sola. Torna a casa o al tuo lavoro: non voglio metterti a rischio. Il Gelartiglio è stato già di suo una sfida difficile, immagina un Divoratuono che è più aggressivo del solito, da quello che si dice!»

«Uhm… sei sicura?»

«Sì. E poi, quando Asile tornerà, perché sono sicura che tornerà, cosa le rimarrebbe senza di te?»

«So anch’io che può farcela. Mah, non lo so… forse starebbe meglio senza di me… ma come ti pare. Vuoi un ciao o un addio?»

«Suvvia! Non fare il drammatico…»

«Bene, allora ciao!»

A questo punto, Aloy impostò il focus affinché rintracciasse il Divoratuono più vicino. Una piccola sagoma rosa apparte in lontananza, oltre il reticolo olografico dell’apparecchio.

“Trovato!”

Quindi la Nora si avventurò nella foresta, mentre nuvole nere cariche di pioggia oscuravano il cielo arkiano…

   
 
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