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Autore: Roberto Turati    11/07/2019    0 recensioni
[ARK: Survival Evolved + Horizon Zero Dawn]
 
Una collaborazione tra me e Manon, mia buona amica e grande appassionata di Horizon Zero Dawn, autrice su Wattpad.
 
Dopo aver salvato il mondo da ADE, Aloy può finalmente rilassarsi pensando ad alcune faccende marginali come esplorare, partecipare alle cacce della Loggia, sbloccare nuovi override nei Calderoni eccetera. Ed è proprio in uno dei Calderoni che, per incidente, scopre un progetto segreto e abbandonato che gli Antichi avevano inizialmente preso in considerazione come un'alternativa a Zero Dawn, prima di decidere che quest'ultimo era un'idea migliore. Così l'amazzone Nora scoprirà un posto che non avrebbe mai immaginato, ma dovrà suo malgrado salvarlo da alcune Macchine che vi hanno acceduto assieme a lei...
Genere: Avventura, Mistero, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Un'Isola Unica al Mondo'
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Asile, giustamente, non avrebbe partecipato alla battaglia. Cosa c’entrava lei, del resto? Lei era lì solo perché voleva togliere di mezzo gli animali clandestini da ARK. Così, mentre Kïma andava al luogo scelto per lo scontro con Nellim e tutti gli altri capaci di lottare, lei era rimasta alla cava coi vecchi e i bambini. Non tutti i vecchi, in realtà: Bargh aveva deciso di rendersi utile e a nulla erano servite le suppliche di Corliss. Aveva preso un arco tradizionale Nora in legno crinale decorato con due penne rosse e si era fatto dare un’armatura tipica Oseram per avere una protezione decente. Aveva giurato alla sua donna di tornare sano e salvo, prima di partire. Ora, quindi, Asile viaggiava ancora senza la sua nuova “amica”. Stava cavalcando verso Meridiana, siccome le era giunta notizia che quattro creature di taglia media, che riconobbe come dei velociraptor dalle descrizioni, erano arrivati a Meridiana dall’esterno, entrando nelle grotte collegate alla rete fognaria e uscendo da un tombino. Ora erano in giro che terrorizzavano tutti e divoravano le guardie reali che cercavano di fermarli. Quindi Corliss, per non pensare troppo a quanto era in pensiero per Bargh, si era offerta di indicarle la strada per Meridiana facendosi portare con Asile. A passo di cavalcatura, ci vollero più o meno tre ore. Arrivate alle porte della città, Asile fu subito ammirata dal suo aspetto semplice, ma al contempo così maestoso da sembrare quasi barocco.
 
«Uao… è davvero enorme! I nostri villaggi non sono niente al confronto!» commentò Asile, stupita: quella era senz’altro la cosa più emozionante che vedeva da quando era nel mondo di Aloy.
 
«Lo so, lo pensiamo tutti, la prima volta!» rispose Corliss, seduta sulla sella dietro di lei.
 
«Ci sei mai stata?»
 
«Io? Per carità, no! La città è troppo confusionaria e troppo mondana per me, specialmente con la mia età. Mi è sempre piaciuta di più l’aria fresca e la natura, specialmente quando mi godevo ancora i paesaggi della Terra Sacra»
 
«Ti manca?»
 
«Non so bene cosa risponderti… mio marito direbbe subito di no, mentre io a volte rimpiango la bellezza di quel luogo»
 
«A ciascuno il suo. Magari ci faccio un giro di piacere…»
 
Poco dopo, arrivarono alle porte della città. Una lunga fila era accalcata davanti al cancello sbarrato e le guardie  scuotevano la testa con risolutezza quando protestavano per l’attesa interminabile. Dicevano che dopo che i cittadini erano stati evaquati o fatti ritirare nelle loro case col coprifuoco, l’accesso a Meridiana era stato vietato.
 
«Credo di sapere perché stia succedendo questo. Vuoi che ti lasci qui, Corliss?» chiese Asile.
 
«Sì, grazie. Buona fortuna!»
 
Asile andò dalle guardie, che appena videro il suo contingente fecero correre via tutta la folla e la circondarono con lance, balestre o fucili Oseram pronti, terrorizzate. Le bestie, sentendosi minacciate, scoprirono i denti e si misero in posizione difensiva. Asile fece del suo meglio per non scomporsi e parlamentò:
 
«Calmi, calmi! Sono qui per dare una mano»
 
«Dare una mano? Hai con te dei mostri e uno è simile ai quattro che hanno già mangiato vivi cinque dei nostri compagni, cosa ci dice che non sei pericolosa o, peggio, che li hai mandati tu?» la provocò una guardia.
 
«Infatti, ma chi sei, tanto per cominciare? Da dove venite tu e questi esseri?» chiese un’altra.
 
«Io sono Asile, tanto piacere. Vengo da… oltremare, diciamo. E sono stata mandata qui dalla mia gente per liberare voi continentali dall’improvvisa invasione dei nostri animali. Qualche mercante fuorilegge voleva farli arrivare qui per venderli, ma sono scappati» non le venne in mente una bugia migliore.
 
Non poteva certo dire la verità, ci avrebbero capito meno di niente. Magari non le avrebbero nemmeno creduto. Le guardie sembrarono persuadersi poco a poco, a giudicare dagli sguardi che cominciarono a scambiarsi. Le chiesero se potevano davvero fidarsi e lei rispose fermamente di sì. Ci fu silenzio per qualche secondo, poi si convinsero a mettere via le armi e ad aprirle le porte della città:
 
«Se credi davvero di poter uccidere i mostri, non osare fallire!» le dissero, seri.
 
«Contateci» rispose la ragazza, entrando.
 
La città era bellissima anche dentro, in ogni singolo vicolo, anche se non c’era nessuno per strada. Gli edifici colorati, le piazze con le fontane, le bancarelle col mercato, le strade selciate…Era tutto così incantevole che Asile giurò di esplorarla per bene a lavoro finito. Non aveva bisogno di cercare: le sue bestie conoscevano bene l’odore di velociraptor, non dovette fare altro che ordinare loro di raggiungere i quattro in zona. Dopo un paio di minuti, ecco la prima vittima: una guardia senza elmo, con tre profondi graffi nell’uniforme e con la gola squarciata da un morso. Proseguendo, scesero in una galleria situata in un sottopassaggio di mezzo metro, con aperture arcuate che permettevano di vedere un pezzo di esterno: si trovavano in un mercato su due livelli, uno nei vicoli e uno lì sotto, all’ombra: c’erano prodotti deteriorabili, quindi li tenevano all’ombra. Il metalupo si girò verso un vicolo cieco a destra e lì trovarono il secondo corpo. Era prono e sulla schiena si vedevano vari buchi conici: gliel’avevano bucata con l’artiglio mobile delle zampe posteriori. Dalla pozza di sangue attorno al corpo partiva una scia di impronte e il contingente le seguì. Raggiunsero una scalinata su cui c’erano altre due guardie, una decapitata e l’altra con le interiora sparse sui gradini. Giunte in cima, le impronte rosse giravano a sinistra ed entravano in un vicolo, per poi introdursi nel retro-bottega di un edificio che, dall’insegna, si capiva essere una macelleria. La porta era sfondata e piena di graffi: essendo di legno e pure marcio, l’avevano buttata giù con poco.
 
“E così i quattro viziati hanno preferito i tranci già pronti alle prede vive? Devono essere abbastanza vecchi per fare così” ragionò Asile.
 
Passò dalle spalle di Arlak al carnotauro e si avvicinò lentamente all’ingresso. Dopo un paio di secondi, sentì uno sbuffo seguito dall’inconfondibile richiamo ticchettante dei velociraptor, infine udì del rumore di mandibole che masticavano freneticamente. Era ora di cominciare: allungò il braccio oltre la testa del carnotauro e bussò alla porta della macelleria, quindi fece arretrare il teropode e scansare gli altri. Come previsto, i velociraptor si allertarono all’istante e cominciarono a scambiarsi richiami e soffi con tono perplesso. Esitarono per un minuto, poi dalla porta sul retro uscì il primo di loro, con le piume nere. Appena li vide, strillò rivolto ai compagni, ma il carnotauro partì subito alla carica e lo investì, sbattendolo contro la parete del vicolo. Prima che si rialzasse, gli prese il collo e lo soffocò coi denti. Gli altri, usciti nel frattempo, andarono nella strada principale e furono presto sistemati dagli altri animali: il kentrosauro ne impalò uno, arlak ne afferrò un altro e lo stritolò finché gli si spaccarono le ossa e l’ultimo fu sbranato dal metalupo e dal barionice. Lavoro rapido, pulito e senza incidenti: Alocin sarebbe stato fiero di lei… forse.

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Un paio di ore dopo, Meridiana era tornata alla normalità. Asile si era presa un poco gioco delle guardie per la loro scarsità, ma loro le furono comunque riconoscenti per aver risolto il problema. Siccome si sentiva buona, quel giorno, regalò a ciascuno di loro un dente dei velociraptor. Poi, parlando con Corliss, affermò di avere una gran voglia di visitare la città. Siccome sapeva che non avrebbero più permesso alle bestie di entrare, le chiese se poteva tenerle d’occhio.
 
«Certo! Divertiti!» le augurò lei.
 
Così Asile iniziò a passeggiare fischiettando con le mani dietro la schiena per le strade di Meridiana, che ora era resa molto più allegra dal chiacchiericcio e dalla musica dei suonatori di strada. Sapeva già dove andare: il mercato. Sapeva già che lì avrebbe trovato più di qualunque altro posto oggetti interessanti. Ricordando che strada aveva fatto due ore prima per arrivarci, lo raggiunse e cominciò ad aggirarsi fra le bancarelle. Il primo reparto che trovò fu una serie di bancarelle in cui erano esposti pezzi vari di Macchine abbattute, smantellate e portate da cacciatori di taglie o semplici esploratori in cerca di guadagno. Erano quasi tutti pezzi di metallo abbastanza anonimi per lei, visto che non se ne intendeva. Poi notò, su un bancone col cartello “Monili”, una fila di artigli di Macchine dall’aspetto felino. Le venne subito la tentazione di prenderne uno e farne un pendente nuovo. Chiese al venditore cosa si usava per pagare lì.
 
«Cosa? Da dove vieni, per non sapere qualcosa di così ovvio?» chiese quello, sorpreso.
 
«Vengo da abbastanza lontano da conoscere gli esseri che vi hanno fatti sloggiare e sapere come ucciderli. E per questo ci starebbe un “grazie”, ma non voglio divagare…»
 
«Oh, davvero? E da te non ci sono Macchine?»
 
«No, ci sono dinosauri, insetti molto più grossi dei vostri, mammiferi glaciali e quant’altro. Ora, ti dispiacerebbe rispondere, prima che ti mandi a farti fottere?»
 
«Ehi, bel caratterino! Sei molto più interessante dei soliti clienti… comunque, usiamo i pezzi di metallo. Ma anche il baratto può andare»
 
Asile, allora, prese subito uno dei suoi vasetti di bile di ammonite, una delle sostanze obbligatorie da portare per ogni viaggio su ARK.
 
«Cos’è questo schifo?» chiese il mercante.
 
«Oh, solo una delle sostante mediche più utili del mondo. Ci puoi fare di tutto: disinfettare le ferite, rinfrescare le bruciature, proteggere la pelle dal Sole, guarire dalle malattie…»
 
«E funziona davvero?»
 
«Ehm… altrimenti perché ne avrei una scorta intera? Tienilo lontano dalla luce, però, altrimenti si asciuga»
 
«Affare fatto»
 
«Grazie!»
 
Col suo nuovo souvenir da trasformare in collana a casa in tasca, Asile decise di controllare almeno un paio di settori in più: anche se le piaceva lì, non voleva far aspettare troppo Corliss. Nel sottopassaggio trovò i banconi del pesce e degli ortaggi. Le interessava solo sentire sapori nuovi e, per fortuna, su dei piccoli taglieri c’erano dei pezzetti dei prodotti venduti per degustazione. Era chiaramente una piccolezza da ricconi raffinati come il cittadino medio di Meridiana, ma sembrava disponibile per tutti. Così prese un boccone di ogni cosa, resistendo alla tentazione di mangiare tutto: gli Arkiani sono proverbialmente ghiotti, tratto generato forse dal fatto che in origine erano continuamente a corto di risorse e solo dopo aver trovato il loro posto su ARK poterono liberarsi della fame: questa gola era comune a tutti da migliaia di anni. Le parve un po’ triste che i pesci fossero tutti così piccoli, paragonati ai celacanti, ai salmoni-vampiro o ai tentacoli di tusoteutide dei mercati del pesce degli Squali Dipinti. La frutta e la verdura non erano tanto diverse da quelle che conosceva, solo alcuni avevano dei colori un po’ differenti. E infine, nel settore “Armi, Caccia e Difesa”, fu attratta da un curioso misto fra una fionda e una balestra, chiamato “lancia-trappole”. Ricordava che, forse, Aloy gliene aveva parlato, ma non ricordava più. O non aveva ascoltato bene? In ogni caso, la volle: lei o suo zio avrebbero potuto farci parecchie cose utili a caccia. Così, in cambio di un altro vaso di bile, si fece insegnare ad usarlo e ne prese uno. Soddisfatta della sua gitarella, sempre guardando con estrema attenzione i dettagli sulle case, sugli abbigliamenti delle persone, sulle canzoni cantate per strada e molto altro, tornò al portone da cui era entrata già due volte. Corliss era dove l’aveva lasciata, intenta ad accarezzare il metalupo, sdraiato e scodinzolante.
 
«Oh, eccoti! Ti è piaciuto?»
 
«Sì, ho anche preso un paio di ricordini»
 
«Oh, che dolce!»
 
«Possiamo tornare alla cava, se vuoi»
 
«Sì, grazie: a quest’ora, la battaglia dev’essere finita… oh, Madre, fa’ che a Bargh sia andata bene! Aspetta ad accoglierlo fra le tue braccia!»
 
«Non perderti in preghiere e monta in sella!»
 
«Uff, sei proprio come Kïma: non hai idea di cosa sia la pazienza!»

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Era finalmente giunto: il momento di liberare ARK una volta per tutte dall’invasione delle Macchine. Dopo che si fu separata di nuovo da Alocin, Aloy raggiunse una delle strade più trafficate di ARK aiutandosi col suo focus, sperando di poter chiedere a qualcuno se sapeva dove poteva cercare o trovare il Divoratuono fatto di ferro e sangue. La percorse chiedendo a chiunque senza successo per due ore buone, ore durante le quali scoppiò un temporale tremendo: la pioggia scrosciava violentemente sul terreno, creando pozzanghere quasi dal nulla in pochi attimi, spaccando rami d’albero e facendo quasi male sulla sua pelle quando la colpiva. Ma alla fine, per fortuna, incontrò qualcuno che ne sapeva qualcosa: un uomo di mezza età che trasportava cuoio e chitina su un carretto trainato da una carbonemis, una grossa tartaruga cenozoica. Appena Aloy nominò la Macchina e ne fece una sommaria descrizione, l’Arkiano impallidì e annuì con forza:
 
«Oh, l’ho visto! Eccome se l’ho visto!»
 
«Bene! Dove e quando? Voglio distruggerlo»
 
«Sei pazza, straniera?»
 
«Per niente. Avanti, dimmi!»
 
«Lungo il fiume qui vicino, quello che porta alla palude: l’Egits. L’ho visto combattere un tirannosauro… e non hai idea di cosa gli abbia fatto! In confronto, questa pioggia infernale è la cosa più innocua di sempre!»
 
Aloy era vagamente preoccupata, ma decise di nasconderlo:
 
«Ehm… credo di poter immaginare cosa gli abbia fatto: è un Divoratuono, ne ho distrutto più di uno finora. E come arrivo al fiume?»
 
«Devi solo proseguire: c’è un punto di questa strada che ci passa proprio accanto. Da lì, se vuoi incontrare il mostro, vai a ridosso dell’Egits e prosegui andando a sinstra. Fossi in te, ne starei ben lontano! Ma tu fa’ come vuoi: è la tua vita che è in gioco, del resto, non la mia»
 
Detto questo, spronò la carbonemis e ripartì. Aloy, ancora determinata, andò avanti. Dopo qualche kilometro, come le era stato indicato, raggiunse il fiume. Da dove si trovava, vedeva solo la sponda con un albero piegato per le raffiche e un enorme macigno dalla forma strana. Ignorando l’intensificarsi del vento e della pioggia, riaccese il focus e si rese conto che non era un macigno, era il tirannosauro di cui l’Arkiano aveva parlato. La scansione le permise di vedere bene cosa gli era successo: ossa frantumate, testa carbonizzata, organi bucati, fori fumanti su tutto il corpo… il Divoratuono gli aveva fatto passare le pene dell’inferno tra gli attacchi fisici, le sue mitragliatrici al plasma e i suoi occhi laser.
 
“Accidenti… povera bestia!” pensò Aloy, colpita.
 
Il focus evidenziò le impronte inconfondibili del Divoratuono nel fango. Preparando già l’arco per prudenza, la ragazza seguì la pista. Man mano che proseguiva, le sponde del fiume si trasformavano lentamente in una gola alta e, pur essendo ampia, dall’aria claustrofobica. Forse era colpa del temporale che rendeva tutto più cupo e minaccioso. Fatto sta che lo trovò, finalmente: stava gironzolando avanti e indietro, dopo aver raggiunto il punto in cui si trovava ora, come solito delle Macchine. Aloy doveva pensare con attenzione a tutte le fasi del suo scontro, se voleva vincere. Innanzitutto, le serviva un posto sopraelevato per poterlo colpire meglio. Andò alla parete e, sforzandosi di non scivolare sulla roccia bagnata, raggiunse una piccola rientranza in cui poteva stare inginocchiata. La prima cosa da fare, sempre e comunque, contro un Divoratuono era rompere il radar che aveva sulla schiena: quello era il suo terzo occhio, col quale vedeva dovunque attorno a sé entro un certo raggio. Quindi, presa una freccia dirompente. Si sforzò di mirare nei brevi istanti in cui il Divoratuono stava un minimo fermo, cosa non facile per via della pioggia, e scoccò quando le sembrò opportuno. Funzionò: l’impulso fece letteralmente saltare via il radar, con una fontana di scintille. I visori del bestione diventarono rossi e lui la trovò quasi subito. Ma la sua reazione arrivò molto più velocemente del previsto: appena la vide, iniziò una scarica di proiettili di plasma che sbriciolavano la roccia dove la toccavano. Aloy saltò giù appena in tempo per non farsi disintegrare. Atterrò rotolando e dovette cominciare subito a correre come una pazza furiosa, perché il Divoratuono e la sua scarica cominciarono subito ad inseguirla rapidamente. Lei provò ad aggirarlo, per poi colpire le grosse taniche di Vampa sulle anche per fargli prendere fuoco, ma il Divoratuono sollevò la coda e provò a schiacciarla. Lei schivò, ma subito la Macchina provò a travolgerla con una spazzata e Aloy si salvò saltandola come si salta la corda.

Era a dir poco senza parole: non c’era assolutamente paragone con la prima volta che l’aveva affrontato o con qualunque altro Divoratuono. Dire che era velocissimo e stranamente capace di prevedere le mosse dell’avversario sarebbe stato un eufemismo. Il Divoratuono non le lasciò tregua: si girò subito dopo la spazzata, spalancando la “mandibola”, e caricò a testa bassa. Aloy scartò di lato e ne approfittò per colpire le due bombole mentre la Macchina inchiodava e scivolava sul terreno infangato. Pochi secondi più tardi, un’incandescente esplosione di fiamme avvolse il Divoratuono, sciogliendo e arrotondando i bordi delle sue placche corazzate. Il Divoratuono guardò Aloy e si preparò a fare un’altra raffica, ma ormai lei si era ripresa dallo sbandamento iniziale: sapeva adattarsi al ritmo dell’avversario. Colpì con una freccia dirompente uno dei fucili sulla testa, rompendolo. Ma il Divoratuono l’aveva ingannata: non voleva fare la raffica di plasma, voleva attivare i due lancia-dischi ai bordi della schiena. Con una bestemmia contro la Madre, Aloy fece un’acrobazia all’indietro mentre il primo disco metallico partiva, atterrando dove prima c’era lei. Se uno solo di quelli l’avesse toccata, l’avrebbe tranquillamente tagliata in due.
 
“A quanto pare avere il sangue al posto dell’olio gli ha fatto bene!” pensò.
 
Se solo avesse continuato le sfide della Loggia, prima di andare su ARK… aveva sentito che fra i primi premi per i vincitori c’era una formidabile arma ad aria compressa chiamata “squarciatore”, capace di smantellare viva qualsiasi Macchina in pochi colpi. Sarebbe stato molto più facile… ma, quando il Divoratuono finì di sparare dischi, un fulmine guizzò in cielo. Poco dopo, ci fu un rumore fortissimo che, però, non era affatto un tuono. Era un ruggito. Aloy dovette coprirsi le orecchie per quanto era intenso e anche il Divoratuono ne parve scosso. I suoi visori diventarono gialli e lui cominciò a guardare il bordo della sporgenza dietro la ragazza. Aloy guardò a sua volta e, mentre un altro lampo rendeva ogni cosa bianca, una gigantesca sagoma antropomorfa, nera e pelosa saltò giù dalla sporgenza con le braccia sollevate e, sotto lo sguardo sconvolto di Aloy, sbatté la testa del Divoratuono per terra quando atterrò.

Era arrivato Kong, il re di ARK. Sbattendo i pugni sul petto, ruggì al Divoratuono, che rispose col suo verso, che gli dava quel nome per la sua somiglianza ai tuoni. Il gorilla si lanciò immediatamente all’assalto e gli tirò un pugno in testa che fece volare via uno dei rinforzi sulle tempie e lo fece quasi cadere. Scosse la mano per il dolore, non abituato a colpire qualcosa di così coriaceo, e tornò a combattere. Afferrò uno dei tubi di gomma pendenti che, dai fianchi, andavano nel collo del Divoratuono e lo tirò, facendo rotolare la Macchina nel pantano per svariati metri. Buttò via il tubo, che gli era rimasto in mano, e si avvicinò al Divoratuono, ma quello sollevò la testa e gli sparò addosso la raffica di plasma. Kong si alzò in piedi urlando e indietreggiò, proteggendosi la faccia con le braccia e sopportando le scottature il più possibile. Dove il plasma lo colpiva, rimenevano cerchi di pelo bruciacchiato che puzzava di carne affumicata, ma la pioggia li spegneva quasi subito. Aloy intervenne prendendo una freccia ghiacciata e colpendo uno dei piccoli serbatoi di Gelo sulla pancia del Divoratuono. Lo scoppio di nebbia fredda congelò all’istante il Divoratuono, rallentandone i movimenti e forzandolo a cessare il fuoco. La Macchina si alzò lentamente e Kong gli saltò addosso, “cavalcandolo”. Avendo capito da dove venivano quelle strane palle blu e bollenti, gli afferrò le mitragliatrici e, serrando le zampe posteriori contro i suoi fianchi per aiutarsi, iniziò a tirarle. Aloy rimase a bocca aperta vedendo quanto facilmente stava riuscendo a smuoverle e piegarle. Alla fine, con un ultimo grido di fatica, le strappò, lasciando i fissaggi in cortocircuito. Il Divoratuono sparò un disco, che si infilò nella schiena di Kong. Il gorilla urlò dal dolore e dalla sorpresa e cadde. Strisciò poco più in là e, cercando il disco tastandosi la schiena, lo tolse e lo gettò via. Prima che si alzasse, il Divoratuono lo bloccò a terra mettendogli la zampa sul dorso. Gli avvicinò la mandibola alla testa e strinse le due valvole sul suo collo per soffocarlo. Ma Aloy tirò due frecce esplosive alle basi dei lancia-dischi, staccandone uno a metà e distruggendo l’altro. Il Divoratuono si riconcentrò su di lei e le si avvicinò a passo svelto. Ma Kong, rialzandosi subito, gli afferrò la coda e lo fermò.

Dopo qualche secondo passato cercando di liberarsi tirando, il Divoratuono cominciò ad agitare la coda per fargliela mollare, ma il Megapiteco non cedeva. Aloy corse accanto a lui e, riprendendo una freccia dirompente, colpì la giuntura che univa le due metà della coda. Così Kong rimase con la punta in mano e il Divoratuono, senza più niente a trattenerlo, partì a razzo in avanti e scivolò, finendo rovesciato. Grazie a ciò, il lancia-dischi ancora funzionante si staccò del tutto e rimase sul terreno. Ruggì, ma Kong lo interruppe colpendolo in testa usando la coda come mazza. Il rottame si frantumò e lo scimmione lo buttò via. Il Divoratuono, privato delle armi da fuoco, accese gli occhi laser e provò a colpire Kong. Ma il gorilla vide in tempo il ventaglio di raggi rossi e iniziò a correre in giro per non esserne toccato. Aloy sapeva esattamente cosa fare: corse al lancia-dischi, lo imbracciò e cominciò a sparare più in fretta che poteva al Divoratuono. Gli tolse quasi tutte le placche e ruppe uno dei visori. E, finalmente, il vano sul fianco si squarciò e lei poté vedere il cuore del Divoratuono, il suo punto più vulnerabile e la componente di Macchina più preziosa sul mercato dei rottami. Se l’avesse colpito bene, un paio di dischi sarebbero bastati a distruggerlo. Aloy sparò ancora, ma non successe niente: i dischi erano finiti proprio nel momento cruciale. Il Divoratuono la fissò e gli occhi laser stavano per accendersi, ma Kong lo placcò, gli mise le mani sotto la parte inferiore del corpo mentre atterravano e, quando fu in piedi, lo sollevò sopra le sue spalle come un wrestler con uno sforzo sovrumano. Poi lo lanciò contro la parete rocciosa, il Divoratuono sbatté la testa cadendo e si ruppe anche i dispositivi che lanciavano i raggi. Kong si avvicinò grugnendo. Aloy rimase a guardare con ammirazione, mentre il gorilla sollevava lentamente le braccia, cominciando poi a tempestare il corpo ammaccato del Divoratuono di pugni. Alla fine si stancò e si fermò, ma il Divoratuono era ancora funzionante. Kong si sedette e cominciò ad ansimare, stremato. Aloy volle aiutarlo ancora. Prese la lancia e si avvicinò lentamente, stando attenta a non sembrare aggressiva. Kong la fissò sospettoso e lei sollevò le braccia.
 
«Piano, piano! Sono dalla tua parte, l’hai visto!» disse.
 
Kong continuò a guardarla, ma cambiò espressione: sembrava più rilassato, ora. La ragazza, allora, andò dal Divoratuono, raggiunse l’apertura da cui si vedeva il cuore e rimase sconcertata: quello non era un cuore di Divoratuono, era un cuore vero! Doveva essere, insieme al sangue, l’ultima cosa organica che gli era rimasta di quel tirannosauro morto, non ancora assimilata. Aloy si riscosse e lo infilzò. Ma prima che estraesse la lancia, il Divoratuono ruggì e si alzò, ruggendo e sbalzandola via. Sovrastandola, la Macchina aprì la mandibola e fece per schiacciarla sotto il suo peso, ma Kong intervenne ancora: lo fece tentennare con un pugno; poi, andandogli di fianco, con una mano gli afferrò la testa e la tenne ferma, quindi... mise l’altra nel buco, afferrò il cuore e lo strappò dal corpo. Il Divoratuono si bloccò e rimase fermo come una statua per qualche secondo. Poi i visori si spensero, il corpo fu attraversato da scariche elettriche, emise un ronzio simile a quello di una radiolina rotta e si distese su un fianco, definitivamente spento. Kong guardò il cuore nella sua mano, lo strizzò fino a spappolarlo e buttò i resti per terra, mentre l’ennesimo lampo illuminava il cielo grigio scuro. Guardò Aloy ancora una volta con aria incuriosita e lei non seppe se emozionarsi o avere paura. Kong guardò i pezzi di cuore sotto di sé e vide la lancia dell’umana. Ci appoggiò un dito sopra e la spostò fino alla proprietaria, “restituendola”. Le rivolse un versetto allegro con una faccia che pareva divertita, poi andò alla parete, la scalò e sparì oltre la sporgenza. Aloy avrebbe giurato di sentirlo ruggire mentre un tuono rombava.
 
Era finita, ce l’aveva finalmente fatta. Le Macchine non sarebbero più state un problema per ARK. Si inginocchiò sulla sponda del fiume ed esultò a pieni polmoni, levando le braccia al cielo. Poi, gioiosa e ridente, accese il focus e chiamò Sylens. Non sapeva nemmeno perché lo stesse facendo, semplicemente le serviva dirlo a qualcuno seduta stante. Gli disse di aver finito con le Macchine e lui si complimentò. Col suo solito tono superbo e arrogante, ma lo fece. Ora, se avesse voluto, sarebbe stata più che libera di prendersi una pausa lunga quanto le pareva per imparare di più sull’isola e godersi una “vacanza” inter-dimensionale, prima di tornare a casa. Chissà, magari avrebbe convinto Sylens a darle il telecomando di Ryomo per andare su ARK quando le sarebbe venuta voglia: Alocin era una persona con parecchi difetti, ma ne valeva la pena averlo come amico. Asile, poi, sembrava simpatica, avrebbe voluto conoscerla meglio e farsi guidare al mondo arkiano da lei. Terminata questa riflessione, Aloy si alzò e tornò alla strada: avrebbe chiesto come andare al villaggio dei Teschi Ridenti, così avrebbe potuto andare a salutare Alocin e raccontargli dello scontro epico col Divoratuono. E fu così che, per la seconda volta nella sua vita, Aloy salvò un mondo.

   
 
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