Lo aveva visto precipitare in quel burrone, dove non c'era alcuna speranza di salvezza, lo aveva perso per sempre. Ma la cosa più terribile era non avere un luogo in cui poterlo piangere.

Passava tutto il suo tempo libero camminando senza meta fra le lapidi del cimitero della città, sapeva che nessuna di quelle era la sua, ma quel luogo gli dava comunque l'illusione di sentirlo accanto, di potergli raccontare i suoi pensieri e il suo dolore.

A volte si lasciava cadere in ginocchio davanti ad una delle lapidi sconosciute, e lì poteva finalmente far uscire tutte le lacrime che gli bruciavano dentro.

Quel giorno, nell'ennesima passeggiata tra le tombe, ne notò una in cui nome e data si erano cancellati, ma altre scritte si notavano ancora.
Si avvicinò per leggerle e per un attimo il suo cuore si fermò, la scritta diceva:
"Non stare qui a piangere, io non sono qui, io non sono morto".
Le altre parole erano cancellate, ma queste gli si incisero nel cuore.

Alzò lo sguardo al cielo e, mentre una singola lacrima gli solcava la guancia, sorrise e sussurrò:
"Non ti ho perso, sei dovunque dentro e fuori di me" e, per la prima volta, il dolore non aveva più il colore della disperazione.