Anime & Manga > Pokemon
Ricorda la storia  |       
Autore: Hesper    14/07/2019    1 recensioni
Il sipario si chiuse, e l’enorme sagoma nera che teneva i miei fili discese verso di me. Sapevo già cosa mi attendeva – in fondo, era un qualcosa che accadeva a ogni fine spettacolo –, ma ciò non riuscì a fermare la profonda paura che cominciò a crescermi nel petto.
Andò tutto come previsto: con le lunghe dita, staccò braccia e gambe dal mio corpo di plastica, gettando poi nello scantinato del teatro ciò che di me rimaneva.

La nascita del sovrano del Team Plasma narrata da una persona che è stata zittita fin troppo presto.
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ghecis, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Atto I – Non c’è qualità più terribile della purezza.
 
 
Non sono mai riuscita a instaurare un buon rapporto con gli umani. Le poche volte in cui mi parlavano, mai nulla di lusinghiero usciva dalle loro labbra. Le poche volte in cui il loro sguardo incontrava il mio, nessuna purezza e sincerità faceva brillare i loro occhi.
 
Disprezzo… e forse anche un po’ di soggezione. Queste erano le emozioni che da sempre gli umani mi avevano trasmesso, nonché la ragione per cui ognuno di loro decideva di farmi precipitare nella mia infinita solitudine.
 
Avendo avuto a che fare con questa situazione da un’intera vita, avevo sempre reciprocato quei sentimenti. Per far fronte all’abbandono, invece… avevo i Pokémon, i miei unici, veri amici. Al contrario degli umani, infatti, essi nascondevano un’incalcolabile purezza, sia nei loro pensieri, sia nelle loro emozioni.
 
Ma soprattutto, al contrario degli umani, le loro parole erano sempre sincere, e le loro intenzioni mai interessate.
 
Parole, sì, perché i Pokémon sanno comunicare. E io ero capace di comprenderli.
 
Un anatema che portava gli umani ad avere paura di me e a trovarmi strana, quello, e allo stesso tempo una benedizione che mi aveva permesso di sbrogliarmi dalla completa solitudine.
 
Nonostante tutto, infatti, non avevo mai odiato questa mia abilità: senza di essa non avrei mai conosciuto a fondo tutti quei Pokémon che avevano deciso di condividere con me gioie e dolori anche nei momenti più bui della mia esistenza. Se veniva disprezzata era solo colpa degli umani cattivi che non vedevano un dono nell’unicità – o almeno, così avevo cominciato a credere quando Zoroark, la mia migliore amica, si era espressa in materia.
 
Per quanto risentissi gli umani per la solitudine in cui mi avevano gettata… dentro di me avevo sempre desiderato che ne esistesse uno, uno soltanto, che trovasse bella la mia stranezza. Se da una parte, infatti, ritenevo i miei simili spaventosi e superficiali, dall’altra volevo credere ai racconti dei miei amici, che da sempre provavano ammirazione per tutti quegli umani che s’impegnavano a trattare i Pokémon con amore e considerazione.
 
Questo comportamento, però, sembrava essere messo in pratica solo dagli Allenatori, dai Capipalestra o dal Campione, che avevano fatto delle lotte affiancati dai loro compagni la loro ragione di vita… Ma avrebbe mai potuto anche un’umana capace di parlare con i Pokémon essere premiata da un simile incontro?
 
Come per magia, la risposta arrivò in un fresco pomeriggio di primavera.
 
Zoroark e io avevamo deciso di incontrarci nel Bosco Smarrimento, nostro consueto punto di ritrovo, assieme ad altri nostri amici Pokémon. Quel giorno non facemmo nulla di diverso dal solito: ridemmo, scherzammo, discutemmo dei più svariati argomenti… Ma ecco che, interrompendo i nostri discorsi come un fulmine a ciel sereno, una profonda ma calma voce sconosciuta giunse alle mie orecchie.
 
“Non pensavo esistessero ancora persone capaci di parlare con i Pokémon… davvero affascinante”.
 
Era stato un uomo a pronunciare quella frase con una certa meraviglia. Un uomo piuttosto giovane, per la precisione, dall’immisurabile altezza e dai lunghi, ondulati capelli verdi. Una benda copriva uno dei suoi occhi rossi come rubini, e allo stesso modo il mantello scuro che indossava celava il suo braccio destro.
 
Non seppi mai se il mio sgomento fosse dovuto all’aura di regalità che la sua sola presenza emanava o al fatto che fosse venuto a conoscenza del mio dono: l’unico pensiero che passò per la mia testa quel giorno fu molto semplice – nessuno aveva mai reagito così nel sentirmi parlare con i Pokémon.
 
In qualche modo il messaggio doveva essere arrivato anche a lui, poiché, come a tranquillizzarmi, cominciò a raccontarmi di come il sovrano più amato della storia di Unima, nonché colui che aveva portato la regione al suo massimo splendore, dovesse il suo successo proprio alla sua capacità di comunicare con i Pokémon.
 
“Non credo che mi capiterà mai la stessa cosa”, replicai con agitazione e una punta di amarezza, “spesso le cose non vanno bene quando la gente scopre di cosa sono capace”.
 
“Purtroppo oggigiorno le persone vedono la diversità più come un pericolo che come una risorsa. E non ritengo valga la pena convincerli del contrario”.
 
Non mi aspettavo una risposta del genere da lui, e fu forse proprio per quello che rimasi colpita dalle sue parole. Non so come, ma in qualche modo era riuscito a farmi sentire a mio agio.
 
Per via dei suoi impegni, non si trattenne per molto tempo al Bosco Smarrimento, ma mi domandò se, al nostro prossimo incontro, avesse potuto farmi conoscere i suoi Pokémon: diceva che incontrare una persona che comprendeva il loro linguaggio poteva far loro piacere. La mia diffidenza sembrò avermi tradita, poiché accettai la proposta senza pensarci due volte. Forse avrei voluto parlare ancora con lui, anche perché era la prima volta che un’interazione con un umano che conosceva il mio segreto stava andando così bene… nonostante ciò, lo lasciai andare, non senza avergli chiesto almeno come si chiamava.
 
“Ghecis Harmonia Gropius”.
 
Un nome insolito, proprio come il modo in cui mi aveva trovata e avvicinata.
 
Con il senno di poi, forse ciò che avrei dovuto domandargli era come aveva fatto a capire l’autenticità del mio dono così in fretta.
 
***
 
Come aveva promesso, qualche giorno dopo Ghecis tornò al Bosco Smarrimento in compagnia di due suoi Pokémon, Eelektross e Hydreigon. Dal canto mio, convinsi alcuni dei miei amici più stretti – Zoroark, Darmanitan e Woobat – a venire con me, di modo da non essere l’unica ad accogliere l’uomo e i suoi compagni. Fu proprio lui a esortarmi a dialogare con questi ultimi: ancora non mi era chiaro se fosse spinto da semplice curiosità o da interessi di altro genere, ma accettai la proposta di buon grado.
 
I suoi Pokémon… mi diedero un’opinione molto peculiare di lui. Mi dissero che era una persona generosa, colta e carismatica, e che se solo avesse voluto avrebbe potuto persino intraprendere una carriera politica. Quando riportai quanto sentito all’interessato, questi sembrò molto soddisfatto… in effetti è una sensazione molto bella sapere che i tuoi compagni fanno così tanto affidamento sulle tue capacità.
 
Lasciammo che i nostri rispettivi alleati Pokémon interagissero tra di loro, mentre anche noi due cominciammo a parlare del più e del meno. Mi accorsi subito che Ghecis aveva un pallino per discorsi alti e filosofici, e che era un interlocutore assolutamente molto abile. Con un po’ di impegno riuscivo comunque a seguire ciò che diceva, e offrendo i miei punti di vista in aggiunta ai suoi cercavo anch’io di dar vita a discussioni stimolanti.
 
Evidentemente già questo bastò a farci divertire, giacché i nostri incontri, da quel giorno in poi, divennero sempre più numerosi e frequenti. Spesso questi consistevano nel darsi appuntamento al Bosco Smarrimento e rilassarsi un po’, magari parlando di ciò che più ci appassionava, ma qualche volta ci andava anche di fare passeggiate in bellissimi luoghi panoramici. Ci sono state delle occasioni in cui si offrì persino di portarmi in delle grandi città come Sciroccopoli – pur essendo a disagio per l’eccessiva presenza di umani, gli incoraggiamenti suoi e quelli dei miei amici mi diedero la forza di riprovare a frequentare quel tipo di ambiente.
 
“Non preoccuparti. Finché sarai in mia compagnia nessuno ti denigrerà” mi disse, e così accadde. Quando stavo con lui, infatti, non sentivo più il peso degli occhi della gente su di me… e questo mi faceva sentire al sicuro.
 
E così, senza neanche accorgermene, cominciai genuinamente a fidarmi di lui. Lo capii da come, con l’aumentare dei nostri incontri, gli argomenti delle nostre discussioni diventavano sempre meno generici e più personali. Lui, ad esempio, mi raccontò dei suoi viaggi e della sua passione per la mitologia, mentre io ricambiai dicendogli della mia preferenza per la matematica, anche se lui mi rivelò di averla già dedotta dal mio portarmi al collo una spugna di Menger1 come ciondolo.
 
“Non è affascinante come solo tra zero e uno si possano contare un’infinità di numeri?”
 
“Questo è vero, ed è altrettanto affascinante come alcuni numeri esistano solo prendendo in considerazione particolari insiemi – il concetto è molto simile alla nozione di mondo-ambiente2, se vogliamo. Per quanto l’insieme Q ci mostri come tra zero e uno esista un’infinità di numeri, per l’insieme N, prima dell’uno, non ci sarà null’altro che lo zero”.
 
Arrivati a un certo livello di confidenza, Ghecis decise di svelarmi anche una delle sue maggiori aspirazioni.
 
“Per raggiungere una forma di equilibrio nella nostra società è necessario che umani e Pokémon ottengano gli stessi diritti. Questo ideale, purtroppo, non si trova ancora a essere una completa realtà, giacché tutt’oggi esistono ancora degli umani che perpetrano abusi sui Pokémon come se fossero loro inferiori. Per quanto è in mio potere, farò in modo che la società si avvicini quanto possibile a questo utopico scenario di uguaglianza”.
 
La nobiltà del suo modo di pensare era quasi tremenda – aveva fatto le cose talmente in grande da fondare un piccolo manipolo di persone pronte a soccorrere i Pokémon in difficoltà.
 
“E credi che questo si possa realizzare anche in una società in cui umani e Pokémon collaborano?”
 
“È necessario che sia così, ed esistono persone che si stanno facendo carico di renderla una realtà” replicò con sicurezza. “Ciò che turba questa quiete è l’ammontare di individui ignoranti che si ostinano a non riconoscere la sinergia che le due specie hanno sempre creato”.
 
A tale proposito, mi raccontò di come gli umani potessero arrecare dei danni irreversibili al comportamento dei Pokémon nei loro confronti, rivelandomi che l’occhio che copriva sempre con la benda e il braccio che celava sempre sotto il mantello erano stati gravemente feriti da un Pokémon che aveva subito talmente tanti abusi da non riconoscere neanche quando una persona cercava di aiutarlo.
 
La sensazione da lui descritta… sarei stata anch’io a un passo dal provarla se non fosse stato per lui e i miei amici Pokémon.
 
Lo ricambiai, quindi, con dei racconti della mia vecchia vita. Gli dissi che, tempo prima, avevo deciso di fuggire dalla mia famiglia e dalla mia città per colpa del trattamento che i miei genitori e chi conosceva i miei poteri mi riservava – di come mi ignorassero per la mia stranezza e la mia tendenza a preferire la compagnia dei Pokémon anziché quella degli umani, di come mi considerassero uno scherzo della natura, arrivando addirittura a sospettare che fossi uno Zoroark che aveva preso le sembianze umane per lanciare una maledizione sulla mia famiglia o sulla città, di come io e gli abitanti ci scambiassimo sguardi pieni di disprezzo… E di come, non di rado, capitasse che qualcuno di loro mi giocasse qualche scherzo di cattivo gusto.
 
“E tu sei felice così?” mi chiese dunque, palesemente preoccupato. “Sei soddisfatta di vivere in una roulotte nelle profondità del Bosco Smarrimento, lontana da ogni forma di civiltà? Io potrei offrirti una miglior casa in cui trascorrere la vita, e potresti portare con te anche i tuoi Pokémon. In questo modo, potresti reinserirti nella società umana e—”
 
“…Non ce n’è bisogno. Finché tu e i miei amici sarete al mio fianco… io sarò… più che felice”.
 
Bugia. Bugia. Bugia!
 
Non ero soddisfatta della mia vita, affatto! E come potevo, quando vivevo lontana da tutti come un’eremita, trascorrendo giornate così uguali tra loro da farmi perdere il conto degli anni trascorsi? Come potevo esserlo, quando il mio forte desiderio di cambiamento era soffocato dalla paura dei pregiudizi che la gente poteva avere nei miei confronti venendo a conoscenza del tipo di persona che ero?
 
I miei amici ben lo sapevano, e spesso avevamo litigato su questo fatto – loro volevano farmi recuperare la fiducia negli umani e assicurarsi che io stessi bene con me stessa, ma io facevo la vigliacca e ignoravo i loro consigli.
 
Per questo, quando avevo incontrato quell’uomo che mi rivolgeva parole di una dolcezza quasi tossica, io—
 
Se non avessi ascoltato gli incoraggiamenti dei miei Pokémon a provare a dare almeno un po’ di fiducia a Ghecis, a quest’ora forse sarei ancora imprigionata nella mia alienante vita. Ma in qualche modo, lui riuscì a fare breccia nelle mie difese, convincendomi del fatto che il suo frequentarmi non aveva secondi fini.
 
Un’attenzione disinteressata… che bella sensazione che era. Così cara, così preziosa… in quel periodo della mia vita avrei dato qualsiasi cosa per tenermela stretta e non doverla mai lasciar andare.
 
Quasi non mi accorsi che, piano piano, stavo cominciando a coltivare il desiderio di essere salvata dalla mia stessa, miserabile vita. Nella mia distorta visione del mondo, colui che si era presentato davanti a me era un eroe che voleva sciogliermi dalle mie catene.
 
La richiesta d’aiuto, pian piano, si tramutò ulteriormente in qualcosa di diverso, ma altrettanto forte. Qualcosa che mi portava a sorridere al solo pensiero di incontrare quell’uomo, e che alleggeriva le mie viscere ogni volta che lui mi si presentava davanti. La sua voce mi rilassava; la sua vicinanza, invece, mi faceva sobbalzare – inizialmente pensai fosse una mia risposta corporea derivata dal fatto che stavo interagendo con un umano, ma… quando ne parlai con Zoroark, lei mi disse che era un buon segno.
 
Un segno che, forse, mi ero—
 
Ricordo che la mia amica mi aveva raccontato di come anche lei, qualche volta, avesse avuto la fortuna di provare un simile sentimento – diceva che i Pokémon lo dimostravano facendo tante uova assieme.
 
Convinta del fatto di star provando, almeno per una volta, delle emozioni normali, mi feci coraggio e, un giorno, decisi di rivelare tutto ciò a Ghecis. Quando, con un sorriso indecifrabile, mi rispose che da tempo mi ricambiava e che era stato convinto dalla persona interessante, intelligente e originale che mi ero dimostrata essere con lui, ricordo che pensai di star vivendo il più bel giorno della mia vita. Finalmente un umano mi accettava per quello che ero. Finalmente mi sarei potuta lasciare alle spalle il mio trascorso di isolamento.
 
Forse—forse grazie a lui avevo persino vinto la mia paura per gli umani.
 
Ciò che al tempo non capii, però, è che il nemico che dovevo sconfiggere era d tutt’altra specie, e portava il nome di ingenuità.
 
***
 
Io e Ghecis andammo a letto insieme diverse volte, ma non mi era mai passato per la testa che, durante uno di quegli amplessi, io potessi essere stata messa incinta. Non avevo associato i conati di vomito, i dolori alla schiena e l’ingrandimento del seno a questa possibilità – o almeno, non finché non constatai che le mestruazioni mi erano saltate almeno due volte. I miei amici lo vennero a sapere quasi subito, e accolsero la notizia con grande entusiasmo: avrei voluto metterli al corrente di ciò più tardi, ma non ero riuscita a trattenermi… ero troppo felice della scoperta. Riuscii a stento a tenerlo nascosto allo stesso Ghecis per questo, ma fortunatamente ebbi il buon senso di attendere almeno finché la mia pancia non si fosse leggermente gonfiata. Quando glielo rivelai, potei distinguere la contentezza e la soddisfazione sul suo volto. Quello stesso giorno mi ripropose di andare a vivere da lui: in fondo, di lì a poco saremmo diventati genitori, ed era nostro dovere garantire al bambino un ambiente accogliente e sereno in cui fossimo stati entrambi presenti. Inoltre, se durante la gravidanza avessi avuto qualche problema, sarebbe stato complicato ricevere le cure necessarie nel bel mezzo di un bosco.
 
Quella che mi stava offrendo era un’altra occasione per cambiare vita e stare, finalmente, con la persona che volevo al mio fianco. Un’occasione che avevo precedentemente – e stupidamente? – rifiutato, ma che non potevo più negarmi. O almeno, non quando la mia esistenza e la sua erano legate dalla nascita di un figlio. Inutile dire che accettai la proposta con gioia.
 
Una volta fatti i preparativi per il trasloco, Ghecis mi venne a prendere per portarmi nella nostra nuova dimora. Fecero seguito tutti e tre i miei amici, Zoroark, Darmanitan e Woobat, incapaci di dirmi addio, e la cosa mi rese ancor più felice del cambiamento a cui stavo andando incontro.
 
Quella in cui andammo a vivere, più che a una casa, assomigliava a una reggia. O a un palazzo, con la particolarità di essere stato costruito sotto terra.
 
Io e i miei Pokémon rimanemmo folgorati dalla regalità che quell’edificio emanava: le enormi colonne dai capitelli minuziosamente decorati, il pavimento blu abbellito da motivi geometrici che lo facevano assomigliare a un cielo stellato, le grandissime arcate che contenevano in sé le porte che conducevano alle varie sale… pensare che un insieme di formule matematiche potesse dar luce persino a creazioni di tale bellezza era qualcosa di troppo perfetto per essere vero.
 
Ma la cosa che più mi sorprese fu sapere che il palazzo, pur essendo già così infinitamente grande, non era stato ancora completato. In effetti l’edificio aveva solo due piani, peraltro con poche stanze, le pareti dovevano essere ancora affrescate, e in fondo ai chilometrici corridoi si aprivano quelli che sembravano dei cantieri.
 
Quel giorno constatai per la prima volta quanto effettivamente le tasche di Ghecis fossero piene di soldi.
 
“Un castello? Non mi avevi detto che la tua famiglia era di discendenza nobile…”
 
“Non te ne avevo mai fatto menzione? Forse perché avevamo argomenti più interessanti di cui disquisire del mio lignaggio familiare… Ad ogni modo, si dice che gli Harmonia discendano proprio dal sovrano di cui una volta ti avevo raccontato, colui capace di comunicare con i Pokémon. Prendila come la leggenda che probabilmente è: nessuno nella mia famiglia ha ereditato quel potere… sarebbe più credibile se fossi tu la legittima discendente di quel re leggendario”.
 
Stavo per sussurrargli un “se lo dici tu”, quando d’un tratto mi accorsi della solenne accoglienza che stavamo ricevendo. Una dozzina di uomini si dispose in due file sull’ampio corridoio che io, Ghecis e i miei amici stavamo per attraversare. Subito fui colpita da un profondo disagio quando li vidi rivolgerci un saluto simile a quello militare: la cosa non stonava molto, dato il loro abbigliamento che ricordava quello dei cavalieri dei libri che leggevo da piccola, ma ancora facevo fatica a vedermi come bersaglio di tali formalità. Ipotizzai fossero le persone che Ghecis aveva incaricato di dare una mano ai Pokémon abusati e/o abbandonati e di cui mi aveva raccontato – questa affermazione si rivelò corretta quando lui presentò loro a me e me a loro. Mi disse anche che non li avrei visti spesso in giro per il palazzo, impegnati com’erano, ma che se volevo potevo assisterli nel loro operato. Non diedi mai loro molta confidenza, anche perché non mi sentivo all’altezza di dare ordini a dei… soldati? Ma con il passare del tempo mi abituai alla loro presenza, riuscendo addirittura a gestire qualche chiacchierata interessante, seppur molto breve, con alcuni di loro.
 
La mia permanenza nel castello cominciò tutto sommato bene, anche se il semplice fatto di vivere in un edificio così sofisticato mi fece nascere non poche domande. Un uomo nobile e carismatico come Ghecis aveva deciso di accogliere in casa sua una ragazza trovata nei meandri di un posto sperduto e il figlio che con lei aveva generato… uno come lui avrà avuto diverse occasioni di sposarsi con una donna ricca, bella e più normale di me. Cosa lo aveva spinto a non seguire la tradizione? Spesso mi diceva di come le persone che popolavano il tipo di ambiente in cui era nato fossero frivole, superficiali, incuranti di tutto ciò che accadeva oltre le loro quattro, dorate mura… e di come io, al contrario di loro, fossi una persona a tutto tondo, acuta, intelligente, che possedeva un dono che le permetteva di accedere a un mondo agli altri inaccessibile e che, per queste ragioni, si sarebbe meritata il posto nell’alta società molto più di chiunque altro. Credeva forse che fossi anch’io una delle discendenti dei re antichi di cui spesso mi raccontava? Glielo avevo detto che ero nata nella famiglia più normale di una città sperduta a nord di Unima e piena di scaramantici, ma a lui questo sembrava non importare. Forse ero simile a qualche personaggio mitologico che gli piaceva… in fondo ne sapeva tante di storie, da quelle dei sovrani che popolavano i castelli ormai sepolti di Unima a quella dei due gemelli che, volendo perseguire uno la verità e l’altro gli ideali, indussero il drago leggendario loro alleato a dividersi in due per non dover parteggiare per l’uno piuttosto che per l’altro.
 
Decisi di non dare molto peso a questo dilemma che mi era già capitato di affrontare con lui un paio di volte: la gravidanza mi toglieva le forze tra voglie e dolori. Pensavo che non ne avrei visto la fine, lento come scorse il tempo in quei mesi, e invece il momento del parto arrivò, sorprendentemente, in un baleno.
 
Il bambino… era così bello che mi commossi alla sua sola vista. Quel ciuffetto di capelli verdi e i suoi tratti facciali facevano pensare che da grande sarebbe stato simile a suo padre, ma i suoi occhi erano chiari come i miei, pur non condividendone il colore esatto.
 
Quel giorno fu uno di festa per tutti. Persino Ghecis, uno che era sempre stato contenuto nel manifestare le sue emozioni, si lasciò andare in una risata compiaciuta.
 
Quando venne il momento di dichiarare ufficialmente il nome di nostro figlio, entrambi avevamo già preso la nostra decisione.
 
Natural. O N, come l’insieme dei numeri naturali.
 
Nel momento in cui io e Ghecis ci accorgemmo che anche lui era riuscito a ereditare la mia capacità di comunicare con i Pokémon, capimmo che, forse, non avremmo potuto scegliere un nome migliore per lui.

 
 
 
 
 
Note:
1Spugna di Menger: un frattale tridimensionale dalla forma cubica, ovvero un cubo che si ripete nella sua forma allo stesso modo su scale diverse. Per avere un’idea più chiara: https://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/a/ad/Menger-Schwamm.png Per caso vi si accende una lampadina?
2Mondo-Ambiente: una teoria dell’etologo Uexküll. Essa sostiene che le diverse specie di animali, uomo compreso, vivono in realtà percettive differenti, vincolate dalle capacità sensoriali-percettive delle specie stesse. In poche parole, la realtà in cui ogni specie vive è diversa e vincolata da ciò che esse possono percepire a livello sensoriale.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Salve a tutti! ^o^
 
Mantengo la parola e mi ripresento nel fandom, stavolta con una mini-long! Sappiate che è qualcosa di molto raro da parte mia - l'idea iniziale era infatti pubblicare la storia come one-shot, ma visto che è venuta fuori piuttosto lunga e la sua struttura si prestava molto a essere spezzettata, ho deciso di suddividerla in tre atti, anche per farvela risultare più leggera (e più ordinata). A quest'ora i capitoli rimanenti saranno già belli che pubblicati: se questa storia vi ha in qualche modo incuriositi andate pure a leggerli! ^o^

Passando al contenuto, ovviamente avrete dedotto che la nostra protagonista senza nome, rivelatasi alla fine del capitolo come la madre biologica di N, è una mia OC. La fanfic si basa pesantemente sull'headcanon che Ghecis sia in realtà il padre biologico di N (dai, non avete visto la somiglianza? Io non ci credo che non sono imparentati u.u), e siccome era da tempo che volevo affrontare la questione con uno scritto ho pensato che presentarla dal punto di vista di colei che ha dovuto generare il nostro caro pargolo dai capelli verdi potesse essere interessante e - mi permetto - originale. Spero che lei sia stata e che sarà un personaggio a voi gradito: so bene che con gli OC si è tutti un po' severi, complice il largo uso che se ne fa in certi tipi di fanfiction...
Per quanto riguarda Ghecis, da questo capitolo sembra quasi una brava persona, e la nostra ragazza sembra essersi convinta di aver trovato in lui qualcuno che finalmente la accetta nonostante la sua "stranezza". Il suo atteggiamento vi ha fatto storcere il naso? Aspettate di vederlo in azione per bene... ugh.

Concludo facendo un paio di precisazioni sui contenuti del capitolo:
- Il titolo di questo atto è liberamente ispirato a una frase pronunciata da Concordia su Pokémon Nero/Bianco e che credo sia una delle frasi migliori dei videogiochi Pokémon: "Il cuore di N è puro e innocente, ma non c'è nulla di più meraviglioso e terribile della purezza".
- Le leggende raccontate da Ghecis sono tutte menzionate nei giochi di quinta generazione. Quella che narra del sovrano capace di parlare con i Pokémon, in particolare, viene menzionata da Violante nei giochi Bianco 2/Nero 2 dopo aver visitato le Rovine degli Abissi e aver interpretato le scritte sulle pareti. Il nome del re non viene mai menzionato, ma c'è una teoria che sostiene che questo possa essere "Harmonia". Vedete voi.

Intanto vi ringrazio per aver letto, e spero di ritrovarvi anche per l'Atto II!
 
Hesper
  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Pokemon / Vai alla pagina dell'autore: Hesper