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Autore: Hesper    14/07/2019    1 recensioni
Il sipario si chiuse, e l’enorme sagoma nera che teneva i miei fili discese verso di me. Sapevo già cosa mi attendeva – in fondo, era un qualcosa che accadeva a ogni fine spettacolo –, ma ciò non riuscì a fermare la profonda paura che cominciò a crescermi nel petto.
Andò tutto come previsto: con le lunghe dita, staccò braccia e gambe dal mio corpo di plastica, gettando poi nello scantinato del teatro ciò che di me rimaneva.

La nascita del sovrano del Team Plasma narrata da una persona che è stata zittita fin troppo presto.
Genere: Angst, Drammatico, Thriller | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Ghecis, N, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Videogioco
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Atto II – Parole, come un forte veleno.
 
 
Fin da quando aveva pronunciato la sua prima parola, Natural si dimostrò essere un bambino prodigioso. La sua curiosità e il suo spirito d’iniziativa lo portavano a intraprendere dialoghi sia con gli umani, sia con i Pokémon, non mostrando preferenze di compagnia tra i due e anzi trattando i secondi quasi come fossero suoi simili. Questa sua indole permise a me e Ghecis di investire tempo nell’affinare le sue abilità linguistiche non solo con noi, ma anche con i Pokémon, di modo che, una volta cresciuto, non perdesse la capacità di comunicare con entrambe le specie.
 
Essendo io l’unica in grado di insegnargli come interagire con i Pokémon, la maggior parte del lavoro fu affidata a me e ai miei amici, mentre Ghecis, in questo, ricoprì un ruolo di supporto. Zoroark, Darmanitan e Woobat, infatti, mi offrirono il loro aiuto imitandomi nelle mie interazioni con il bambino, affinché lui potesse acquisire tutte le conoscenze necessarie a comprendere anche l’affettività e il modo di esprimersi dei Pokémon: rispondevano alle sue domande o richieste, gli insegnavano nuove parole, gli prestavano ascolto quando cercava di attirare la loro attenzione… Ricoprirono in tutto e per tutto il ruolo di genitori aggiuntivi, e la cosa mi aiutò tantissimo nell’educarlo nel miglior modo possibile.
 
Soprattutto quando Ghecis cominciò a mancare spesso da casa.
 
Dal momento in cui Natural compì il suo primo anno di vita, rivelando il suo dono, la gestione della sua squadra diventò d’un tratto sempre più impegnativa e sfiancante – o almeno, così mi aveva riferito un giorno.
 
“Il numero di Pokémon che richiede il nostro aiuto sta aumentando invece di diminuire, e il loro smistamento nelle pensioni sta diventando sempre più difficoltoso” mi rivelò con un certo stress. “Scusami se non potrò prendermi cura di Natural come dovrei. Per quanto è in mio potere, cercherò di vederlo e di non fargli sentire la mia assenza”.
 
Lì per lì gli risposi che non c’era alcun problema, quei Pokémon abbandonati avevano bisogno di tutto l’aiuto possibile, e che io e miei amici ce l’avremmo comunque fatta assieme.
 
E proprio quando sembrava essere tutto tranquillo, mi accennò a un’idea che da lui non mi sarei mai aspettata. Mi disse che, quando Natural sarebbe cresciuto, sarebbe stato opportuno istruirlo tramite dei precettori scelti da noi.
 
La proposta in sé non era malvagia, ma mi lasciò molto amareggiata. Quando gli risposi che sarebbe stato meglio per lui andare a scuola anche per avere la possibilità di incontrare altri bambini della sua età – vicino a casa nostra non vivevano famiglie con figli che potessero fargli compagnia –, lui si limitò a chiedermi: “dici così, anche dopo ciò che ti è successo seguendo quella strada?”
 
Capivo il suo timore che Natural potesse non essere ben visto a scuola per colpa del suo dono, ma lui aveva bisogno di stare con gli umani, se non altro per non finire come sua madre. E poi, avremmo potuto prepararlo all’evenienza, dirgli come comportarsi nelle situazioni difficili, e forse—
 
“Ciò che dici è giusto, ma il problema non risiede in Natural. Il problema sta negli altri”.
 
Benché avessi trovato il suo atteggiamento diverso rispetto al solito, non diedi alla cosa il peso necessario: pensai che fosse la sua maniera di proteggere me e nostro figlio…
 
…Ma questo fu prima che il nostro rapporto subisse una drastica degenerazione.
 
Un giorno decisi di concedermi una passeggiata per il palazzo, giusto per vedere se nel cantiere stavano proseguendo con la costruzione delle stanze e dei corridoi. Natural aveva avuto sonno, lo avevo messo a nanna in quella che sarebbe stata la sua futura camera da letto, e i miei amici si erano offerti di tenerlo d’occhio per un po’, permettendomi di rilassarmi almeno per quel pomeriggio. Con la scusa che Ghecis e gli altri erano fuori dalla prima mattina, stavo realmente cominciando a sentire la monotonia di quella lunga giornata… oltre che la stanchezza dovuta al fatto di starmi occupando di mio figlio e di altre questioni da almeno un anno e mezzo.
 
Decisi dunque di cominciare la mia esplorazione dai piani inferiori del palazzo – quando arrivai lì per la prima volta erano ancora in fase di progettazione, perciò non avevo mai avuto l’occasione di visitarli. Sembrava che i lavori fossero ancora in alto mare – gran parte delle stanze erano ancora sprovviste di porta, e le pareti erano solo parzialmente decorate da motivi simili a quelli dei capitelli delle colonne. Se non altro c’era qualche tavolo e mobile sistemato al loro interno, e il pavimento era già stato reso simile a quello del corridoio.
 
Diversa era invece la situazione del piano ancor più inferiore, dove il regale design del resto del castello aveva fatto spazio alla sobrietà di un normale seminterrato.
 
O forse, più che sobrietà, dovrei dire abbandono.
 
Inizialmente rimasi molto perplessa da come quella zona era stata gestita. Era forse destinata a essere costruita per ultima? Aveva il ruolo di piano sotterraneo?
 
Quei pensieri, in un baleno, furono sostituiti da un forte sentimento di paura quando, alle mie orecchie, giunse un sofferto vocalizzo.
 
Il verso di un Pokémon.
 
Liberai la mente nonostante il tremore, di modo da poter distinguere la voce che mi stava chiamando. Qualunque essa fosse… mi stava chiedendo aiuto. E proveniva da una delle due stanze che davano sullo stretto corridoio.
 
Quando aprii una delle porte… fui accolta dalla visione più orrenda e sbagliata della mia vita.
 
Il tanfo di ormoni impregnava una stanza buia e senza finestre. E quando guardai ai miei piedi… vidi chi mi aveva chiamato con tanta disperazione nella voce. Uno Zorua, allo stremo delle forze, rinchiuso in una orribile gabbia.
 
Ricordo bene come la testa mi girò a quella sola immagine – avevo anche pianto dalla preoccupazione e dalla paura, e forse persino vomitato. Mi abbassai per controllare meglio il suo stato di salute, e quando avvicinai le mani alle sbarre per capire se potevo in qualche modo aprire la gabbia… altri Pokémon mi aggredirono con i loro versi ricolmi di rabbia. C’era un Lillipup che ringhiava, un Purrloin che soffiava, e forse anche un Timburr che scalpitava.
 
Ai loro cuori… non riuscivo ad accedere in alcuna maniera. Ma ci fu una cosa che compresi in ogni caso – quei Pokémon erano stati trattati così male dagli umani da indurli a provare terrore e rancore persino per me.
 
Per me, che altro non trasmettevo loro se non amore.
 
Non mi sembrava possibile – doveva essere un terribile incubo, quello. Perché, in un palazzo ricolmo di persone che facevano solo il bene dei Pokémon, esisteva una stanza così disgustosa?
 
Ciò che mi disse il piccolo, stremato Zorua poco dopo mi travolse come un Bouffalant di corsa.
 
Quei Pokémon… avevano cominciato a subire abusi solo dal loro arrivo al palazzo. Venivano sempre in tre, insensibili e crudeli… e li maltrattavano. Ogni giorno.
 
Quando gli chiesi se sapeva il motivo per cui era finito lì… mi rispose… che il capo degli umani aveva ordinato ai suoi sottoposti di maltrattare lui e gli altri Pokémon per un piano molto importante, o così aveva sentito dagli umani cattivi.
 
Questo capo… poteva solo essere…
 
Riuscii a stento a trattenermi dall’urlare, lasciando che i Pokémon dai cuori sigillati e spezzati riversassero caoticamente su di me la loro ira.
 
Quello in cui avevo creduto per tutto quel tempo, ciò di cui mi ero fatta illudere da quando la mia vita era cambiata… era stato completamente distrutto in un solo, pacifico pomeriggio.
 
Non poteva essere vero. Io li avevo visti… avevo visto i sottoposti di Ghecis soccorrere i Pokémon e inviarli nelle pensioni dove sarebbero stati trattati con amore… Doveva essere una menzogna.
 
Ma c’era un difetto nel mio non voler credere a ciò a cui avevo assistito: che la realtà e i Pokémon non mentono mai. Gli umani… gli umani invece sì.
 
E forse—forse ero stata—
 
—!
 
Non ci capivo più niente. Era troppo per essere elaborato tutto in una volta. Così feci ciò che mi era sempre riuscito bene – scappare dalle realtà che non mi piacevano.
 
Corsi verso i piani più alti. Corsi più che potei, non guardandomi alle spalle e non tentando nemmeno di pulirmi la faccia dalle lacrime, dal muco e dalla saliva che la bagnavano.
 
E proprio quando il mio unico pensiero era allontanarmi il più possibile da tutto ciò che riguardava quella schifosa storia, ecco che la mia corsa sfrenata s’interruppe in un brutto tonfo. L’urto mi fece cadere a terra, ma non volli sentire ragioni: dovevo rialzarmi. Ciononostante, fui costretta ad arrestarmi nel momento in cui quella stessa cosa in cui ero sbattuta mi afferrò saldamente le spalle.
 
L’ultima persona che volevo vedere era lì, che mi guardava con perplessità.
 
Per qualche ragione rimasi paralizzata, gli occhi incollati sul suo e pieni di terrore. Non ricordo se mi chiese qualcosa, e se sì, cosa mi avesse domandato: so solo che balbettai cose senza alcun senso compiuto. Le uniche parole che ero certa di aver detto furono “stanza” e “piano di sotto”.
 
Il suo sguardo sembrò di colpo incupirsi quando, facendomi alzare, mi prese per un polso, avvolgendo il mio braccio sulle sue spalle. Avrei voluto oppormi, in quel momento non lo volevo così vicino a me, ma ero davvero priva di ogni forza di volontà.
 
“Non so di cosa tu stia parlando. È meglio che ti riposi, forse prenderti cura di Natural ti sta affaticando la mente”.
 
La freddezza con cui pronunciò quelle parole mi fece letteralmente tremare dalla paura. L’unico momento in cui riuscii a calmarmi un attimo fu quando, arrivati nella nostra stanza, Ghecis mi convinse ad assumere delle gocce, dicendo che mi avrebbero fatta sentire meglio. Era un ansiolitico – lo presi quasi senza rifletterci. Stavo così male che non riuscivo a pensare correttamente, volevo solo tornare tranquilla e dimenticare il peso che stava gravando sul mio cuore infranto e impaurito.
 
Anche se ciò comportava fidarmi di un uomo a cui non avrei dovuto mai più credere.
 
Quel buio pomeriggio… segnò la prima volta in cui quel volto e quella voce a me così cari mi terrorizzarono a morte, al punto da rendermi totalmente incapace di reagire come avrei dovuto.
 
La prima volta in cui venni a contatto con la vera natura di quel mostro con cui avevo scelto di vivere.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice:
Salve, di nuovo! ^o^
 
Nonostante il capitolo di questa volta sia un po' striminzito, credo siano successe parecchie cose degne di nota: penso che questo, più di tutti, sia il momento della svolta, della rivelazione, dei dubbi e delle paure che sorgono inesorabili. La nostra protag sta cominciando ad accorgersi in che guai si è cacciata quando ha deciso di fidarsi di Ghecis... e la sua reazione alle spiacevoli scoperte fatte qui sarà di fondamentale importanza per il suo futuro. Cosa deciderà di fare? Ovviamente non ve lo dirò, altrimenti vi spoilero tutto l'Atto III!
Magari vi sembrerà strano data la mia solita prolissità, ma stavolta non ho molto da dire -- forse perché il capitolo è piuttosto corto e parla da sé... Ad ogni modo, vi aspetto, come sempre, nel prossimo capitolo.
Vi ringrazio per essere arrivati fin qui, e alla prossima! ^o^
 
Hesper
  
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