Un amore nato dal caso
L’ultima prova
Il vento soffiava forte e le gocce d’acqua rigavano il parabrezza della macchina solitaria che percorreva la strada immersa nella campagna.
Daniele, occhi vigili e mascella serrata per la tensione, sterzò a sinistra imboccando un sentiero sterrato alzando, al suo passaggio, un muro di fango. I fari del veicolo sfavillavano ad ogni sobbalzo delle ruote, non riuscendo a fendere il buio precoce di quel fine pomeriggio primaverile.
Finalmente, dopo quasi due ore di viaggio in totale silenzio, spense il motore davanti ad un’austera casa in mattoni rossi, inscuriti dalla pioggia battente. Daniele si passò una mano tra i capelli in un vano tentativo di sciogliere la tensione, respirò forte e aprì lo sportello della piccola utilitaria giallo canarino.
Come le suole delle scarpe toccarono il pietrisco, reso sdrucciolevole dall’acqua, una ragazzina dalla zazzera raccolta in due trecce disordinate si fiondò tra le sue braccia facendolo barcollare.
«Celeste,» bisbigliò felice tra i suoi capelli, «se non mi lasci andare prenderemo entrambi un bel malanno!» E poi rise forte, il viso rivolto al cielo plumbeo e la schiena premuta contro la lamiera dell’auto.
«Non importa cosa dice papà, sei mio fratello e ti voglio bene lo stesso,» sussurrò Celeste stringendolo più forte. Daniele baciò teneramente il suo capo ormai zuppo.
Erano passati quasi dieci anni da quando, confuso e arrabbiato, era scappato da quelle terre sempre umide di pioggia e sferzate dal vento. Si era cacciato subito nei guai. Ma il vecchio Pietro, che aveva derubato per fame, aveva visto in lui qualcosa di buono che l’aveva indotto a salvarlo da se stesso. Grato, aveva preso al volo quell’opportunità e, sotto la sua ala, aveva finito gli studi e, successivamente, si era arruolato nei Vigili del Fuoco. Erano stati anni esaltanti e aveva ricambiato appieno la fiducia di Pietro.
Poi, pochi giorni prima, gli era arrivata una busta da suo padre, contenente una sola fotografia ridotta in mille pezzi: lui che baciava il proprio compagno sotto un acquazzone.
Davanti a quell’ennesimo rifiuto, si era deciso ad affrontare il drago nella propria tana, come conclusione di un percorso iniziato anni prima in un giorno uggioso come quello.
«Non nasconderti dietro a un dito,» gli diceva spesso Pietro, «affronta il tuo nemico a testa alta. Se perdi, pazienza. Ci sono altre mille vittorie che ti attendono.»
Daniele sorrise al ricordo e l’amarezza che provava si diluì nella pioggia che gli scivolava addosso come un manto.
Invocò l’aiuto di Pietro che l’aveva accolto come un figlio. Pensò a Giovanni che l’attendeva fiducioso a casa. Strinse più forte a sé Celeste, la sua adorata sorellina, e, passo dopo passo, si avviò sereno verso la porta pronto ad affrontare la sua ultima prova.
«Amo un uomo e non mi vergogno,» disse risoluto una volta raggiunto il salotto. «Se proprio non l’accetti, pensa a tutte quelle vite che ho strappato alla morte. Di questo, spero, ne sarai fiero. E» bisbigliò, «me lo farò bastare.»
Chi desidera vedere l’arcobaleno, deve imparare ad amare la pioggia. Paulo Coelho.
Note dell’autrice: ognuno di noi ha ferite scoperte che fanno male.
Daniele decide di affrontare l’ultimo ostacolo alla propria serenità: suo padre. È risoluto nelle proprie ragioni ma offre una scappatoia perché in fondo amare è anche scendere a compromessi.
Buona lettura e i commenti sono graditi.
Questa storia partecipa al contest ‘Il contest del Simbolismo’ indetto da Arianna.1992 sul forum con il prompt pioggia/drago.
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