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C: John Watson ; Soldati ; Harriet Watson | Tag: GuerraAfghanistan
; preS1]
Amore e
odio sotto le armi
- prima
parte -
John
aveva riconosciuto il soldato quando gli era ancora lontano, era il solito
ragazzo che si occupava di smistare la posta. Era uno dei più giovani lì in
mezzo, e qualcuno tra i suoi superiori gli aveva concesso benevolmente di farsi
carico di impieghi di poco conto, roba che non lo avrebbe ridotto in fin di
vita prima che gli fosse spuntato qualche pelo in più sul petto, almeno.
Il
medico non era mentalmente pronto a ricevere un’altra lettera. Non quel giorno,
si era detto tra sé; non quando erano più di quarant’otto ore che non chiudeva
occhio per via di alcuni interventi urgenti che gli avevano prosciugato tutte
le energie. In realtà la stanchezza non era il reale motivo che lo stava
spingendo a cambiare volontariamente percorso. Il fatto era che, John Watson,
era bravo in molte cose, ma ce n’era una in cui sentiva di aver completamente
fallito: non aveva mai capito sua sorella.
Per
fortuna quella volta la sua coscienza non si era fatta viva, altrimenti dietro
le meningi avrebbe sentito la chiara accusa di non averci mai realmente provato
ad appianare il rapporto con Harry. Secondo lui erano totalmente diversi, come
il giorno e la notte, il dolce e il salato, il freddo e il caldo… insomma,
opposti inconciliabili.
Il
Capitano già stava imboccando la via per ritirarsi nella propria camera, e si
era voltato appena per accertarsi che il giovane soldato non lo stesse
seguendo. Per sua fortuna quello era intento ad abbracciare calorosamente un
altro uomo in divisa; non ne era certo, ma poteva trattarsi del Sergente al
quale doveva nascere un figlio, e forse gli era appena arrivata la lieta
novella.
Non
aveva compiuto che un’altra manciata di passi che qualcuno l’aveva chiamato.
«Capitano!» aveva detto la voce. John aveva provato con tutte le sue forze a
convincersi che non si stesse riferendo a lui. Con una certa disperazione aveva
anche alzato lo sguardo alla ricerca di altri che giravano lì con gagliardetti
simili ai suoi, ma nulla. «Capitano Watson!». Al richiamo del proprio nome l’uomo
non poteva fare nient’altro che arrendersi all’evidenza.
Ora
era in camera stanco morto, ma, ironia della sorte, non riusciva a riposare
affatto. Era seduto sulla branda, si era giusto messo un po’ più comodo nei
vestiti, e soppesava la consistenza della busta gialla.
Harry
l’aveva cercato qualche volta, ultimamente però il fratello si era sempre
negato a causa degli impegni. Non l’aveva mai richiamata. Lei allora gli aveva
scritto. A quel punto la faccenda era diventata così complicata, ingigantita
agli occhi di John, che aveva fatto ancora più fatica a pensare di mettersi in
contatto con la sorella. Per dirle cosa d’altronde? “Scusa, mi sono comportato come
uno stronzo?” oppure, meglio ancora “Scusa ma ho visto talmente tanta merda che
non posso rispondere alle tue domande su come
sto e cosa faccio altrimenti
chiameresti il Telefono Azzurro anche se non sono più un “piscia-a-letto””.
La
verità era che a quell’uomo grande, un Capitano dell’Esercito Britannico,
mancava tremendamente sua sorella, la sua metà opposta, e fremeva dalla voglia
di leggere cosa aveva da raccontargli quella volta.
Ho
cercato un corrispettivo inglese di Telefono Azzurro che è una Onlus italiana, e nonostante esistano effettivamente dei
numeri di riferimento per i diritti dell’infanzia, ho preferito lasciare
scritto questo perché è sicuramente più immediato per voi che leggete.
Approfitto
per ringraziare tutti voi che continuate a seguire e recensire la raccolta, ma
anche tutti i lettori silenziosi.
Buon continuo,
K.