Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: LazyBonesz_    16/07/2019    0 recensioni
“Questa canzone mi faceva pensare a te”, mormorò il ragazzo, contro un mio orecchio quando la musica cambiò. Mi concentrai sul testo. Ascoltammo la canzone in silenzio fin quando, verso la fine, Eren non parlò nuovamente, quasi cantando.
“But I just cannot manage to make it through the day without thinking of you, lately.”
Accennai un breve sorriso e mi sporsi verso di lui, senza aprire gli occhi. Riuscii a baciare le sue labbra piene e sentii il sapore delle lacrime su di esse.
“Eren”, sussurrai confuso. Sollevai le palpebre e vidi qualche goccia salata sulle sue guance. Però sorrideva.
“Sono felice, non preoccuparti. E penso che ti dedicherò un’altra canzone perché questa è fottutamente triste”, mormorò e decisi di bloccare la sua parlantina con un altro bacio. Un altro ancora e ancora un altro finché non ci addormentammo con le labbra stanche ma i cuori felici.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Los Angeles- 13 dicembre 2019

Eren


‘’Ti va di venire con me?’’, chiesi a Historia, mentre raggiungevamo la mia vecchia auto malconcia. Avevo deciso di darle un passaggio, per ringraziarla per l’aiuto in storia, ma, poi, avevo pensato che sarebbe stato carino portarla da Ymir per farle passare un pomeriggio diverso. 

Una volta ci avevo portato Armin ma non era andata molto bene. Aveva odiato l’odore pungente dell’erba fin da subito ed era stato troppo timido per ruolare a voce. 

‘’E dove?’’, mi rispose la ragazza, portando una mano sulla maniglia dell’auto per aprire la portiera. Prima di continuare la conversazione la imitai, sedendomi al posto di guida. Lanciai il mio zaino dietro, invece Historia poggiò la sua borsa delicatamente. 

‘’Ogni venerdì sera incontro dei miei amici e giochiamo a dungeon and dragons, non so se lo conosci’’, le spiegai, infilando le chiavi dell’auto al loro posto per accendere il motore. 

‘’Si, l’ho sentito nominare in qualche serie tv. Comunque va bene, grazie dell’invito.’’ Ridacchiai fra me e me e la presi in giro per il suo strano ed educato modo di parlare. 

‘’Prima andiamo a mangiare qualcosa dato che è abbastanza presto.’’

Historia annuì con un sorriso spontaneo e io guidai verso il quartiere dove abitava Ymir. C’era una sorta di gelateria dove facevo merenda prima di andare a casa sua e decisi di recarmi lì, per non dover allontanarmi troppo. 

Camminammo sul marciapiede largo, incontrando ben poche persone nonostante fosse pomeriggio pieno. Non era uno dei migliori quartieri e le famiglie che ci vivevano erano modeste come le loro piccole e semplici case. 

Tra due condomini c’era la gelateria con la sua insegna che aveva vissuto tempi migliori. Una lettera non riusciva più ad accendersi e il nome, Frozenland, era diventatorozenland. Però avevano ottimi yogurt e gelati, quindi non me ne lamentavo. 

Aprii la porta in vetro e sentii un piccolo campanello tintinnare così la proprietaria, portò i suoi occhi chiari su di noi. 

‘’Buon pomeriggio, accomodatevi pure così vi porto il menù’’, disse affabile e decidemmo di sederci vicino alla vetrata per poter guardare fuori nei momenti di silenzio.

‘’Sei riuscito a parlargli?’’, domandò Historia senza nominare direttamente Levi. Scossi la testa e giocai con uno dei tovaglioli presenti sul tavolino. 

‘’Ho parlato con suo zio e mi ha detto della decisione di affidarlo ai servizi sociali. Ha detto che starà in un posto dove si occupano di questo tipo di traumi, non ne so molto’’, mormorai, ricordando nuovamente come mi ero sentito. Historia sospirò. La proprietaria lasciò il menù davanti a noi e poi tornò dietro al bancone, lasciandoci la nostra privacy. 

‘’So che sembra un evento terribile ma potrebbero aiutarlo.’’

Non volevo dirle quanto mi sentissi inutile e desideroso di poter fare qualcosa. Di essere ancora una volta il primo e l’unico a cui si confidava. Il poco buon umore che avevo prima era sparito e Historia sembrò notarlo. 

Mi prese una mano e la strinse fra le sue, impedendomi di giocherellare con i tovaglioli. 

‘’Si è aperto con te e non lo aveva ancora fatto con nessun altro, è un grande passo avanti. Probabilmente starai pensando di non aver fatto abbastanza ma non è così. Anzi, secondo me è riuscito a chiedere aiuto grazie a te’’, mi disse con il suo solito sorriso dolce e rassicurante. Ero così bloccato nel mio punto di vista che non avevo riflettuto su quei particolari che Historia aveva notato. 

‘’Pensi che abbia scelto lui di andarci?’’

‘’Sinceramente? Si. Solitamente si va in questi posti quando lo si chiede direttamente. Non basta che sia un parente a volerlo.’’

‘’Sembri saperne abbastanza…’’, commentai perplesso e dal suo sguardo capii di aver indovinato. 

‘’Ci sono stata, una volta, dopo le elementari. Uhm, dopo la morte di mia sorella’’, rispose lentamente, soppesando le parole e abbassando il suo tono di voce, come se non fosse del tutto sicura di volerne parlare. Sentii la sua stretta affievolirsi così fu il mio turno di rassicurarla. 

‘’Mi dispiace e se non vuoi parlarne non devi’’, cercai di addolcire il mio tono di voce e lei lo apprezzò, sorridendomi appena. 

‘’E’ passato molto tempo, sto bene ora.’’

Notai i suoi occhi leggermente lucidi e il modo in cui evitava il mio sguardo. Probabilmente si sentiva a disagio nel parlarne nonostante fossero passati anni. La morte di un parente doveva essere terribile e pensai a Levi, in quel posto, a cercare di smettere di soffrire. 

Decidemmo di scegliere qualcosa da mangiare e, poco dopo, la proprietaria prese i nostri ordini. 

‘’Suo zio mi ha detto che gli avrebbe chiesto se volesse vedermi’’, raccontai a Historia, girando il cucchiaino nel mio gelato alla vaniglia. Lei aveva preso un milkshake alla fragola e ogni tanto mordicchiava la cannuccia pensierosa. 

‘’Speriamo bene’’, disse semplicemente e continuammo a consumare i nostri ordini. 

Avevamo deciso di alleggerire la conversazione e parte del mio buon umore era tornato. Eravamo sul punto di andarcene quando qualcuno bussò sul vetro, facendomi sussultare. Anche Historia rimase sorpresa ed entrambi ci girammo per notare Connie e Sasha. 

Spesso avevamo cenato con il gelato in questo stesso posto e sicuramente i miei amici avevano avuto la mia stessa idea. Entrarono nel locale e mi preparai alle possibili battute di Connie sulla situazione. 

‘’Il livido ha fatto colpo?’’, domandò con una risata, sedendosi al mio fianco, sulla poltroncina, senza fare troppi complimenti. 

‘’Ah, io sono Connie, piacere’’, disse senza darmi la possibilità di fermarlo, e porse una mano a Historia che la strinse timidamente. 

‘’Quella è Sasha ma credo che ci parlerà dopo aver preso da mangiare.’’

In effetti la ragazza sembrava piuttosto affamata mentre guardava i gusti del gelato in vetrina, e non si era ancora avvicinata al nostro tavolo. 

‘’Sono due dei tre sfigati con cui gioco’’, spiegai a Historia che capì al volo. 

‘’Io sono Historia, piacere mio’’, rispose educatamente, facendomi sorridere. 

‘’Finalmente Eren è riuscito a conquistare una ragazza. Il nostro paladino ha fatto colpo!’’, esclamò Connie quando Sasha ci raggiunse, tenendo un milkshake con una mano. 

‘’Non è la mia ragazza, brutti idioti’’, dissi con un lamento, nascondendo il mio viso fra le mani. 

‘’Forse si stanno frequentando e abbiamo rovinato la loro prima uscita’’, commentò Sasha, parlando anche mentre beveva dalla cannuccia. Poi si ricordò di presentarsi a Historia che, con gentilezza, disse che eravamo solo amici. 

‘’Stavamo per andare da Ymir’’, dissi ai due, togliendo le mani dal mio viso. 

‘’Si, anche io. Siamo un po’ in ritardo’’, rispose Connie e poi mi alzai per pagare per tutti, con disappunto di Historia e felicita di Sasha. 

Uscimmo dal locale e ci avviammo verso il monolocale di Ymir, poco distante. Le scale del palazzo, strette e tendenti al grigio, non erano il massimo e puzzavano terribilmente di fumo di sigaretta. Guardai Historia, per capire la sua reazione, ma non sembrò turbata. 

Bussammo alla porta e ci aprì una Ymir che sembrava essersi appena svegliata. Alzò un sopracciglio per salutarci ma poi notò la mia amica bionda. Il suo sguardo rimase sul bel viso di Historia per lunghi istanti e mi trattenni dal tossire per disincantarla. 

‘’Hey’’, disse alla ragazza, curvando le labbra in uno dei suoi rari sorrisi. La mia amica lo ricambiò e mi sembrò che le due fossero chiuse in una bolla, dove noi altri non potevamo entrare. 

‘’Piacere, sono Historia.’’

‘’Ymir.’’

Si strinsero la mano con movimenti lenti, rimanendo così fin troppo a lungo. Iniziavo  a  chiedermi cosa stesse succedendo ma poi Connie scansò Ymir ed entrò nell’appartamento, rompendo l’incantesimo fra le due. 

Sasha entrò a sua volta e io studiai l’espressione di Historia che era, addirittura, arrossita. Mi lasciai sfuggire una risata ed entrai assieme a lei, prendendo posto sul divano. 

Fu difficile spiegare a Historia come dovesse giocare e lei si imbarazzava a farlo ma dopo un po’ di prove ci prese la mano. Giocammo senza complicare troppo la trama scelta e notai che si stesse divertendo. 

Per quella volta fumammo con moderazione e la mia amica fece anche un piccolo tiro, probabilmente dimenticandosi di aspirare ma fu divertente vedere la sua reazione e come arricciò il naso per il sapore particolare. 

Avevo anche notato le occhiate interessate che le mandava Ymir e per cui arrossiva e sorrideva imbarazzata. Però non c’era mai stato del disagio o qualcosa di forzato. Anche Historia cercava di flirtare, parlando o avvicinandosi maggiormente a Ymir. 

La serata procedeva bene e mi sentivo di buon umore, almeno nelle prime ore. Fin quando non sentii il telefono vibrare nella mia tasca. Lo tirai fuori e lessi il nome di Levi, bastò questo a provocarmi un po’ d’ansia. 

Aprii il messaggio e lessi una frase che mai mi sarei aspettato: ‘’domani puoi venire a trovarmi.’’

Historia si accorse del mio cambiamento d’umore e lesse velocemente il messaggio prima di sorridere ampiamente. 

‘’Vedi? Io lo sapevo che sarebbe andata così’’, disse contenta e io curvai le labbra in un sorriso lieve. Gli altri ci guardarono sospettosi anche perché non sapevano nulla di Levi. 

‘’E-era un mio amico’’, balbettai insicuro, non sapendo che scusa inventarmi. 

‘’E’ lui che stai frequentando?’’, chiese Connie con un sorrisetto fastidioso. 

‘’Dio santo, non mi vedo con nessuno. Stava male da qualche giorno e mi ha riposto dicendo di star migliorando, tutto qua’’, borbottai, non troppo convinto della mia scusa. E neanche gli altri lo erano, specialmente Ymir che mi fissava come se sapesse di più. 

‘’Si, si, gli ho detto io di provare a scrivergli qualcosa per confortarlo e alla fine ha funzionato’’, mi aiutò Historia. 

Il discorso fu ben presto messo da parte e riprendemmo a giocare. Mi sentivo sia meglio che preoccupato. Ero contento che volesse vedermi ma non avevo idea di cosa dirgli, di come comportarmi. E avevo pochissime ore per prepararmi psicologicamente e tutti questi pensieri mi impedivano di svagarmi  del tutto. 

Mi strofinai il viso con le dita e dissi che ero molto stanco. I miei amici mi guardarono perplessi e potevo immaginare cosa frullasse nelle loro menti. Credevano che stessi reagendo così per il messaggio e avrebbero avuto perfettamente ragione. 

Mi alzai dal divano e presi le mie cose, Historia mi imitò prima di salutare tutti e uscire con me dalla porta principale. Anche stavolta notai le occhiate che si scambiò con Ymir. 


Los Angeles- 14 dicembre 2019


Stavo fissando l’edificio da un po’, pensando a cosa avrei potuto dire a Levi una volta che l’avrei incontrato. 

Mi trovavo lontano dal mio quartiere, in una zona più affollata della città, era stavo difficile trovare un parcheggio nei dintorni. Davanti a me si stagliava un edificio abbastanza grande che ricordava gli ospedali anche se sulla targhetta, di fianco al cancello dell’entrata, c’era scritto “centro per il benessere psicologico”. Attorno al palazzo di due piani si trovava un piccolo giardino con qualche panchina occupata da pazienti, presumibilmente. 

Presi un respiro profondo ed oltrepassai il cancello grigio, percorsi il piccolo viale in pietra ed entrai nell’edificio. Anche la hall ricordava gli ospedali con il suo bancone all’entrata e svariati poster che facevano propaganda sugli ottimi effetti della psicologia. 

Mi avvicinai alla giovane donna alla reception e chiesi di Levi. Mi indicò le scale che dovevo percorrere , che portavano al reparto dove si trovava. 

Ci eravamo scambiati dei messaggi per poco tempo, giusto per dirmi che potevo venire quando volevo ma che lui poteva uscire solo per andare a scuola. 

Salii le scale e trovai subito il reparto di cui mi aveva parlato la donna. Davanti alle porte in vetro, piene di adesivi colorati, c’era un’altra persona a cui chiesi di Levi. Fu lei ad accompagnarmi lungo il corridoio dove si affacciavano le camere dei cosiddetti pazienti. 

L’arredamento più informale e accogliente lo faceva sembrare meno una clinica o un ospedale. C’erano molti quadri piacevoli da guardare e, tra una porta chiusa e l’altra, notai delle stanze con divani, librerie piene, tavoli occupati da ragazzi che disegnavano o giocavano. 

Ci fermammo davanti a una porta bianca che, come le altre, aveva una piccola lavagna a pennarelli fissata sulla superficie. Sopra di essa c’era il nome di Levi. 

“Okay, per tornare indietro puoi farti accompagnare da lui”, mi disse la donna con un sorriso prima di girarsi e allontanarsi. 

Sollevai la mano e bussai, sentendo poi la voce del ragazzo che mi diceva di entrare. Aprii la porta e feci un passo avanti, osservando la stanza abbastanza luminosa di Levi. 

Le tende erano completamente aperte e permettevano ai raggi del sole di illuminare l’ambiente, rendendolo più carino. Il suo letto era contro il muro, sopra di esso qualche mensola che conteneva dei libri. 

Poi c’era una scrivania sotto la finestra e un armadio davanti al letto. Le ante erano aperte e notai un borsone da cui spuntavano delle magliette. 

A quel punto guardai Levi, seduto sulla sedia girevole della scrivania. 

“Hey”, dissi semplicemente, studiando il suo viso per capire se stesse un po’ meglio. Solitamente aveva delle occhiaie sotto gli occhi e nell’ultimo periodo erano aumentate. Notai che fossero diminuite e tutto il resto del suo viso era più riposato. 

“Ciao”, rispose lui, passandosi una mano fra i capelli che portò all’indietro, liberando per un attimo la sua fronte dalla frangia, “puoi anche sederti invece di stare lì come un idiota.”

Accennai un sorriso perché anche questo lato del suo carattere che veniva a galla mi fece capire che stesse un po’ meglio. Presi posto sul suo letto, soffermando lo sguardo sulle coperte rosse che usava per dormire. 

“Come stai?”, chiesi, sollevando il viso. 

Lui mi guardò senza dire niente, sollevò semplicemente le spalle facendomi intuire la risposta. Non si poteva sistemare ogni cosa in pochi giorni e immaginavo che dentro di se covasse ancora la rabbia che aveva tenuto ben poco sotto controllo. 

‘’Non è male qui’’, continuai a cercare di trovare qualcosa da dire, anche se mi uscivano solo frasi stupide, ‘’hai conosciuto qualcuno?’’

‘’Non mi va.’’

‘’Strano’’, commentai con ironia e gli sorrisi leggermente, facendogli capire che stessi scherzando.

‘’Hai un pessimo modo di rendere una conversazione più leggera’’, mi disse alzando un sopracciglio ma non sembrava alterato. Era la sua solita espressione dura. 

‘’Non ti sarai mica offeso?’’

‘’Sei un idiota.’’

‘’E tu stronzo.’’

Ci bloccammo e ci fissammo per qualche istanti prima di sorriderci brevemente. Era come avere di nuovo tredici anni. Provai quasi le stesse sensazioni di quando ci punzecchiavamo stupidamente. Il piacevole ricordo sfumò in una sensazione malinconica e mi ritrovai a sospirare. Erano cambiate così tante cose e non saremmo mai più tornati come prima.

‘’Uhm, comunque, ho finito il lavoro di storia, nel caso lunedì volessi tornare a scuola…’’, gli dissi e cercai la chiavetta USB in tasca. Poi gliela porsi. 

Le dita sottili di Levi l’afferrarono e iniziò a rigirarla fra di esse, immerso in qualche pensiero. 

‘’Ah e ti ho messo anche gli articoli da cui ho studiato.’’

‘’Grazie, Eren’’, disse seriamente, cogliendomi di sorpresa. Le mie labbra si curvarono spontaneamente all’insù. ‘’Credo che verrò, stare chiuso qui dentro mi sta facendo impazzire.’’

‘’Pensi che ti aiuterà?’’

Lui sollevò le spalle ma poi annuì, abbassando lo sguardo sulla mia chiavetta, tenendola fra le dita come se fosse qualcosa di prezioso. 

‘’Lo spero, cazzo, sennò chi me lo fa fare di sopportare le sedute e questo letto fottutamente scomodo?’’, borbottò, facendomi ridacchiare. 

‘’Dio, sei insopportabile, non voglio più essere tuo amico’’, lo presi in giro, sdraiandomi sul letto per capire se fosse davvero così scomodo. Il materasso non era dei migliori ma il cuscino aveva l’odore di Levi. Anche dopo anni era rimasto uguale.

‘’Non lo siamo, Jaeger, sopratutto dopo aver sporcato il mio letto’’, mi rispose ma notai una nota scherzosa nel suo tono che mi fece sorridere. 

Chiusi gli occhi e cercai di non pensare alla paura fottuta che avevo di affezionarmi a lui nuovamente. 


Los Angeles- 16 dicembre 2019


Levi era tornato a scuola come mi aveva detto. Si era beccato svariate occhiate curiose non senza motivo, ma le aveva ben ignorate, protetto dai suoi amici. 

Non mi aveva rivolto la parola ne mi aveva cercato con lo sguardo. Solo una volta era successo, durante l’ora di educazione fisica. Avevo sentito i suoi occhi su di me ma non avevo ricambiato il contatto visivo nonostante sentissi la voglia di farlo. Sapevo di non dovermi aspettare nulla di nuovo fra di noi però non potevo negare di esserci rimasto male. Un saluto non gli avrebbe rovinato la reputazione. 

Durante il pranzo, mentre lo passavo con Armin, raccontandogli di venerdì e sabato, portai lo sguardo sul gruppo di teatro. 

Levi si era seduto con loro ma non rispondeva a nessuna domanda che gli amici gli stavano porgendo. Guardai Marco e lessi della frustrazione nella sua espressione. 

“Anche se ha appena cominciato, non credo stiano andando bene le sedute”, borbottò Armin quando notammo Levi alzarsi e allontanarsi dal tavolo. Il vassoio pieno fra le mani. Passò accanto a noi e non mi degnò di uno sguardo. 

“Sabato mi sembrava stare meglio, io non capisco...”

Quel giorno non era neanche alla sua metà e avevo già provato una serie di sentimenti contrastanti. Ero preoccupato perché Levi aveva di nuovo il suo atteggiamento irritato, ero frustrato perché non mi guardava neanche, ero confuso ma anche scocciato. Sembrava che ogni cosa che gli avessi detto fosse stata inutile. La rottura dell’illusione che potessimo essere quasi amici mi stava destabilizzando. 

“Non sappiamo cosa gli passa per la testa”, cercò di rassicurarmi Armin. Aveva ragione, non sapevo proprio nulla di cosa stesse provando. Credevo di poter essere d’aiuto, credevo di essermi quasi avvicinato a capire il suo dolore ma non era così. 

L’unica nota positiva della giornata fu la presentazione. Riuscimmo a prendere una B che per me era un voto molto alto. Eravamo stati gli ultimi e, infatti, la campanella suonò dopo che ritornammo ai nostri posti. 

Cercai con lo sguardo Levi ma lui mi dava le spalla mentre infilava i libri nello zaino. Lo imitai e poi lo raggiunsi, poggiando una mano sul suo braccio per impedirgli di fuggire. 

Due occhi chiari mi fulminarono e abbassai la mano con un gesto istintivo. 

“Cosa vuoi?”, chiese tagliante. Mi aveva rivolto quelle parole fin troppe volte ultimante e non sapevo mai la vera riposta. 

“Solo salutarti”, dissi accigliato, iniziando a sentire un sentimento di irritazione irradiarsi in me. Quella sua espressione fredda e distaccata mi stava infastidendo. 

“Bene, ciao”, rispose lui, dandomi le spalle per uscire dalla classe come stavano facendo tutti quanti. Lo seguii stupidamente e mi affiancai a lui, seguendo il suo stesso ritmo. 

“Cosa ti ho fatto?”

“Niente, non voglio parlare. Pensavo ti fosse chiaro come concetto”, mi rispose, cercando di trattenere il nervosismo che notai ugualmente. 

“Molto carino da parte tua trattarmi così, ancora una volta”, sbottai, non riuscendo a controllare la mia bocca. Mi pentii di quella frase esattamente un secondo dopo, quando Levi si girò verso di me. Se il suo sguardo avesse potuto uccidere ora sarei già al cimitero. 

“Lasciami in pace, va bene? Nessuno ti ha chiesto di preoccuparti per me. Me la cavo alla grande anche da solo.” 

Il suo tono arrabbiato mi fece rabbrividire. Ma anche io sentivo il suo stesso sentimento e volevo solo aprire la bocca per rilasciare ogni cosa che stavo pensando. 

“Giusto, non me lo hai chiesto ma l’ho fatto comunque. Pensavo ti avesse fatto piacere quando sabato sono venuto. Anzi, pensavo che stessi migliorando”, dissi lentamente per controllare ciò che dicevo ma anche il mio tono di voce. 

Nel mentre avevamo raggiunto l’uscita e alcune persone si erano girate dalla nostra parte, cercando di capire cosa stesse succedendo. 

“Continuate tutti a fare supposizioni su come mi sento e a dirmi come dovrei stare. Tu non hai la minima idea di come si stia la dentro”, disse in sussurro, facendo un passo verso di me dopo aver fermato la sua camminata veloce, “può anche avermi fatto piacere ma non siamo amici e non ti devo nulla”, continuò con la voce che fremeva per il nervosismo. 

Poi mi voltò le spalle e uscì dalla scuola, lasciandomi da solo con una marea di pensieri per la testa.

   
 
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