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Autore: Abby_da_Edoras    16/07/2019    5 recensioni
Con questa long fic vado a infastidire anche la prima stagione della serie TV "I Medici", ma per un buon motivo: come sempre, salvare la vita ai personaggi che mi sono piaciuti e, anche in questo caso, uso la tecnica della leggerezza, della parodia, e inserisco un personaggio originale, Giovanni Uberti, il cui prestavolto è l'attore che interpreta Jeremy Gilbert in The Vampire Diaries (non c'entra niente, ma mi piaceva!). Dunque, Giovanni arriva a Firenze per motivi tutti suoi, personali e familiari, e si troverà suo malgrado proprio nel bel mezzo delle lotte intestine tra Medici e Albizzi. Nonostante all'inizio non voglia assolutamente farsi coinvolgere, poi si troverà fin troppo coinvolto! E sarà lieto fine per tutti, perché io scrivo per questo.
Voglio mettere in chiaro che in questa storia mi ispiro esclusivamente alla serie TV e che non voglio minimamente arrecare offesa a qualunque personaggio storico venga nominato. Per le parti relative agli Uberti e alla loro storia, mi ispiro al romanzo "Il Cavaliere del giglio" di Carla Maria Russo.
Non scrivo a scopo di lucro e personaggi e situazioni appartengono a autori, registi e produttori della serie TV "I
Genere: Angst, Commedia, Parodia | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Medici Abby's Version'
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Capitolo settimo

 

I'm walking uphill both ways, it hurts
I bury my heart here in this dirt
I hope it's a seed, I hope it works
I need to grow, here I could be
Closer to light, closer to me
I don't have to do this perfectly, yeah

Rain, it pours, rain, it pours
It's pouring on me
The rain, it falls, rain, it falls
Sowing the seeds of love and hope, love and hope
We don't have to stay, stuck in the way

Have I the courage of change?
Have I the courage of change?
Have I the courage of change today? (Oh)

(“Courage” – Pink)

 

Giovanni non sapeva cosa aspettarsi una volta giunto a palazzo Albizzi ma Rinaldo, tutto sommato, non appariva arrabbiato come avrebbe potuto essere, vista la colossale figura di merda fatta alla Signoria. No, sembrava piuttosto… era difficile dirlo… forse deluso da Giovanni.

“Io non ci posso credere” gli disse infatti, non appena furono soli nella sua stanza. “Ti rendi conto di come mi hai umiliato davanti a tutti i membri della Signoria?”

“Me ne rendo conto sì, l’ho fatto apposta” replicò il ragazzino. “Ve lo meritavate per come mi avete mortificato e poi dovevo pur controbattere le vostre ridicole accuse ai danni di Messer Cosimo.”

Rinaldo rimaneva sempre destabilizzato di fronte a tanta ammirevole sfacciataggine!

“Non erano affatto ridicole, è tutto vero. Cosimo è colpevole e dovrà essere giudicato e condannato” insisté, e probabilmente almeno lui ci credeva sul serio!

“Voi per primo sapete che non è così” fece notare Giovanni, “ed è proprio per questo che ho voluto dimostrare ai membri della Signoria quanto le stesse accuse che voi muovete a Messer Cosimo possano valere anche per voi, in mancanza di prove. Io non penso di voi le cose che ho detto, ma così tutti hanno capito quanto sia facile colpire qualcuno con accuse prive di fondamento.”

“Ah, mi fa piacere sentire che almeno non lo pensi davvero” fece Albizzi, sconcertato.

“No, non lo penso, ma almeno io lo ammetto. Voi, invece, sapete benissimo che Messer Cosimo è innocente e volete lo stesso condannarlo, come fecero tanti anni fa con i miei antenati!” lo accusò il ragazzo.

“Cosimo non è affatto innocente, tutt’altro” ribatté Albizzi, che ora cominciava chiaramente a perdere buona parte del suo dignitoso aplomb. “E’ un sovvertitore delle tradizioni, un immorale, un uomo che pensa solo al denaro e che vuole distruggere i nobili per far governare mercanti e contadini!”

“Santa pazienza, ma voi vi ascoltate mai quando parlate, Messer Albizzi? Queste sono assurdità! Comunque possa pensarla Messer Cosimo, le famiglie nobili non perderanno mai il loro potere e prestigio” disse Giovanni, molto più pratico e meno idealista. “E voi volete far esiliare o, peggio, uccidere un uomo per simili sciocchezze?”

Era troppo difficile continuare a fare la commedia davanti a quel ragazzo che si dimostrava tanto logico e pragmatico. Rinaldo Albizzi comprese che, almeno con lui, doveva essere sincero fino in fondo. E, a dirla tutta, la verità gli bruciava dentro così tanto e da così tanto tempo che non poteva più celarla.

“Voglio che Cosimo soffra come ho sofferto io!” esclamò, afferrando Giovanni per le spalle. “Voglio vedere la sua famiglia rovinata e umiliata così come lui ha fatto con la mia. E’ questo che volevi sentirmi dire? Eppure proprio tu dovresti capirmi meglio di tanti altri!”

Giovanni vide il dolore ancora vivo e presente negli occhi di Albizzi, sentì l’accento disperato nella sua voce… e per la prima volta si sentì toccare fino in fondo al cuore.

Quell’uomo soffriva davvero tanto, da venti anni non trovava pace, e ogni sua malvagità, alla fine, derivava da questo, comprese le stronzate che spesso faceva, tipo quella di cercare di far distruggere la cupola… insomma, si capiva che non ci stava tutto con la testa, ma adesso il giovane Uberti sembrava comprendere veramente e in modo totale quanto tutta quella rabbia e quella lacerazione interna lo avessero condizionato. Annuì, provando un’improvvisa quanto violenta empatia nei confronti di Rinaldo, tale da esserne quasi travolto.

“Avete ragione su questo, Messer Albizzi, io posso capirvi” ammise, in tono comprensivo. “Sono venuto a Firenze proprio per avere giustizia per la mia famiglia, perché chi l’ha osteggiata e gettata nel fango faccia ammenda e riabiliti il nome degli Uberti. Ma quello che cercate voi non è più giustizia, è diventata vendetta.”

“Giustizia, dici?” obiettò Albizzi con veemenza. “E’ stato forse giusto quello che i Medici hanno fatto alla mia famiglia? E’ stato giusto denunciare mio padre per i suoi debiti e fargli perdere il posto nella Signoria?”

“No, non è stato giusto” replicò Giovanni, “non è stato giusto per niente, ma non lo sarebbe nemmeno far pagare un uomo innocente per le colpe di suo padre.”

“Perché, tu non lo faresti, se potessi?” insisté l’uomo, che per qualche sua misteriosa ragione aveva proprio bisogno di sentirsi dar ragione da quel ragazzino strafottente… “Non vorresti punire le famiglie che hanno distrutto la tua?”

Giovanni si rabbuiò, quello era sempre un tasto dolente per lui.

“Certo che lo vorrei…” ammise. “Vorrei che i colpevoli marcissero in prigione fino alla fine dei loro giorni. Ma il fatto è che sono già morti da anni, Messer Albizzi, da molti anni, e non avrebbe senso per me colpire i loro discendenti adesso. Non mi farebbe sentire meglio e non mi darebbe pace. Voi credete veramente che vi sentirete appagato se riusciste a far condannare Messer Cosimo?”

Un lampo saettò negli occhi di Albizzi.

“Certo che sì. Senza di lui la sua famiglia si dissolverà e le cose, finalmente, cambieranno per noi nobili” dichiarò. “E tu dovresti pensarla allo stesso modo, come discendente di una nobile casata. Anzi, dovresti appoggiarmi!”

“Non è questo il modo di aiutarvi veramente, lo volete capire o no? Io vi capisco, ma sempre più spesso mi chiedo… ecco, mi chiedo…”

Giovanni sapeva che non avrebbe dovuto dire sempre tutto quello che gli passava per la testa, ma in genere non riusciva a trattenersi e non lo fece nemmeno quella volta.

“Mi chiedo quanto abbia sofferto quel ragazzo aperto e scanzonato di vent’anni fa per diventare una persona fredda e senza scrupoli” mormorò, con lo sguardo perso nel vuoto. “Fino a che punto sia stato spezzato dentro…”

Per un lunghissimo istante ci fu un silenzio assoluto e quasi spaventoso.

Giovanni era consapevole di aver detto qualcosa di immenso, qualcosa che andava oltre la sua solita impudenza e che era, a tutti gli effetti, il punto focale della questione.

Rinaldo pensava invece che nessuno mai, in quegli ultimi vent’anni, aveva compreso così bene il suo dramma interiore, nessuno mai aveva cercato di condividerlo.

Quel ragazzino era davvero particolare e lui lo voleva assolutamente dalla sua parte, ad appoggiarlo e sostenerlo. Doveva essere suo e non legarsi a quegli usurai dei Medici (tanto per cambiare…)!

Lo prese tra le braccia e lo baciò con foga, per poi distendersi con lui nel letto continuando a baciarlo e accarezzarlo, sempre più profondamente, sfiorando quel corpo giovane e delicato, consapevole che non doveva esagerare, che il ragazzo non doveva spaventarsi; lo prese con infinita pazienza e premura, attento a non fargli male, fino a giungere con lui ad una totale fusione di amore e dolcezza. Lì non c’era niente che non andasse, tutto sembrava possibile, anche ritrovare la pace senza bisogno di condannare Cosimo… ma era troppo presto, tutto andava troppo veloce e Rinaldo, in realtà, non era ancora pronto a trovare il coraggio di cambiare.

Giovanni se ne sarebbe accorto fin troppo presto…

La mattina successiva Cosimo de’ Medici era chiamato a testimoniare in propria difesa davanti a tutta la Signoria. L’uomo, però, era stato drogato con del vino avvelenato dal suo carceriere (ovviamente pagato proprio da Albizzi: perché, avevate dei dubbi in proposito?) e non poté difendersi, balbettò qualche parola sconnessa e poi cadde a terra e dovette essere soccorso.

Piero, che era presente all’assemblea della Signoria con Marco Bello e Giovanni, pur con molta titubanza e timidezza si offrì di testimoniare in favore del padre: lui aveva trovato le prove che dimostravano che i Medici non praticavano affatto l’usura, ma anzi facevano spesso donazioni generose a conventi e monasteri. Nonostante l’evidente disagio, le parole di Piero furono chiare e probabilmente sarebbero riuscite pure a convincere qualcuno, se non ci si fosse messo il solito Albizzi a contestare ogni affermazione del ragazzo, allo scopo non solo di invalidare la sua testimonianza ma anche di metterlo in ridicolo, da vero bastardo dentro.

“Messeri, non vorrete veramente credere alle sciocchezze di questo ragazzino? E’ chiaro che sta solo cercando di ingannarci, come fanno sempre i Medici” intervenne, con un sorrisetto maligno. “Ne abbiamo abbastanza dei trucchi e dei sotterfugi di questa famiglia di imbroglioni e dobbiamo condannare Cosimo una volta per tutte!”

Nella Signoria c’era indecisione: in realtà Piero era stato piuttosto convincente e anche alcuni nobili parevano pronti a cambiare idea… ma l’intervento sprezzante di Albizzi lo riportò in vantaggio.

Fu allora che Giovanni si arrabbiò veramente e, con grande soddisfazione del Gonfaloniere Guadagni che si divertiva sempre quando lo vedeva, fece la sua mossa geniale!

“Proprio voi accusate i Medici di ingannare e ostentare trucchi, Messer Albizzi?” esclamò il ragazzo, facendosi avanti. Dentro di sé si sentiva ribollire di rabbia e non sapeva se fosse più per come Albizzi aveva appena mortificato Piero… o per come aveva ingannato lui. La sera prima era sembrato un’altra persona, pareva cercare conforto e comprensione da lui e adesso tornava a essere il tronfio arrogante di sempre. Sì, forse era questo che irritava di più Giovanni… “Messeri, nessuno si è chiesto perché mai Messer Cosimo si senta così male? Pensate forse che abbia preso un’infreddatura? Guardatelo bene… soltanto a me sembra drogato?

Un mormorio di stupore attraversò la Signoria e più di uno dei presenti dovette ammettere che, in effetti, il ragazzo non aveva tutti i torti: Cosimo de’ Medici presentava sintomi alquanto strani che non potevano essere ricondotti ai disagi e al gelo della cella.

“Forse siete stato voi a farlo drogare, Messer Albizzi, per impedirgli di testimoniare in sua difesa? O magari volevate avvelenarlo, così vi toglievate il pensiero e al diavolo il voto della Signoria?” riprese Giovanni, ma questa volta la sua accusa fu fin troppo infamante.

Rinaldo Albizzi si scagliò su di lui e lo colpì con uno schiaffo che lo sbatté a terra, bello disteso sopra il giglio, simbolo di Firenze, che ornava il pavimento del Palazzo dei Priori.

“Ora stai veramente esagerando, ragazzino insolente. Come ti permetti di insultare in questo modo un membro della Signoria? Le tue accuse sono oltraggiose e dovrei farti arrestare su due piedi!” ruggì. “Ti stai prendendo fin troppa libertà confidando sull’appoggio dei Medici e sulla pazienza del Gonfaloniere, ma adesso basta, non tollererò altre ingiurie da parte tua. Sei solo un ragazzino che crede di essere chissà chi perché discende da una casata decaduta!”

Ecco. Forse Giovanni era andato troppo oltre con le sue accuse, ma ora Rinaldo aveva passato il segno offendendo il nome degli Uberti.

Il ragazzo si rialzò in piedi lentamente, tenendosi la mano sulla guancia colpita e sfregando il labbro inferiore ferito e insanguinato. Quando parlò di nuovo ad Albizzi, la sua voce sembrava venire da un’altra dimensione e anche il nobiluomo fu colpito dall’odio che lesse nei suoi occhi.

Forse, in quel momento, anche lui si rese conto di aver appena fatto una grandissima stronzata…

“Magari la mia casata sarà caduta in disgrazia, ma ricordate bene le mie parole: voi stesso sarete la rovina della vostra. Tra qualche anno, nessuno ricorderà nemmeno più che sia esistita una famiglia che si chiamava Albizzi, e sarà un bene per tutti, visto che razza di essere spregevole siete voi!” sibilò.

“Messer Uberti, se continuerete su questi toni sarò costretto a farvi arrestare” disse il Gonfaloniere, non con fare minaccioso, però, piuttosto come un padre che rimprovera il figlio scapestrato. In fondo a lui quel ragazzino piaceva e, al contrario, non aveva grande simpatia per Rinaldo Albizzi che pretendeva di spadroneggiare su tutto e tutti come se fosse stato lui il Gonfaloniere.

“Non preoccupatevi, Messer Gonfaloniere, non intendo proseguire” rispose Giovanni. “Non ho altro da dire a Messer Albizzi, né ora né mai più.”

Girò sui tacchi e uscì di scena con un’aria da principino offeso che avrebbe fatto ridere, non fosse stato per la drammaticità della situazione.

“Dunque… si dia inizio alla votazione per decidere il destino di Cosimo de’ Medici” annunciò allora il Gonfaloniere, che doveva riprendere in mano la situazione.

Ma Albizzi non era d’accordo. Dopo tutto quello che era successo, c’era il rischio che la votazione andasse a favore di Cosimo e lui non poteva permetterlo.

“Non possiamo farli votare ora” disse al figlio, come se fosse la parola d’ordine. E probabilmente lo era, perché Ormanno scattò e colpì con un pugno uno dei presenti, che poco prima era sembrato favorevole alla testimonianza di Piero… si scatenò una rissa generale, un po’ come succede nel Parlamento italiano oggigiorno, tanto per capirsi, e il Gonfaloniere non poté fare altro che aggiornare la seduta.

Insomma, pareva proprio che Rinaldo Albizzi volesse prendere la Signoria per sfinimento: non li avrebbe fatti votare finché non avessero votato come voleva lui.

Aveva un suo personalissimo concetto di democrazia, a quanto pareva!

Fine capitolo settimo

 

 

 

 

 

 

   
 
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