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Autore: Dragonfly92    17/07/2019    7 recensioni
“Non fa niente.”
“Con quanti 'non fa niente' ti sei ferito, Yuuri?
Quanti te ne sei imposti?”
“Aveva ragione.
Mi guardi.”
“Lo faccio, Yuuri.
E vedo un ragazzo che sta morendo sotto strati di 'non fa niente'.”
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Tematiche delicate: Bulimia
Questa storia è per BerriesTart_LilacSweet
Genere: Angst, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Mila Babicheva, Victor Nikiforov, Yuri Plisetsky, Yuuri Katsuki
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Capitolo Tre

 

 

Gli occhi di Yuuri sono quadri drammatici in una cornice violacea.

Quadri che nessuno comprende perché troppo impegnativi.

Etichettati come falsi, come sciocchi, come gli passerà.

 

Quadri dal titolo sbagliato.

 

“Ci sono due persone con le quali vorrei che parlassi.

Sono qui fuori.”

Yuuri sente un'onda di panico e sollievo.

“Entreranno e rimarranno alle tue spalle.

Per questo, ho aspettato che tu riuscissi a venire nel mio studio, per fartele incontrare.

Voglio che entrino e stiano lì.

Voglio che tu parli con loro.

Voglio che tu gli dica quel che non gli hai mai detto.

Voglio che tu gli mostri.

Voglio che e tu smetta di mentirgli e di proteggerli.

Voglio che tu smetta di mentire a te stesso.

E per farlo, Yuuri, devi parlare.

Devi parlare con te.

E con queste persone.

Va bene?”

Lunghi minuti di nulla, in attesa di un cenno.

Di un assenso che costa la fatica di una vita.

 

Che pesa, di più, quando la porta cigola e fa accomodare altro silenzio.

Fa accomodare l'ascolto.

 

“Hai detto scuola, vero?”

Annuire.

“Parti da lì.”

Annuire, di nuovo.

Occhi offuscati.

Ricordi opprimenti.

 

“U-Un gioco.”

Respiri gravi.

“Abbiamo tutto il tempo.

Con calma.”

Più gravi.

Ad ogni pensiero condotto in quella direzione.

Quella maledetta direzione.

“L-lo chiamavano ‘Ce l'hai’.

Ti toccavano e se non avevi le dita incrociate…

Ce l’avevi.

Un gioco stupido, un…”

Tremore, delle mani, del cuore.

“Era tipo…

Tipo un’infezione, per spiegare.

E le avevano dato il mio nome.”

 

Yuurite.

Yuurite.

 

“E q-quando…

Quando si toccavano…

Dicevano: ‘Hai la Yuurite.’

E allora…

L'infetto.

Faceva il verso…”

 

Un nodo da inghiottire.

Una ferita mai chiusa.

 

“Ti facevano il verso?

Ti imitavano?”

 

“Si, l-loro…

F-facevano il verso del…

Maiale.

Del maiale.

Di me.”

 

Lacrime cadono e si sfracellano sul presente.

 

“Un gioco stupid…”

Ma Yuuri non riesce a continuare.

Ci vuole tempo.

Ci vogliono respiri.

 

“Un gioco cattivo, Yuuri.”

Un'alzata di spalle.

La testa si scuote.

Gli occhi si sciolgono.

 

“Tutti i giorni.

Tutti.

E…

Durante la ricreazione.

E-erano…

Mi d-davano le loro merende.

T-tutte e…

Io non le rubavo! Non...”

Una rabbia che Yuuri stesso non capisce.

Mio figlio era quello che rubava le merende ai compagni!”

O forse sì.

Ma non è colpa di sua madre.

Lei non poteva sapere.

Ma come ha potute pensare che lui rubasse?

Come ha potuto...

Ma non è colpa sua.

Non è colpa sua.

 

“Le m-mangiavo.”

Yuuri aspetta che Mila dica qualcosa.

Che gli dica che, in effetti, poteva rifiutarsi.

Poteva non mangiarle e se lo ha fatto forse...

Ma Mila non dice niente.

Non ha un sorriso di scherno sulla faccia.

Non dubita.

Non dubita nonostante lui fosse il bambino più grasso della classe.

 

“Le mangiavo p-perché sennò non la smettevano mai.

Continuavano a spingere.

A toccarmi la p-pancia.

M-me le infilavano in bocca.

A v-volte e…

E p-poi era peggio.

A-allora…

Allora le m-mangiavo.

C-cosi chiamavano gli altri per f-fargli vedere.

Però finiva lì, finiva…”

 

Singhiozzi.

Che scappano e scuotono.

“N-non finiva mai.

Mai.”

 

Scuse.

Pause.

 

Una delle persone, alle spalle, preme la mano sulla bocca.

L'altra, stringe i pugni.

Le unghie si conficcano nella carne.

 

“Così, c-così è iniziato.

V-vomitare mi faceva sentire…

Di aver v-vinto.

D-Di... Di non essere proprio come di-dicevano loro...

Mi dava l'illusione di avercela fatta.”

 

Mila ha l’espressione seria di chi sta raggiungendo uno scopo che comunque fa male.

Yuuri, quella di chi sta cercando di perdonarsi.

Ma non riesce.

 

 

“Q-quando ho t-trovato il pattinaggio…

Mi sono sentito…”

Lacrime di gratitudine.

Di speranza.

“Ho s-sentito di potercela fare, di poter riuscire a fare qualcosa di bello.

Anche col mio corpo.

Era…

Era libertà, sul ghiaccio.

Potevo essere e vivere, essere la persona che volevo e vivere le emozioni belle.

 

Ma quando…

Quando fallivo.

Riuscivo solo ad i-ingozzarmi.

Non riuscivo a riprovare.

E mangiavo, mangiavo come un maiale, come quello che ero durante le ricreazioni, come quello che loro insinuavano fossi ed ho iniziato ad essere.”

 

“Non è stata colpa tua, Yuuri.”

“Invece sì.

Invece sì.

Lo sapevo.

E per questo, ogni tanto…

Arrivavo in bagno e…

Cercavo di rimediare.”

 

“Vai avanti…”

 

“S-Sono passati tanti anni.

La scuola è finita e…”

Un sospiro, la liberazione.

“Ho smesso di fare…

Quello che facevo, in bagno.

Le persone hanno iniziato a credere in me e forse, anche io.

Un po' anche io.

Mi allenavo, davvero, mi a-allenavo tanto.”

 

“Nessuno ha dubbi su questo, Yuuri.

No?”

 

Yuuri stringe le spalle.

 

“Se ce li avevano li ho confermati al Grand Prix…”

 

Il fallimento schiaccia Yuuri, facendolo riaffacciare alla voragine del passato.

In un giorno, torna ad essere un insignificante Yuuri qualsiasi.

Che ci ha creduto e non ce l'ha fatta.

E forse, quel che fa più male, è averci creduto.

 

“Hai ricominciato?”

“A mangiare, sì.

A fare ciò che mi riusciva.

Ma poi…

Poi è arrivato…”

 

Di nuovo, silenzio.

Attesa.

Tremori.

Diversi, uguali.

Potenti.

 

“Sei arrivato tu.”

 

Brividi, sulle braccia, sul cuore.

 

“E ho creduto di potercela fare.

E mi sono sentito come…

Come q-quando ho trovato il p-pattinaggio.”

 

E un peso, sull’anima.

 

“Vai avanti…”

 

La consapevolezza del rischio di ferire.

 

“Parla, Yuuri.”

 

Non volerlo fare.

“Digli del soprannome.”

“N-no.

Non posso, non posso.”

 

Il pianto si blocca in gola, scappa in singulti che Yuuri tenta di spingere giù.

 

“Puoi, invece.”

 

E Victor freme, impotente, arrabbiato.

Dimmelo, Yuuri.

Dimmi tutto ciò che non sono riuscito a vedere.

 

“Siamo qui per questo.

Siamo qui perché a volte le persone non sanno di ferirci.”

“I-io lo so che non lo facevano con cattiveria!”

 

Yuuri alza la voce, che si rompe.

Mila annuisce, si sporge dalla scrivania, lo guarda.

 

“Non lo facevano con cattiveria, Yuuri, ma lo facevano.

E ti faceva male.

Che uno schiaffo sia dato con rabbia, per gioco o per sbaglio, fa sempre male.

Smettila di sentirti in colpa anche per gli errori altrui.”

 

Victor ringrazia, in silenzio.

Anche lo sguardo che la Dottoressa gli dedica.

Sa che non vuole ferire lui, per aiutare Yuuri.

Ma sa anche che è necessario.

Che Victor lo ha chiesto.

Che è pronto a vedere.

Forse, un po’ più pronto di Yura.

 

“M-mi hai chiamato…

In quel modo e…”

“In quale modo, Yuuri?”

“No.”

“Diglielo, per favore.”

“N-no.”

“Yuuri…”

 

“Porcellino...”

 

È Victor a sussurrarlo, a confessarlo.

È lui a subire il singhiozzo di Yuuri.

A farsene carico, a prendersi la colpa.

 

È Yuuri a chiedere scusa.

E Mila a fermare Victor, che muore un po', ogni volta che non può avvicinarsi.

 

“Non volevo che tu m-mi vedessi come mi vedevano loro!

Io n-non volevo più essere quella persona, io n-non volevo essere così ai tuoi occhi, volevo…

N-non volevo che tu v-vedessi in me un…

Piatto o…

U-un…”

“Yuuri…”

“Un…”

“Yuuri, ascoltami…”

“Un maiale!”

 

Mila gli afferra le mani, umide.

“F-falli uscire, falli uscire!”

 

L’ansia entra in circolo.

Costringe i polmoni.

 

“Guardami.”

“M-mi dispiace, mi dispiace!”

 

Scuote, ovatta, distorce.

 

Yura deve trascinare Victor fuori.

Ed assorbire le sue lacrime.

 

 

 

 

 

 

“Quando sono iniziati gli attacchi di panico?”

“Sono sempre stato ansioso.

Sempre stato...

Così.”

 

“Questo come ti fa sentire?”

 

Che razza di domanda è?

 

“Quando sono ricominciati gli attacchi di panico?”

“Dopo…”

“Dopo cosa, Yuuri?”

 

Respiri trattenuti.

Cuori al galoppo.

Mani strette a pugno.

 

“Perché non hai detto niente, Yuuri?”

“Perché…

Perché avrei trascinato tutti a fondo.”

 

“O forse loro ti avrebbero riportato su.

Perché pensi che siano qui?”

 

Non lo sa.

Yuuri non ne ha idea.

 

“Come pensi che si sentano?

Nei tuoi confronti…”

 

“A-Arrabbiati.

Delusi.”

 

“Glielo chiederemo.

Sei d'accordo?”

 

“Credo di sì.”

“Ma prima, vorrei che si avvicinassero.”

 

“V-vorrei che non mi vedessero così.”

“Loro, invece, vorrebbero iniziare a vederti.

Proviamo, Yuuri?”

 

I passi sono insicuri.

Victor e Yura si avvicinano, in silenzio.

Yuuri si volta verso di loro.

Gli occhi però, rimangono bassi.

 

Dovrebbero aspettare indicazioni, dovrebbero.

Ma Yura, non può.

E scatta, si avvicina.

Si abbassa sulle ginocchia.

Yuuri chiude gli occhi quando Yura gli afferra il viso fra le mani e lo fa alzare, per guardarlo.

Continua a tenerli chiusi anche quando le loro fronti vengono fatte coincidere.

I respiri sono pesanti.

 

“Quando.”

“Dopo la fotografia.”

Yura incassa un colpo che si aspettava.

Strizza gli occhi; Lo sapeva.

Eppure, eppure fa un cazzo di male assurdo.

“Ma ce li a-avevo anche prima non è stata colpa...”

“Sta' zitto, sta' zitto.”

Le mani di Yura premono sulle tempie di Yuuri.

Si mantengono ferme, quando Yura si allontana.

Quando racimola il coraggio di una vita ed alza il viso.

 

Per guardare una colpa di cui è complice.

Per guardare un viso stanco.

Per guardare ed incazzarsi.

 

C'è così tanta tristezza fra le sue mani che basterebbe una parola per mandarla in frantumi.

 

“N-on ero arrabbiato con te ma…”

Il labbro trema, Yuuri prende una pausa.

Il volto di Yura è una maschera di gelida rabbia.

“Ma un po' si…

A volte…”

 

Una lacrima scivola fin sotto il mento.

Yura annuisce, una volta, forte. Vai avanti.

 

“P-Perché t-tu…

Tu avevi scattato quella foto e…

T-tu l’hai pubblicata e…

I-io non mi ero accorto ma tu…

Se tu avevi visto com'ero…

Perché Yura?

P-Perché…”

 

Yura stringe le mani, ricongiunge la fronte a quella di Yuuri, nascondendo, nascondendosi.

Mi hanno assecondato solo perché ero io.

Mi hanno assecondato ma niente era vero.

 

“No.”

Pelle struscia contro pelle.

Yuuri tace.

Yura tace.

 

Incapace di spiegare.

Capace di capire.

 

“No.”

 

Yura lo ripete, sentendo sulle mani il formicolio che le lacrime di Yuuri provocano.

Uno scatto, occhi negli occhi.

Lacrime trattenute e lacrime evase.

 

“No. Hai capito? No.”

 

Iridi verdi che bruciano.

L'espressione trema, rabbia e tristezza che lottano.

 

E Yuuri capisce.

 

“Ok.”

“No.”

 

Le scuse rimangono impigliate nell'anima del russo.

Che combatte per farle vincere.

Che perde.

 

“Stupido giapponese del cazzo.”

 

Yuuri costringe un sorriso umido comprendendo e Yura vorrebbe urlare piangendo.

 

“Stupido giapponese del cazzo.”

 

Lo sguardo di Yura brucia, con tutte le sue parole nascoste.

E le sue mani sudate, tremanti confessano una colpa che non riesce a prender voce.

 

Yura è costretto ad aumentare la forza nel contatto quando gli occhi sfiorano la pelle di Yuuri, leggendo le conseguenze della sua, della loro superficialità.

 

Mi dispiace.

Mi dispiace.

Non era quello che volevo.

Ero arrabbiato, incazzato.

Ma non era quello che volevo e…

E se avessi davanti quei ragazzi li ammazzerei.

Con questa mani, queste.

Con la parole.

E i pugni.

E gli infilerei le merende in bocca.

E gliele farei vomitare.

E gli chiederei cosa si prova.

E poi pubblicherei una mia foto, una foto della mamma.

E mi lascerei bruciare dai commenti, dalle domande.

E mi venderei alle domande degli ignoranti, come ho venduto te.

E saprei che, nonostante tutto, tu…

Non lo vorresti, non lo vorresti.

Perché sei uno…

 

“Stupido giapponese del cazzo.”

 

È tutto ciò che, realmente, esce dalla bocca di Yura.

E mentre Victor si fa violenza per non intromettersi, Yuuri…

 

“Ok, Yura.

Ok.”

 

Yuuri comprende.

Yura esce.

 

E Mila osserva un dolore tenue restare ed uno prepotente andar via.

 

“E' tutto.”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Yuuri torna in camera e si addormenta quasi subito.

Si sente svuotato.

Si sente leggero.

 

 

Victor segue Mila.

Ha bisogno di sapere.

“Come ho fatto a non vedere?”

La Dottoressa sospira.

Victor contrae la mascella.

In fondo alla gola si è incastrato un dolore che preme e fa pulsare il palato.

È occorso tutto il suo coraggio per dar voce alla domanda.

Tutto.

 

“Ero lì...

Come compagno, come...

Allenatore.

Che razza di allenatore sono?”

Mila ha un sorriso un po' triste.

Sa di colpa.

Di comprensione.

 

“Lei si è accorta che mentiva...

Ha capito che lui faceva... Rimetteva dopo i pasti e lo faceva da diverso tempo e io...”

“Eri e sei inesperto, Victor.

Come allenatore e da quel so, come compagno.

Poi non avevi il quadro clinico alla mano...”

 

Victor non permette ai suoi occhi di brillare di speranza.

Non permette al sollievo di farlo respirare.

Ha domandato ma non chiede, non vuole, non crede a nulla che somigli alla discolpa.

 

“L'esofago non si riduce in quello stato per degli episodi sporadici...

Ha avuto un'emorragia. È stato facile per me supporre che mentisse.”

Victor annuisce e non c'è convinzione nel movimento.

“Io...”

Pensieri.

Ricordi.

Ora sembra tutto così chiaro.

 

“Non ho giustificazione.

Non ne ho.

Nemmeno una.”

 

Cieco, come l'amore.

Victor si era innamorato di quell'amore.

Ci era caduto in quell'amore.

 

Trascinandosi dietro il suo ruolo.

 

Victor picchietta e dice 'Porcellino'.

Quando Yuuri se ne va, si chiede se non sia stato troppo duro.

Sono due sconosciuti.

Ma il giorno dopo Yuuri è una bomba di energia.

E Victor crede di aver iniziato col piede giusto.

 

 

Aveva accettato ciò che non capiva; Yuuri che si chiude in bagno, l'ennesima doccia e la musica che riempie la stanza tenendolo lontano.

Aveva bisogno di smaltire l'ansia, diceva Yuuri.

Da solo, insisteva.

 

Victor gli aveva impedito le corse notturne, quelle pazze, suicide corse notturne.

“Almeno una doccia la posso fare o vuoi avvalerti del tuo ruolo per togliermi la libertà? E quali dei due Victor sta parlando, eh? L'allenatore o il fidanzato?”

 

Si era sentito mortificato.

Si era sentito, per la prima volta, non all'altezza.

Aveva avuto paura di perderlo.

Così aveva smesso di insistere.

E con l'innamorata speranza che prima o poi Yuuri avrebbe iniziato ad abbassare le difese gli aveva dato talmente tanta libertà...

Da perderlo.

 

“Yuuri mente da quando aveva undici anni, Victor... Se non da prima.”

Mila soppesa le parole poi lascia che gli arrivino.

 

“Victor...”

Uno sguardo duro.

Si riempie di lacrime.

“Rideva...” dice lui e poi si ferma.

Raduna il controllo.

Lo perde. Le lacrime cascano e lui si passa una mano sulla faccia, sulla bocca, sul male, sulla colpa.

“...Rideva così forte...”

 

 

Ehi, Yuuri!”

I due amici si abbracciano, si stringono.

Yuko sembra non volerlo lasciare mai.

Guardati! Sei proprio in forma! Hai preso un paio di chili?”

Anche tre!”

La risposta scoppia con una risata fragorosa.

Victor la ricorda bene, non lo aveva mai sentito tanto euforico.

Tanto forzatamente euforico.

Si era lasciato contagiare da quel suono.

Non ricorda altro.

 

Ma la risata.

Oh, quella, adesso, non la dimenticherà più.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fine Terzo Capitolo

 

 

 

 

Il prossimo, sarà l'ultimo.

Sarà piccolo ma necessario.

Lascio tutti i miei pensieri per quel momento.

 

Vi stringo.

Fortissimo.

   
 
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