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Autore: Soul Mancini    17/07/2019    5 recensioni
1991, un venerdì sera come tanti.
Shavo e Daron sono due ragazzini annoiati che bazzicano senza meta per il Sunset Strip, osservando dall'esterno i locali più in voga del momento senza entrare in nessuno di essi.
Finché Shavo non avvista una giacca dei Dodgers che gli ruba subito il cuore e vorrebbe tutta per sé. C'è solo un problema: quell'indumento è in dosso a un'altra persona.
Cosa accadrà quando Daron deciderà di aiutarlo a ottenere l'oggetto tanto desiderato? Tra corse pazze, nuove amicizie e locali bizzarri, i nostri due adolescenti si ritroveranno a vivere una nottata magica, folle... e soprattutto insonne!
[Storia ad alto tasso di demenzialità, una bazzecola poco seria e impegnativa, ispirata alle letture che ho fatto ultimamente e dedicata a Daron e John per i loro compleanni *-*]
Genere: Avventura, Comico, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Nottata1
Una folle nottata a Los Angeles


 
 
 
Li si poteva veder arrancare avanti e indietro per il Sunset Strip da più di un’ora, con fare annoiato e nessuna meta da raggiungere.
“E se provassimo a entrare al Rainbow?” propose Shavo, facendo un cenno verso il parcheggio del locale a pochi metri da loro, in cui si era già formata una piccola fila.
Daron prese un tiro dalla sua sigaretta e scosse la testa. “Non ci faranno mai entrare. Cioè, a te sì perché sembri più grande. Io invece ho e dimostro i miei sedici anni.”
Shavo mise su un ghigno divertito. “Chi se ne fotte di te? Io voglio entrare, magari c’è James Hetfield seduto a un tavolino!”
Il suo amico gli diede una spallata che lo fece incespicare. “Stronzo! Sai cosa sarebbe figo invece?”
Shavo si incuriosì. “Cosa?”
“Andare a vedere i Metallica!”
“Oh cazzo, sarebbe stupendo! Perché non organizziamo per davvero?” si entusiasmò subito il più alto, con un sorriso da un orecchio all’altro.
“Sì, certo, e dove pensi di trovare i soldi per i biglietti? Costano quanto i miei reni” smorzò subito la sua allegria Daron, corrugando le sopracciglia.
“Smettila di rompere le palle, troveremo un modo. Lascia fare a me, un paio di chiamate e alla prossima data dei Metallica entreremo nel backstage!”
“Certo, certo, lascerò fare a te, come quella volta che ti ho lasciato prenotare il taxi e siamo finiti tra i cantieri abbandonati, nella tana del bucomani. E siamo dovuti tornare indietro in autostop, col rischio di morire giovani!” borbottò Daron.
“Non è colpa mia se hai avuto la brillante idea di chiedere un passaggio a un ubriaco marcio perché ti sembrava un tipo affidabile! Andiamo, l’odore di vodka si sentiva da metri!”
“Tu avresto saputo fare di meglio? Avevamo una gang di tossici alle calcagna, sono salito sulla prima macchina che ho tro… Shavo? Shavo! Sei rincoglionito?”
Il più alto si era paralizzato nel bel mezzo del marciapiede, teneva lo sguardo fisso su un punto alla sua destra e aveva posato una mano sul braccio di Daron, costringendolo a fermarsi a sua volta.
“Tu sai cos’è quella?” farfugliò, i grandi occhi scuri che brillavano.
“Mi fai paura… quella cosa?” lo interrogò il più piccolo, cercando di seguire la traiettoria dello sguardo. Intanto erano giunti proprio davanti al parcheggio del Rainbow.
“Il buttafuori. Sai cos’ha addosso?”
“Una giacca.”
Il più grande gli si parò di fronte e gli posò con forza le mani sulle spalle esili, guardandolo dritto negli occhi con aria solenne. “Una giacca?! Quella non è una giacca normale, porca puttana! È una fottutissima giacca dei Dodgers, merch originale, costa un sacco di soldi!”
Daron si divincolò dalla sua stretta e sbuffò, gettando a terra la sigaretta ormai finita e schiacciandola con la punta della scarpa. “E allora?”
“Io la voglio e non l’avrò mai!”
All’improvviso una scintilla accese lo sguardo di Daron e rivolse al suo amico un’occhiata di sfida. “Dici? Io invece penso che l’avrai presto.”
Un brivido d’adrenalina corse lungo la schiena di Shavo, mentre un sorrisetto si dipingeva sulle sue labbra sottili. “Non dirmi che…?”
“Sì, esatto: voglio fottere la giacca al tizio del Rainbow!” annunciò il più giovane, entusiasmandosi come un bambino di fronte a un nuovo giocattolo. Un sorrisone gli correva da un orecchio all’altro e i grandi occhi si erano affilati, come fosse un predatore.
“Cazzo, sì! Avremo quella giacca!” esultò Shavo, dando una forte e destabilizzante pacca sulla spalla al suo amico, ma poi si accigliò nuovamente. “E come faremo?”
Daron ci rifletté un po’ su, poi si illuminò nuovamente. “Ho un piano!”
“E poi sarei io l’irresponsabile!”
“Lo faccio solo perché mi sto annoiando a morte. E chiudi il becco, altrimenti la giacca me la tengo io!”
“Non ti sta!”
 
 
“Loro possono entrare, tu no” sentenziò Ralph, indicando rispettivamente due ragazze alte e snelle e poi un ragazzino minuto dai capelli neri.
“Ma come, perché io no? Ho vent’anni, e poi sono con loro!” protestò il ragazzetto, incrociando le braccia al petto.
“Chi vuoi prendere in giro, eh? Avrai al massimo quindici anni! Vai a cercarti un locale per i marmocchi della tua età!” sbraitò il buttafuori, incenerendolo con lo sguardo per intimargli di andarsene.
“La prego, non può fare un’eccezione?” implorò una delle amiche del povero malcapitato, la mora, sbattendo le palpebre con fare da cerbiatto.
“Scusate, permesso, fatemi passare!” irruppe una voce acuta e stridula, attirando l’attenzione dei presenti.
A Ralph bastò spostare appena lo sguardo verso sinistra per scoprire da chi provenisse quella voce: un ragazzino basso ed esile, con i capelli lunghi e schiacciati in testa tinti di blu, una maglietta nera troppo grande e un paio di jeans spiegazzati, lo guardava dritto in faccia con aria sfrontata e sicura di sé.
“E tu chi saresti? Sai che tutti sono obbligati a rispettare la fila? Avanti, torna al tuo posto!”
“Amico, io sono una rockstar, suono in questo locale, mi devi far passare” affermò il ragazzino, atteggiandosi come una vera star hollywoodiana.
L’uomo si lasciò sfuggire una risata. “Una rockstar? Ma fammi il favore, al massimo potresti essere famoso nel tuo garage!”
“Mi prendi per il culo, amico? Ho firmato per la Warner e stasera ho una data in questo fottuto locale, fammi entrare o ti scateno contro i miei avvocati!” minacciò, gli occhi fiammeggianti.
Il buttafuori sbuffò. “Nominativo? Così verifico se la tua presenza è davvero prevista.”
“Daron Vartan Malakian, meglio conosciuto come Horse Cock. E questo dovrebbe dire tutto su di me” fece lui, gonfiando il petto e lanciando un’occhiata maliziosa alle ragazze poco lontane, ancora in fila per entrare al Rainbow.
Loro ridacchiarono e qualcuna ricambiò lo sguardo, ma poco dopo l’attenzione dei presenti si concentrò alle spalle del buttafuori.
“Ralph, attento!” cercò di avvertire qualcuno, ma ormai era troppo tardi: l’uomo sentì la giacca che aveva sulla spalla scivolare via di colpo; se l’era sfilata poco prima perché aveva caldo e si era ripromesso di appoggiarla da qualche parte, ma il pienone all’ingresso del locale non gli aveva permesso di spostarsi.
Si voltò e vide una sagoma alta e slanciata correre via con la sua giacca dei Dodgers stretta tra le mani.
“Ehi, pezzo di merda, quella è la mia giacca originale dei Dodgers! Dove pensi di andare?” sbottò. Il suo primo istinto fu quello di rincorrerlo, ma non poteva lasciare il posto di lavoro così, davanti a tutti, senza avvisare i suoi colleghi.
Tra le risate e l’ilarità generali, Ralph si voltò di nuovo, livido di rabbia, e ciò che scoprì lo lasciò a bocca aperta: anche la presunta rockstar si era volatilizzata, così come era arrivata.
“Bastardi! Ho capito, devo chiamare la polizia!” ringhiò tra i denti.
 
 
Daron e Shavo svoltarono l’angolo e finalmente si ritrovarono in un vicoletto buio e deserto.
“Ce l’abbiamo fatta! Guarda come è bella, cazzo!” esultò Shavo, sollevando la giacca in aria per poterla osservare bene, con ammirazione.
“La prossima volta però rubiamo una giacca in pelle per me” borbottò l’altro, poggiando la schiena a una parete dipinta di giallo.
“Allora? Come mi sta?” Il più alto aveva indossato il suo nuovo tesoro e adesso piroettava maldestramente per farsi osservare dall’altro.
“Una meraviglia” commentò Daron in tono piatto. “Ora però non possiamo più passare di fronte al Rainbow, se quello scimmione ci vede siamo spacciati. Missione compiuta in poco tempo, adesso torniamo ad annoiarci e non possiamo più passeggiare per lo Strip. Siamo due coglioni.”
“Ehi, ma come ti è venuto in mente quel soprannome ridicolo? Cazzo di cavallo, ma sei serio?” domandò Shavo, ricordatosi improvisamente di quel dettaglio.
Daron sorrise. “Così, per far incuriosire le ragazze nei paraggi.”
“Aveva tutta l’aria di una stronzata” borbottò Shavo con una risatina.
“Tu dici? Io mi metto in gioco, a differenza tua! Ed è per questo che io scopo e tu no!” lo punzecchiò l’altro, dandogli una leggera spinta.
“Ehi, chi te l’ha detto che io non scopo?”
Daron, stufo di stare nascosto in quella lugubre stradina, si staccò dal muro e prese a passeggiare, diretto nuovamente verso Sunset Boulevard. Shavo lo seguì senza fiatare.
Dopo avergli lanciato un’occhiata di sbieco, Daron commentò: “Forse è il caso che ti togli la giacca di dosso e la nascondi; dopo quello che abbiamo fatto, non è il caso di farla vedere al mondo intero.”
“Ma è il mio nuovo gioiellino, la voglio usare!”
“Vuoi fare a botte col buttafuori del Rainbow? Io non ci tengo!”
“Quante persone al mondo avranno una giacca uguale o simile a questa? Non vedo dove sia il problema.”
Daron sbuffò. “Vabbè, fai quello che vuoi, mi hai rotto il cazzo. Qualche pusher che vende erba di qualità in zona?”
Shavo ci pensò su. “In genere c’è un certo Andy, un po’ più giù per la Sunset. Vende roba buona, da farti girare la testa!”
Daron si immobilizzò e si portò un dito di fronte alle labbra per intimargli di fare silenzio. Shavo drizzò le orecchie e si concentrò: i suoni della città riecheggiavano tutt’intorno a loro, deformati appena dalla musica di un locale poco distante.
“Lo senti anche tu?” bisbigliò il più piccolo dopo qualche istante.
“Io non sento un cazzo.”
“Sirene. È un’auto della polizia.”
Shavo si accigliò. “E allora?”
“E se stanno cercando noi? Magari quello stronzo del Rainbow li ha chiamati per rintracciarci.”
Shavo scoppiò a ridere di gusto. “Amico, ma che cazzo dici? Non essere paranoico, le macchine della polizia a Los Angeles circolano in continuazione, probabilmente stanno cercando qualche coglione ubriaco che ha tagliato la strada a qualcun altro!” sminuì la faccenda, riprendendo a camminare sicuro.
Ma il cuore di Daron batteva forte, tanto da fargli martellare le tempie, e l’adrenalina stava nuovamente schizzando nelle vene. Seguì il suo amico, poco convinto. “Sarà, ma io mi terrei a distanza di sicurezza dalla zona. Non voglio finire nei casini.”
“Andiamo, non fare il solito guastafeste, che probabilità c’è che ci stiano cercando? Andiamo da quel tipo che ti dicevo e non ci pensare, voglio farmi una fumata bella potente!”
Ma il suono della sirena della polizia si faceva sempre più vicino e Daron non era per niente tranquillo.
Qualche minuto dopo, mentre i due camminavano per strade sempre più ampie e vicine al centro, una macchina bianca e blu svoltò l’angolo e li accecò con i suoi luminosissimi fari; quel fastidioso ululato artificiale si era fatto assordante.
Daron sobbalzò e si irrigidì sul marciapiede, ma Shavo gli diede una gomitata e mormorò al suo orecchio: “Cerca di non dare nell’occhio, ora ci passano davanti e se ne vanno”.
Ma così non fu: l’auto accostò proprio a pochi metri da loro e due agenti saltarono fuori dai sedili anteriori.
“È lui, ha la giacca dei Dodgers!” gridò il primo.
“Mani in alto!” proruppe l’altro, fiondandosi verso di loro.
Shavo e Daron, con il cuore in gola, fecero l’unica cosa che venne loro in mente: corsero via, veloci come il vento, uno a fianco all’altro.
 
 
Avevano calcato l’asfalto di un numero infinito di stradine e vicoletti, erano talmente scombussolati che non sapevano dire con esattezza dove si trovassero, ma per fortuna sembravano aver seminato la polizia.
In un momento di disperazione, quando i polmoni avevano iniziato a bruciare e le gambe a cedere per la troppa stanchezza, i due si erano buttati a terra e appiattiti tra un’auto parcheggiata e il muro di un’abitazione, protetti alla vista da un grande e stracolmo cassonetto. La macchina che li aveva inseguiti fino ad allora, una volta davanti al loro nascondiglio, era passata dritta; a quanto pare i due poliziotti non si erano accorti della loro presenza.
“Lo senti quest’odore, Shavo?” farfugliò Daron dopo qualche minuto di silenzio, mentre ancora cercava di riprendere fiato. Nessuno dei due aveva ancora osato muoversi.
“Forte e chiaro: siamo finiti a un passo dalla merda” ribatté l’altro, accennando al cumulo di spazzatura vicino a loro.
“Ecco, questo sarà l’odore che emanerai tu quando ti avrò ammazzato, smembrato e gettato in questo cazzo di cassonetto!”
“Perché, scusa?”
“Ti rendi conto in che razza di casino siamo finiti per quella merdosa giacca che hai addosso?!” si infervorò il più piccolo, per poi muoversi appena e affacciarsi da dietro una ruota dell’auto per assicurarsi di avere il via libera.
“Ti ricordo che è stata tua l’idea di rubarla!” lo rimbeccò il più grande.
“Ti ricordo che io non ho ottenuto niente in cambio! E poi tu mi hai forse fermato? No, Daron, non correre un tale rischio per me, non è necessario!” sputò acido, mentre sgusciava fuori e permetteva al suo amico di fare lo stesso.
Shavo si mise in piedi a fatica, ancora stordito, poi incenerì il suo compagno d’avventure con uno sguardo. “Sai fare qualcos’altro a parte lamentarti? Ormai li abbiamo seminati, mettiti l’anima in pace e non rompere le palle! Guarda il lato positivo: abbiamo trovato qualcosa da fare.”
“Oh sì, grandi ed esaltanti attività, altro che sesso, droga e rock‘n’roll…” commentò Daron ironicamente, assestando un calcio al cassonetto con fare sprezzante; qualche rifiuto cadde a terra.
“Senti anche tu il rombo di un motore?” chiese all’improvviso Shavo.
Daron si mise in ascolto. “Sì. E se sono di nuovo loro?” si fece subito prendere dall’agitazione.
Ma il più grande non sembrava preoccupato: si sfilò il cappellino da baseball dalla testa e cominciò a lanciarlo in aria, per poi riprenderlo al volo. “Impossibile, si sentirebbe la sirena. Vedi, capita proprio a pennello: possiamo fare l’autostop ed elemosinare un passaggio, dato che non sappiamo in che cazzo di posto ci siamo ficcati!”
“Speriamo di non trovare un autista ubriaco…” commentò Daron, voltandosi nella direzione da cui proveniva lo strepitio dell’auto in avvicinamento. Ancora non era riuscito ad adocchiare il veicolo, dato che non aveva svoltato l’angolo, ma appena questo accadde i due ragazzi sgranarono gli occhi.
“Sono loro, cazzo!” strillò Shavo, facendosi prendere dal panico e stringendo convulsamente il suo cappellino tra le dita.
“Bastardi, hanno disattivato la sirena per ingannarci! Beh, che fai, rimani lì impalato?” sbottò Daron, per poi afferrare il suo amico per un braccio e trascinarlo via.
I due corsero a perdifiato, virando in strade nuove ogni volta che ne avevano la possibilità e rischiando più di una volta di schiantarsi contro qualche povero passante. Non avevano la certezza che i poliziotti li avessero visti e riconosciuti, ma sentivano la macchina che circolava e perlustrava le vicinanze, dovevano seminarla per considerarsi davvero fuori pericolo.
“Porca puttana!” esplose a un certo punto Shavo, appiattendosi contro un grosso palo della luce, dopo aver svoltato l’ennesimo angolo.
“Che ti prende?” si informò Daron col fiato corto, facendo scorrere lo sguardo per la strada davanti a sé, a malapena illuminata dai lampioni dalla luce giallognola.
“È un vicolo cieco!”
“Non possiamo uscire, ci stanno alle calcagna!”
Fu allora che Shavo si accorse di due sagome che, a diversi metri da loro, stavano sedute sul bordo del marciapiede e non sembravano essersi accorte di niente; stazionavano vicino a una grande auto nera e si passavano quella che a prima vista sembrava una lattina di Coca-Cola.
“Io quel tipo lo conosco” biascicò il più grande, accennando a uno dei due. “Mi pare si chiami John, lo vedo spesso nel parcheggio della scuola. E quella dev’essere la sua macchina.”
L’auto della polizia intanto si faceva sempre più vicina, se fossero rimasti in quel punto per un altro istante li avrebbero avvistati subito.
“Pensi che questo John potrebbe farci un favore?” domandò Daron con il cuore in gola.
“Cosa intendi?”
Senza aggiungere altro, il ragazzino afferrò Shavo per un polso e si fiondò verso l’auto nera accostata al ciglio della strada. “Veniamo in pace, copriteci le spalle!” gridò ai due ragazzi seduti sul marciapiede, prima di aprire lo sportello dell’auto, spingerci dentro Shavo e accucciarsi a sua volta all’interno.
Shavo inizialmente non capiva, si sedette sul sedile posteriore e rivolse all’amico uno sguardo stralunato, poi capì e si appallottolò nel piccolo vano tra i sedili anteriori e posteriori. Era davvero scomodo per lui, aveva braccia e gambe lunghe e una scarpa di Daron a pochi millimetri dalla faccia, ma era sicuro che in quel modo non avrebbero dato nell’occhio.
 
 
“Quindi gli ho offerto da bere e lui mi ha invitato nella sua casa al mare. Dice che dal 23 al 27 ha il via libera e riunirà lì un po’ di gente per fare baldoria” spiegò Sako, prendendo un sorso dalla lattina di birra che lui e John, il suo migliore amico, avevano deciso di dividersi.
“Mmh. E tu pensi di andarci?” gli chiese lui, senza mostrare troppo interesse per la cosa.
“Non lo so, tu verresti con me?”
“Non sono stato invitato.”
“Fratello, ma di che ti preoccupi? Ci sarà mezza Los Angeles a quelle fottute feste, Chuck non si ricorderà più chi è stato invitato e chi no!”
John sospirò. “Non sono il tipo adatto per questo genere di eventi.”
“Andiamo, non rompere il cazzo! Cos’abbiamo da perdere?” tentò ancora di convincerlo Sako.
L’altro, in tutta risposta, gli sfilò la birra dalle dita e ne prese un sorso.
Ma ben presto la quiete venne spezzata da un arrivo inaspettato: Sako e John assistettero confusi alla corsa di due ragazzini che, incespicando e gridando qualcosa di incomprensibile, quasi scardinavano la portiera posteriore della macchina parcheggiata di fronte a loro e vi si nascondevano dentro.
I due si scambiarono un’occhiata perplessa.
“Ma che cazzo…?” sbottò Sako. Stava per alzarsi e andare a dare un’occhiata a quei due strani individui, quando un’auto comparve all’inizio del vicolo e ai due furono subito chiare tante cose.
I ragazzini di sicuro avevano combinato qualche stronzata e adesso la polizia li stava cercando.
L’auto delle forze dell’ordine accostò a un paio di metri da loro e un agente spalancò lo sportello dalla parte del passeggero, per poi avviarsi verso John e Sako.
“Ehi, voi due! Avete per caso visto passare due tipi, uno alto con un cappellino e una giacca e un altro un po’ più basso con i capelli lunghi e blu?”
John e Sako si scambiarono una tacita occhiata e decisero di essere collaborativi nei confronti di quei due ragazzini, che glielo avevano esplicitamente chiesto; John aveva anche riconosciuto quello col cappellino da baseball, frequentavano la stessa scuola e gli sarebbe sembrato poco carino non coprirgli le spalle.
E poi la faccenda si faceva divertente, volevano vedere come sarebbe andata a finire.
“Ecco, noi…” cominciò Sako nervoso, ma John decise subito di intervenire, sapendo che il suo amico non era bravo a mentire.
“Sì, li abbiamo visti passare, di sfuggita. Sono andati dritti, verso Nord, vi conviene andare a cercarli in quella direzione” affermò con estrema tranquillità. Nessuno avrebbe potuto immaginare che stesse mentendo.
Infatti il poliziotto annuì, bevendosela all’istante; li ringraziò per l’aiuto e saltò nuovamente in auto, comunicando l’informazione al suo collega. La macchina fece inversione e nel giro di pochi istanti si defilò.
Sako prese a sghignazzare e batté una pacca sulla spalla dell’amico. “Sei stato un grande! Ma tu conosci quei due fuggiaschi?”
“Uno sì, mi pare che giochi nella squadra di basket della mia scuola. Che dici, pericolo scampato? Andiamo a vedere come se la passano là dentro?”
Sako annuì e si avvicinò all’auto nera, per poi bussare sul vetro. Il ragazzino dai capelli blu gli rivolse un’occhiata interrogativa e lui gli mostrò il pollice all’insù, allora lui aprì la portiera e sgusciò fuori con gli occhi sgranati, guardandosi attorno con fare sospettoso. “Porca troia” biascicò.
“Sono andati via” lo rassicurò John, per poi tendergli la mano e presentarsi.
“Molto piacere, Daron” rispose il ragazzino, ricambiando il gesto. Si voltò verso Sako per fare lo stesso, ma notò che quest’ultimo stava aiutando il suo amico a rimettersi in piedi; Shavo infatti era ancora tremante per la tensione e non faceva che balbettare.
Dopo le vicendevoli presentazioni, che aiutarono Daron e Shavo a sciogliersi e rilassarsi, quest’ultimo rivolse ai suoi nuovi amici un sorriso riconoscente. “Fratelli, grazie davvero! Possiamo offrirvi qualcosa da bere per sdebitarci? Non solo ci avete coperto, ma ci avete ospitato nella vostra macchina!”
Sako e John caddero dalle nuvole.
“Nostra?” fece Sako confuso, lanciando un’occhiata al suo amico.
“Non avevi detto che era di John?” gracchiò Daron, dando di gomito a Shavo.
“Non è mia. La mia macchina è blu scuro” chiarì infatti il più grande, stringendosi nelle spalle.
“Ci siamo nascosti nella macchina di uno sconosciuto?” strillò Daron con voce stridula, battendosi una mano sulla fronte.
“Un intelligentone che non l’ha chiusa a chiave, per giunta” fece notare John divertito.
Sako a quel punto era scoppiato a ridere. “Che culo, ragazzi!”
Che culo?! È da ore che cerchiamo di sfuggire alla polizia, questi stronzi ci hanno rovinato la serata!” sbottò Shavo esasperato.
“Ma si può sapere cos’avete combinato per avere gli sbirri alle calcagna?” domandò Sako.
“Abbiamo rubato questa.” Shavo si sfilò la giacca e la sventolò in aria, mostrandola come un trofeo. “A un buttafuori del Rainbow!”
“Ve la siete andata a cercare, allora” commentò John con una risatina. “Posso vederla un attimo?” chiese poi, afferrando una manica. Shavo gliela lanciò e il ragazzo cominciò a esaminarla.
“Ma è dei Dodgers, che figata! Penso che l’avrei fatto anch’io, per un gioiellino del genere!” si entusiasmò Sako con un sorrisone.
“Oh, anche tu sei un tifoso? Amico, ora è chiaro che ti devo offrire un giro al bar!” esclamò il proprietario della giacca, lasciandogli una pacca sulla spalla.
“Peccato che intanto io sia diventato un criminale senza aver ottenuto niente in cambio” brontolò Daron, incrociando le braccia al petto e mettendo il broncio.
“Questa giacca non varrà più di dieci dollari.” Alle parole di John, tutti si voltarono a guardarlo.
Lui scrollò le spalle. “È un’imitazione, ne circolano un sacco in questo periodo. Vedete qui, dove c’è la scritta L.A. Dodgers?” Indicò un punto sul retro della giacca, in prossimità del logo della squadra. “Manca il punto dopo la A, e vi posso assicurare che quelle originali ce l’hanno perché un mio amico lavora in un negozio di merch dei Dodgers. Questa stampa è fatta in una tipografia qualunque, lo fanno per metterla nel culo alla gente poco attenta.”
Il viso di Shavo era diventato cereo, tanto era impallidito. “C-cioè, tu mi stai dicendo che ho fatto tutto questo casino per una giacca contraffatta?”
Lui scosse appena la testa e gli rese l’indumento.
“Shavarsh Robert Odadjian, considerati un uomo morto!” strillò Daron in preda a un attacco isterico, dandogli uno spintone. Fino a quel momento era rimasto immobile sul marciapiede, paralizzato dall’incredulità.
“Dovrei essere io quello incazzato, non tu!” gli abbaiò contro il suo amico.
I due si fissarono in cagnesco per alcuni lunghissimi istanti, finché Sako non si frappose tra di loro e batté a ciascuno un’amichevole pacca sulla spalla. “Okay ragazzi, è comprensibile che siate un po’ nervosi, siete finiti in una situazione merdosa… ma che ne dite se adesso noi quattro ce ne andiamo al bar, ci prendiamo un bel Mojito e ci rilassiamo un po’?”
Shavo prese un bel respiro prima di rispondere, in fondo Sako non meritava una rispostaccia dettata dal suo malumore. “Va bene, ci sto, ma… siamo un po’ fuori mano, troveremo un locale nei dintorni?”
“Siamo a Los Angeles, ci sono locali in ogni angolo! Su, andiamo, ho voglia di qualcosa di forte!” Detto questo, il ragazzo si diresse verso l’uscita del vicolo cieco, seguito poi dagli altri.
A chiudere la fila c’era Shavo, che ancora stringeva tra le mani la sua preziosissima giacca e ogni tanto le lanciava occhiate rabbiose e deluse.
 
 
“E quindi io gli ho fatto: ehi, amico, molla la mia roba!” stava raccontando Shavo, ormai scordatosi della cocente delusione e completamente preso dalle nuove conoscenze.
Sako scoppiò a ridere. “E lui?”
“Scusate se vi interrompo, nuovi amichetti del cuore, ma stiamo camminando a vuoto da un tempo incalcolabile e non abbiamo ancora trovato un locale aperto. Sarà il caso di chiedere informazioni a qualcuno?” li interruppe Daron, picchiettando sulla spalla di Shavo.
“E a chi vorresti chiedere, scusa? Queste strade sono quasi deserte!” gli rispose lui.
“Io veramente sono stanco, voglio tornarmene a casa.”
“Ah, ma che lagna! Non riesci ad adattarti alle situazioni almeno una volta?”
“Veramente noi due dovevamo andare a comprarci l’erba e invece…”
“Seriamente? Allora perché non ci siamo andati? Ci saremmo fatti una fumata tutti assieme!” saltò su Sako illuminandosi.
“Perché ormai siamo lontani anni luce dal pusher in Sunset Boulevard e non ho intenzione di fare di nuovo tutta la strada a piedi per tornarci” tagliò corto Shavo.
“Comunque mi sembra di vedere l’insegna luminosa di un locale in fondo alla strada. Speriamo sia un posticino decente” commentò John che, dietro gli altri, aveva ascoltato le loro conversazioni in silenzio.
Daron si fermò all’improvviso in mezzo al marciapiede, rischiando che il ragazzo alle sue spalle – decisamente più corpulento di lui – gli si schiantasse addosso; per fortuna John aveva dei riflessi abbastanza pronti, arrestò la camminata e richiamò anche l’attenzione di Shavo e Sako.
“Lo sentite? Non è una mia impressione, vero?” sussurrò il ragazzo dai capelli blu, invitando gli altri a tacere.
Shavo sgranò gli occhi e si coprì la bocca con una mano. “Sirene della polizia? Ancora?! E se ci stanno ancora cercando?”
“Non credo, sono le quattro e un quarto di notte, penso che abbiano lasciato perdere ormai” tentò di tranquillizzarli Sako.
Quel suono acuto e ormai troppo familiare si avvicinava a una velocità impressionante, l’auto sicuramente bruciava metri e metri in pochi istanti.
“Sentite: io non so se ci stanno cercando o meno, ma sapete una cosa?” se ne uscì Shavo dopo qualche secondo di silenzio. “Non ho nessuna voglia di scoprirlo, quindi esco di scena!” Detto questo, cominciò a correre, seguito subito da Daron che a quanto pare la pensava allo stesso modo.
Anche Sako e John, dopo essersi scambiati un’occhiata perplessa, decisero di seguirli, mentre la sirena si faceva sempre più assordante. La polizia si stava dirigendo verso di loro, era alle loro spalle, quindi era il caso di darsi una mossa.
“Cazzo, ci hanno quasi raggiunto!” imprecò Shavo, correndo a perdifiato.
“C’è un locale! Entra, muoviti!” strillò Daron, spingendolo con forza contro la porta del luogo che prima era stato avvistato da John – aveva tutta l’aria di essere un nightclub o un pub.
All’interno trovarono luci soffuse e fluorescenti che si alternavano tra blu e rosso, un megaschermo su cui scorrevano i video di MTV e un nutrito gruppo di persone che li osservava incuriosite.
“Daron?”
“Mmh?”
“C’è qualcosa che non torna.”
“Cioè?”
“Perché ci sono solo uomini in questo locale?”
“Non lo so. Ti sembra così strano?”
“Beh… e perché alcuni sono vestiti così?”
I due vennero raggiunti da dei trafelati John e Sako.
“Eccoci, e finalmente abbiamo trovato un posto in cui prendere da bere!” prese la parola quest’ultimo. “Comunque tutto a posto, la polizia è passata dritta e probabilmente non stavano cercando voi!”
“Buonasera, ragazzi, e benvenuti all’Happy Gay!” esordì con entusiasmo un cameriere minuto dai capelli rossi, comparendo alle loro spalle; già dalla prima occhiata si potevano notare le sue movenze femminili e il suo grembiule fucsia con le farfalle colorate.
Shavo diede di gomito al suo amico e gli bisbigliò all’orecchio: “Avevo ragione, siamo finiti in un locale gay”.
L’altro si lasciò sfuggire un sorriso. “Penso che sarà uno spasso!”
“Mi presento, sono Christopher, ma chiamatemi pure Chris!” riprese a parlare il cameriere. “Dietro il banco c’è Big T, il boss, mentre quell’altro cameriere dai capelli ricci,” e fece una mezza piroetta per indicare il suo collega che passava tra i tavolini, “è Serj. Lo so, è una bomba sexy, ma non provate a rimorchiarlo perché è etero… e se non lo fosse, io avrei la priorità! Il locale non è molto grande, ma accomodatevi dove volete, fate come se foste a casa vostra; non mi sembrate dei clienti abituali, ma non siate timidi e non vi preoccupate, ci impegneremo per mettervi a vostro agio!” Dopo lo sproloquio, il rosso indicò loro un tavolino libero con un ampio gesto della mano.
“Ehi, amico, veramente noi quattro siamo etero, siamo finiti qui per caso” tentò di spiegare Sako, ma ormai il cameriere non lo stava più ascoltando, dal momento che un cliente aveva richiamato la sua attenzione.
“Che dite, passiamo qui la serata?” domandò conferma Shavo, scrutando uno per uno i suoi amici.
“Per me non c’è nessun problema” affermò John, dirigendosi verso i posti assegnatigli.
“A me va bene qualsiasi luogo in cui vendano alcol” aggiunse Sako, scaraventandosi su una sedia.
Così i quattro cominciarono a guardarsi intorno e studiare la situazione, ricevendo diverse occhiate dagli altri clienti – alcune amichevoli, alcune ammiccanti. Dopo circa un minuto, vennero raggiunti dal cameriere con i capelli ricci, un bel tipo dai lineamenti marcati, che regalò loro un sorriso. “E così gira voce che siete etero…”
Shavo ricambiò il sorriso. “Esatto, amico… Serj, giusto?”
Lui annuì. “Almeno mi tenete compagnia!”
“Scusa la domanda sfacciata,” intervenne Daron, “ma come mai lavori qua? Cioè, la cosa non ti pesa?”
Serj scrollò le spalle. “Mi serve un lavoro, qui mi pagano bene, non ho pregiudizi di alcun tipo e poi questi ragazzi sono davvero simpatici e tranquilli. Ho messo in chiaro le cose non appena sono stato assunto e nessuno mi ha mai dato fastidio; sono molto rispettosi da questo punto di vista. Intanto, ditemi cosa vi posso portare.”
“Per me una birra, grazie” decise subito John.
“Che noioso e prevedibile! Io mi butto su… White Russian!” esclamò Sako.
“Ci vai giù pesante, ragazzo!” commentò Serj con una risatina appena accennata.
“Io vodka alla pesca, pura e semplice” annunciò Daron solenne.
“Io sono indeciso” ammise invece Shavo, scorrendo per l’ennesima volta il menu dei cocktail con lo sguardo.
“Se vuoi un consiglio,” si intromise una voce alle sue spalle, “il nostro Big T prepara un Margarita buono da togliere il fiato.”
Shavo si voltò di scatto e si ritrovò davanti un ragazzo biondo e pallido, che fino a poco prima si trovava a un tavolino. Ora era in piedi alle sue spalle, con un gomito poggiato alla spalliera della sua sedia.
“Oh… beh, vada per quello allora!” decise lui, e Serj si segnò l’ordinazione.
“Fidatevi sempre dei consigli di Lawrence, è il nostro esperto di cocktail” concluse il cameriere prima di dirigersi verso il bancone.
“Allora ragazzi, come vi chiamate?” chiese il nuovo arrivato. “Chi di voi sta con chi? Quali sono le coppie? O ve la spassate tutti e quattro insieme?”
Sako scoppiò a ridere, mentre gli altri mettevano su smorfie indecifrabili. “Scherzi?! Abbiamo appena conosciuto loro due,” disse indicando Shavo e Daron, “e poi non siamo gay!”
Lawrence trascinò una sedia accanto al loro tavolo e si sedette, senza aspettare un invito da parte dei ragazzi. Qualche secondo dopo, venne raggiunto con estrema naturalezza da altri due suoi amici.
A quanto pare le cose in quel posto funzionavano così: chiunque poteva andare dagli altri e fermarsi a un tavolo per una chiacchierata.
“Non vi dovete vergognare di quello che siete, qui vi accogliamo a braccia aperte!” affermò il biondino con un sorriso incoraggiante, convinto che Sako avesse parlato così per mascherare la verità.
“Ma non stiamo scherzando, siamo entrati qui solo per nasconderci” ribatté John.
“Stavamo scappando dalla polizia” aggiunse Daron con una risatina.
Uno degli amici di Lawrence, un ragazzo alto e tutto muscoli dalla pelle abbronzata, sgranò gli occhi leggermente spaventato. “Siete dei ricercati?”
“Fratello, rilassati, non siamo dei criminali! Diciamo che… ci siamo ficcati in una situazione un po’… del cazzo, ecco!” disse Shavo.
E così i quattro si lanciarono in un dettagliato racconto, che catturò anche l’attenzione di Serj quando si avvicinò a loro per consegnare le ordinazioni.
 
 
“Oh, ma quella è una drag queen!” esclamò Daron, incollando gli occhi a una figura che era appena uscita dal bagno. In effetti, non fosse stato per le forme troppo spigolose del fisico, la persona in questione sarebbe potuta passare per una ragazza: aveva dei lunghi e lisci capelli rosso fuoco, il viso era perfettamente truccato, indossava un vestito viola leggero, delle calze a rete e un paio di tacchi.
“Ah sì, lei è Nathalie, la nostra drag queen… ma quando non si traveste, lo potete chiamare Zack” spiegò Lawrence.
“Ma è una figata! Cioè, mi fa pensare a quelle tipe che si vedono nei video di MTV!” si entusiasmò il ragazzino dai capelli blu.
“Chiamalo… o chiamala. Le offriamo qualcosa!” affermò Shavo, curioso di fare quella nuova conoscenza.
“Quando è vestito da donna, trattatelo come una ragazza, altrimenti si incazza e diventa isterico” suggerì loro Simon, l’amico abbronzato di Lawrence.
“Si chiama Nathalie, vero?” chiese conferma Sako. Quando i suoi nuovi amici annuirono, si voltò e gridò: “Ehi, Nathy, vieni qui, abbiamo un tuo fan che vuole conoscerti!”
“Ma sei un coglione!” lo apostrofò Daron, mentre Nathalie sorrideva e già si dirigeva verso di loro.
“Chi mi cerca?” chiese poi, infiltrandosi tra le sedie di Lawrence e Simon e poggiando entrambi i palmi sul tavolo.
“Ehi tesoro!” lo salutò il biondo, piegando la testa all’indietro e poggiandola sul suo fianco.
“State insieme?” si informò Shavo.
“No, ma ci vogliamo bene” cinguettò Nathalie.
“Ho un debole per le drag, ecco” aggiunse Lawrence.
“Comunque… qual è il fan di cui mi parlavate?”
Daron fece finta di niente, ma ci pensò subito John a tradirlo: “Lui, quello coi capelli blu”.
“Oh, ciao piccolo! I tuoi capelli sono stupendi!” Nathalie fece il giro del tavolo e gli afferrò una ciocca di capelli, sotto lo sguardo divertito degli altri.
Lui non rispose, imbarazzato e incazzato con i suoi amici per averlo cacciato in quella situazione.
 
 
“No, dai, ma di che parliamo? Johnny Depp a mio avviso è molto più scopabile!”
“Sapete chi piace a me invece? Il tipo dei Faith No More, come si chiama?”
“Mike Patton, dici?”
“Sì, lui! Ma l’avete visto? Ha quel fare da pervertito che c’è da perderci la testa, ogni volta che un loro video passa in TV la temperatura sale di parecchi gradi! Mi farei stuprare da uno così!”
“Mmh… però è un ragazzino, a me piacciono quelli un po’ più maturi. Continuo a essere dell’idea che Roger Taylor in versione drag sia qualcosa di sublime, molto più sexy di Freddie Mercury! Tra l’altro… gira voce che sia parecchio dotato!”
“Ma dici sul serio? Vabbè, per quello non c’è bisogno di andare troppo lontano…”
Shavo e Sako sorseggiavano l’ennesimo drink e assistevano a quelle conversazioni con una certa confusione, ma anche con curiosità. Non che la cosa li sconvolgesse particolarmente, ma non capitava loro tutti i giorni di trovarsi in contesti del genere.
“Voi, ragazzi, cosa ne pensate?” Lawrence si voltò verso di loro con un sorrisone carico d’aspettative.
“Ecco… diciamo che non è proprio il nostro ambito” commentò Shavo con una risata.
“Se vi può intervistare, abbiamo una vasta cultura su attrici e modelle porno” aggiunse Sako, sorridendo e gonfiando il petto.
“Wow, non me ne parlare! Sono bellissime!” strepitò Nathalie, intromettendosi nella discussione. Lei e Daron si erano posizionati a qualche metro dagli altri quando il ragazzo, superato l’imbarazzo ed entrato più in confidenza con la drag queen, aveva accettato di farsi truccare.
“Perché non stiliamo una classifica delle celebrità che secondo noi hanno il cazzo più grande?” propose Chris con entusiasmo, sfilandosi il grembiule fucsia e sedendosi al tavolo con loro.
“Io sono al primo posto!” irruppe subito Daron.
“Ah, davvero? Possiamo verificare?” lo punzecchiò Nathalie.
“Tu continua a truccarmi e non avanzare pretese!”
“Beh, secondo me sul podio potrebbe stare Micheal Jackson” osservò Simon. “Chris, segnalo. Nel blocchetto delle ordinazioni, dai!”
Il cameriere lo assecondò, scrivendo anche i numeri da uno a dieci in colonna per poter stilare la classifica.
“Ma davvero stiamo facendo questo discorso?” bofonchiò Sako, sempre più divertito e sempre più ubriaco.
A un certo punto Shavo scoppiò a ridere. “Ehi, Daron!”
“Dimmi!”
“Hai visto la camicia che indossa Big T?”
Daron si sporse oltre Nathalie per poter osservare l’omone ben piazzato che si trovava dietro il bancone, poi scoppiò a ridere.
Big T indossava una camicia con dei piccoli cavalli stilizzati.
“Quella dev’essere mia!” sbottò Daron tra le risate.
“Cos’avete voi due da ridere?” si insospettì Nathalie.
“È una lunga storia, si tratta di un soprannome che mi sono dato oggi, giusto per vantarmi davanti al tipo del Rainbow.”
Anche Lawrence si incuriosì. “È qualcosa di sconcio? Lo voglio sapere!”
“Eh no, se volete sapere la storia mi dovete offrire da bere!”
Intanto, qualche metro più in là, in prossimità del bancone, John e Serj stavano chiacchierando tra di loro e sembrano essere parecchio a loro agio.
A un certo punto John sentì qualcuno picchiettargli sulla spalla e si voltò lentamente: un ragazzino dai capelli corvini, che fino a qualche istante prima era rimasto in disparte, lo stava osservando con occhi pieni di ammirazione e malizia.
“Sì?”
“Tesoro, ti hanno mai detto che sei un’apparizione?”
John era perplesso. “In che senso?”
“Posso offrirti da bere? Sei meraviglioso!”
“Senti, sei molto gentile, ma non penso di poterti dare quello che vorresti…”
Ma lui continuò come se non l’avesse neanche sentito: gli afferrò una mano e la strinse forte tra le sue. “Piacere, io sono Sam. E tu come ti chiami, meraviglia della natura?”
Serj intanto se la rideva sotto i baffi. “Ciao John, vado a prendere le ordinazioni, ti lascio in ottima compagnia!”
Il povero malcapitato lo incenerì con lo sguardo, mentre Sam continuava a fargli la corte spietata e mangiarselo con gli occhi.
“Ah, e così ti chiami John! Che bel nome, semplice ma affascinante!” pigolò infatti il ragazzino, facendosi un po’ più vicino.
Lui si divincolò educatamente dalla sua stretta e indietreggiò di un passo. “G-grazie per il complimenti, ma vedi, io sono etero e…”
“Dicono tutti così. Ti piace il Mojito?”
“Veramente io…”
Sam si voltò verso Big T, che li osservava in silenzio dall’altro lato del bancone, e gridò: “T, prepara un Mojito per questo bel fusto muscoloso!”.
Era ubriaco marcio, ma ciò non toglieva che a John desse fastidio averlo addosso.
“Ti dispiace se torno dai miei amici?” tentò nuovamente di fuggire. Non gli diede neanche il tempo di rispondere e si allontanò, andando a sedersi in una sedia vuota a fianco a Sako.
 
 
“Quindi tu ti senti un uomo, ma ti piace vestirti da donna?” domandò Daron, mentre Nathalie rifiniva gli ultimi dettagli del suo make-up.
“Esatto. C’è chi comincia facenndo la drag queen e poi cambia sesso perché è sempre stato nella sua natura, ma io lo faccio solo per divertimento. È davvero figo trasgredire, essere qualcosa che non si è!”
“Scusa la domanda idiota, ma… se usi la gonna, tutta la roba che hai laggiù non… penzola?”
Nathalie scoppiò a ridere. “È proprio quello il bello, ed è anche il motivo per cui sotto il vestito non uso biancheria! Comunque, ho finito e sei un’opera d’arte, tesoro! In bagno c’è uno specchio, puoi andare ad ammirarti!”
Daron si alzò e, mentre faceva lo slalom per dirigersi al bagno, ricevette diversi fischi di approvazione.
“Tesoro mio, John, arrivo col Mojito che ti avevo promesso!” Un urlo stridulo si levò dalla zona del bancone e poco dopo un ubriaco e traballante Sam si diresse verso il suo amato col cocktail in mano.
John, che pensava di essersene liberato, trattenne uno sbuffo, mentre Sako gli dava di gomito e ridacchiava.
Una volta di fronte al tavolo, però, Sam inciampò chissà dove e il bicchiere gli scivolò dalle mani, schiantandosi a terra e spargendo ovunque il suo contenuto. “Ops” commentò con una risatina.
Shavo fu subito in piedi e lanciò la sua giacca sul pavimento. “Tenete, usate questa per assorbire il liquido. Tanto non vale niente!”
Tutti i presenti scoppiarono a ridere.
“Il buttafuori del Ranbow alla fine si è rivelato utile!” commentò Serj, correndo subito verso di loro per rimediare al disastro.
Sam, ancora con le scarpe inzuppate di Mojito, si sedette accanto a John e gli posò una mano sul braccio, facendolo sobbalzare. “Amore mio, scusami se ho fatto cadere il tuo drink, ma se vuoi so come farmi perdonare…”
John sospirò. “Posso sapere perché ti sei fissato proprio con me? Ci sono tanti altri ragazzi bellissimi in questo posto, per esempio Sako.”
“Ehi!” si lamentò il diretto interessato, aggrottando le sopracciglia. Non voleva certo avere addosso quella piattola di Sam.
“Ma tu sei il più bello!” squittì il corteggiatore, poi si sporse verso John e sussurrò: “Accetto che solo tu mi faccia gridare”.
Lui rabbrividì e lo fulminò con un’occhiata. “Potresti allontanarti e lasciarmi un minimo di spazio vitale? Grazie.”
Sam si ritrasse sulla sedia e sospirò con aria sognante. “Mi piacciono le sfide difficili!”
 
 
“Grazie per essere passati a trovarci!” Serj salutò con un sorriso Daron, Shavo, Sako e John, che si apprestavano a uscire dal locale.
“Tornerete a trovarci? Magari anche domani sera!” li invitò Chris con entusiasmo.
“Mi dispiace, domani ho già un impegno” rifiutò subito John, facendo scoppiare a ridere tutti. Aveva avuto Sam attaccato addosso per tutta la sera, finché il ragazzino, ubriaco marcio, non si era addormentato su una sedia.
“Magari ci faremo un salto prossimamente! Ciao e grazie per l’ospitalità!” li salutò Sako.
I quattro uscirono nella fresca aria del mattino: il sole non era ancora del tutto sorto, ma la città cominciava a svegliarsi e già si potevano scorgere i più mattinieri che non rinunciavano alla loro passeggiata o corsetta nemmeno nel weekend.
“Siamo sbronzi e non sappiamo come tornare a casa” commentò Shavo.
“Coi mezzi pubblici. Sono le sei, hanno già ripreso a viaggiare” gli fece presente John, dando uno sguardo al suo orologio da polso. “Daron, forse è il caso che ti levi il trucco prima di andare a casa” aggiunse.
“Ma a me piace!” mugolò Daron, il più ubriaco tra i quattro, reggendosi con forza a un palo per evitare di perdere l’equilibrio.
“Appena troviamo una fontanella ce lo buttiamo dentro, così lo strucchiamo e nel frattempo si riprende dalla sbronza. Che ne dite?” propose Sako con fare complice.
John e Shavo gli batterono il cinque a turno. “Ci sto!”
 
 
Era un’afosa serata estiva a Los Angeles e quattro ragazzi vagavano con fare annoiato per il Sunset Strip.
“Entriamo al Whisky?” propose Sako.
“Sapete che concerto c’è?” chiese Daron.
Mentre passavano davanti al famoso club, infatti, sentirono della musica provenire dal suo interno, ma non riuscirono ad associarla a nulla di conosciuto.
“Se volete vado a chiedere” si offrì John.
“Ehi, avete visto? Quel tipo ha un cappellino dei Motörhead davvero figo!” esclamò Shavo, accennando a un tizio che attendeva in fila al Whisky A Go Go.
“Sai che ti dico, Shavo?” sbottò prontamente Daron. “Fatti assumere come cameriere all’Happy Gay, guadagna i tuoi soldi e compratene uno uguale al suo!”
“Mi offro per accompagnarti, così non lo compri contraffatto!” disse John, cercando di apparire il più serio possibile.

I quattro scoppiarono a ridere, continuando a camminare per il marciapiede gremito di gente, e le loro voci allegre si mischiarono all’eterna baldoria di Los Angeles.
 
 
 
 
😉 😉 😉 😉 😉
 
 
 
Pensavate forse che in questi giorni non mi sarei fatta viva per festeggiare John e Daron, eh??? Lo pensavate davvero? E INVECE NO, ECCOMI QUI *-*
Arrivo in ritardo per John e in anticipo per Daron, e per giunta con una storia idiota (e non una Jarohn, sarebbe stato un doppio compleanno così romantico!), ma la mia ispirazione mi ha suggerito solo questo e inoltre la devo incastrare con altri millemila aggiornamenti!
John, Daron… perdonatemi :P
Intanto faccio gli auguri:
-      al batterista più talentuoso, bello, dolce, unico e favoloso al mondo, perché quarantasei anni fa il mondo è diventato un posto migliore;
-      e al mio chitarrista birichino e un po’ ottuso, ma a cui si perdonano tutti i pasticci, perché nessuno come lui è in grado di entrare nel cuore, emozionare e commuovere!
Ma ora asciughiamoci le lacrime (?) e recuperiamo l’atmosfera generale della one shot XD
Questa storia non ha nessun senso, lo so, e forse sul finale diventa un po’ noiosa, ma mi andava di raccontare qualcosa di folle e poco impegnativo… e mi è venuta in mente questa follia XD
Ovviamente i nostri ragazzi sono fuori dal loro contesto in quanto band, ma li ho lasciati nella loro Los Angeles, perché è il luogo perfetto per gli avvenimenti imprevedibili e i risvolti tragicomici!
Preciso solo una cosa: il Sunset Strip è una zona della famosa Sunset Boulevard di Hollywood, conosciuta per i nightclub, i locali di musica rock, ma anche i negozi un po’ chic! Negli anni Settanta e Ottanta ha avuto il suo periodo di gloria, i giovani vi si recavano per divertirsi ed è qui che sono nate e si sono sviluppate alcune tra le band più famose (anche i System hanno fatto in tempo a vivere questo movimento, anche se ormai stava tramontando).
Come vi dicevo, lo Strip ospita molti rock club, tra cui il famosissimo Rainbow; mi pare di ricordare, quando l’ho incrociato nelle mie letture, che solo i maggiorenni potessero entrare, ma non ne sono sicurissima e non sono riuscita a trovare informazioni. Quindi scusatemi se ho scritto qualche fesseria XD
Tutto il resto è frutto della mia immaginazione, compreso l’Happy Gay (anche se non viene difficile immaginare che ce ne siano tanti simili)!
Non mi resta che ringraziare chiunque sia arrivato alla fine di questa cosa nonsense, spero di non avervi annoiato :D
Alla prossima!!! ♥
 
 
   
 
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