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Autore: Ryo13    17/07/2019    3 recensioni
Francia, regione della Bretagna, 1889.
Aurélie è una giovane donna che rifiuta l'idea del matrimonio: la sua famiglia ignora le sue aspirazioni e il difficile rapporto col padre la porta a pensare che nessun uomo sia capace di amare senza esercitare una buona dose di prepotenza. Un giorno, fa un incontro assolutamente eccezionale tra gli scogli della spiaggia di Kercambre, che la condurrà per un sentiero ignoto e verso la scoperta di un amore che non limita, ma che anzi è disposto a offrire sostegno ai suoi sogni.
❈❈❈Seconda classificata al Contest "A zonzo nel tempo!" indetto da _Vintage_ sul forum di EFP.❈❈❈
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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CAPITOLO 02

Su ogni pagina che ho letto
Su ogni pagina che è bianca
Sasso sangue carta o cenere
Scrivo il tuo nome

 Liberté di Paul Éluard ∽

 
  

Non passò molto tempo che a Saint-Gildas-de-Rhuys ogni abitante ㅡ persino l’infante del calzolaio ㅡ sapesse che finalmente mademoiselle Aurélie aveva accettato il fidanzamento con l’erede dei Duval.

Invero, la notizia di questa unione non aveva mai finito di ossessionare gli abitanti di una cittadella così piccola e modesta, i quali non avevano certamente nulla di meglio da fare che darsi alla speculazione del pettegolezzo. E le due famiglie più in vista del contado erano certamente un valido motivo per far chiacchierare la gente.

La situazione era molto semplice: i Lacroix facevano parte di un ramo della nobiltà francese che era sopravvissuto tenacemente agli eventi post-rivoluzione, per essere successivamente sconfitto dalla politica della Terza Repubblica che, per voler far risorgere gli ideali di uguaglianza rivoluzionari, aveva decretato la sanzione dei titoli nobiliari a partire dagli anni settanta; i Duval, invece, appartenevano a una solida generazione di mercanti che si era finemente arricchita con gli anni. Etienne, di fatto, era l’unico erede del patrimonio di famiglia.

Madame Duval era sempre stata affascinata dall’idea di far sposare a suo figlio una fanciulla che potesse vantare una discendenza aristocratica, nonostante, al presente, la cosa avesse ormai ben poco valore: tuttavia, ella non dubitava che nel giusto contesto, e magari nel resto dell’Europa, un simile elemento avrebbe potuto giocare a favore della sua famiglia, un giorno. È per questo che aveva architettato le nozze tra i due giovani, trovando terreno fertile tra gli stessi Lacroix, affascinati dalla prospettiva del sostanzioso patrimonio. Ciò che non aveva previsto era la tenacia della giovane signorina della suddetta famiglia, la quale si era rifiutata categoricamente anche solo di incontrare suo figlio. Come se non bastasse, nemmeno quest’ultimo aveva mostrato particolare entusiasmo, e aveva accettato la prospettiva delle nozze per sfinimento, pur di non sentir più lamentare sua madre. In cuor suo, però, il fatto che la giovane si fosse mostrata tanto recalcitrante l’aveva rincuorato: si era convinto che molto presto la cosa sarebbe caduta nell’oblio e che, dopo un fallimento così evidente, sarebbe stato ritenuto sciolto da ogni legame.

Tuttavia, la situazione non era quella che tutti credevano.

Dopo quell’incredibile prima visita, infatti, la ragazza era tornata al capanno di Etienne ogni giorno, proprio come aveva detto, ma, contrariamente a quanto ritenuto dagli abitanti della città, Aurélie non aveva affatto accettato il fidanzamento. Anzi, non ci pensava proprio.

La mattina si alzava e trascorreva del tempo in riva al mare, pescando del pesce che avrebbe poi portato al gabbiano cui aveva dato nome Liberté.

Quando l’aveva così battezzato, Etienne non era riuscito a trattenersi dallo sbuffare e dal dichiarare quanto fosse bizzarro un nome simile per un animale. 

Aurélie non vi aveva badato: come da promessa, i pomeriggi infestava il suo capanno con la sua silenziosa presenza. 

Etienne non poteva certo lamentarsi che la ragazza lo disturbasse con borbottii o inutili chiacchiere: se ne stava sempre in un angolo a vezzeggiare il gabbiano o a disegnargli un ritratto. In alcuni giorni, si era persino resa utile, quando aveva dovuto offrire assistenza per la cura di un cucciolo malato e di alcune oche. Etienne non glielo aveva neppure chiesto, ma lei si era accorta quando era in difficoltà nel gestire gli animali e reperire le varie attrezzature e si era prestata a fare quanto necessario con estrema naturalezza.

Se i primi giorni l’uomo aveva nutrito un profondo fastidio per la gratuita invasione del suo spazio, col tempo si era abituato a condividere un cordiale silenzio con quella donna tanto strana.

Ogni tanto si ritrovava a fissarla. Era del tutto naturale che lo facesse, del resto: i primi tempi, quando si era rifiutata con poco garbo persino di vederlo a una specie di incontro preliminare tra le famiglie, aveva indagato discretamente su di lei. Dal garzone della stalla, aveva saputo che mademoiselle Aurélie aveva fama di essere un tipetto alquanto strambo: c’era chi era pronto a scommettere che le mancasse qualche rotella. Dopotutto, perché mai una giovane assennata avrebbe dovuto dimostrare tanto astio verso i divertimenti più comuni e una così spiccata propensione per la solitudine e l’isolamento? Inoltre, quella sua avversione per il matrimonio non lasciava presagire nulla di buono rispetto al resto dei pensieri che rimanevano celati dietro gli occhi imperscrutabili.

Dopo averla avuta vicino per più di una settimana, Etienne era pronto a scommettere che non fosse esattamente pazza, tuttavia la si poteva definire un tipo alquanto originale, questo sì.

Non riteneva nemmeno i suoi occhi imperscrutabili: quando fissava quel limpido sguardo color acquamarina, notava spesso un lampo di emozione, o il balenio di un’ironia sottile, nota a lei sola.

Non sprecava parole, eppure riusciva a comunicare con quanto aveva attorno a un livello molto profondo: aveva cominciato a notarlo dapprima con gli animali, che si aprivano a una fiducia incredibile a vedersi; poi aveva notato la sua sensibilità verso le piante: il piacere che traeva dal loro profumo, quale che fosse la specie.

Una volta l’aveva scorta in giardino: si era allontanata da diversi minuti senza abbandonare la proprietà, e lui era stato curioso di vedere cosa la impegnasse. 

L’aveva trovata con le mani sul tronco di un albero, ma non si stava appoggiando. Seguiva con i polpastrelli ogni piccola venatura, alzando lo sguardo in contemplazione dei fitti rami.

Qualcosa l’aveva fatta sorridere, poi disse: «Sei bello» con una semplicità disarmante.

Aveva dovuto riconoscere che aveva addomesticato, a qualche livello, persino lui.

⚜⚜⚜

Quel giorno il capanno pareva aver ceduto all’assalto di un esercito: il banco da lavoro era sommerso da scatoloni e vecchio materiale, il pavimento ricoperto da oggetti per lo più irrimediabilmente rovinati; nugoli di polvere avevano reso l’aria quasi irrespirabile.

Aurélie entrò mentre Etienne stava scrollandosi di dosso i pulviscoli a forza di manate su gambe e ginocchia. Alzò per aria il naso, socchiudendo gli occhi, prima di starnutire tre volte di fila.

Etienne ne sorrise, curandosi di non darlo a vedere.

«Si può sapere cosa state facendo?»

«Cercavo il mio vecchio microscopio. Non so che fine abbia fatto. Sono quasi certo che debba trovarsi qui, assieme alle cose che usavo da ragazzo.»

«Dunque avete deciso che o lo avrete, o morirete nel tentativo di ritrovarlo? Perché non avete affidato a uno dei vostri domestici questo lavoro?»

«Non permetto a nessuno di toccare le mie cose. Per quanto vecchie e inutilizzabili, mi infastidisce che chiunque possa metterci mano: alcune cose hanno un valore affettivo per me.»

Dopo quella spiegazione, Aurélie non insistette perché comprendeva bene la volontà che gli estranei rimanessero fuori da certi spazi. Tuttavia, questo pensiero non la scoraggiò dall’offrire il suo aiuto.

«Se volete, potrei darvi una mano a passare al vaglio questo caos. Non sarò un’esperta, ma penso di essere in grado di riconoscere un microscopio se ne vedo uno.»

Quello non protestò, così si misero a lavoro.

Fu incredibile la quantità di cose diverse che vennero fuori dai posti più improbabili: Aurélie scovò persino un paio di scarpe da donna. Non seppe resistere alla tentazione di sollevarle in direzione dell’uomo, con uno sguardo pregno di pungente umorismo. Etienne scosse il capo sbuffando, senza spendere una sola parola in spiegazioni.

Infine, quando aprì l’ennesimo baule consunto, trovò quello che cercava.

«Penso di averlo trovato», annunciò la ragazza scuotendo i palmi davanti alla faccia per disperdere la polvere che si era sollevata assieme al coperchio.

Etienne si avvicinò e raccolse i pezzi dello strumento, strofinandoli a uno a uno con un panno.

Aurélie diede un’occhiata a ciò che c’era sul fondo e trovò una vecchia macchina da scrivere. Sopra recava la dicitura “Remington - Sholes”.

Curiosa, tentò di estrarla, ma era molto più pesante di quanto si aspettasse, quindi non ottenne che un tonfo quando ricadde sul fondo del baule.

Etienne si voltò a guardarla con espressione interrogativa.

«Avevo solo visto… ecco, qui c’è una macchina da scrivere», disse per tutta risposta.

L’uomo posò in un angolo sgombro del tavolo i pezzi del microscopio e venne a vedere l’oggetto che aveva attirato la curiosità di Aurélie.

«Oh… era mia. È un modello del 1874», spiegò mentre la tirava fuori.

Dovette spostare a bracciate parte delle cianfrusaglie per poter far spazio alla macchina. «Chissà se funziona ancora...»

Armeggiando per qualche minuto, riuscì a renderla operativa, fornendole soprattutto nuovo inchiostro.

Aurélie non si perdeva una mossa, affascinata dall’oggetto.

Etienne se ne accorse. 

«Desiderate provarla? È la prima volta che ne vedete una?»

«No, io...», si schiarì la gola, osservandolo per un momento. Poi distolse lo sguardo. «Ne avevo una, una volta. Mio padre la distrusse dopo aver trovato ciò che avevo scritto e mi proibì di possederne altre.»

«Eravate una così pessima scrittrice?», la prese in giro.

«Peggio. Avevo trovato chi mi pubblicasse.»

«Come dite?!»

Aurélie lo fissò con un leggero sorriso sulle labbra. «Posso anche raccontarvi tutto, ma vi scandalizzereste», gli disse quasi sfidandolo.

«Avete già dato scandalo in ogni modo possibile, dubito che rimanga ancora qualcosa che non vi ritenga capace di fare. Parlate dunque!»

«Conoscete per caso Louise Michel1?»

Etienne strabuzzò gli occhi. «Volete dire La lupa assetata di sangue?2 Quella che è sempre in mezzo a qualche tafferuglio e che è stata in carcere non so più quante volte? Quella Louise Michel?!»

«Precisamente.»

«E cosa c’entrate voi con quella donna?»

«Ci siamo scritte un paio di lettere. Avevo letto di lei dai giornali qualche anno prima e rimasi affascinata dal suo attivismo politico. Non avrei saputo come contattarla, ovviamente, ma tre anni fa, durante la sua reclusione in seguito alla manifestazione per i disoccupati, pensai bene di spedirle delle lettere in prigione. Con mia sorpresa, riuscì a rispondermi e avemmo uno scambio di opinioni. Quando ottenne la grazia, mi propose di stampare qualcosa servendomi del suo editore. Poi mio padre trovò quelle pagine e proibì qualsiasi comunicazione. Seppi solo che, pochi mesi dopo, era stata arrestata di nuovo.»

«E cosa avevate scritto da suscitare una reazione tanto intensa in vostro padre?»

«Oh, mio padre è facile allo scandalo, non è che ci voglia molto…»

Aurélie accarezzò con dita leggere i tasti della macchina, mentre il silenzio si estendeva tra loro.

Etienne stava ancora aspettando ed era intenzionato a non mollare l’osso, ma non dovette attendere più a lungo.

«Ho solo scritto di come vedo il mondo.»

Quelle parole tagliarono l’aria.

Il tono, apparentemente leggero, aveva dissipato la sottile aria di ironia che aveva permeato la loro discussione fino a quel momento: quelle parole erano un distillato di verità nascoste, molto più profonde e preziose di quanto si potesse dire.

Etienne non cercò di smorzare la pesantezza del silenzio, o di introdurre un altro argomento. Lasciò che lei capisse che aveva capito, e che non aveva intenzione di schivare il problema, qualunque fosse.

Poi disse: «Potete avere la macchina».

Lei lo guardò confusa.

«Potete avere la macchina», ripetè schiarendosi la gola, «da usare nel tempo che trascorrerete qui, in attesa della guarigione del vostro pennuto.»

«Ma...»

«Vostro padre non saprà nulla, naturalmente», la interruppe. «E voi potete scrivere quel che più vi aggrada, per quanto mi riguarda.»

Dopodiché le diede le spalle, tornando al suo attrezzo.

«Grazie», sussurrò Aurélie, senza che lui la potesse sentire.

⚜⚜⚜

Così, nei giorni successivi, un nuovo elemento entrò a far parte della routine dei due giovani: mentre Etienne sedeva nel tempo libero tra i suoi libri di medicina e i due microscopi, mettendone a confronto le diverse risoluzioni, Aurélie batteva a macchina come se non avesse mai fatto altro nella vita. 

Pur essendo estremamente curioso, Etienne non disturbò mai il suo lavoro, né l’importunò con domande indiscrete. Quando e se l’avesse voluto, lo avrebbe reso partecipe del processo creativo. 

A sua volta era impegnato in uno studio estremamente interessante sui vari tipi di tessuto: aveva da poco acquistato l’ultimo modello di microscopio. Avendo reperito quello più vecchio in suo possesso, stava conducendo un confronto oggettivo sulla qualità delle innovazioni.

Il vero problema con quel tipo di studi di dettaglio, era trovare una qualche soluzione che favorisse l’osservazione con lo strumento, perché purtroppo molti campioni apparivano opachi e le varie parti non ben distinguibili tra loro. 

Ultimamente, tuttavia, era venuto a conoscenza del lavoro di un certo Adolph Hannover3 il quale aveva impiegato il triossido di cromo come fissativo, ottenendo migliori risultati.

Pur avendo un occhio sempre gettato sullo strumento, intento a fissare qualcosa, non perdeva mai di vista Aurélie: da come si agitava sulla sedia pareva inquieta. 

«Qualcosa non va?», le chiese a un certo punto.

Lei si strinse le mani sulla gonna; negli ultimi minuti aveva smesso di battere a macchina.

«Si tratta di Liberté. È agitato.»

Etienne notò solo allora che l'uccello sbatteva a tratti l'ala libera dal bendaggio, mentre tentava di strappare a beccate il legaccio che teneva farma l'altra.

«Mi sembra normale, date le circostanze. Onestamente, credo che abbia resistito più di quanto avrebbe fatto qualsiasi altro animale della sua specie. Ho controllato la ferita stamane e non credo sia ancora pronta per affrontare il volo. Rischierebbe un danno permanente se la danneggiasse ancora.»

Aurélie accennò col capo perché comprendeva i timori dell'uomo e li condivideva.

Etienne tornò al suo lavoro, ma lei non riusciva a fare a meno di provare pena per il suo gabbiano. Provò a vezzeggiarlo offrendogli piccoli bocconi di pesce, ma era dal giorno precedente che li rifiutava.

Quando fissava le chiare iridi gialle, sapeva profondamente nel suo cuore quanto quella cattività lo ferisse: era come una ferita di spillo sul petto che si prolungava per intensità, raggiungendo i polmoni e bloccandole il fiato nella gola; come la malinconia più struggente che imperla di lacrime gli occhi al ricordo d'un momento felice, ormai lontano nel tempo, inafferrabile.

Quando avvertiva un simile, acuto dolore in una creatura, Aurélie vi sprofondava senza che potesse più liberare la mente: distoglierne il pensiero sarebbe stato come decretarne la morte per indifferenza e questo non poteva permetterlo.

Il motivo per cui appariva stravagante agli occhi di tutti era perché in lei c'era questa fragilità devastante che le impediva di proteggersi dal mondo e la lasciava nuda davanti a sentimenti dilanianti.

Come la sofferenza, così era anche della gioia: Aurélie viveva tutto intensamente.

Soffriva, soffriva e soffriva dell'indifferenza umana di cui era circondata e della quale non sapeva darsi spiegazione. Aveva compreso quanto fosse diversa la sua prospettiva rispetto a quella degli altri, ma ugualmente non aveva potuto liberarsi dei suoi sentimenti né, potendo, l'avrebbe mai fatto.

Spesso era come essere l'unico abitante del pianeta che sentisse una profonda connessione con ogni creatura, senza mai trovare un compagno che vivesse quella medesima dimensione: per questo aveva deciso che non si sarebbe accontentata di ciò che offrivano le affettate consuetudini umane.

Il matrimonio era uno sterile contratto e lei non avrebbe mai dato il suo consenso per chiudersi dentro una gabbia.

Fu allora che decise il da farsi.

«Porto fuori Liberté. Torneremo tra qualche ora», annunciò di punto in bianco.

Etienne, sorpreso, la guardò accigliato raccogliere il cesto e sistemarvi meglio l'uccello. Poi la vide dirigersi alla porta.

«Aspettate! Che pensate di fare? Dove andate?»

«Andiamo alla scogliera.»

«Vi ho detto che non è ancora pronto per volare...»

«Sì, vi ho inteso perfettamente. Liberté non volerà naturalmente.»

Aurélie sgattaiolò via con la consueta naturalezza: del resto, compariva e scompariva a piacimento, ma non per questo Etienne era ancora riuscito ad abituarsi a quel modo di fare.

Dopo essere rimasto indeciso per mezzo minuto, abbandonò il lavoro sul tavolo e inforcò la porta, deciso a tallonarla: doveva proprio vedere cosa aveva in mente ora.

La raggiunse in poche falcate. Lei gli gettò un'occhiata ma non disse nulla; non mostrò nemmeno sorpresa per il fatto che l'avesse seguita.

Camminarono con passo sostenuto fino a Plage de Kercambre.

Da quando il gabbiano aveva percepito il rumore delle onde e il soffio del vento aveva preso a garrire a metà tra sofferenza ed entusiasmo.

Gli altri uccelli sulla spiaggia risposero al suo saluto e per un momento il frastuono delle stridule voci coprì quella rombante del mare.

Aurélie sorrise compiaciuta.

Liberté si agitava, tentando di uscire dalla cesta per raggiungere il suo stormo, ma la ragazza lo tenne con decisione sussurrandogli al contempo: «Calma... calma, piccolo. Li raggiungerai molto presto, adesso non è ancora il momento».

Gli carezzò le piume, soffermandosi sotto il becco. Quando smise di muoversi eccessivamente lo prese tra le braccia.

Etienne la vide alzare le braccia in alto col loro carico. Spiazzato, assistette alla scena: una piccola ragazza che sollevava in alto un gabbiano ferito contro il forte vento.

Liberté garriva lanciando richiami al cielo: lunghi suoni dolci, che avevano perso quella certa tensione ansiosa di poco prima.

Aprì l'ala sana per sentire addosso la corrente e la sbatté nell'imitazione del volo. Poi Aurélie cominciò a camminare in quella posa, dicendo: «Ecco, amico… l'aria è tua».

Quando la coppia si approssimò agli altri uccelli, quelli fuggirono via: non avevano mai visto qualcosa di tanto strano, né l'aveva mai visto Etienne, si rese conto.

Ma per quanto bizzarra fosse la scena, si ritrovò a sorridere del loro entusiasmo. 

In men che non si dica il sole si trovò alla prossimità dell'orizzonte segnando che era arrivato il momento per tutti di rientrare.

Aurélie aveva le guance rosse per il vento e lo sforzo intrapreso, ma appariva serena. Anche il gabbiano, nel suo cesto, sembrava in qualche modo più tranquillo e a riposo.

Etienne allungò un braccio.

«Lasciate che lo porti io.»

La ragazza cedette il peso senza opporre resistenza ed Etienne ne fu contento. Sapeva che non avrebbe accordato a chiunque tale libertà, né tale fiducia. 

Mentre passeggiavano, decise di spezzare il silenzio.

«Se ho ben capito, voi non desiderate sposarvi.»

Aurélie, che solitamente non aveva aspettative sugli argomenti di una normale conservazione, fu sorpresa da quella domanda. Dopotutto, non avevano mai accennato alla loro peculiare situazione da che, il primo giorno, si era presentata come sua promessa. Certo, lo aveva detto più che altro per punzecchiare, ma si trattava anche della realtà dei fatti: lei poteva essere stata restia, ma i suoi genitori volevano concludere l'affare; avevano impegnato la sua parola e, per quanto ne sapeva, anche Etienne l'aveva data, nonostante non si fosse mai preoccupato di cercarla o di conoscerla.

«No. Non se potessi scegliere», gli rispose.

«Per quale motivo? Forse non… forse non siete attratta dagli uomini?»

Lei lo guardò con un piccolo sorriso divertito.

«Non saprei. Non credo di disdegnarli fisicamente. Però non ho mai incontrato qualcuno che mi facesse venire voglia di baciarlo.»

«Sicché pensate che sarebbe penoso ritrovarvi legata a un uomo per il quale non provate il minimo trasporto?»

Lei sbuffò, come se quella fosse una domanda sciocca.

«Certo! Sarebbe penoso per chiunque trovarsi in una simile situazione. Eppure agli uomini importa molto meno perché hanno altre scappatoie, e lo sapete.»

Etienne non finse di non capire a cosa si riferiva.

«Ma la mia riluttanza, come dite voi, non dipende tanto da questo, quanto dal fatto che il matrimonio per le donne è come una gabbia: si acquista sicurezza e stabilità economica quando si fa un buon affare… però questo a prezzo della libertà individuale, perché da mogli si è soggette ai mariti.

«Che si viva dentro o fuori dal matrimonio, la posizione della donna è sempre molto difficile: molte scelgono di vendersi perché non potrebbero tollerare l'ostracismo della società; io rifiuto di farlo perché non posso tollerare l'ostracismo della mia anima.»

«Perché la vostra anima vi dovrebbe condannare se vi sposaste?»

«Lo farebbe se cedessi a una mera convenzione. Lo farebbe ogni volta che un uomo vorrebbe impormi come comportarmi, cosa pensare, cosa scrivere, dove andare… ditemi, ne esiste forse uno che non sia pronto a sottomettere sua moglie quando la volontà di lei andasse contro quella propria?»

«A onor del vero, da quel che ho visto, posso affermare che non esiste un uomo che voi non siate in grado di sottomettere.»

Aurélie sorrise sbuffando della sua battuta.

«Potreste essere voi a mettere un qualunque uomo dentro una gabbia», disse, fingendo di rabbrividire al pensiero.

«Cosa aspettate, dunque? Affrettatevi a sciogliere il nostro fidanzamento, prima che finiate molto male!»

Etienne scoppiò a ridere. «Ma io non sono un uomo qualunque

Lei strinse gli occhi, facendo una smorfia con le labbra. «E che genere di uomo siete?»

«Uno che si prende cura delle creature…», rispose soppesando le parole, «rispettandone la natura.»

Aurélie riconobbe la verità di quel discorso e lo rispettò perché, al di là del carattere burbero, non l'aveva mai fatta sentire inadeguata, né aveva mai cercato di manipolarla sfruttando come pretesto il loro presunto fidanzamento.

Non poteva negare che nutrisse un sincero affetto per gli animali, che curava sempre con solerzia.

Si era domandata, naturalmente, perché avesse acconsentito a legarsi a una perfetta estranea: quello che aveva capito  ㅡ intuito, più che altro ㅡ era che gli piaceva vivere nella tranquillità al punto che avrebbe accondisceso a qualunque questione che reputava marginale, pur di evitare inutili contrasti. 

Quando arrivarono in prossimità della casa dei Lacroix, Aurélie stava per lasciare Etienne con Liberté, ma l'uomo la trattenne.

Posò il cesto coperto sulle radici di un albero e si avvicinò alla ragazza.

«Forse non è il primo motivo per cui rifiutate l'idea del matrimonio, ma direi di toglierci il dubbio già che ci siamo...»

Aurélie aprì la bocca interrogativamente: «Ma di che cosa parl…?!»

Etienne le aveva cinto il sottile collo con le mani, prima di prendere un assaggio delle sue labbra. 

Le parole di lei si spezzarono in un ansito di sorpresa quando si ritrovò così intimamente a contatto con l'uomo.

Lui si era preso un po' di tempo per distribuire umidi baci sul labbro superiore e poi su quello inferiore; si era spinto al punto di darle qualche leggero morso, trattenendo la carne delicata tra i denti, ma senza farle male. Poi l'aveva succhiata.

Quando Aurélie fu scossa da un brivido ed ebbe liberato un sottile gemito confuso, Etienne allentò la presa, le carezzò col pollice la pelle sensibile dietro un orecchio, e la circondò ai fianchi, premendosela addosso.

Aurélie si abituò piuttosto in fretta a quella novità.

Quando Etienne si fu allontanato pochi millimetri dalle sue labbra, le bisbigliò con voce un po' roca: «Perciò… vi pare che questa intimità possa essere in qualche modo… disdegnabile

«Mmh...», borbottò quella per tutta risposta.

«'Mmh' dite?» insistette, fissandola con intensità. 

Aurélie non abbassò lo sguardo.

«Perlomeno potrei avere voglia di provarne un altro.»

Etienne sorrise e questa volta fu lei a colmare la distanza che li separava. Lui le lasciò decidere il ritmo e si abbandonò con pazienza alle sue esplorazioni: non c'era timidezza nei suoi gesti, solo un certo impaccio dovuto all'inesperienza, che Etienne trovò delizioso.

Lei era deliziosa.

Finì comunque troppo presto: una sola, breve occhiata e Aurélie era già avviata verso casa.

A Etienne non rimase che raccogliere il cesto per tornare a sua volta sul sentiero: Liberté lo fissava col suo giallo sguardo rapace.

«Sai dirmi ㅡ tu che porti questo strano nome ㅡ come posso fare mia una creatura che anela solo alla libertà?»

Il gabbiano non rispose, ma Etienne era pronto a scommettere che, se avesse potuto, avrebbe detto: «Lasciandola libera».





 
NOTE:
[1] Louise Michel (Vroncourt-la-Côte, 29 maggio 1830 – Marsiglia, 9 gennaio 1905) è stata un'anarchica e insegnante francese.
[2] Era così che l’aveva nominata la stampa.
[3] Adolph Hannover (24 Novembre 1814 - 7 Luglio 1894) fu un patologo danese il quale nel 1843 effettuò la prima definitiva descrizione microscopica delle cellule tumorali.
   
 
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