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Autore: _Lakshmi_    18/07/2019    0 recensioni
Quando Eros scocca una freccia, la vittima del suo diletto s'innamora inevitabilmente della prima creatura scorta dai suoi occhi, trasformando l'interesse in un morboso, malsano sentimento. Se sia vero o no, ancora non l'ho ben compreso, visto che simili pulsioni sono lontane dalla mia natura.
Però, da questa storia, ho capito che l'amore può anche sgrezzare l'animo di un guerriero millenario, abituato al massacro e al piacere più volgare, innalzandolo oltre la pura carnalità.
E tutto grazie ad un uomo folle, che è riuscito a vedere il mondo con occhi diversi da quelli di un qualsiasi altro mortale o divino.

[AresxAlectryon]
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
Capitoli:
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Quarto Capitolo

Quarto Capitolo:

Sera


[Sai, nipote mio,
l'amore è cura e veleno al contempo,
soprattutto per noi Eterni
]


Non ero solo superbo;


    Il mio corpo era arrivato al limite della sopportazione fisica.
Era diventato un semplice, freddo involucro per la mia anima che cercava disperatamente di rimanere aggrappata alla vita, ai ricordi, al calore.
Il tempo scorreva implacabile. Il Sole tramontava e sorgeva. Ed io, in quell'insieme indefinito, persi il contatto con la realtà circostante, sprofondando in un nero baratro gelido e oscuro.
Era arrivato dunque il mio momento?
Sentii il filo della mia esistenza tendersi, prossimo al taglio finale.
Non avrei dovuto provare alcun rimorso: io ero il padrone della mia vita, ogni decisione presa era mia e un tempo avrei rivissuto quell'esistenza nella sua interezza più e più volte.
Eppure provai dispiacere.
Qualcosa di inaccettabile per il me stesso più giovane, spavaldo ed orgoglioso, che si poneva al di sopra di uomini e dèi, tuttavia quel sentimento si fece ugualmente strada nella mia coscienza, sconvolgendo la mia anima.
Ti avrei perso.
Questa consapevolezza mi privò della mia sicurezza, gettandomi nella malinconia di una morte vuota, priva del tuo
calore, quello stesso calore che la mia anima cercava. Non era devozione o infatuazione, era bensì amore, in senso carnale e spirituale, un tutt'uno che sbaragliava ogni difesa della mia ragione.
Lo compresi proprio in quel momento, quando una parte del mio animo -per punirmi subdolamente- mi ricordò i tuoi racconti bellici decisamente enfatizzati, le tue richieste più intime ed infantili, le tue mute attenzioni che riuscivano ugualmente a farmi sentire amato.
Una lacrima scivolò sulla mia guancia.
All'improvviso, una scossa di potere divino fluì con violenza nel mio cuore, destandomi dal torpore della morte per gettarmi bruscamente nella vita.
Respirai avidamente, più e più volte, come se fossi appena riemerso dall'acqua salmastra del mare.
La fresca aria graffiava la mia gola, mentre il mio sguardo era perso nei tuoi occhi cremisi, primo bagliore che vidi dopo tanta oscurità.
Non riuscii a comprendere se la tua fosse commozione o un crudele gioco di luci, visto che mi ritrovai stretto in un abbraccio vincolante, con il viso completamente sprofondato nella tua chioma rossiccia.

« Idiota.» mormorasti al mio orecchio quel rimprovero quasi liberatorio « Perché ti sei ridotto così? Volevi suicidarti senza il mio consenso?! Perché-...?!»

Perché l'ho fatto?
Beh, lo sapevi già.
Entrambi lo sapevamo.

« Ero in debito con te... mi hai salvato dalla folgore, ricordi?» biascicai stancamente fra i tuoi capelli, come se fosse una risposta più che ovvia.

Ancora non ero in grado di capire esattamente quel che stava accadendo: dopo un attimo di silenzio, mi ritrovai sopraffatto da un tuo rude bacio.
Non era un gesto famelico o passionale, quanto più... vitale.
Come se tu avessi realmente sentito la mancanza di quel contatto
.
Come se avessi avuto paura di perdermi.
Mi carezzasti la guancia con il tuo palmo calloso, soffermandoti poco sotto agli occhi.
Mi beai di quel calore, ora che la fiamma del mio cuore era totalmente assopita.


[Viviamo secoli, millenni,
in uno stato di perenne solitudine interiore,
in attesa di quella misteriosa creatura
]


Non ero solo un tuo seguace;


    Il cocente Sole pomeridiano mi ferì la vista.
Un disonorevole sfregio per un Figlio di Helios, tanto che maledissi i miei occhi secchi senza più alcuna lacrima da versare.
Odiavo mostrarmi debole, io, un tempo luminoso quanto l'astro del cielo diurno.
Sotto il tuo muto sguardo, lottai contro il mio stesso corpo, fin quando non chinai il capo, sconfitto. Cercai allora di fare i miei primi passi dopo chissà quanto tempo trascorso in un limbo tra vita e morte, ma barcollai pericolosamente e rischiai addirittura di cadere se non ci fossi stato tu a sorreggermi.
Cosa stavi pensando? Probabilmente ti sarò sembrato patetico.

« Lasciami.» mormorai, in collera con quel mio fisico estremamente fragile.

Inspirai, cercai l'equilibrio ed infine intrapresi una lenta marcia per l'accampamento stranamente silenzioso: niente urla, nessuna esplosione, solo il chiacchiericcio delle donne dei tuoi sottoposti occupate a tessere o a lavare i panni, con i figli impegnati in leggendari combattimenti con spade fittizie.
Avrei voluto farti delle domande, ma il fiato mi mancò, tanto che mi fermai, sempre più curvo su me stesso, come se l'intero peso della volta celeste gravasse sulle mie spalle.

« Alectryon.»
« N-no... sto bene.»

Passammo sotto a colorati teli e la sola vista della luce del Sole imbrattata con le tinte umane, che variavano dal rosso più brillante al blu più profondo, alleviò momentaneamente il dolore della mia anima. Mi accasciai contro una parete, stanco, e guardai la mia mano illuminata dalle sfumature del cobalto: pur essendone cosciente, provai una profonda desolazione alla vista del totale deperimento della mia carne, della mia pelle flaccida, morta, aggrappata alle ossa e alle vene rinsecchite come radici di una pianta.
Poggiai il palmo sulla mia gabbia toracica, sul cuore pulsante, in vista, freddo come il ghiaccio. Un solo colpo a quel glaciale nucleo vitale e sarei diventato cenere.
Eppure tu restasti fermo, a braccia conserte, con quei tuoi sottili occhi cremisi fissi sul mio cadavere.
Ripresi a camminare, trascinandomi per la salita che portava ad un promontorio.
A quel promontorio, nostro luogo d'allenamento.
Quante volte avevamo percorso quella strada insieme? Forse cento, forse mille, sempre con nuove promesse, sfide, insulti scherzosi tra noi.
E tutte le volte vincevi tu, sempre.
Mentre scalavo provando un estremo affanno ad ogni passo, mi sembravano ricordi davvero lontani, quasi fittizi, frutto della mia più crudele fantasia.
Arrivato in cima, crollai a terra.
Ebbi solo la forza per trascinarmi all'ombra di un albero, sotto le fresche fronde.
Tu, dopo pacati respiri, t'inginocchiasti al mio fianco ed afferrasti il mio cuore, stringendolo in una morsa ferrea. Io, ovviamente, non mi opposi: il mio capo ciondolò sulla spalla, mentre i miei occhi si chiudevano, stanchi.

« Non hai paura?»

Non avevo energie per parlare. Un mio respiro pacato sostituì un lungo, faticoso discorso.

« Io sì

La tua confessione fu invece la tua risposta alle mie intuizioni: non volevi perdermi. E per me valse più di qualsiasi altra dichiarazione d'amore che avessi mai ricevuto in passato.
Liberasti il mio nucleo dalla tua presa, ringhiando per la frustrazione.

« Bevi.»

Come quando si offre l'acqua ad un viandante assetato, così tu mi offristi il tuo icore sgorgante dal palmo della tua mano.
Ed io bevvi avido.
Ad ogni sorso, ad ogni singola goccia, percepivo la lenta rinascita del mio fuoco, un lento risveglio del mio potere: i filamenti muscolari iniziarono a creare una protezione per il cuore, per poi diramarsi per il resto del corpo; i miei occhi persero la loro lattiginosa opacità, riconquistando la forza per fissare il Sole.
L'Icore divino normalmente è tossico per qualsiasi creatura, umana o divina, eppure dopo anni trascorsi a cibarti della mia carne, il tuo era mutato fino a diventare una vera e propria fonte curativa con cui ormai eri solito guarire le ferite dei tuoi seguaci.
Per te non era un fatto così eclatante, anzi ignoravi ogni discussione a riguardo pronunciandoti solo con un secco sospiro, ma per me era più che strabiliante, tanto che, autoproclamandomi tuo portavoce, riuscii persino a convincere i sacerdoti del tuo culto a celebrare questo aspetto.
Certo, non avevano compreso appieno le mie parole e per loro “onorare l'Icore” significava sacrificare sull'altare piccoli cuccioli -a detta loro- dal sangue puro.
Però era pur sempre un'interpretazione valida, no?

« Nella solitudine della mia prigionia, il tuo fuoco non mi ha mai abbandonato, tenendomi in vita.» il tuo respiro sferzò il mio viso posato sul tuo grembo « So di chi è la colpa e non rimarrà impunito ancora per molto.»

Mentre parlavi, percepii un'incredibile stanchezza sulle mie spalle, tanto che faticai persino a comprendere il resto del discorso.
Mi accoccolai contro al tuo corpo e sorrisi.
Ero felice.


[Umano, Dio o Titano...
il Fato è oscuro a riguardo
]



Non ero solo un Titano;


    I piedi leggiadri del servo di Eos danzavano sulla superficie di un lago punteggiata da una costellazione di bianchi petali, tanto numerosi da sembrare il riflesso delle stelle del firmamento notturno.
Scivolava, volteggiava, si librava addirittura in aria in un'armonia costante che rendeva il suo stesso fisico inscindibile dalla lancia acuminata che impugnava con tanta maestria.
Solo in quell'istante, osservando il bagliore gelido della lama che rispecchiava i raggi della luna, mi accorsi di star assistendo ad uno scontro e non ad una magnifica coreografia.
La pura grazia illesa contrapposta al pesante, impacciato corpo di Helios, grondante di Ambrosia ed immerso nell'acqua fino alle ginocchia.
Mio padre stava... morendo? Ero totalmente cosciente che fosse un'allucinazione, un sogno, eppure sembrava fin troppo realistico.

« Quindi è questa... la tua decisione?»

Spoglio di ogni difesa, con una ferita agli occhi che l'aveva probabilmente privato della vista, attendeva la propria fine con una totale serenità in volto.
Inspirai a fondo, a pieni polmoni, e il pungente odore del suo sangue mi destabilizzò. Arretrai, proprio quando anche il servo di Eos indietreggiò di un passo.
Ruppe la fluidità dei movimenti per guardare un'ultima volta il suo avversario. Vidi chiaramente una lacrima correre sul suo viso privo di emozioni.

« Mi hai costretta.» una voce piatta, femminea, vibrò dalle corde vocali del ballerino, l'intera illusione del suo corpo per un attimo mi parve semplice nebbia.

Fece roteare la lancia, pronta ad affondare la lama un'ultima volta.

« Selene... tu-...»

Ma l'assassino non gli permise neppure di pronunciare le ultime parole: l'arma leggendaria ruppe il torace del Titano, gli spezzò in un sol colpo il cuore, nucleo dell'energia vitale, innescando un fuoco eterno che iniziò a consumare il suo corpo.
Era solo un sogno.
Eppure vacillai, incerto.
L'acqua mi bagnò le caviglie, prima di ritirarsi per tornare in un'altra, pacata onda.


« IL SOLE È MORTO!
IL SOLE È MORTO!»


    Al canto gracchiante degli avvoltoi di Palioxis, mi svegliai madido di sudore, col cuore che batteva ad un ritmo serrato sin nelle orecchie.
Era stato tutto un sogno, solo un dannato incubo.
Con ancora il caldo torpore aggrappato al mio stanco fisico provai ad alzarmi per una boccata d'aria, ma qualcosa urtò violentemente la mia testa, costringendomi a stendermi in preda a dolorose fitte alla fronte.
Mi rigirai allora su un fianco e notai che in piedi, accanto al letto, c'era la minuta, sorridente figura di Alalà, figlia di Pόlemos, nella sua fiera giovinezza fittizia: certo, sembrava un'adolescente grazie ai grandi occhi cremisi e al cielo di efelidi che le costellava il viso tondo e gentile, ma in verità era una creatura antica, più antica persino di Zeus.
Da millenni animava i cuori di bellicosi guerrieri, spronandoli al massacro.
Era una riflessione sciocca, eppure solo in quel momento mi accorsi che fin prima del sopravvento degli dèi, esisteva la guerra, lo sterminio, l'odio.
E quando, esattamente, sarebbe nata? Chi, tra i Titani, aveva creato simili spiriti rancorosi? E soprattutto... perché?

« Ares mi ha ordinato di tenerti a letto.» dopo quella dichiarazione di intenti, mi puntò l'indice contro con fare minaccioso « Non provare a scappare, altrimenti la mia ira si abbatterà su di te.»

Scossi il capo, stanco. I miei pensieri stavano andando troppo oltre.

« Mi serve una boccata d'aria fresca.» tentai di mettermi seduto, ma il bastone nodoso che Alalà portava sempre allacciato alla schiena mi percosse ancora il capo « La vuoi piantare?!»
« A letto. Finché sarai sotto la mia protezione, non ti alzerai da lì.» e, a sostegno del proprio celato rimprovero, sopraggiunse anche la terza percossa.
« Lo vuoi capire che fa male?!» sospirai seccato, ma poi notai i suoi occhi divenire lucidi, prossimi alle lacrime.

Alzai le sopracciglia in un'espressione stupita, prima di aggrottarle incerto quando, senza proferir parola, abbandonò improvvisamente la sua dannata arma per poggiare il pugno sinistro sul cuore, con la schiena ritta e i piedi uniti.
Deimos mi spiegò il significato di quel gesto: “noi guerrieri di Ares sorreggiamo tanto lo scudo con il braccio sinistro e questo gesto significa: “Io ti proteggerò a costo della vita”. Cioè, in realtà nessuno di noi porta più tanto lo scudo... è un gesto tanto simbolico, ecco. Solo Pa' lo porta e infatti lui tanto ci protegge.”.
Però io non ero degno di una simile riconoscenza: fino a quel momento, a differenza degli altri Makhai che avevano combattuto centinaia di guerre, io non mi ero mai distinto in azioni belliche degne di nota. O almeno, io non le reputavo tali.
Avevo solo agito d'istinto.

« Grazie per tutto quello che hai fatto, Strategós.» tirò su col nasino, mostrando stoicamente un'espressione quanto più seria possibile, pur col rossore della commozione « A nome di tutti noi, ti volevamo ringraziare per aver salvato il nostro Signore. Senza la tua guida...» s'interruppe bruscamente per colpa di un singhiozzo traditore.

A quella dimostrazione d'affetto sorrisi con dolcezza, poggiandole la mano sulla sua testolina.
Tutti, indistintamente, provavano devozione nei tuoi confronti: non eri solo una divinità da servire, bensì eri una vera e propria fonte di sicurezza e di conforto, grazie alla quale anche gli spiriti da sempre disprezzati dagli altri dèi avevano trovato un proprio posto.
Persino io mi sentivo appartenere a qualcosa... a una famiglia, forse.
In ogni caso, quel sentimento che ci legava in modi diversi a te era genuino, vero e il solo pensiero di una simile, grave perdita, addolorava tutti in egual modo.
Dicevi sempre che per te ero il “tuo Sole”.
In verità ero fermamente convinto del contrario.

« Ma è normale che mi adoriate: sono il figlio del Sole dopotutto.» per sdrammatizzare quella situazione divenuta per me fin troppo soffocante, mi alzai e mi esibii in un'elegante piroetta « Prego, creature inferiori, porgetemi pure i vostri omaggi.»

Eppure lei non rispose, non mostrò neppure un sorriso.
E a quel punto iniziai a comprendere il motivo del turbamento del suo stato d'animo.

« C'è qualcosa d'altro che dovrei sapere?»

Come se stesse combattendo una gravosa battaglia morale, impiegò qualche attimo prima di rispondere alla mia domanda.

« Il nostro Signore... Ares... vuole dichiarare guerra a Poseidon per l'affronto ricevuto.» mentre ero ancora scosso dalla notizia, afferrò le mie mani in un gesto di supplica « Io sono figlia della Guerra e non dovrei avere paura di una simile decisione, eppure io temo, temo per la sua sorte. Ti prego, Alectryon: tu che sei l'essere più vicino a lui, cerca di placare il suo animo.»


Respirai a fatica, fissai il viso della Personificazione in cerca menzogna, ma era tutto tragicamente reale.
E allora sentii il mio cuore divenire di pietra.
So che non dovrei dirlo, essendo un tuo seguace, ma rivivendo la strage della battaglia con gli occhi di un adulto, capii di aberrarla: per un intero anno mi ero addossato la paura, il terrore, la crudeltà e l'odio estremo che animava l'animo umano nella guerra e il mio spirito ne era uscito corroso, se non addirittura corrotto.
Da bambino avevo lottato per difendere il mio popolo e, nella fermezza delle mie convinzioni, non mi ero mai posto alcuna domanda morale; anche nell'ultima guerra avevo combattuto per difenderti, vero, ma non mi ero scontrato solo con Oto e Efialte, bensì anche con la consapevolezza delle mie azioni.
Ed ora che il mio corpo era guarito dalla piaga del deperimento, potevo percepire con assoluta certezza la malattia che attanagliava mio animo gravido di incertezze, sangue e morte.
Avevo agito contro la mia natura.

« Dov'è adesso?» la fissai negli occhi cremisi, pregandola implicitamente di liberarmi da quella prigionia fittizia per il tuo bene.

Silenzio.
Alalà chinò il capo, inspirò e buttò fuori un doloroso sospiro.

« Non ha detto molto, solo che voleva vedere un villaggio.»

Beh, almeno non avevi dichiarato guerra a tuo zio.
O perlomeno, non ancora.
Mi alzai, raccolsi e indossai in fretta una tunica.

« Alectryon.» la Personificazione del Grido di Battaglia, con ancora il pugno premuto sul cuore, mi guardò con gli occhi colmi di quella che io al momento interpretai come fiducia, anche se forse sarebbe stato più corretto chiamarla “nostalgia”.


Gli somigliavo davvero così tanto?


[Ma quando si incontra per la prima volta lo sguardo dell'amato,
quando si stringe tra le braccia il frutto di quell'amore...
mi domando...
davvero è un errore?
]





Fine Quarto Capitolo!



    Angolo dell'Autrice:


Ho riscritto più volte la parte finale perché non mi convinceva totalmente: nella prima stesura sembrava più un dramma spagnolo, con Alectryon che fuggiva dall'accampamento; nella seconda pure, nella terza anche... e... beh, alla fine ho capito che dalla Spagna non mi sono portata a casa solo la tazza di Starbucks e il ricordo di un'eccellente paella.
Forse sono io che sono paranoica e mi faccio troppi problemi, però davvero, quando un pezzo non mi convince non riesco a sentirmi tranquilla con la coscienza.
Adesso sono soddisfatta? Beh... non so, però sono contenta di aver parlato sia della “nostalgia”, sia della “malattia”. Volevo già scriverci qualcosa a riguardo nei capitoli precedenti, ma non riuscivo mai a trovare lo spazio giusto, tanto che l'unico accenno alla fine si riduce a quando Pόlemos vede per la prima volta Alectryon.


Inoltre voglio parlare anche di un'altra cosa successa in questo capitolo, che per me rappresenta un traguardo: la dichiarazione di Ares.
Oltre ai drammi spagnoli, ho anche un problema con gli yaoi. Ne avevo già parlato, per cui non mi ripeterò, però non sapevo come far dichiarare il dio della guerra: un “ti amo” era decisamente... cringe.
L'ho scritto, eh, solo che nella rilettura i miei neuroni si fissavano più su “quanto fosse cringe”, piuttosto che concentrarsi sul momento in sé. Magari ancora adesso è cringe, non so, io sono di parte, ma preferisco che si sia concentrato sul fattore “importanza” che su quello “amore”. Riesco a vederlo più IC.


Voglio ringraziare i lettori/recensori e chiunque altro abbia aggiunto questa storia alle seguite/preferite!


Un bacio da _Lakshmi_!

  
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