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Autore: Mana    18/07/2019    2 recensioni
♫ Storia partecipante al contest “Darkest fantasy” indetto da Dark Sider sul forum di EFP. ♫
«Ripetete dopo di me, principessa. Giuro solennemente su fiori, alberi e ruscelli che non rivelerò i segreti di questo regno.»
«Giuro solennemente su fiori, alberi e ruscelli che non rivelerò i segreti di questo regno.»
affermò lei formale, un po’ confusa.
Sentì profumo di fiori e di erba bagnata. Davanti ai suoi occhi comparvero centinaia di piccole fate, mentre il verde della foresta si illuminava con i colori di mille magici fiori che non aveva mai veduto in vita sua. Si presentò a Rhoséd cerimoniosamente, sperando che la normale etichetta andasse bene con le fate, ma Maith la prese in giro, insegnandole che alle fate non importava null’altro che della sincerità del cuore degli esseri umani.
Genere: Fantasy, Song-fic, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Sangue di drago Prologo

Sangue di drago

–––

Sai che principeggiare è un'arte
e ogni principe che si rispetti deve essere blu come il cielo, avere virtù, trafiggere spettri
ogni principe che si rispetti dovrebbe tenere un cavallo fedele da trattare come lo spirito, come chi naviga fa con le vele
e conoscere i nomi di tutti i velieri, e conoscere i nomi di popolazioni che portano nuovi misteri da terre straniere
instaurare la pace tra fate e gnomi nei boschi uggiosi e difendere il re e la regina mostrando vigore alle prime occasioni da eroi coraggiosi...

–––

 

–Prologo–

 

 

La sola cosa che s’intravedeva dalla fessura della piccola cella era un cielo plumbeo e opprimente. Il fetore e l’umidità erano le uniche compagne che condividevano quella gabbia con la figura cenciosa e lugubre del prigioniero. Se non si fosse trattato di un accadimento eccezionale, nessuno gli avrebbe fatto visita. Nel corso della sua vita l’avevano chiamato in tanti modi: mago oscuro, stregone, alchimista, negromante. L’avevano ammirato, adulato, odiato e temuto, fino a rinchiuderlo laggiù. Re Glic in persona si trovava dinanzi a lui, ben poco disposto a tollerare a lungo quell’ambiente.

«Allora potete farlo?» incalzò, impaziente.

Re Glic, fino a quel momento, lo aveva semplicemente informato delle proprie intenzioni di incantare qualcuno, senza però specificare altro, reclamando che gli svelasse quale fosse il maleficio più potente e crudele di cui fosse a conoscenza.

«Voi avete tutti gli ingredienti richiesti? Incluso il sangue di un drago?» domandò, pur immaginando già la risposta a quel quesito.

«Il sangue del drago Smok è stato gelosamente conservato e tramandato in un’ampolla magica per oltre cinque secoli dalla famiglia reale» affermò sin troppo pomposamente Re Glic. «Ma ciò che ci manca sono le scaglie.»

«Senza di esse l’incanto non sarà completo. Ma potrà comunque servire al suo scopo» sorrise divertito.

«Il nostro indovino è molto dotato, ha visto che il mio Bréagach può ambire alla mano della principessa Bláth, e quindi al suo trono, ma solo tramite il tuo intervento!» s’impettì il re alzando la voce, schermandosi il volto con un braccio per resistere al tanfo di quell’ambiente. «Cosa comporta l’assenza delle scaglie?»

«Il vostro cosiddetto indovino non è capace di far nulla che non sia vedere frammenti di ciò che potrebbe essere, mentre io sono un alchimista versato nelle arti della stregoneria più oscura. Sono stato rinchiuso qui per lo stesso motivo per il quale ora esigete il mio aiuto. Curioso, non trovate?»

La sua magia era più potente di quelle quattro mura, ma questo non glielo disse. Avrebbe potuto liberarsi in qualsiasi momento, ponendo fine alla vita di quello sciocco senza alcun tipo di rimorso. Ma aveva ben altri piani in mente.

«Ditemi cosa comporta l’assenza delle scaglie.»

«Ci sarà la remota possibilità che la maledizione sia reversibile. Ma lo sapremo soltanto noi, quindi non dovrebbe essere un problema. Fornitemi semplicemente tutto ciò di cui disponete. In cambio chiedo solo di diventare il mentore del principe Bréagach.»

 

Si racconta che tanto tempo fa, nel Regno Bianco, nacque una sola, bellissima erede al trono: la principessa Bláth. Nei sette regni, che come nomi avevano i nomi dei sette colori dell’arcobaleno, ogni principe primogenito avrebbe avuto la possibilità di diventare il Re Supremo sposando la giovane pulzella, non prima però del di lei sedicesimo compleanno. Da parte sua, la principessa Bláth trovava estremamente noiosi tutti i suoi pretendenti, che già a nove anni altro non facevano se non cercare di conquistare il suo favore, tramite regali, lusinghe e complimenti.

Certo non si poteva dire che ella non fosse estremamente ben fatta: aveva ereditato la beltà dalla regina sua madre, morbidi boccoli chiari come la luce della luna che le incorniciavano il viso, mentre i suoi occhi parevano due gemme d’ambra come quelle del re suo padre, le sue gote rosee in contrasto con la sua pelle diafana e perfetta, che ricordava porcellana finissima. Aveva già conosciuto i principi dei sette regni durante l’infanzia, ben sapendo che un giorno uno di loro sarebbe diventato il suo sposo e il suo re. Era lei l’unica erede, la Principessa Bianca, perciò sin dalla più tenera età aveva compreso e accettato quella responsabilità, anche se non sapeva come il suo futuro consorte sarebbe stato scelto.

Se c’era qualcuno che aveva un’indole ribelle, tra quei sette turbolenti fanciulli, questi era Maith, il giovane principe del Regno Azzurro, l’unico che non si uniformava al resto dei giovani, tant’è che amava sgattaiolare fuori dal castello del Regno Bianco ogniqualvolta era costretto a adempiere formalità che trovava pompose e tediose. Bláth si stava recando da lui per rimproverarlo per le assenze dei giorni precedenti quando lo vide in procinto di fuggire dalla finestra.

«Ma cosa fate?! Vi ucciderete!» esclamò preoccupata, tendendo istintivamente la mano verso di lui.

«Non accadrà nulla del genere, principessa.»

Le prese la mano, avvicinandola a sé, facendole poi vedere cosa ci fosse al di fuori di quelle stanze.

«Prima andrò lì e poi lì, infine su quell’albero» le spiegò indicando il percorso.

«Mi sembra pericoloso! E poi non c’è il sole» commentò preoccupata dall’oscurità all’orizzonte.

«Non lo è. C’è qualcuno che mi attende, credetemi.»

«Di chi si tratta?»

«Se siete così curiosa, perché non venite con me?»

«Va bene, vengo con voi!» affermò spavalda, nonostante i propri timori.

«Dovreste indossare qualcosa di più comodo, se realmente desiderate seguirmi. Potete prendere qualcosa dal mio guardaroba. E togliete i sandali.»

Ella dapprima s’indignò all’idea di vestire abiti maschili, ma Maith sembrava così sicuro di sé che non poté che assecondarlo. Era molto agitata quando mise i piedi nudi sulla fredda pietra, ma Maith la tenne per mano tutto il tempo, guidandola.

Si erano addentrati in profondità nella foresta vicino al castello, tenendosi ancora per mano mentre la fitta vegetazione riduceva ulteriormente la luce proveniente dal cielo sopra di loro.

«Cos’è questo posto?» domandò quando egli si fermò.

Quel bosco uggioso le faceva timore, ma si manteneva eretta e fiera pur con quegli abiti troppo grandi per lei e quella sensazione di umido che avvertiva sulla superficie della propria pelle. Le piante rampicanti sembravano sul punto di prender vita per intrappolarla in quella foresta per sempre.

Maith tirò fuori un flauto in legno di palissandro, intonando una breve melodia delicata. Bláth, che si teneva vicinissima al principe Maith, era preoccupatissima dall’effettivo infittirsi della vegetazione intorno a loro. Non era la sua immaginazione: ogni cosa intorno a lei sembrava muoversi, infoltendo la trama di quella prigione naturale.

«Questo è il regno delle fate» dichiarò Maith inchinandosi.

«Io non vedo nulla.»

«Rhoséd, perché non vi vede? Potete permetterle di vedervi?»

«Con chi parli?»

Prima il giuramento, un sussurro giunse alle sue orecchie.

«Ripetete dopo di me, principessa. Giuro solennemente su fiori, alberi e ruscelli che non rivelerò i segreti di questo regno.»

«Giuro solennemente su fiori, alberi e ruscelli che non rivelerò i segreti di questo regno» affermò lei formale, un po’ confusa.

Sentì profumo di fiori e di erba bagnata. Davanti ai suoi occhi comparvero centinaia di piccole fate, mentre il verde della foresta si illuminava con i colori di mille magici fiori che non aveva mai veduto in vita sua. Si presentò a Rhoséd cerimoniosamente, sperando che la normale etichetta andasse bene con le fate, ma Maith la prese in giro, insegnandole che alle fate non importava null’altro che della sincerità del cuore degli esseri umani.

Maith le spiegò che era già da un po’ di tempo che gli gnomi si lamentavano del suono delle campane delle fate, perché esso danneggiava il loro udito; solo per tale ragione continuavano a rubare la polvere di fata per guarire le loro orecchie, non per un semplice capriccio o dispetto. Rhoséd era assai impressionata dal fatto che Maith fosse riuscito a comunicare con gli gnomi, ancor più sbalordita dalla notizia che le loro dolci campanelle ledessero qualcuno. Che si trattasse di gnomi aveva poca importanza, perché le fate desideravano vivere in armonia e in pace con tutti.

«Tornerò appena riuscirò a parlare nuovamente con il re degli gnomi, Rhoséd. Vedrete che riuscirò a instaurare nuovamente la pace! Le piante mi stringano come serpi tra le loro spire soffocandomi, se dovessi venir meno a questo giuramento.»

Si era già guadagnato il rispetto di entrambe le magiche comunità, nonostante fosse soltanto un semplice umano, uno degli esseri verso i quali quelle piccole creature nutrivano la più profonda diffidenza. Perciò aveva fiducia nelle proprie capacità. Non sarebbe venuto meno alla propria promessa: avrebbe trovato un punto d’incontro in grado di permettere una convivenza priva di inutili attriti. Intanto Bláth aveva portato le mani al viso, costernata dalla leggerezza con la quale egli aveva pronunciato parole così imponenti.

 

Malgrado la sua poca fiducia nella promessa fatta da Maith e nonostante fosse stata duramente rimproverata per averlo seguito all’infuori delle protettive mura del castello, Bláth non fece che pregarlo di portarla con sé ogni volta che poteva, indossando abiti maschili e dimenticando per un po’ di essere una principessa.

Quel bosco era strano, perché da un lato la terrorizzava, atterrendola fino a farla sentire nulla di più che un minuscolo insetto che l’attraversava, mentre dall’altro la attirava, con un sottile invito a fondersi con esso, divenendo parte di qualche antica magia. Maith non sembrava subire lo stesso fascino oscuro che la foresta esercitava su di lei, quindi si trattenne dal parlargliene, rincuorandosi con l’idea che egli avrebbe semplicemente pensato che desiderasse seguirlo per trascorrere del tempo con lui. E in effetti era ciò che iniziava a farsi strada nella mente del principe Maith, il quale però, nella sua giovane vita, non aveva ancora sviluppato alcun interesse verso le fanciulle.

Ciò che più lo soddisfece, durante quella visita, fu l’orgoglio di essere riuscito a tener fede al proprio giuramento verso le fate. Grazie al suo ingegno la pace fu ristabilita e messa per iscritto, con un documento che gnomi e fate vollero chiamare Il trattato di Maith, in suo onore. Erano già moltissimi anni che amava interagire con le fate, e Rhoséd discusse animatamente per convincere le altre a ricompensarlo con qualcosa di valore, nonostante egli insistesse di non necessitare di null’altro che della loro serenità e di essere pienamente soddisfatto soltanto con la loro gratitudine.

«Maith, dammi il tuo flauto» gli ordinò Rhoséd, una volta che la decisione fu stata presa.

«Ma come potrò chiamarvi, senza il flauto?» domandò il principe, non comprendendo.

«Maith, abbi fiducia. Fidati di me come noi tutti ci siamo fidati di te.»

Maith annuì, consegnandole lo strumento, che venne messo da parte. Poi la voce armoniosa della fata invase la foresta.

«In nome di Hath, il grande biancospino, io ti ordino di utilizzare d’ora innanzi questo flauto incantato ricavato dal suo magico legno. Che sia segno e simbolo della purezza del tuo cuore e tua libertà di chiamarci in qualsiasi momento e con qualsiasi melodia.»

Vicino alle mani di Rhoséd frammenti di magia forgiarono lo strumento, davanti agli occhi trasognati di Maith e di Bláth, imbarazzata dalla propria presenza a un evento così importante, al quale si sentiva indegna di assistere. Maith s’inchinò rispettoso, imitato da lei, che non voleva essere causa di alcun tipo di biasimo da parte delle piccole creature, e ricevette tra le proprie mani il nuovo flauto.

«E ora la polvere di fata. Che essa ti protegga dal male, fornendoti uno scudo incantato e meraviglioso» disse Fíonnula, una fata dai lunghi capelli turchesi, agitando le piccole braccia per lanciare sul suo viso la prodigiosa e finissima polvere. «Sii benedetto dalle fate.»

Gli gnomi furono molto meno generosi delle fate nel ricompensare Maith, almeno secondo la principessa, ma in cambio dell’immenso favore che aveva loro procurato gli assicurarono appoggio e fedeltà, svelandogli come ottenere la fiducia di qualsiasi gnomo grazie alle loro frasi segrete, che si tramandavano da millenni. Ella non le udì, perché quelli si rifiutarono di rivelarle in sua presenza, ma non se ne fece un cruccio; in fondo era stato Maith l’eroe della situazione, lei l’aveva semplicemente seguito come un’ombra silenziosa, distratta dai sussurri della foresta.

Terminata la primavera, Bláth fu costretta a salutarlo, insieme a tutti gli altri principi. Anche per quell’anno sarebbero tornati nei rispettivi regni, lasciandola alla noia più assoluta. In verità, fu triste soltanto perché non avrebbe più potuto rivedere Maith per moltissimo tempo, né avrebbe potuto lanciarsi all’esplorazione del bosco senza la sua presenza, anche perché gliel’aveva promesso. Quell’ultimo giorno che avevano trascorso insieme, laggiù, tra le fronde ombrose, egli aveva preteso la sua parola sul fatto che non sarebbe ritornata lì senza di lui. L’aveva persino sfiorata il folle pensiero di supplicarlo di regalarle il suo flauto, per poter chiamare le fate, ma poi la vergogna per una simile idea l’aveva fatta desistere. Così, pur a malincuore, con un profondo peso sull’anima, aveva acconsentito a dare la propria parola. Per quanto l’avesse desiderato, non sarebbe ritornata nella foresta da sola.

 

–––

[Song credits: Sangue di drago, Rancore]

   
 
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