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Autore: melloficent    19/07/2019    6 recensioni
Seimila anni sono un tempo imbarazzantemente lungo, per essere innamorati. Anche per un demone immortale. Soprattutto per Crowley, che non riusciva a mantenere la stessa acconciatura per più di cinque anni.
Aziraphale avrebbe detto che il motivo della sua infatuazione era ineffabile, Crowley invece pensava che l'Altissima si fosse particolarmente accanita contro di lui.
Certo, innamorarsi sulla porta est del giardino dell'Eden era qualcosa che, ne era sicuro, nessun altro aveva mai provato né mai avrebbe provato, ma Crowley ne avrebbe volentieri fatto a meno.
Specialmente se era Aziraphale, il suo migliore -e unico, al momento- amico, un angelo. Uno particolarmente stupido, in più, perché in sei millenni non si era accorto di nulla.
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[ crowley/aziraphale | post notpocalypse | they're dumb. that's it. that's the fic. ]
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Anatema Device, Aziraphale/Azraphel, Crowley, Newton Pulsifer
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer: il bello di scrivere in italiano è che Michael Sheen non può leggere questa roba.
I personaggi non sono miei, ma di Neil Gaiman e Terry Pratchett e bla bla bla. E nemmeno il titolo è mio, è di ‘From Eden’ di Hozier. Because, y’know, feels.
Ah, Crowley non sbatte le palpebre perchè i serpenti non le hanno. E nel libro i Nostri Signori e Padroni Neil Gaiman e Terry Pratchett hanno puntualizzato che Crowley non sbatte gli occhi così tanto.
Enjoy :)

 
 
I slithered here from Eden just to hide outside your door
 
 
Anthony J. Crowley era sempre stato un uomo -beh, un demone in realtà- d'azione. Non si era certamente mai posto problemi su quanto fosse lecito o meno fare qualcosa, e generalmente non perdeva il suo tempo a pensare troppo a una situazione particolarmente spinosa. Questo di solito portava a risultati interessanti, come decidere di usare l'M25 nel bel mezzo dell'Apocalisse-Che-Non-Fu o guidare una macchina infuocata con il meglio dei Queen in sottofondo fino a una base aerea per sventare il suddetto Apocalisse. Con un certo successo, anche.
Eppure, nonostante fosse in generale una persona impulsiva, spericolata e senza il minimo rispetto per le regole, per qualche ragione Crowley, nonostante l'Apocalisse-Che-Non-Fu fosse stato sventato e Paradiso e Inferno avessero definitivamente lasciato in pace lui e Aziraphale, non riusciva a confessare all'angelo seimila anni di sentimenti.
Seimila anni sono un tempo imbarazzantemente lungo, per essere innamorati. Anche per un demone immortale. Soprattutto per Crowley, che non riusciva a mantenere la stessa acconciatura per più di cinque anni.
Aziraphale avrebbe detto che il motivo della sua infatuazione era ineffabile, Crowley invece pensava che l'Altissima si fosse particolarmente accanita contro di lui.
Certo, innamorarsi sulla porta est del giardino dell'Eden era qualcosa che, ne era sicuro, nessun altro aveva mai provato né mai avrebbe provato, ma Crowley ne avrebbe volentieri fatto a meno.
Specialmente se era Aziraphale, il suo migliore -e unico, al momento- amico, un angelo. Uno particolarmente stupido, in più, perché in sei millenni non si era accorto di nulla.
Oppure lui era più bravo di quel che pensava a nascondere i suoi sentimenti, ma non credeva che fosse quello il caso. Se n'era accorto anche Freddy Mercury, in fondo. Pace all'anima sua.
In tutto quello, però, c'era una nota sorprendentemente positiva. Provare amore, per quanto struggente e doloroso e sconveniente, lo allontanava dall'orda di demoni che Crowley tanto disprezzava.
Lui era capace di provare amore -per un angelo!-, e loro no. Era meglio di loro, e ciò dimostrava che nella sua caduta –o meglio, nel suo passeggiare vagamente verso il basso- qualcosa di buono in lui era rimasto.
Anche se Aziraphale non ricambiava e, Crowley ne era sicuro, avrebbe continuato a struggersi per l'eternità.
 
Tra una sessione di urla rabbiose alle piante e qualche marachella per il solo gusto di farlo, dato che ora non era più il suo lavoro, Crowley passava la maggior parte del suo tempo nella libreria di Aziraphale. Non che avesse poi molto da fare, in fondo, ed era sicuramente meglio stare lì e scoraggiare qualche potenziale cliente dal comprare quella prima edizione a cui l’angelo teneva davvero un sacco che poltrire nell’opprimente minimalismo della sua casa.
Crowley, però, non era l’unico accampato nella libreria di Mr. A. Z. Fell. Anathema, che aveva deciso che non avrebbe lasciato l’Inghilterra tanto presto, era una presenza quasi costante, e spesso scarrozzava con sé Newton, l’imbranato cacciatore di streghe che a giorni alterni faceva saltare tutte le luci di Soho. Aveva un talento, doveva riconoscergli Crowley. Un talento totalmente inutile e controproducente, ma pur sempre un talento.
Anathema, invece, aveva sviluppato una grande affinità con Aziraphale. Passavano la maggior parte del loro tempo a disquisire di profezie, libri vari e dei massimi sistemi del mondo, spesso l’angelo le raccontava qualche aneddoto scandaloso sull’autore di questo o quel volume e, in generale, sembravano due totali nerd insieme. Nel mentre lui e Newt facevano da mobilio, dato che Aziraphale aveva categoricamente intimato loro di non toccare nulla e Crowley non leggeva se non quando era strettamente necessario. Ovvero mai.
Un giorno d’inizio autunno Crowley era seduto su una vecchia poltrona del negozio che aveva eretto a eremo personale e Newton era accanto a lui come un fido cagnolino. Era passato quasi un mese dall’Apocalisse-Che-Non-Fu e tutto sembrava inquietantemente normale.
Anathema e Aziraphale stavano disquisendo amabilmente dei refusi di copiatura in un’edizione molto antica e appena recuperata del Liber di Catullo, nel mentre il demone e il presunto cacciatore di streghe guardavano i due in silenzio.
Newt scrutava Anathema con fare adorante mentre lei, con gli occhialini tondi sul naso delicato, indicava ad Aziraphale una parola che era sicuramente un refuso. Crowley, ne era sicuro, guardava l’angelo allo stesso modo, perché era davvero bello vedere come si infervorava e illuminava quando si parlava di letteratura e filologia o roba simile che il demone non aveva mai capito.
Era bello vedere la passione che accendeva i suoi occhi chiari, anche se per cose che Crowley non avrebbe mai compreso.
Newt, seduto composto su una sedia mezza sfondata, si girò verso di lui. Crowley, dietro gli occhiali scuri, alzò un sopracciglio interrogativo.
-Cosa? – chiese, con la sua solita e immancabile cortesia. Pulsifer, che sembrava essere sempre un po’ spaventato da lui, sussultò appena.
-È difficile per te? Provare… roba… per lui, insomma. – disse incerto, indicando con la testa la figura di Aziraphale. Crowley lo guardò con un po’ di stupore nelle iridi serpentine. Anche Newton Pulsifer, il ragazzo più idiota e con meno abilità sociali che conosceva, l’aveva capito. E Aziraphale no.
Fosse stata un’altra persona, e un altro momento, l’avrebbe vaporizzato seduta stante, per mantenere quel segreto… beh, segreto. Non lo fece solo perché sospettava che l’angelo –e Anathema, che non l’aveva mai del tutto perdonato per averla investita- non l’avrebbe presa bene.
Avrebbe potuto negare, Crowley, ridergli in faccia e dire che era del tutto impazzito. Ma, dopo seimila anni, certi segreti spingevano per uscire allo scoperto.
-Sì. Ci fai l’abitudine con il tempo, ma non è mai facile. – rispose. Anthony J. Crowley, il demone peggiore sulla faccia della Terra. Non era nemmeno capace di mantenere il suo oscuro segreto un oscuro segreto. Perché Newt l’avrebbe detto ad Anathema e Anathema, Dio non voglia, l’avrebbe detto ad Aziraphale.
E in quel caso un bagnetto nell’acqua santa non gli sarebbe sembrata un’idea così malvagia, in fondo.
-Oh. Buona fortuna. – disse piano Newt. Crowley sospirò piano e annuì.
Tornarono nel silenzio in cui erano stati fino a quel momento, ognuno guardando il proprio, esponenzialmente nerd, interesse romantico come una lady vittoriana guarda il suo futuro marito.
 
Per l’ora di pranzo Aziraphale e Anathema non avevano ancora smesso di discutere di Catullo, passando da una pacifica disquisizione di filologia a un’infervorata discussione sul tema dell’amore e dei sentimenti struggenti convogliati dalle stringate parole delle sue poesie.
Crowley e Newt li guardavano praticamente muti, mangiando di tanto in tanto un pezzo del sushi pregiato miracolosamente fatto arrivare lì da Aziraphale. E Crowley nemmeno mangiava, di solito, ma l’aveva miracolato Aziraphale, doveva almeno prendere un boccone.
Ad un certo punto, stanco di ascoltare senza aver nulla da dire, il demone prese la parola.
-Io lo conoscevo, Catullo. Ragazzo brillante, un po’ scemo. – disse casualmente, lottando con le bacchette per afferrare il pezzo di sushi.
Di solito non si circondava di letterati –quella era la specialità di Aziraphale. Lui era più affine ai musicisti, e, anzi, si appuntò di salutare Marylin Manson un giorno di quelli. Era da tanto che non si vedevano-, ma il suo circolo era abbastanza scatenato, per i tempi, e le loro strade si erano incrociate. Avevano anche parlato dei rispettivi tormenti d’amore un paio di volte. Erano entrambi indecentemente ubriachi, per la cronaca.
-Non era scemo, era innamorato. – puntualizzò Anathema con quel fare un po’ saccente che la contraddistingueva. Crowley alzò un sopracciglio, pensando che non ci fosse tanta differenza fra le due cose.
-Oh, che tragedia! La donna che amo non mi ricambia, scriviamoci una quantità indecente di poesie sopra e struggiamoci d’amore per il resto della nostra vita! – disse con finta enfasi. Mangiò un boccone di sushi, stavolta infilzato dal bastoncino. –Vai avanti, fatti una vita. – borbottò a bocca piena.
Probabilmente, più che di Catullo, che Satana lo abbia in gloria, stava parlando di sé. Ma nessuno poteva capirlo, a parte quell’imbranato di Newt.
-Mio caro, non si può smettere di provare qualcosa a comando. Non è un interruttore. – rispose Aziraphale con voce calma. Crowley voleva davvero dirgli che lo sapeva meglio di lui, ma aveva una facciata da salvaguardare. E un’amicizia. E la sua dignità.
-Oh, cosa vuoi che ne sappia. In fondo è un demone, non può provare amore. – disse Anathema con il solito tono scientifico. Quella stronza. La parte infantile di Crowley voleva dirgli che in fondo lei era una strega, dovrebbe essere sul rogo.
Quella matura e controllata rimase in silenzio. Vide lo sguardo di Newt saettare verso di lui per un attimo. Certo che quel ragazzo era proprio scemo, se voleva far saltare così la sua copertura.
-Seimila anni a struggerti per quello che non potrai mai avere però sei un demone quindi non puoi provare sentimenti. – borbottò velocemente a voce bassa. Forse non era stata una mossa molto intelligente, dato che era a tavola con il diretto interessato. Ma, d’altra parte, certi segreti premevano per uscire dopo seimila anni.
Aziraphale, che fino a quel momento aveva parlato poco, a disagio per qualsiasi cosa fosse diverso dall’armonia e la concordia, si drizzò sulla sedia e lo guardò con un’espressione indecifrabile e un po’ confusa.
-Cosa? – chiese aggrottando le sopracciglia chiare. Crowley era fottuto. Regalmente, completamente fottuto.
Si alzò dal tavolo quasi schizzando e fece cadere la sedia sul pavimento. Aveva sicuramente fatto un solco sul legno, l’avrebbe cancellato miracolosamente più tardi.
-Uh… ho dimenticato. Acqua. Piante. Devo andare. Ci si vede. – borbottò velocemente, praticamente scappando via dal negozio in cui, ne era certo, non avrebbe messo piede per molto tempo.
Forse dormire per l’intero secolo non era una così malvagia idea. In fondo, l’aveva già fatto nel 1800.
 
A quanto pare, un altro secolo di sonno era qualcosa di impraticabile al momento per Crowley. Aveva passato più o meno cinque giorni a rigirarsi nel letto king size, cercando di ignorare le chiamate di Aziraphale e i suoi messaggi in segreteria che gli chiedevano dove fosse finito.
Non riusciva a dormire. Non era riuscito ad assopirsi nemmeno per una decina d’anni. Gliene sarebbero bastati anche cinque, giusto il tempo che Aziraphale avesse dimenticato quella sua simpatica confessione a pranzo.
Perché l’aveva sentito, oh sì. Crowley gli aveva visto sul viso quell’espressione indecifrabile, un po’ di stupore, un po’ di curiosità e un po’ di qualcos’altro che non capiva solo nel 1941, dopo che lui gli aveva fatto evitare di essere sconvenientemente discorporato e aveva anche salvato i suoi amati libri.
Poi dicevano che non era capace di fare cose buone. O di provare sentimenti. Magari non ne fosse stato capace, gli venne da pensare.
Crowley non riusciva in alcun modo a scaricare la tensione. Aveva anche urlato alle piante con particolare vigore, e infatti qualcuna aveva fatto crescere dei fiori che, ne era sicuro, non potevano crescere su quelle piante, ma non era soddisfatto. Era comunque inquieto, come se nelle sue vene scorresse elettricità.
Non poteva rimanere in casa, rischiava di impazzire. Aveva bisogno di uscire, fare qualche casino. Magari avrebbe fatto saltare la connessione internet in tutta la città per qualche ora.
Sì, sarebbe stato divertente. Se l’Inferno non l’avesse lasciato definitivamente in pace, avrebbe di certo ricevuto un encomio.
Si infilò gli occhiali da sole, ravvivò i capelli rossicci e uscì di casa a passo spedito, pronto a creare altro caos a Londra.
I suoi piedi, invece di portarlo in un posto adatto a far saltare la connessione internet di tutta la città, lo portarono a St. James Park, tanto era sovrappensiero. Crowley si bestemmiò fra i denti e pensò che, visto che non aveva di meglio da fare, poteva andare a dar da mangiare alle anatre.
Gli piacevano le anatre, anche se non aveva mai avuto fortuna con gli animali.
Mentre si avvicinava alla sua panchina –beh, in realtà, sua e di Aziraphale- notò una figura già seduta e intenta a nutrire le anatre. Come osava un umano qualunque sedersi sulla sua panchina?
L’avrebbe fatto sloggiare di lì, sicuramente.
Mentre si avvicinava, notò che la figura seduta era spaventosamente simile a quella di Aziraphale, e che aveva lo stesso colore di capelli e lo stesso completo chiaro che l’angelo indossava sempre.
Okay, era Aziraphale. Aziraphale era seduto alla panchina. Poteva fare dietro front con nonchalance e tornare a urlare alle piante. Sì, era sicuramente la soluzione migliore.
Peccato che l’angelo si fosse girato e l’avesse notato, alzando il braccio per attirare la sua attenzione. Ora Crowley non poteva più battere in ritirata, doveva affrontare il suo destino da uomo.
Beh, in realtà poteva sempre scappare via urlando. Non era la soluzione migliore, ma sempre meglio che affrontare i suoi sentimenti nascosti per sei millenni con il diretto interessato.
Il demone prese coraggio e si sedette accanto all’angelo, che lo guardò con un’espressione sollevata.
-Oh grazie al cielo, mi stavi facendo preoccupare, mio caro. – disse sospirando lieto. Una parte di Crowley si sentì in colpa per aver fatto penare Aziraphale. Poteva reagire in maniera un po’ meno impulsiva, ora che ci pensava.
-Oh, stavo solo… dormendo, credo. – rispose il demone. Prese un pezzo di pane dalla busta di Aziraphale e lo buttò alle anatre, che accorsero zampettando.
Rimasero in silenzio per un po’, ciascuno incerto su cosa dire. Crowley voleva sotterrarsi, Aziraphale sembrava stesse cercando un giusto argomento. Non c’era mai stato un silenzio così pesante fra di loro, di solito erano confortanti. L’ultima volta che si erano sentiti così era stato il famoso 1862.
-Allora… riguardo a quella mattina… - iniziò Aziraphale vago. Crowley sperò con tutto sé stesso che si stesse riferendo a qualsiasi mattina che non fosse quella di cinque giorni prima. Sicuramente si stava riferendo a quella mattina in cui l’uno aveva fatto un allegro bagno nell’acqua santa e l’altro un giretto nel fuoco infernale. Non c’era altra spiegazione. Era così.
Crowley era, oltre che un demone e un genio del caos, anche molto stupido.
Aziraphale si morse le labbra in difficoltà e diede una mollica di pane alle anatre. –Ho sentito quello che hai detto, sai? – confessò.
I pochi neuroni ancora rimasti nel cervello di Crowley correvano urlando da una parte all’altra, una sirena nella sua testa gli intimava di tornare a dormire per un secolo, anche un millennio, se possibile.
Il demone non si azzardò a parlare. Parlando aveva già combinato troppi guai. Già poteva sentirlo Aziraphale che, con parole cordiali, gli diceva che era lusingato ma che erano un angelo e un demone, e lui non provava quelle cose, quindi era meglio se troncavano lì la loro amicizia.
Si chiese dove sarebbe potuto andare. L’America non sembrava male. Aveva anche ricevuto un encomio, per la sua fondazione.
-È… wow. Inaspettato. Non avrei mai immaginato che potessi provare cose del genere per qualcuno. – disse sorpreso. Ecco, pensò Crowley, ecco il momento in cui lo scaricava.
-Sarebbe stato bello però se ne avessi parlato con me. Non dico che avresti dovuto dirmi chi era, ma almeno sfogarti un po’. Ti avrebbe fatto bene, credo. – aggiunse.
Crowley, se avesse avuto delle palpebre, le avrebbe sbattute incredulo. Aziraphale era la persona più intelligente che conosceva e, allo stesso tempo, la più stupida.
Mille domande gli passarono per la testa. Era possibile essere una contraddizione del genere? Cosa aveva nel cervello, una scimmietta con dei piattini che ogni tanto faceva scontrare per produrre un pensiero coerente? Aziraphale avrebbe mai capito che Crowley era innamorato di lui senza speranza e possibilità di ritorno?
-Mio caro, avresti almeno potuto dirmi se era un umano, o un essere celestiale. Avrei potuto darti una mano, sai? – continuò a blaterare Aziraphale, persistente nella sua inconsapevolezza.
I due neuroni superstiti nel cervello di Crowley produssero, per la prima volta da un po’ di giorni a questa parte, un pensiero sensato e maturo. Ormai, dato che era tutto in ballo, tanto valeva dirglielo e affrontare i suoi sentimenti, piuttosto che reprimerli e rischiare di sbottare in momenti poco opportuni. Come a pranzo cinque giorni prima.
-Non credo. – lo interruppe Crowley grave. –Parlavo di te, angelo. – confessò con una grande dose di coraggio.
Ecco, ora poteva tornare a nascondersi e urlare alle sue piante, prima di sentire la risposta sicuramente negativa di Aziraphale. Se non lo sentiva non era vero, in fondo.
L’angelo si voltò verso di lui e lo guardò con quella maledetta espressione indecifrabile che aveva avuto nel ’41 e cinque giorni prima. Dio, Crowley odiava quando non sapeva cosa l’altro pensava.
Rimase un altro po’ in silenzio, e il demone stava per dirgli che si era ricordato di un’importante faccenda e che doveva scappare. Ma Aziraphale parlò, e Crowley non ebbe il coraggio di scappare.
-Oh… non l’avevo mai capito. Insomma, seimila anni sono davvero tanto tempo… - borbottò. Nonostante tutto, era rimasto. E non stava ancora dicendo che dovevano troncare la loro amicizia. Questo confortava Crowley -ciò che non lo confortava è che non l’avesse mai capito. C’era decisamente una scimmietta con dei piattini nella sua testa.
-Già. – confermò il demone, che ancora non aveva il coraggio di guardare negli occhi Aziraphale.
Era sempre stato loquace, Crowley. Ora sembrava che avesse dimenticato gran parte del suo vocabolario, tranne certi monosillabi. Probabilmente li avrebbe sfoggiati tutti in quella conversazione.
-Dev’essere stato difficile. – constatò l’angelo. –Insomma, un conto è se è solo dal ’41, e pensavo che per me fosse difficile. Ma tu… chissà cosa hai passato, mio caro. – continuò con tono preoccupato.
Crowley annuì confortato. Ancora niente discorso su come dovevano troncare la loro amicizia. Ottimo. Stupendo. Esaltante.
Il demone, una volta processato quello che Aziraphale aveva detto, si voltò di scatto verso di lui.
-Tu cosa? – chiese sorpreso, sgranando gli occhi serpentini e inarcando le sopracciglia.
L’angelo sbatté gli occhi un paio di volte e lo guardò un po’ esitante. –Cioè, insomma… pensavo si capisse? – disse incerto, alzando di un’ottava il tono.
I due neuroni di Crowley erano esplosi in un discreto spettacolo pirotecnico. Non riusciva quindi a capire appieno quello che Aziraphale stava dicendo. E, se aveva capito bene, voleva sentirglielo dire in maniera chiara e coerente.
-Si capisse cosa? – lo incalzò, un po’ impaziente e, in minima parte, divertito. Erano tornati alla loro dinamica di sempre, Crowley che era inopportuno e fastidioso e metteva in difficoltà Aziraphale e l’altro che subiva paziente.
A questo punto i volti dell’angelo e del demone erano l’uno di fronte all’altro, e sin troppo vicini per essere una conversazione casuale. Crowley notò che le guance di Aziraphale, normalmente diafane, avevano assunto una deliziosa tinta rosata.
L’angelo prese un profondo respiro. –Sono innamorato di te, Crowley. Dal 1941, ufficialmente. – confessò. Il demone aveva ricominciato a respirare, e non si era nemmeno accorto di aver trattenuto il respiro. Non sapeva nemmeno per quanto tempo, ma sospettava che se fosse stato umano sarebbe stramazzato a terra privo di sensi.
-Pensavo fosse ovvio… - aggiunse Aziraphale. Crowley si sentì in dovere di puntualizzare. Non solo l’angelo era uno scemo completo, ma anche lui lo era. Erano decisamente fatti l’uno per l’altro.
Il demone boccheggiò in cerca di aria, il cuore che non era necessario che battesse stava cercando di aprirsi un varco nel petto, a momenti.
-Uh… io… cioè… insomma… -. A quanto pare, anche la padronanza linguistica di Crowley era andata a farsi benedire, assieme ai suoi ultimi neuroni superstiti. -…sì, ecco… anche io… sono innamorato di te, angelo. Da seimila anni o giù di lì, credo… - borbottò incerto, e forse parlando un po’ troppo veloce.
Da quando l’aveva visto alla porta est del giardino dell’Eden, da quando Aziraphale aveva confessato che aveva dato via la sua spada fiammeggiante perché i primi uomini potessero proteggersi, da quando aveva fatto la cosa giusta indipendentemente da quello che diceva il Paradiso. Da quando aveva visto in lui il coraggio che a tutti gli esseri celestiali, Crowley compreso, mancava.
Leggerezza. Il demone sentiva che un peso sul suo petto fosse sparito. Poteva ricominciare a respirare e poteva non dannarsi perché Aziraphale non avrebbe mai ricambiato i suoi sentimenti. Perché lo faceva. Non l’aveva allontanato, non gli aveva educatamente suggerito che forse dovevano chiudere qualunque cosa fossero lì. Andava tutto bene.
Una mano leggermente piena si posò sulla sua, più ossuta. Le labbra di Aziraphale sulle sue erano soffici. Sapevano di cioccolata calda.
Quel momento sapeva di felicità. Era meglio del Paradiso, dell’Inferno o di qualsiasi altra cosa.
Perché ora, in St. James Park, sembrava che ci fossero solamente Crowley e Aziraphale.
Il mondo poteva anche finire ora, ma a loro non sarebbe importato.
 
 
 
A quanto pare, torno su EFP una volta l’anno circa. Il fortunato motivo di quest’anno è Good Omens.
Chiedo scusa ai Nostri Signori e Padroni Neil Gaiman e Terry Pratchett, a Michael Sheen, capitano e benzina del fandom, a David Tennant e a tutto il fandom. I pomodori sono alla vostra destra.
Boh, una recensione mi farebbe molto felice. Anche solo per dirmi che questa roba dovrebbe evaporare dalla faccia dell’internet.
 
  
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