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Autore: Emmastory    20/07/2019    4 recensioni
Dopo essersi unita al suo Christopher nel sacro vincolo del matrimonio, Kaleia è felice. La cerimonia è stata per lei un vero sogno, e ancora incredula, è ancora in viaggio verso un nuovo bosco. Lascia indietro la vecchia vita, per uscire nuovamente dalla propria crisalide ed evolvere, abituandosi lentamente a quella nuova. Memore delle tempeste che ha affrontato, sa che le ci vorrà tempo, e mentre il suo legame con l'amato protettore complica le cose, forse una speranza è nascosta nell'accogliente Giardino di Eltaria. Se avrà fortuna, la pace l'accompagnerà ancora, ma in ogni caso, seguitela nell'avventura che la condurrà alla libertà.
(Seguito di: Luce e ombra: Essere o non essere)
Genere: Avventura, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Luce e ombra'
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Capitolo XV

Bambine di terra e di fuoco

Ancora stanca dopo il riposo, faticavo a svegliarmi a dovere, e aprendo gli occhi non poca fatica, mi ritrovai costretta a richiuderli per proteggermi dal sole. Per quanto ne sapevo, la principale fonte di vita delle piante dopo l’acqua, e per certi versi, anche quella dei miei poteri. Frastornata, mi tirai le coperte fin sopra il mento, e lamentandomi sommessamente, sospirai. Rigirandomi fra le coperte, incrociai lo sguardo di Christopher, che sveglio come me ma affatto disturbato dalla troppa luce, sorrideva. “Buongiorno, moglie.” Disse in un sussurro innamorato, attirandomi a sé e cingendomi un braccio attorno alle spalle, dolce come sempre. Lasciandolo fare, mi strinsi a lui, accoccolandomi comodamente e posando la testa sul suo petto. Eravamo sposati da poco, ed era vero, ma se ogni altra donna si sarebbe sicuramente abituata in fretta, lo stesso non era ancora accaduto a me. Potendo sentire le mie parole e scoprire ciò che pensavo, gli umani più scettici si sarebbero limitati a fissarmi con il ghiaccio negli occhi e nel cuore, ed ero sicura che se fosse accaduto, voltandomi li avrei ignorati. Sapevo bene che era strano a dirsi, eppure quel titolo mi suonava ancora alieno e inadatto, ma nonostante tutto così bello da farmi emozionare e battere il cuore. Senza parole, rimasi li a guardarlo, osservando prima il luccichio presente nei suoi occhi e poi la figura asciutta nascosta dalla coperta. Data la nostra posizione, il lenzuolo lo fasciava quasi completamente, eccezione fatta per il petto ampio e le spalle larghe, e per pura fortuna, anche il tatuaggio che avrebbe per sempre avuto impresso sulla pelle. Come sempre, eravamo insieme, come sposa e consorte. Il suo ruolo come mio protettore non avrebbe mai perso la sua rilevanza, ovvio, ma ora che eravamo riusciti a tornare alla vita di sempre, liberi dagli ostacoli affrontati in passato, restavo ferma e inerme di fronte al mio presente, ed era bellissimo. Avrei potuto impegnarmi e cercare altre parole per descrivere quello che provavo, ma una parte di me era sicura che non ce ne fossero. In improvviso imbarazzo, portai una mano al cuore, riuscendo a sentire il suo battito furioso, così concitato da arrivare quasi a echeggiare nella stanza stessa. “Buongiorno, marito.” Risposi di rimando, emulando il suo tono di voce e serpeggiando fra le lenzuola fino a sfiorarlo. Finalmente abbastanza vicina, mi calmai istantaneamente, e con me anche il mio cuore. Innamorata, gli sfiorai la guancia con le labbra, e prendendomi il viso fra le mani, Christopher mi sorprese con un bacio. Guidata dai sentimenti, non mi sottrassi al suo affetto, e sorridendo in quel contatto, vi partecipai con passione, cercando nel mentre di non esagerare. Mi conoscevo, e detestavo farlo, quasi quanto perdere il controllo dei miei poteri. Rimembrando i miei trascorsi, non riuscivo a togliermi dalla mente i momenti in cui era successo, e sopraffatta ogni volta dalla paura, finivo per iniziare a tremare come un povero coniglio spaventato. Tutto ciò era per me causa di vergogna, e più il tempo scorreva, peggio mi sentivo. Scuotendo la testa, mi liberai in fretta da quei pensieri, e non avendo di nuovo occhi che per mio marito, assaporai le sue labbra godendo di ogni istante, finchè tiranna, la mancanza d’aria non ci costrinse a separarci. “Come ti senti?” mi chiese, curioso e soddisfatto. “Ti amo, Chris. Sento che ti amo che potrei restare qui per sempre.” Risposi appena, faticando a dar voce ai miei pensieri e notando che il mio giovane cuore innamorato aveva ripreso ad agitarsi. Emozionata, mi avvicinai per un ennesimo bacio, e più che contento, lui mi lasciò fare. “Siamo decise, quest’oggi, vero?” azzardò poco dopo, guardandomi negli occhi. “Esattamente.” Replicai, svelta, accennando poi a un sorriso che sciolse il cuore di entrambi. Intenerito da quella risposta, Christopher mi concesse un ultimo abbraccio, e liberandosi dalle coperte, si sedette sul letto, lo sguardo fisso sull’immagine riflessa nello specchio. Incuriosita, sbirciai a mia volta, e fu allora che mi rividi, sempre uguale e senza alcun dettaglio fuori posto. Il corpo esile, la chioma bruna, gli occhi azzurri e le ali scintillanti come ogni fata che si rispetti. Ritrovandomi a imitarlo, mi sedetti accanto a lui, e pur senza alzarmi, raccolsi da terra la mia veste da notte. Veloce la infilai, e una volta in piedi, sparii nel bagno di casa. La calda acqua della doccia non si fece attendere, e in silenzio, lasciai che mi scorresse timidamente sul corpo, cancellando la stanchezza tipica del primo mattino. Una volta pronta, attraversai il corridoio per raggiungere il salotto, ma spinta dalla curiosità, tornai in camera da letto. Per quanto ne sapevo, Christopher non sprecava mai un attimo di tempo nel prepararsi, ma oggi era diverso. Preoccupata, mi chiesi cosa potesse turbarlo, e incontrando il verde dei suoi occhi, esitai. “Va tutto bene?” azzardai, muta e con il solo uso dello sguardo. Indeciso a sua volta, Christopher non seppe cosa dire, e proprio allora, la sua felicità si spense, soppiantata da una tristezza che mai gli avevo visto dipinta in volto. “Vieni qui.” Mi pregò, sconsolato. Annuendo, mi sedetti con lui, e provando una gran pena, gli strinsi la mano. “Tesoro, vuoi parlarne?” tentai, incerta e dubbiosa. “Solo se tu vorrai ascoltarmi.” Rispose lui, con lo sguardo basso e fisso sul pavimento in segno di dolore e vergogna. “Certo, perché non dovrei?” fui svelta a rispondere, sicura che nulla mi avrebbe mai spinta ad abbandonarlo. Il silenzio che seguì le mie parole fu tale da rendermi sorda, ma all’improvviso, un suo cupo sospiro. “Kaleia, io ti amo. Finalmente siamo sposati, e non potrei chiedere di meglio, davvero, ma è passato troppo tempo dalla mia ultima visita alla mia famiglia e al mio villaggio.” Quelle furono le sue uniche parole, che ascoltai in silenzio e con il cuore in gola, temendo ancora una volta per l’incolumità di entrambi. Pur senza volerlo, diedi inizio a un pianto silenzioso, e lottando per ricacciare indietro alcune piccole lacrime, non potei far altro che liberarle. Avevo provato e fallito, e stringendomi all’uomo che tanto amavo, cercai come potevo di infondergli il coraggio che mille e mille volte lui aveva reso a me. “Amore, mi dispiace, io… non lo sapevo…” biascicai, mortificata. Alle mie parole, Christopher non ebbe reazione alcuna, salvo poi alzarmi il mento con due dita e costringermi a guardarlo. “Non provare a fartene una colpa, d’accordo? Non ne avevi idea, ed è vero, ma troveremo il tempo per tornare da loro. Mia madre, mio padre e mia sorella possono aspettare, dato che oggi è un giorno importante.” Disse poi, mutando bruscamente tono di voce e facendolo passare da calmo a iroso. Confusa, non seppi cosa dire, e ridotta al silenzio, mi limitai ad annuire. “Che vuoi dire?” indagai poco dopo, sinceramente incuriosita. Rincuorato dalla mia reazione, Christopher sorrise debolmente, e prendendomi la mano, mi invitò ad alzarmi. “È ancora presto, e lo scoprirai fra poco, ora aspettami qui.” Pregò, per poi accarezzarmi dolcemente una guancia e sparire dalla mia vista. Rimasta sola in compagnia dei miei dubbi, ingannai il tempo guardando fuori dalla finestra, con gli occhi fissi su un panorama che avrebbe tolto il fiato a chiunque. Il cielo azzurro, la città piena di vita, elfi, leprecauni e gnomi tutti concentrati sulle loro vite, e ultimi, ma non per importanza, i soliti animaletti intenti a scorrazzare per le strade cittadine. A quella vista, sorrisi di cuore, e aprendo la finestra, inspirai a pieni polmoni. Eltaria era davvero diventata la mia casa, e ora potevo esserne sicura. Di lì a poco, altri minuti scomparvero dalla mia vita, e totalmente rapita da quello spettacolo urbano e naturale insieme, quasi non mi accorsi del ritorno di Christopher nella nostra stanza. “Vieni, o faremo tardi.” Mi disse soltanto, afferrandomi un polso e incitandomi a seguirlo. Annuendo, camminai al suo fianco, e uscita di casa, mi guardai attorno, non scoprendo nulla di diverso. Come avevo visto poco prima, la natura e il villaggio di Eltaria sapientemente mescolati insieme, uniti in un mosaico di vitree eppure vivide tessere sempre capaci di fornire ogni volta dettagli differenti. Curiosa come non mai, lasciai vagare lo sguardo e la mente, e fra un passo e l’altro, un’idea. Christopher aveva detto di voler far visita ai suoi genitori, ritornare a Primedia e ricongiungersi alla sua famiglia, ma poi sembrava aver cambiato idea, e ora eravamo lì, proprio al centro della piazza principale del nostro luogo di maggior speranza. “Che ci facciamo qui?” chiesi, frastornata da migliaia di idee al riguardo e da altrettanti tentativi di capirlo da sola. “Vedi quelle case?” replicò in fretta il mio amato, stranamente divertito da quel mio senso di smarrimento. “Sono le otto del mattino, e non è domenica, perciò…” spiegò poi, lasciando quella frase in sospeso al solo scopo di incuriosirmi. “Cosa?” non potei evitare di chiedere, confusa e stranita. “Guarda.” Si limitò a rispondermi, scrutando l’orizzonte e non più le case attorno a noi. Di lì a poco, della calma non rimase che un ricordo, poiché decine o forse centinaia di bambini uscirono  ognuno dalla propria abitazione, sempre accompagnati da genitori comprensivi eppure incapaci di tenere il loro passo. Ad essere sincera, non avevo idea di cosa stesse succedendo, ma non appena vidi Lucy e Lune correre verso l’ignoto seguite a stento dai genitori, sentendo il lontananza il debolissimo suono di una campana, ricordai ogni cosa. Lune aveva accennato a una sorta di scuola in questo così magico luogo, e volendo solo salutarle, sollevai e agitai una mano perché potessero vedermi. Distratte, non mi notarono, ma lo stesso non valse per la loro madre, che raggiungendole entrambe, le convinse a rallentare, per poi voltarsi e iniziare a camminare verso di me. “Lucy, Lune, aspettate! Ci sono Chris e Kaleia!” gridò, sperando di farsi sentire anche in quell’autentico marasma di pixie e folletti. Felici, le piccole sorrisero, e correndo, mi furono subito accanto. “Kaleia! Mi hanno presa, ci credi? Mi hanno presa!” esclamò Lucy, felicissima mentre sventolava una bianca busta da lettere con sopra un sigillo mai visto prima. “Anche me!” disse allora Lune, faticando come al solito ad esprimersi ed ergendosi sulle punte per un abbraccio. Felice e orgogliosa, realizzai il suo desiderio, poi presi delicatamente la lettera dalle mani della sorella maggiore. Cauta, aprii la busta, e in silenzio, lessi ogni riga della missiva al suo interno. “Gentilissimi signori Hall, siamo lieti di informarvi che le vostre figlie Lucy e Lune sono state scelte per frequentare un intero ciclo scolastico nella prestigiosa Penderghast, scuola di Arti ed Elementi per fatine e folletti magici e perfetti.” Parole che mi stupirono, lasciandomi piacevolmente senza fiato e con il cuore gonfio di gioia per le mie piccole amiche. “Congratulazioni, Lucy.” Dissi, abbassandomi al suo livello e stringendola in un delicato abbraccio. Non osando opporsi, la piccola ricambiò quella stretta, e non appena ci separammo, notai qualcosa che prima di allora avevo solo intravisto. Proprio come per tutte le fate, anche sul polso della bambina albergava un segno, che diverso dal mio, aveva la forma di una roccia, evidente simbolo della nuda terra e indice dei suoi poteri. Scivolando nel silenzio, sorrisi sia a lei che a me stessa, e poco dopo, un’altra voce mi distrasse dai miei pensieri. “Io?” si trattava di Lune, che ancora piccola e messa inavvertitamente in ombra dalla sorella, ora si sentiva sola, e avvicinandosi, guardava alternativamente me e Christopher, andando alla ricerca della nostra approvazione. “Io?” ripetè, sentendosi ignorata. “Anche tu sei una brava fatina, Lunie. Oggi andrai a scuola, e vedrai, tutti i tuoi insegnanti lo noteranno.” Stavolta fu il mio amato a parlarle, rivolgendole uno sguardo sincero e scompigliandole amorevolmente i capelli. D’accordo con lui, cercai la sua mano per stringerla, e prima che potessi farlo, quella di Lucy si mosse verso la mia. “Ci accompagni?” chiese, con voce dolce e quasi angelica. Abbassando lo sguardo, tornai a guardarla, e notando l’infantile innocenza nei suoi occhi, mi scoprii disarmata, incapace di risponderle. “Lucy, piccola, Kaleia ed io abbiamo tanto da fare, lei ha ancora i suoi allenamenti, e…” provò a dirle Christopher, salvandomi dalla trappola che mutismo e incertezza sembravano avermi teso. “Ti prego, Chris!” insistette la bambina, non dando segni di cedimento. “Sì, ti prego!” le fece eco Lune, cantilenando nell’imitarla. “Va bene.” Concessi, non riuscendo più a trattenermi e lasciandomi sfuggire una piccola risata. Ormai sicure di aver vinto quella piccola battaglia, le piccole esultarono con gioia, e camminando al fianco di Isla, presi la mano di Lune. Felice, questa mi sorrise, e non appena le sue dita sfiorarono le mie, notai ancora quel dettaglio. A soli quattro anni, anche Lune aveva un segno sulla pelle, che diverso dalla sorella, recava la forma di una piccola fiamma. Muta ma sorpresa, capii che alla piccola si legava il fuoco, e stringendo la presa, sperai che percepisse il mio orgoglio. Così, il nostro viaggio accanto alle bambine ebbe inizio, e dopo un tempo che ci parve indefinibile, Christopher ed io raggiungemmo quell’ormai famosa scuola. Penderghast, quello era il suo nome. Tanto grande quanto austera, vantava un alto cancello di ferro, una bandiera sempre svettante nel cielo, e poco sopra alle porte principali, una P maiuscola verde brillante. Sentendo di nuovo l’orgoglio farsi spazio nel mio cuore, abbracciai le mie piccole amiche per l’ultima volta, per poi lasciarle alla madre e al loro nuovo futuro di studentesse, augurando loro il meglio nel loro viaggio alla scoperta dei loro poteri, di cui potevo solo immaginare la grandezza. Abbastanza lontana perché non mi vedessero piangere di gioia, mi voltai a guardarle, e i miei occhi si posarono sui loro marchi, che in armonioso accordo con le loro capacità, le avrebbero presto rese bambine di terra e di fuoco.     

 
   
 
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