Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Koa__    20/07/2019    5 recensioni
Questa raccolta conterrà storie più o meno brevi, incentrate sulla coppia John Watson e Sherlock Holmes e (anche, ma non soltanto) sul loro ruolo di genitori.
La storia: "La geniale imperfezione di Sherlock Holmes" partecipa al contest "Tante navi per una palma" indetto da GiuniaPalma sul forum di EFP.
Alcune di queste storie partecipano alle Challenge dei gruppi: "Hurt/Comfort Italia - Fanfiction & Fanart" e "Aspettando Sherlock 5".
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Rosamund Mary Watson, Sherlock Holmes
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
La geniale imperfezione
di Sherlock Holmes
 


 
 
 
  


 

“In all the good times I find myself 
Longin' for change 
And in the bad times I fear myself”
̶  Shallow  ̶


 
 
 
 

Ci sono momenti in cui la felicità è inappropriata, in cui provarne non dovrebbe essere lecito né giusto, eppure non se ne può fare a meno. Perché la felicità ti entra dentro e ti si aggrappa al cuore e non ne vuole sapere di lasciarti andare. Ed è meravigliosa e terrificante al tempo stesso, è una perfetta dissonanza che fa male soltanto a pensarci. Perché la tua, di felicità, arriva nel momento peggiore ovvero quando tu e Sherlock avete ormai toccato il fondo. Anzi, tu lo hai toccato e in una maniera che ti costringe a serrare gli occhi e a incamerare aria, così da placare il dolore che sale nel rivangare quella scena. Lo hai picchiato a sangue, incolpandolo della morte di Mary quando sapevi, oh dentro di te lo sapevi eccome, che non ne aveva alcuna responsabilità e che la promessa fatta al vostro matrimonio era impossibile da mantenere. Nessuno ne sarebbe stato in grado, nemmeno Mycroft Holmes con tutto quell’ingombrante potere che si porta costantemente appresso. Per quale motivo avrebbe dovuto riuscirci Sherlock? La verità è che sei stato superficiale e non hai saputo guardare oltre. Lo hai idealizzato, lo hai creduto invincibile e ti sei convinto che ogni sua parola fosse intrisa di un’aura di divinità. Quel che diceva, le deduzioni che faceva, le osservazioni che snocciolava ridacchiando sulla scena di un crimine, tutto era fatto di pura, semplice e straordinaria verità. Perché lui è geniale e meraviglioso. Lui ha dannatamente sempre ragione, anche quando ha torto marcio. Lui è perfetto e fantastico. Lui è un mostro, lo è in molte delle cose che fa come raggiungere l’overdose soltanto per convincerti a perdonarlo, però è il tuo mostro. Tuo e di nessun altro. Tuo, pensi stringendo il bordo del tavolo della cucina così forte che le nocche sbiancano e le dita tremano. Inspiri rumorosamente e quindi serri gli occhi, in cerca di una calma che non arriva se non a fatica. I ragionamenti ti si sono inceppati su quella parola minuscola, il cui peso è in grado di scavarti dentro. Tuo, Sherlock, non lo è stato mai. Non davvero, non in quel senso. E in fondo neanche lo meriteresti.
 

Qualcosa in te sta cambiando e te ne accorgi ogni giorno con un po’ più di forza. Non ci hai riflettuto ancora per bene, ma è mentre fai ritorno nella sua stanza con acqua fresca e un panno pulito, alla metà di una notte travagliata, che ti rendi conto di essere felice. Qui e adesso, lo sei davvero. Eppure non dovresti perché Sherlock sta male e non solamente nel corpo distrutto dalla droga, sta male perché lo hai ferito così in profondità che le volte in cui aggancia lo sguardo al tuo il suo dolore ti trapassa da parte a parte. No, non dovresti proprio essere felice, soprattutto se si considera che finalmente ti sei reso conto di chi sei veramente. John Watson non è altri che uno stronzo ingrato, un cieco bastardo che aveva tra le mani la cosa più bella e non è stato capace di notarla. Felice? È orribile sentirsi in questo modo e specialmente in questo momento. Perché Mary è morta da poco più di un mese ed è piuttosto probabile che tua figlia finirà col dimenticarsi di chi è suo padre, dato che per l’ennesima volta l’hai affidata a chissà chi. Tuttavia, e nonostante il male che ti divora, non riesci a fare a meno di pensare a come potrebbe essere la tua vita di nuovo a Baker Street, con Sherlock accanto. Magari potrebbe essere diversa da quella di un tempo, più intima e familiare. Hai il diritto di fantasticare su una cosa simile? No, certo che no e in un barlume di lucidità comprendi che lasciarsi andare è pericoloso, oltre che ingiusto. Eppure la felicità arriva ugualmente e lo fa senza preavviso, non si fa vedere e ti ruba un soffio o due di un sorriso abbozzato. Risate che però si smorzano quasi subito, ricacciate indietro da un martoriarsi violento di labbra oltre che dallo guardo abbassato per la vergogna. C’è un pianto lieve che ti bagna gli occhi e tenta in tutti i modi di spegnere quel divertimento dolce. E ci prova, a distruggerlo. Lo percepisci da come il dolore tenta di scavare. Lo senti entrare e fallire. Perché la felicità non se ne va e tu ti ritrovi a ridere e a piangere al tempo stesso, sferrando pugni contro al muro.
«Cristo!» Imprechi sottovoce, trattenendo un urlo strozzato. Non ne hai nessun diritto. Non avresti nemmeno quello di guardarlo o di parlare con lui, ancora meno dovresti permetterti di far galoppare certe fantasie riguardo a un vostro ipotetico futuro insieme. Però lo fai e, anzi, non sai come smettere. Forse lui è la tua, di droga. Lui è il tuo qualcuno, ovvero ciò a cui ti viene immediato pensare le volte in cui ti chiedono se c’è qualcuno nella tua vita. C’è qualcuno nella tua vita, John Watson? Ti domandi intanto che le nocche sbiancano e il fiato si spezza, di nuovo. C’è Sherlock, mormori infine, strappandoti una confessione. Da quel freddo pomeriggio di gennaio non esiste nient’altri che lui. Lui è la persona di cui non puoi fare a meno, sebbene tu ci abbia provato. Hai tentato troppe volte di allontanarlo, di dimenticarlo e di vivere senza pensare a dove stava o cosa faceva quando non eravate insieme. E nonostante tu ti sia impegnato a fondo, non ci sei mai riuscito e al contrario la sua assenza ti ha fatto soltanto del male. Adesso però non vuoi pensare a tutto questo, non puoi permettere allo sconforto di prendere il sopravvento. Aiutarlo è l’unica cosa buona che tu possa fare ed è da questo che devi ripartire. È con Sherlock Holmes che ti sei fermato quando è morta Mary e forse anche prima, andando indietro e scavando nella memoria comprendi che la tua vita è ferma dal momento in cui lui si è gettato dal tetto del Barts. Quella volta sei morto con lui e da lui devi ripartire, qui e ora. E devi farlo dalle piccole cose come trovare il coraggio di guardarlo negli occhi, tergergli la fronte sudata, ripulirgli la bocca dalle incrostazioni di vomito o somministrargli un blando sedativo per fare in modo che possa dormire almeno un paio d’ore. Puoi pensare di comprargli le sigarette così che senta meno i morsi dell’astinenza, le sue preferite gli farebbero senz’altro piacere. Oppure potresti chiedere alla signora Hudson di portarti quella bottiglia di Chivas Regal che ha messo da parte per un momento speciale. Forse lo farai, quando riuscirà a trattenere qualcosa nello stomaco. Adesso il minimo che tu possa fare è restargli accanto finché non albeggia, e poi anche oltre. Hai detto a Molly di non venire più e hai pregato la vostra padrona di casa di salire a dargli un’occhiata nei momenti in cui anche tu mangi e dormi. Ed è ciò che fai da tre giorni a questa parte. Ha funzionato, è incredibile ma ci sei riuscito. Sherlock ha superato la fase critica e sta molto meglio. Tu invece stai sempre peggio, solo che non lo dai a vedere. O almeno lo speri, non ti farebbe piacere se Sherlock si preoccupasse anche del tuo stare a pezzi.
 
 
 
La tua psicologa sostiene che il primo passo per guarire è l’accettazione. [1] Esattamente quella di cui avreste bisogno entrambi. La tua, ovviamente, non la sua. Sherlock ha già ammesso d’essere un drogato e di sentirsi dipendente da quella merda, anzi è stato proprio in quel momento che hai giurato che non l’avresti lasciato solo neanche per un attimo. Hai anche deciso che avresti ricominciato a fidarti di lui, questo però non l’hai detto. Gli hai invece promesso che quando ne sarebbe uscito avrebbe potuto trascorrere del tempo con Rosie e non una decina di minuti in un caffè, il giorno del suo compleanno, ma qualcosa di molto più concreto. A quel punto potresti anche pensare d’introdurre il tuo ritorno a Baker Street. Per intanto tutto questo è ancora lontano. Ti farai bastare la sua forza di volontà e il coraggio col quale sta affrontando l’ennesima disintossicazione. Perciò adesso non è più lui a dover fare promesse ma tu, perché non è la sua ammissione quella che stai aspettando. Quella di cui anche Sherlock ha bisogno, sebbene faccia di tutto per negare di volere le tue scuse. La tua psicologa saprebbe cosa dirti e quali nervi scoperti toccare per farti smuovere dal torpore che t’ha colto, ma non vai nel suo studio da tempo ed è anche probabile che in questa occasione neppure ti sarebbe utile. Ora ti è sufficiente serrare gli occhi e placare il respiro per afferrare la radice del problema. Permettere alla calma di prendere possesso delle tue emozioni è difficile, ma è quanto devi fare per giungere alla verità. Già, la verità. La verità è che ti senti come un bambino che sta imparando a camminare. Ci provi, cadi e ti fai male ma poi ti rialzi e intanto che lo fai ti rendi conto che non sai nemmeno come si faccia a stare al mondo. Probabilmente perché fino adesso, al mondo, non hai saputo proprio come starci. Eri convinto di sapere tutto e di essere l’unico a vedere quanto era straordinario Sherlock Holmes, il solo a essere in grado di percepire le cose belle dove chiunque vedeva arroganza e stramberie. Eppure sei stato il più cieco di tutti e soltanto ora te ne rendi conto. E adesso che il tuo eroe è caduto e che osservi da vicino la vera faccia dell’uomo che per anni hai idealizzato, ritenendolo un eroe indistruttibile, ti accorgi che la perfezione non è che un’idea da raggiungere e non una condizione nella quale vivere. Perfetto, Sherlock non lo è e non è nemmeno invincibile e il fatto che sia proprio lui a giacere davanti a te su di un letto sfatto, colto da una stanchezza che lo rende quasi apatico, ne è la prova definitiva. Ha fallito miseramente ed è proprio questo a fartelo sembrare ancora più straordinario. Lo splendore di un tempo è scomparso e al suo posto è rimasto il fallimento di un uomo meraviglioso, eccezionale e ovviamente anche geniale, ma pur sempre un essere imperfetto. Ed è strano, ma questa notte hai come la sensazione di riuscire a capirlo meglio e proprio per questo di trovarlo ancora più affascinante. Sherlock è affascinante? Oh, per te lo è sempre stato, solo che non hai mai avuto il fegato di ammetterlo.
 
 
Naturalmente non è stato merito tuo. La scintilla è scoccata altrove, in ospedale. Dopo averlo salvato dalla furia omicida di Culverton Smith sei tornato diverse volte a trovarlo, giusto per assicurati che stesse bene. Quella sera era la terza consecutiva che varcavi la soglia della sua stanza ed eri ben deciso a fargli presente che quanto accaduto con il “Cereal killer” non cambiava assolutamente niente fra voi. Avevi tutto un tuo discorso in testa che eri pronto a vomitargli addosso, caricandolo sicuramente di ulteriore dolore, poiché in nessuna maniera saresti stato disposto a perdonare quanto ti aveva fatto. Poi, inaspettatamente, è accaduto l’impensabile. Ovviamente l’intuizione non è partita da te, al contrario. Tu come al solito non stavi capendo niente di quanto stava succedendo. Vedevi Sherlock disteso su quel letto, attaccato a un dedalo di tubi che gli fuoriuscivano da ogni parte del corpo e non pensavi ad altro che uscire da lì alla svelta, perché ogni occhiata che gli dedicavi era come una coltellata nel cuore. E intanto il senso di colpa ti soffocava, rendendoti incapace di ragionare lucidamente. Fuggire, pensavi soltanto a questo. A fare il tuo stupido discorso e poi a sparire per sempre dalla sua vita. Eppure non sei scappato come desideravi e il merito è stato unicamente del gelido signor Holmes. Ancora lo rivedi, rigido e impettito sull’uscio di quella camera d’ospedale, già pronto a tornare al proprio lavoro dopo una fugace visita al fratello. Mycroft col suo ovvio giudicarti dipinto in faccia. E se ti concentri rivedi anche l’ombra di Lestrade nel corridoio e ricordi perfettamente il loro esser palesemente più sereni. Era stato facile notare un accenno di serenità tra le pieghe dello sguardo, il loro esser certi che da quel momento in avanti ci saresti stato tu a proteggere Sherlock. Ricordi la tua confusione, il tuo domandartene il motivo. Perché? Per quale ragione Mycroft, Greg e persino Mary erano così convinti che gli saresti stato vicino? Tu non lo volevi affatto. Tu desideravi ancora andartene e non tornare mai più. E stavi per dirglielo, per dire a Mycroft che quella era l’ultima volta che vi vedevate, quando è accaduto. Ed è stato in quel momento che la tua vita è cambiata.


«Ti rendi conto, dottore, che ogni cosa che mio fratello ha fatto negli ultimi anni l’ha fatta per te? Lo ritenevo un particolare più che ovvio, ma ho la sensazione che tu non l’abbia ancora capito.» Ha detto proprio così, Mycroft Holmes. Se chiudi gli occhi ancora riesci a vedere il vago senso di disgusto che provava nel guardarti, oltre che il suo odioso giocherellare con la punta dell’ombrello tra le fughe del pavimento. Devi aver anche percepito un sospiro di Lestrade in lontananza intanto che, addosso, ti si piantavano con forza gli occhi di chi è stanco di vedere il proprio fratello ridotto a quel modo da un irriconoscente medico militare. Perché la colpa è tua e Mycroft te la stava dando tutta e tu l’hai odiato davvero, hai detestato lui, quel suo fottutissimo ombrello e anche quel cavolo di ospedale. E hai odiato un po’ anche Lestrade che taceva e non interveniva per difenderti. Eppure è servito, non sai come né perché ma ti ha aiutato a capire. Da quel momento ogni tassello è andato al proprio posto e l’universo ha ripreso a girare. L’omicidio di Magnussen, il volo dal Barts, quell’overdose che lo ha gettato tra le mani di un assassino seriale, ma anche piccole cose come la maniera in cui si preoccupava per te, come si premurava di sapere tutto sulle donne con cui uscivi prima di Mary. Credevi che fosse egocentrismo o un suo infantile desiderio di voler distruggere la felicità altrui, ciò che non sapevi era che lo faceva per te. Così che tu non perdessi tempo appresso a persone bugiarde o poco interessate, ma tu anche per questo ti sei arrabbiato. Non lo capivi e hai continuato a non riuscirci per degli anni perché non sei altro che uno stronzo, John Watson. Per questo fossi ostinatamente convinto del contrario, non hai mai saputo parlare quella sua lingua meravigliosa fatta di gesti silenziosi e grandi discorsi trattenuti, di sguardi abbassati e troppe verità ricacciate indietro. Non hai mai visto chi c’è realmente dietro quello sguardo adombrato da un velo di tristezza. Ed è ciò di cui più ti penti.
 

È Mycroft che devi ringraziare, alla fine è così che stanno le cose. Mycroft che senz’altro aveva i suoi tormenti ai quali badare e che, probabilmente, colpevole ci si sentiva molto più di te. Tuttavia, se non fosse stato per lui non saresti stato capace di aprire gli occhi e vedere finalmente chi è l’uomo che per anni hai considerato il tuo migliore amico. Chi credevi di conoscere, ma del quale invece non sapevi proprio nulla. Sherlock è una persona fuori dal comune e tremendamente ordinaria al tempo stesso. È intelligente, svelto, spericolato e pazzo, ah sì, è un pazzo furioso e ai tuoi occhi questo aspetto del suo carattere lo ha sempre reso dannatamente ammaliante. Però è anche dolce e premuroso, mille volte più sensibile di te. Sherlock è un amante del tè e dei puzzle, meglio se con delitto. Inoltre ha uno spiccato senso di giustizia e adora mettersi nei guai, e di questa parte ne sei assolutamente sicuro. In fondo su molti aspetti siete anche piuttosto simili. Come dicevi, quindi, è anche tanto ordinario. Sta tutto qui ciò che ti sfuggiva? In questo e basta? Non sai se ci sia dell’altro che tiene nascosto dentro di sé, però quel che sei riuscito ad afferrare negli ultimi giorni ti ha permesso di guardarlo in maniera differente e di comprendere che tutto questo lo sta facendo per te. Si è drogato per te, si sta disintossicando per te e questa volta sarà definitivo. Non te lo sei fatto giurare, no. Non hai bisogno di belle parole, tu sei certo che andrà così. Hai iniziato a crederci nell’esatto istante in cui hai visto la determinazione di cui era impregnato il suo sguardo, una risolutezza d’intenti mescolata malamente a una sofferenza palpabile e che lo coglie anche adesso che i suoi occhi si sono posati su di te. Tu con una bacinella d’acqua e un panno pulito, fermo sulla soglia della sua stanza. Tu col volto stanco e troppe parole premute nel tuo cocciuto silenzio.
 
 
Nel vederti il suo corpo si tende, che sia mosso da un ennesimo spasmo? Oppure è la tua presenza a turbarlo? Senz’altro non ha più niente nello stomaco, quel poco che gli hai dato da magiare ore fa lo ha già rimesso. Ormai pare non esser fatto d’altro che di bile, del veleno del fallimento che già ha preso a divorare la brillantezza del suo sguardo, velato dal pianto.
«Sei sfinito» osservi, impietosito dal tremare vistoso delle sue mani. Lavargli via la fatica non è niente, eppure serve perché le sue espressioni si distendono appena. La frescura dell’acqua agisce al pari di un calmante, lava il sudore e parte della stanchezza, ridà smalto ai suoi occhi adombrati. La fase più brutta è passata e questo è il pensiero positivo al quale t’aggrappi disperatamente. Ci sono stati momenti orribili, non lo neghi. Come quello in cui sei stato costretto a farti chiudere in camera assieme a Sherlock da una spaventatissima signora Hudson, pregandola di non aprire per nessuna ragione. O anche quando hai dovuto usare tutta la tua forza per tenerlo inchiodato al letto perché non uscisse e andasse a prendersi la droga. Non sarebbe potuto fuggire da nessuna parte comunque, Mycroft ha sistemato due dei suoi fuori dal 221b, pronti a intervenire in caso di problemi. E se anche fosse stato in grado di svignarsela sarebbe stato inutile, Mycroft ha pensato anche a questo e, probabilmente aiutato da Lestrade (ma non ne sei certo), ha minacciato ogni singolo spacciatore di Londra. Sherlock non troverebbe un grammo di cocaina né un blando antidolorifico. Però tu l’hai trattenuto lo stesso, fermo sopra quel materasso e lo hai fatto con tutta la brutalità e la dolcezza di cui eri capace. Lo hai fatto piangendo perché il tuo, di dolore, era altrettanto impossibile da sopportare. Dopo d’allora è arrivato il vomito, i tremori, gli spasmi, le lacrime e quella grida che ti sembrano ancora riecheggiare nel silenzio. Tanta fatica però a qualcosa è servita, adesso di voi non è rimasta che la parte migliore.


«Anche tu» mormora, in un fiato. «Non saresti dovuto rimanere, potevi chiedere a mio fratello di mandare qualcuno.»
«Non voglio che tu faccia questa cosa con un estraneo» gli fai presente intanto che strizzi il panno nella bacinella e ti prepari a lavarlo anche sul petto «e poi non mi va che Mycroft sia coinvolto più del necessario. Ad ogni modo è il minimo che io possa fare per te dopo quel giorno in obitorio.» È quanto sputi fuori alla fine, accennando a quei tagli che ormai sono quasi del tutto spariti. Lo vedi annuire, comprensivo, lo sguardo si addolcisce di un sentimento dal retrogusto amaro e scomodo. Forse sa quel che ti sta passando per la testa, anzi magari ha compreso il tuo stato d’animo da ben prima di te. Quel che ti fa più rabbia, però, è che non c’è rancore sul suo volto e nessuna traccia di sofferenza o arrabbiatura. Non ti odia come dovrebbe. Eppure sta male, il che è perfettamente intuibile dalla maniera in cui gli s’increspano i ragionamenti al semplice ricordo o da come la sua voce trema quando riprende a parlare.
«Io te l’ho lasciato fare, John, questo lo devi sapere. Mi volevo punire per aver fallito» dice e questa volta lo sguardo l’ha puntato direttamente su di te. A te che ora tormenti quel panno intriso d’acqua e che hai portato gli occhi altrove, troppo codardo per reagire o anche solo per starlo a sentire. Ed ecco che il desiderio di fuga torna a farsi vivo, ti attanaglia le viscere in una morsa dolorosa, spingendoti alla fuga. Ma questa volta non lo ascolterai e non soltanto perché non puoi pensare di lasciarlo, ma perché se te ne andassi ora, lo perderesti per sempre e non sei disposto a non averlo nella tua vita. Questo è il tempo di parlare, di affrontare quanto per settimane hai testardamente evitato.
«Non è stata colpa di nessuno» riprende Sherlock «abbiamo sbagliato entrambi in qualcosa e ci siamo fatti così tanto male che meriteremmo di detestarci a vicenda e nient’altro. Io dovrei odiare e te e tu dovresti fare lo stesso con me, ma non è questa la soluzione. Non lo è mai. Mary non lo vorrebbe e lo sai anche tu. Quindi lasciamo da parte ciò che ci siamo fatti, superiamolo e andiamo avanti, John. Per me, per te e soprattutto per Rosie.»
«Io…»

Ma il tuo parlare s’interrompe sul nascere, cosa volevi dire proprio non lo sai. Tu cosa? È di Mary che vorresti discutere? Sherlock l’ha menzionata, il che significa che è disposto ad affrontare l’argomento. Ma tu? Tu sei pronto per questo? Senz’altro è a lei che stai pensando in questo frangente e cosa c’è su tua moglie che non hai già sezionato fin nel dettaglio? Lo sai chi hai sposato e quindi tanto vale confessarlo, almeno a te stesso. Mary Morstan era una donna che il nome se l’è creato al pari dell’identità, lei ha scelto di chiamarsi Watson e tu sei fiero che l’abbia fatto, nonostante tutto. Mary era una bugiarda e questo ormai è al di sopra di ogni ragionevole dubbio, ma era anche una donna il cui bisogno di stabilità era quasi disperato, potente tanto quanto il desiderio di fuga che il suo istinto alimentava. Aveva però anche tante qualità e non dimenticherai mai che proprio grazie a lei hai superato il dolore per la morte di Sherlock. Con lei ti sei sposato nella speranza che funzionasse e per lei, alla fine, hai pianto tutte le tue lacrime. Ora lo vedi con chiarezza, adesso che il male più soffocante se n’è andato ti è rimasta addosso soltanto la certezza di quello che siete stati. Vi siete voluti bene, ma il vostro matrimonio era destinato a fallire e dentro di te ne sei sicuro. Lei col suo individualismo, col non avere un senso di unità familiare pur cercandolo con disperazione, pur aggrappandocisi col cuore. E tu col tuo non sentirti adatto a niente, tanto meno alla paternità e di sicuro non al matrimonio. Col tuo sentirti imbrigliato dentro a un legame che non t’apparteneva ormai più, col tuo tradimento fatto di pensieri, ma non per questo meno infido. Hai amato Mary e Rosie ne è la prova vivente, ma ancora oggi ti senti incapace di definire con una parola colei che è stata tua moglie. Amata? Beh, potevi fare di meglio questo è ovvio. Cattiva? No, non lo era, ma non era neppure buona. Né bianca né nera. Né da una parte né dall’altra. Lei era tutto questo e molto di più, forse perché è così che sono le persone. Mai del tutto malvagie e mai pienamente angeliche. È così anche Sherlock Holmes e sei così persino tu.
«Lei ha cercato di vivere alla più non posso e ha fatto l’impossibile per preservare ciò che avevamo costruito» confessi alla fine, cedendo a te stesso «e per tutto il tempo in cui siamo stati sposati ci si è gettata con anima e corpo. Peccato non sia bastato.»
«Quando hai fatto un lavoro come il suo non rimani vivo a lungo, Mycroft non sbaglia mai» osserva Sherlock tirandosi meglio a sedere. La nausea sembra essergli passata, ma le luci ancora spente e il tono appena sussurrato della voce ti permettono di capire che non si è ripreso del tutto. Hai smesso di lavarlo, il panno l’hai gettato da una parte e già un po’ te ne penti, dato che ami l’idea di prenderti cura di lui.
«Mary ha agito sempre da sola» prosegui «ma non perché fosse una donna cattiva. Dentro di me ho sempre saputo che desiderava il bene per Rosie e per me, nonostante tutto era così. Al tempo stesso però… è come quando sei nell’esercito. Puoi togliere la divisa, ma non smetti mai di essere un soldato e per Mary era la stessa cosa. Lei ha vissuto nella maniera in cui l’hanno abituata a essere e le persone come lei, come noi, non cambiano mai. Per questo si è messa in mezzo tra te e quella pallottola, perché forse Mycroft aveva ragione e chi ha fatto quel tipo di vita non vive tanto a lungo. E lei lo sapeva, era sicura che prima o poi sarebbe successo e allora tanto valeva salvarti la vita.» Dentro di te hai sempre saputo che era questa la verità, ma certamente dirlo ti fa un altro effetto. Stranissimo effetto, tra l’altro. Hai la sensazione di sentirti quasi un estraneo, un qualcuno che non conosci. Chi è questo John Watson proprio non lo sai. Eppure non è nemmeno questa la verità che ti fa tremare o, almeno, non tanto quanto ciò che stai per dire.
«Non hai ucciso tu Mary Watson e mi dispiace infinitamente d’averlo pensato» dici, in un fiato, annaspando quasi per la fatica «l’ha deciso lei e non pensare neanche per un attimo che io abbia desiderato che morissi tu al suo posto. Ti ho già seppellito una volta e non intendo farlo una seconda. La verità è che me la sono presa con te perché era più facile, forse inconsciamente sapevo che non mi avresti lasciato comunque. Odiavo te perché ero troppo codardo per odiare me stesso, era più semplice così ma ho finito col ferire anche tutti quanti, persino la signora Hudson e per questo domando scusa.»
 

Non ti lasci andare alle lacrime, non più. Lo hai fatto, Dio solo sa se non hai pianto a sufficienza in quest’ultimo periodo. Ma confessare tutto ciò che hai dentro e farlo sussurrando, così come l’ammettere d’aver sbagliato su tutta la linea, aiuta ad alleggerirti e ci riesce davvero. Addirittura hai la sensazione di sentir scomparire quel peso che ti gravava sul petto. Già stai meglio, anche se ancora non piangi. Anche se ne avresti dannatamente bisogno. Anzi a stento sorridi. Uno stirarsi di labbra amaro, s’accenna tra le tue espressioni invecchiate dal male che hai vissuto. Un divertimento dolce e appena abbozzato che Sherlock spazza via definitivamente. Ha la voce ancora troppo bassa, al punto che il suo parlare sembra quasi uno dei suoi mille ragionamenti, fuoriuscito per errore. Gli occhi, invece, sono inscuriti dal buio. Li ha puntati su di te e ti fanno vibrare ancor di più. Non ci sono luci accese in quella stanza e forse questo è parte del vostro problema. A Sherlock danno fastidio e tu ormai hai imparato come muoverti. Eppure non siete completamente nascosti a voi stessi. Di luce ne filtra abbastanza dalle imposte, tanto da illuminare i vostri profili. Inoltre, il cono giallastro proveniente dalla cucina e che rischiara parte del corridoio, riesce a fare il resto. È per questo che sei riuscito a notare la sua tristezza, ora fattasi più evidente.
«Hai commesso degli errori, John, sei umano. E ne ho commessi tanti anch’io.»
«Sherlock» piangi il suo nome a voce roca, lui però ancora non ti ascolta.
«Anzi, io ne ho commessi più di te. Avrei dovuto coinvolgerti nella faccenda di Moriarty» dice, spiazzandoti completamente e al punto che sollevi lo sguardo di scatto cercando, come un disperato, di comprendere se stia o meno dicendo il vero. Mentire? No, non lo farebbe. E poi perché dovrebbe su una questione di genere? Perché stia rivangando quella vecchia storia, però, davvero non lo sai.
«Avevo pensato anche di dirtelo e girare con te il mondo in cerca di criminali, sarebbe stato divertente. Mycroft era anche pronto con un piano per farti scomparire senza destare alcun sospetto, ma all’ultimo ho rinunciato. Se ti avessi rivelato le mie intenzioni, non solo saresti stato ancora più in pericolo, ma non ti avrei dato alcuna scelta. Ti saresti sentito obbligato a seguirmi.»
«Sentirmi in obbligo?» replichi, ripetendo quelle sue stesse parole con uno stupore palpabile. È forse impazzito? D’accordo, comprendi il discorso sull’essere in pericolo, lo capisci davvero ma per il resto è ridicolo che abbia pensato che non lo volessi davvero o che ti saresti sentito costretto.
«Ti avrei seguito a occhi chiusi, Sherlock e non perché obbligato. Lo avrei fatto per starti vicino, per finire il lavoro che avevamo iniziato insieme. Avrei voluto aiutarti in questa tua impresa folle e sì» annuisci, stirando un sorriso che si addolcisce al sol pensiero. «Sarebbe stato molto divertente.»
 

Anche Sherlock sorride, ma il suo divertimento dura soltanto un attimo. Dopo abbassa lo sguardo e lo porta altrove, vuole sfuggirti e vuole farlo di nuovo e ad aiutarlo ci sono le ombre. Si sta comportando esattamente come hai fatto tu fino a un attimo fa. Ma questa volta non glielo permetterai e non lo consentirai neanche a te stesso. Essere qui e fare questo insieme è come una promessa, vi siete giurati sincerità. Dentro di te senti che l’unica maniera che avete di salvarvi è quella di non scappare più dal giudizio dell’altro. Qualsiasi pensiero lo tormenti, tu gli starai vicino. Tu che ora gli accarezzi una guancia e che sorridi, incoraggiandolo. E Sherlock che cede, annuendo e serrando le palpebre così da riprendere il filo di una respirazione regolare.
«Avrei dovuto dirtelo subito che uccidere Magnussen era la sola maniera perché tutti noi ne uscissimo puliti. Non mi avrebbero mai incriminato, e lo sapevo. Magnussen era una sciagura troppo grande per questo paese, chiunque sia oggi al potere mi è segretamente riconoscente di quello che ho fatto. Però tu devi capire, John» aggiunge, insistendo con un vivo calore addosso che raramente hai visto su di lui. «Ci avrebbe annientati. Avrebbe usato Mary per distruggere me, te e chiunque volesse. Persino Mycroft! Non l’ho ammazzato perché volevo, non sono un assassino. L’ho fatto perché dovevo così come tu hai sparato al tassista subito dopo avermi conosciuto, è stata legittima difesa. Mentre eravamo ad Appledore, poco prima di sparare, ho pensato alla bambina che tu e Mary aspettavate e mi sono chiesto che razza di futuro le avremmo dato se lo lasciavo vivere.»
«Sherlock» lo interrompi ancora, anche se ormai hai capito che non ti darà retta. Non lo fa mai, di sicuro non comincerà ora. Lo sai perché ha ucciso Magnussen e per quanto tu abbia segretamente pensato che fosse un assassino, poi hai capito che la verità era ben diversa. Mycroft è stato drammaticamente chiaro anche su questo aspetto, Sherlock lo ha fatto per te. Per difender te, Mary e il frutto del vostro amore. E allora? E allora è vero che è come la vicenda del tassista, all’epoca non hai esitato nel premere il grilletto. Sherlock ha fatto lo stesso per voi.
«E poi anche tutto questo, intendo la droga…» insiste, agita le braccia. Gli occhi sono ancora fissi sul copriletto, illuminato di tanto in tanto da qualche fascio di luce rada. La voce scura, tremante. Le dita che tamburellano frenetiche le une sulle altre sono il segno evidente della sua agitazione.
«Io ho sbagliato, John, lo so bene e se tornassi indietro agirei diversamente. Dovevo venire a casa tua, buttare giù la porta e obbligarti a guardarmi negli occhi e a dirmi che ero un assassino. Ci saremmo ammazzati di botte e insulti, ma almeno avremmo parlato in modo chiaro fin da allora e io non sarei ridotto in questo stato.»
«Oh, quanto ho sperato che lo facessi» ammetti e soltanto in quel momento trovi il coraggio di guardarlo apertamente negli occhi. Lui che adesso guarda te, e tu che un po’ te ne innamori.
 
 
Sherlock è sfatto dalla stanchezza, è sudato e trema ancora. Non è finito un bel niente e proprio in quegli attimi ti accorgi che la strada per la disintossicazione è ancora piena di ostacoli. Non t’importa quanto ci vorrà, tu sarai con lui. Non lo lascerai più andare via e questa certezza ti dà una forza incredibile.
«E invece eccoci qua» mormora, voltando lo sguardo dall’altra parte e sfuggendoti ancora. Un ampio sorriso triste gli deforma i tratti del viso e tu ti ritrovi a domandartene il motivo. È triste? Per quale ragione dovrebbe esserlo?
«Eccoci qui con te che ti senti moralmente obbligato a starmi vicino perché ti senti in colpa e che, diciamocelo, sei davvero troppo buono mentre io che… che sono arrivato a perderti in tutti i modi in cui si può perdere qualcuno.» Deglutisci a fatica, infastidito dal peso delle lacrime che ti si sono aggrappate alla gola, soffocandoti. Vorresti piangere e ridere al tempo stesso, perché non lo sai dove questo discorso potrà portarvi e una parte di te ne ha una paura fottuta. Ciò di cui sei sicuro è che non ti ha perso, sei ancora qui nonostante tutto quello che avete passato. Sei qui dopo i sensi di colpa, il dolore e le accuse. Tu, John Watson, sei ancora a Baker Street e non vedi l’ora di farti perdonare per la tua assenza, per i tuoi dannatissimi sbagli e soprattutto per il tuo aver vissuto da cieco durante tutto il tempo in cui siete stati insieme.
«Sono qui perché lo voglio, Sherlock e perché la signora Hudson ha ragione: mi sei rimasto solamente tu e sarei un pazzo a cacciarti via di nuovo. E sono qui anche perché desidero aiutarti a stare meglio, anzi, questa è la sola cosa buona che ho fatto di recente. Sì, alcune delle azioni che hai commesso in passato sono mostruose, ma se è così allora… allora sei il mio mostro, Sherlock. Mio e di nessun altro. E non me ne vado, io voglio stare con te.» Nell’impeto ti sei avvicinato e gli hai stretto una mano fra le tue. Nella foga lo stai guardando negli occhi e gli sorridi appena. Credi davvero a quanto stai dicendo, non sono favole per tenerlo buono. Sono tutte cose alle quali hai già pensato in passato, dovevi solo dirle ad alta voce.
«Baker Street è la mia casa, lo è sempre stata e voglio starci con Rosie in futuro e quando lo vorrai. Quindi no, non mi sento in obbligo. Al contrario io ho bisogno di essere qui, per chiederti scusa ogni dannato giorno della mia vita e per conoscere tutto quello che di te non ho mai capito. Ci sono arrivato, sai? Ho visto cose di te in questi giorni che non avrei mai immaginato e non vedo ora di scoprirne altre.» Lo sussurri appena e poi lo baci delicatamente sulla fronte, in un gesto d’affetto che lui ricambia stringendoti la mano a propria volta e allacciando le dita con le sue. Sherlock che ha chiuso gli occhi e ispirato per placare i tremori. Un bacio sulla fronte, soltanto questo. Per ora è perfetto così, pensi. Magari in futuro arriverà qualcosa di più consistente, per quanto lo desideri non vuoi forzarlo in niente e specialmente non adesso. O almeno di questo sei convinto, già perché Sherlock Holmes non agisce mai come ci si aspetta. Lui ti stupisce, e sconvolge, e ti prende in contropiede nell’attimo stesso in a esser catturate sono le tue labbra, in un tocco lieve e rapido, quanto disperato. Leggero e impalpabile come un soffio, il suo bacio ti cattura, ti ammalia e poi t’abbandona. E alla fine sorride, Sherlock Holmes. Lo fa a te e a te soltanto. Sospira e si lascia andare di nuovo tra i cuscini. Le vostre dita sono ancora intrecciate.
«Resta per sempre» ha detto e no, non lo sai davvero dove vi porterà tutto questo e se effettivamente quella vita insieme a Baker Street si avvererà. Non sai se sarete una famiglia, una coppia o chissà che altro, ma sai di non volerlo più lasciare. Sai che quel “per sempre” vale anche per te. E per ora tanto ti basta.



 

Fine
 
 


 
[1]Solo per far presente che in questo periodo della sua esistenza, la psicologa di John non è più Ella, ma Eurus travestita. Il che va a collocare questa fan fiction esattamente tra la scena a Baker Street, con l’abbraccio tra Sherlock e John, e quella in cui Eurus punta la pistola contro John.

 
Note: Devo ringraziare MissAdler per il prompt che mi ha dato e che recitava: “Post tld. Introspettivo. Sherlock si sta disintossicando e John gli sta vicino sia come medico che come amico e, sebbene sia ancora turbato da tutto quello che gli è successo, non può fare a meno di riflettere sull’importanza che Sherlock ha per lui, desiderando di stargli ancora più vicino, nonostante si senta profondamente in colpa.”
Shallow (link: https://www.youtube.com/watch?v=bo_efYhYU2A) è la canzone di Lady Gaga del film “A star is born” dal cui testo è tratta la citazione che ho usato e che mi ha aiutata durante la stesura della storia.
Koa
 
   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Koa__