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Autore: amelia_in_the_shadows    21/07/2019    2 recensioni
[…] Non era certo intenzione di Magnus svegliare il bell’addormentato, ma fu felice di vedere lo sguardo assonnato di Alec che, lentamente, si schiudeva come un fiore alle prime luci del mattino, regalandogli un primo piano mozzafiato su due lapislazzuli che, poteva dirlo al mondo, erano di sua proprietà e sua sola.
“Buonasera, Fiorellino” gli disse, mentre col pollice disegnava cerchi concentrici sulla gota affilata del suo Shadowhunter, imporporata dal breve sonno ristoratore da cui si era appena riscosso dopo una giornata condita di missioni […].
Genere: Fluff, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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FINO ALLA FINE
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Magnus era il genere di persona che, vedendo dall’esterno, avresti potuto considerare come incurante e sorprendentemente disinteressato ai problemi del mondo.

In parte era così: nessuno più di lui era per il quieto vivere e la libertà di espressione; l’importante, in fondo, era che questo non andasse a ledere la sua persona.

Tutto questo distaccamento aveva dovuto imparare a ostentarlo proprio per poter pensare di sopravvivere ad un’esistenza immortale – un pregio, certo, ma che non sempre si dimostrava tale.

In particolare, Magnus aveva dovuto affrontare molte perdite: persone che aveva amato, persone a cui aveva voluto bene, persone che aveva conosciuto appena, persino animali, come il Grande Catsby.

Questi soggetti presentavano un unico, grande denominatore comune, chiamato mortalità. Questo non rendeva più semplice accettare la perdita, ma, in qualche modo, Magnus se lo aspettava.

Ripensò ad Etta e a come, ad un certo punto, non fosse più stato forte abbastanza da andare a trovarla all’ospizio; a come Imasu lo avesse lasciato pensando che lui non avrebbe mai rappresentato la stabilità nella propria vita. Ad Axel.

Di qualcuno aveva saputo, di altri non era nemmeno a conoscenza di come fossero morti. Se avessero trascorso una vita felice.
Quello che però Magnus non aveva programmato era il perdere anche solo uno dei suoi compagni d’avventura, uno di quelli con cui non aveva mai messo in dubbio di poter passare l’eterna esistenza insieme.

E poi era successo.

Aveva perso Ragnor, la sua spina nel fianco, il suo dolce baccello d’amore, quello che lo faceva rimanere coi piedi per terra, per quanto possibile. Era morto per colpa dei Nephilim, e lui non aveva potuto farci niente.

Non lo avrebbe rivisto mai più; lui Ragnor e Catarina non sarebbero mai più stati il fantastico trio di stregoni che a Magnus piaceva tanto sbandierare, perché era orgoglioso dei suoi amici.

La testa andò a quel messaggio in segreteria di Raphael, quando Magnus aveva rotto con Alec. Lo ricordava bene, vivido nei suoi ricordi: tra tutte le esplicite minacce di Isabelle e le esortazioni di Clary, Simon, Maia – e persino Maryse Lightwood – per rinsavire su quella decisione, emergeva il tono sicuro e inflessibile del vampiro, il quale gli aveva rinfacciato come avesse vinto la scommessa riguardo alla sua stupida tresca con uno Shadowhunter.
Magnus rammentava come il figlio della notte avesse sottolineato con rabbia che non avrebbe mai potuto riscuotere la propria ricompensa, perché Ragnor Fell non era più vivo.

Il Sommo Stregone di Brooklyn aveva vissuto ormai per diversi secoli, eppure non smetteva di stupirsi di come il destino sapesse rivelarsi terribilmente sadico. Steso sul suo letto, un sorriso sulle labbra e lievi increspature bagnate agli occhi, Magnus Bane contemplava il profilo sinuoso del suo fidanzato dormiente.

Guarda, Raphael. Ragnor aveva scommesso sui cavalli giusti.

Avrebbe davvero voluto dirglielo con tono compiaciuto e sguardo soddisfatto, quello tipico di chi sapeva di aver vinto, lasciargli la quota di dollari pattuita e andarsene dall’Hotel Dumort con Alexander per mano. Lo avrebbe anche fatto, Magnus, probabilmente contro la volontà di Alec, poco avvezzo a queste ripicche infantili. Perché di bambini, alla fine, si parlava: Raphael, malgrado i battibecchi, era un po’ come il figlio che la sua natura da stregone non gli aveva mai concesso di avere.

Eppure, era accaduto di nuovo.

Aveva perso anche Raphael, il vampiro testardo, ostinato e caparbio che in poco tempo, dopo la sua trasformazione, era riuscito con una determinazione inaudita a sentire le braccia della propria madre attorno al proprio corpo, la croce al petto che non doleva più del disgusto provocato dalla consapevolezza di essere un’anima destinata alla dannazione eterna.

Era un uomo di parola, quel vampiro così maturo, eppure recluso in un corpo da eterno quindicenne.

Così attento alle promesse fatte che non aveva dubitato nemmeno un attimo a sacrificarsi per salvare Magnus, perché sapeva di essergli debitore di una seconda possibilità, di aver risparmiato il dolore della perdita di un figlio ad una madre mondana, di aver accolto in casa propria un randagio qualsiasi per aiutarlo ed educarlo a sopravvivere.

Ebbene, c’erano dei giorni – da quando la guerra era finita e suo padre non era riuscito nell’intento di riportarlo dove un giorno, lo sapeva, sarebbe finito – in cui Magnus veniva colto dai rimorsi del fallimento, quelli che gli dicevano di non essere stato abbastanza, né come amante, né come amico.
Tantomeno come padre.

Accadeva nei momenti più disparati: quando era con Catarina, la quale cercava di rallegrarlo con le avventure avvenute nel Perù, o quando per strada incontrava qualche ragazzetto ribelle e spensierato.

Poi vedeva Alec, il suo Alexander, e si sentiva meglio.

Il suo respiro regolare non faceva dimenticare, ma tranquillizzava; il suo esserci gli ricordava che la sofferenza per la perdita faceva parte del suo essere, che si trattasse di essere mortali o immortali, perché ormai lo aveva imparato: la morte non guardava in faccia nessuno.
Si era tanto preoccupato di perdere il suo prezioso occhi blu, quando avrebbe benissimo potuto morire prima lui per chissà quale motivo, proprio come Ragnor e Raphael.

Alec avrebbe anche potuto decidere di chiedergli di vivere per sempre insieme, in un modo o nell’altro, oppure avrebbe potuto rifiutare una simile offerta e godersi i momenti felici di condivisione reciproca fino a quando l’Angelo glielo avesse permesso, proprio come aveva fatto Etta.

In quei momenti, Magnus si prendeva un po’ di tempo e spazio per visualizzare i ricordi, concentrandosi con forza su quelli positivi, indossando un sorriso compiaciuto e allo stesso tempo non riuscendo ad impedirsi di piangere, come un folle delirante.

Poi passava, riprendeva le redini della vita, sì, della vita, dedicandosi a chi ancora c’era: l’amore della sua vita, Catarina, il suo popolo, il Presidente, se stesso.

Riscosso da quel turbinio di rievocazioni, portò una mano sulla guancia di Alexander, stringendola delicatamente a coppa, e dopo poco il Nephilim girò il volto nel suo stesso palmo, dandovi un bacio leggero, ma che ancora scaturiva brividi nello stregone.

Quanto lo aveva impressionato quel gesto tempo addietro, precisamente al loro primo appuntamento? Erano cambiate così tante cose da allora, ma quel piccolo atto era rimasta una tenerezza che Alec compiva sempre – Magnus presupponeva senza nemmeno accorgersene – e gli faceva sentire le farfalle nello stomaco.

Comunque, non era certo intenzione di Magnus svegliare il bell’addormentato, ma fu felice di vedere lo sguardo assonnato di Alec che, lentamente, si schiudeva come un fiore alle prime luci del mattino, regalandogli un primo piano mozzafiato su due lapislazzuli che, poteva dirlo al mondo, erano di sua proprietà e sua sola.


“Buonasera, Fiorellino” gli disse, mentre col pollice disegnava cerchi concentrici sulla gota affilata del suo Shadowhunter, imporporata dal breve sonno ristoratore da cui si era appena riscosso dopo una giornata condita di missioni.

Magnus era tornato da un pomeriggio libero – dove si era ritagliato del tempo per sé – e quando era rientrato a casa, nel loft che ormai condivideva appieno con Alexander come una coppia mondana qualsiasi di conviventi, aveva trovato il figlio di Raziel praticamente svenuto sul materasso, gli abiti sporchi di icore e polvere, gli scarponi che (almeno quelli) pendevano fuori dalla zona morbida, non profanando il candore del tessuto su cui poggiava il suo corpo apparentemente inerte.

Non aveva avuto cuore di svegliarlo, anche se era quasi ora di cenare; piuttosto si era preso del tempo per contemplarne la bellezza eterea. Alec era splendido e avvenente come la prima volta in cui l’aveva baciato, solo più adulto, ma sempre altamente desiderabile.

“Magnus, qualcosa non va?”

E, soprattutto, sempre schietto e sinceramente preoccupato per le persone a lui care; prese la mano di Magnus posta sul proprio viso e ne intrecciò le dita, portandosele al petto, mentre con il braccio libero si tirava a sedere, leggiadro come solo uno Shadowhunter poteva essere.

O un Angelo.

“Sono solo futili reminiscenze del passato, Alexander. A volte mi capita, ma non è niente di grave. Ora che sei qui con me, va tutto bene.”

Magnus sorrise, gli occhi a mandorla si rimpicciolirono, ma non per questo persero di intensità. Poteva sentire con la mano il battito regolare di Alec aumentare di intensità, e quel suono gli donava una serenità insperata.

“No che non va bene. Posso sapere che cosa ti ha turbato?”

I suoi occhi, color oceano in quel momento, erano in allerta, le labbra schiuse in una smorfia preoccupata e la presa ancora più salda. Alec si era appena svegliato ed era già sul chi va là, pronto ad agire, come era convenzione per un Cacciatore.

“La realizzazione del fatto che ci sono persone che ho amato e che credevo che avrei avuto a fianco per sempre, e invece non vedrò mai più,” rispose lo stregone con onestà. Erano passati i tempi delle omissioni, delle mezze verità. Aveva già esplicitato nero su bianco gli eventi più importanti della sua esistenza, nel bene e nel male, e non aveva più motivo di tacere.

“Oh… intendi Raphael? E Ragnor… mi dispiace davvero, Magnus. Per loro e per te. So… quanto fossero importanti nella tua vita.”

Magnus, senza sciogliere il nodo delle loro dita intersecate, si avvicinò ad Alec inginocchiandosi di fronte a lui; gli accarezzò il viso con una mano, per poi puntare le sue pupille verticalmente assottigliate nelle iridi cobaltine dello Shadowhunter.

“Sì, è così. Ma tu sei più importante e, soprattutto, sei qui, accanto a me. E il tuo cuore galoppa così veloce che posso sentirlo fin da qui,” soffiò a pochi centimetri dal suo volto, per poi posare entrambi gli arti sulle sue forti spalle. La sensazione di robustezza che provava nel toccarle era sempre inebriante.

“Batte per te, Magnus. Fino alla fine,” esalò Alec, ricambiando l’intensità dello sguardo del Nascosto e avvicinandoselo con le braccia libere, intrecciandole attorno ai suoi fianchi magri.

“Fino alla fine. Mi piace.”

A quel punto, Magnus era praticamente in braccio ad Alec. Aveva voglia di vicinanza fisica, di coccole, di presenza. Voleva farlo. Poteva farlo.
“E a me piaci tu! Mi sei mancato oggi, quando ero in missione, e quando sono tornato a casa e non c’eri ho pensato di appisolarmi un attimo… ma credo di aver praticamente perso i sensi.”

Risero entrambi, smorzando l’atmosfera seria che si era venuta a creare. Questo non eliminava le parole che ancora risuonavano nell’aria, ma ne accompagnavano i suoni con una nota più piacevole.

“Lo sai che questa è anche casa tua, ormai. Puoi fare quello che vuoi. A parte organizzare feste in mia assenza, perché dopo l’assaggio del mio compleanno, non me ne perderei una per nessuna ragione!”

Ci fu un attimo di silenzio in cui si studiarono, si osservarono, si scrutarono, poi si abbracciarono, stretti e fusi in un connubio di pelli morbide e formicolanti. Uno contro l’altro, uno per l’altro.

“Hai fame? Posso cucinare qualcosa, oppure usciamo o ordiniamo…”

Provò a dire Alec, parlando direttamente nell’incavo del collo di Magnus, come un felino. Il Nascosto ancora riusciva a stupirsi dei brividi che il Cacciatore era capace di fargli provare semplicemente con un nonnulla.

“Che ne dici se stiamo ancora un po’ qui, a rilassarci insieme? Anche tu mi sei mancato,” miagolò Magnus sull’avvallamento della spalla di Alec. “A proposito, ti saluta Catarina. Ormai considera più te che me.”

Il tono gli uscì offeso nemmeno la metà di quanto si era prefissato, e questo deluse Magnus perché non era da lui non avere il controllo sul proprio timbro, sulle proprie azioni, sulla propria vita. Ma cosa ci poteva fare se ormai non era più il solo artefice del proprio destino?

“Oh, povero Magnus, credo che io ti debba una dose extra di coccole per una simile mancanza di attenzione.”

Bingo!

Se avesse potuto, Magnus avrebbe probabilmente mosso fluidamente la coda come una pantera, ma il suo marchio stregonesco si limitava solo agli occhi di gatto…

“Le coccole extra sono un buon modo per rimediare, sì.”

Magnus andò ad annusare la guancia rosea di Alec, beandosi del suo profumo naturale, anche dopo una giornata di lavoro. Era il suo odore, quello della persona che amava. Della sua metà.

“Magnus?”

L’uomo si riscosse dai pensieri.

“Sì?” domandò accigliato. Notò che Alec lo stava fissando a pochi centimetri di distanza, e Magnus lo emulò, anche se gli costò una certa fatica allontanarsi dall’epidermide diafana del suo ragazzo.

“Qualunque cosa mi accada, non avere rimorsi o rimpianti. Non avrei mai neppure potuto immaginare di avere una vita migliore di quella che sto vivendo con te e, se dovessi andarmene oggi, avrei la certezza di aver amato e essere stato amato con assoluta onestà ed intensità. Sono certo che anche Ragnor, Raphael, e tutte le persone che hanno significato qualcosa per te lo sapessero e appoggiassero questo mio pensiero. Ti amiamo e sempre lo faremo, in un modo o nell’altro.”

Magnus sorrise e ignorò la spregiudicata arma di stato liquido che gli accarezzò la gota destra, incurante dell’opposizione del suo padrone; essa andò a lambirgli le labbra sottili e delineate, per poi scomparire tra una parola e l’altra.

“Grazie, Alexander. Sei sempre così saggio, tanto che, a volte, mi domando chi, tra di noi, sia quello con ottocento anni di esperienze alle spalle.”
“Nessuno dei due, perché né tu, né io abbiamo tutti quegli anni!”

Alec gettò la testa all’indietro, mostrando il suo perfetto collo niveo, il pomo d’Adamo che si abbassava e alzava creando un movimento ipnotico, accompagnato dalla risata genuina che rintoccava nel suo petto.

“Forse, ma di certo ti amo anch’io, e lo farò come dici tu, fino alla fine. E oltre, non dubitarne mai.”

A quel punto, Alec si ricompose e tornò ad avvicinarsi a Magnus, cancellando la traccia di quella stilla salata precedentemente scappata al dominio dello stregone. Unirono le loro fronti, gli occhi ancora aperti che si cercavano, che si ammiravano.

Le parole non servivano più.

Si baciarono sulle labbra, con dolcezza, saggiando quel calore tanto gradevole quanto intimo da cui nessuno ebbe la forza di allontanarsi, fino a quando qualcosa di piccolo, morbido e non troppo pesante andò a reclamare la propria cena, insieme a una buona dose di grattini da entrambi i suoi papà.
Erano un bel quadretto, insieme; non c’erano terzi incomodi non tangibili, ma che pesavano comunque come macigni.

Sulle candide lenzuola di seta blu oltremare – proprio come le iridi cristalline del mortale e la potente magia dell’immortale – posava solo una grande certezza: Alec, Magnus e Presidente Miao, avvolti nel rassicurante abbraccio del loro amore infinito.

 
The End

 
Nda

Salve a tutti!

Eccoci arrivati al termine di questo breve momento Malec!
Se avete scelto di dare una chance a questa flashfic senza pretese, vi ringrazio.
Questa fanfiction risale davvero tantissimo tempo fa, l’ho scritta dopo aver riletto Le cronache di Magnus Bane, ed è una delle prime che ho scribacchiato. L’ho ritrovata in una cartella del PC e ho pensato di pubblicarla, così, tanto per, con l’idea che, magari, qualcuno avrebbe potuto apprezzarla.
Vi ringrazio per essere arrivati fino a qui con la lettura!
Alla prossima.

Amelia           
 
   
 
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